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Stabilito a priori che non leggo fumetti per infliggermi pene
corporali, ma, anzi, li trovo molto stimolanti e rilassanti, penso sia
necessario sottolineare che considero i fumetti una sorta di zona franca
dove è possibile immergersi in un mondo completamente avulso dalla
realtà dove ci si può identificare nei protagonisti e vivere le loro
avventure.
"Anche un libro - diranno gli intellettuali che sdegnano i
fumetti - offre la possibilità di uscire dalla realtà per immergersi in un
mondo dove è possibile vivere le stesse angosce, gioie e dolori del
protagonista, gioendo con lui per l'inevitabile vittoria finale".
Verissimo, ma nel fumetto il testo è completato dall'immagine
e viceversa, sollevando così il lettore da uno sforzo immaginativo e
lasciandogli più spazio per la riflessione.
Con la parola riflessione introduco un discorso molto
complesso che mi porterà a spiegare come sia possibile concepire una
tesi di diploma per educatore centrata sul fumetto.
Per maggior chiarezza è necessario specificare che per me
fumetto significa soprattutto il genere super eroistico americano
(Uomo Ragno, Fantastici Quattro & Co.), ma anche quello di
avventura italiano (Dylan Dog ed il fantascientifico Nathan Never) ed
il fumetto leggero francese (Asterix). Sono, questi, fumetti
diversissimi tra loro ma che, forse, hanno un tema che li accomuna: il
tentativo, non sempre riuscito, dei loro autori di attuare un certo tipo
5
di denuncia sociale o un tentativo di riflessione su problemi personali
del protagonista che, per il processo di identificazione che sta alla base
del successo di ogni serie a fumetti, divengono i problemi del lettore.
Considero, insomma, il fumetto un veicolo mass-mediologico
attraverso il quale è possibile portare avanti delle idee, delle posizioni,
dei messaggi, nello stesso modo con cui lo fanno altre agenzie quali la
televisione o la radio o i giornali: il fumetto, come tutto il resto può o
non può essere veicolo educativo al pari degli altri mezzi di
comunicazione di massa.
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2. INTRODUZIONE
In una società come la nostra, abituata alla comunicazione di
massa, ai messaggi pubblicitari e non veicolati attraverso canali
sempre più multimediali, si sta perdendo il senso della lettura: si
leggono pochi libri, pochissimo i quotidiani che per poter vendere e
sopravvivere al mercato sono costretti a inventarsi come dispensatori
di gadget che poco o nulla hanno a che fare con la lettura, si guarda
molto la televisione e si utilizza il computer a livello sempre più
“multimediale”, dove il significato di “multimedialità”, in ultima
analisi, si riduce “cliccare” con il mouse su delle figure che attivano
delle sequenze animate e opportunamente dotate di colonna sonora. La
pubblicità ci bersaglia da tutti i lati attraverso immagini accattivanti
per contenuto erotico o per costruzione grafica.
Questo scenario è solo parzialmente negativo: infatti se da un
lato si corre il rischio di “disabituarsi” alla lettura pura e semplice a
discapito di una visione di insieme delle informazioni che ci
giungono, dall’altro si impone un affinamento delle capacità di
“leggere il mondo”
1
, ossia, come afferma Giovanni Genovesi
“recuperare in pieno l’etimo del termine lettura il cui significato si è
reso unilaterale nel tempo per ragioni storiche [....] che determinarono
1
Genovesi Giovanni; Educazione alla lettura, Firenze, Le Monnier 1977 pag. 10
7
il primato del linguaggio scritto su qualsiasi altra forma di
comunicazione”
2
. Questa affermazione ritengo si debba correggere nel
senso che la scrittura, dopo aver a lungo detenuto tale primato, lo ha
perso ad appannaggio di una comunicazione basata principalmente
sulle immagini televisive. Scrive ancora Genovesi: “Lettura significa
‘raccolta’ e sta quindi a significare l’azione con cui la mente riunisce i
vari dati che la realtà le offre per ordinarli secondo uno schema”
3
.
Leggere significa quindi dare una struttura ad una serie di
informazioni di per sé anarchiche.
Eppure la cultura dominante definisce la lettura come la
semplice decodificazione di una serie di simboli alfabetici, il che, se
vogliamo, è una limitazione imposta, dal momento che il bambino
impara da prima a dare un nome alle cose che vede e poi a scriverne e
leggerne la parola corrispondente.
Possiamo quindi affermare che il processo di strutturazione
delle informazioni che ci arrivano è per lo più istintivo e corre il
rischio di essere castrato dalla cultura dominante: se Godard sosteneva
che al pubblicità è il fascismo dei nostri tempi, Goffredo Fofi
drammatizza ulteriormente il quadro aggiungendo che anche stampa e
2
Genovesi Giovanni; Educazione alla lettura, Firenze, Le Monnier 1977 pag. 10
3
Genovesi Giovanni; Educazione alla lettura, Firenze, Le Monnier 1977 pag. 10
8
TV lo sono
4
. Acquisire una capacità di “leggere il mondo” ad un
livello sempre meno istintivo e sempre più consapevole è la chiave di
volta per poter “ottenere in quel mondo una qualche trasformazione”
5
.
Compito dell’educazione è il passaggio dal livello istintivo a
quello consapevole avvalendosi di tutti i mezzi che la storia mette a
disposizione allo scopo di superare la storia stessa. In altre parole
l’educazione (alla lettura) deve portare a compimento il suo fine
ultimo, operando dei cambiamenti sociali educendo delle capacità
dagli educandi.
Questo processo, nella sua strutturazione pratica, presuppone
la presenza di un educatore che sappia utilizzare un mezzo in grado di
giungere all’obiettivo.
Di conseguenza il mezzo è importante tanto quanto lo è il fine
che si vuole raggiungere ed è altresì importante la conoscenza del
mezzo, per scongiurarne l’utilizzo improprio.
In questo contesto si colloca il fumetto, un media da sempre
bistrattato, relegato ai più bassi livelli della gerarchia culturale,
ritenuto un banale passatempo per bambini che in virtù di chissà quale
alchimia diventa una pericolosa distrazione non appena il bambino
4
Fofi Goffredo; Benché giovani, crescere alla fine del secolo; edizioni e/o, Roma
1993 pag. 6
5
Fofi Goffredo; Benché giovani, crescere alla fine del secolo; edizioni e/o, Roma
1993 pag. 6
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passa dalle elementari alle medie inferiori. Se un adolescente, o
peggio ancora un adulto, decide di (ri)iniziare a leggere fumetti viene
guardato con sospetto se non addirittura additato come esempio di
immaturo.
Scopo di questa tesi è quindi dimostrare come il fumetto abbia
invece un preciso valore educativo/pedagogico. Vedremo infatti come
il fumetto può essere utilizzato come strumento di propagande
attraverso cui veicolare certi messaggi di notevole valore sociale (mi
riferisco qui alle varie campagne contro la droga, l’AIDS o
l’abbandono degli animali) o del suo utilizzo come mezzo espressivo
per stimolare l’immaginazione, la fantasia e l’inconscio dei ragazzi.
Per giungere a questi obiettivi sarà necessario comprendere da
principio il linguaggio attraverso il quale il fumetto si esprime
(capitolo 3). La comprensione dei meccanismi comunicativi ci
permetterà inizialmente di seguire l’evoluzione storica del medium
(capitolo 4), con particolare attenzione all’esperienza italiana .
Nel capitolo 5 verranno affrontate le polemiche attorno al
fumetto, in modo da comprendere quali siano state le difficoltà che ne
hanno rallentato lo crescita e maturazione. Nella seconda parte del
capitolo attraverso alcune esemplificazioni verranno poste in evidenza
quali siano le potenzialità espressive e comunicative alle quali è stato
comunque possibile giungere.
1
0
Nel capitolo 6, infine, verranno spiegati i meccanismi
psicologici attraverso cui è possibile attuare una pedagogia, portando
alcuni esempi di come il fumetto sia già utilizzato in tal senso o di
come potrebbe essere utilizzato.
Il capitolo 7 trarrà le conclusioni di tutto il trattamento, con
opportuni suggerimenti sulla formazione degli operatori all’utilizzo
del fumetto.
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3. LINGUAGGIO E STRUTTURA
NARRATIVA
La realizzazione di un fumetto non è dissimile da quella di un
film.
Occorre, innanzitutto, una storia da raccontare, qualcuno che la
scriva, che la traduca in una sceneggiatura che verrà poi data ad un
disegnatore che la tradurrà in immagini.
Nel fumetto la sceneggiatura della storia viene fatta dalla
stessa persona che la scrive, mentre di solito i disegni sono affidati a
più persone che si occupano delle varie fasi della realizzazione: un
disegnatore realizza i disegni a matita, un altro li ripassa a china, un
terzo mette i colori. Ad un’ulteriore persona viene affidato il
lettering
1
.
Per la realizzazione di un fumetto non è necessario coinvolgere
tutte le persone appena elencate: chi crea i disegni a matita può anche
occuparsi del loro ripasso a china o di qualsiasi altra fase connessa alla
creazione dei disegni e non sono rari i casi in cui una sola persona
1
Con questo termine viene indicata la scrittura delle frasi pronunciate dai
personaggi. Negli ultimi anni questa funzione si è andata sempre più specializzando,
specie nei fumetti americani, in quanto attraverso esso viene caratterizzata la “voce”
del personaggio.
12
realizza da solo un racconto a fumetti occupandosi della sceneggiatura
e della realizzazione dei disegni
2
.
Al pari di altri media, il fumetto necessita di un suo specifico
linguaggio in modo da rendere il senso dell’azione attraverso il
necessario impiego di immagini statiche e del dialogo.
Infatti, proprio per la sua peculiarità, un racconto a fumetti
deve descrivere delle situazioni attraverso poche immagini, senza
potersi dilungare brani descrittivi come nella letteratura o avvalersi di
sequenze di immagini come nel cinema.
Raccontare una storia attraverso questo media, implica di
conseguenza l’utilizzo di particolari accorgimenti che, attraverso la
codifica e la decodifica da parte del lettore, possano rendere il senso
della narrazione: occorre un “linguaggio”.
Una trattazione esauriente dei problemi inerenti al linguaggio
dei fumetti, comporterebbe un’integrazione di molteplici studi
condotti sotto l’angolazione di diverse discipline, quali la semiologia,
la psicologia, la sociologia, la pedagogia e la letteratura, in modo da
2
In questo senso Frank Miller è un autore americano che da solo ha realizzato
splendidi fumetti che in alcuni casi hanno contribuito al rilancio di alcuni personaggi
un po’ appannati e stereotipati. In “Il ritorno del cavaliere oscuro” (“The return of
dark knight”, DC Comics 1983), racconta il travaglio di un Batman ormai
invecchiato, fiaccato nel fisico e nello spirito, alcolista e incattivito, restituendogli le
atmosfere gotiche e cruente delle primissime storie create da Bill Finger e Bob Kane
nel ’39.
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poter definire come linguaggio, l’insieme degli elementi lessicali,
iconici, grafici ed onomatopeici che compongono il racconto.
Il fumetto è costituito dalla fusione di un linguaggio scritto,
contenuto nelle nuvolette e nelle didascalie, con un linguaggio iconico
dato dai disegni. Il messaggio viene veicolato essenzialmente dal
codice iconico ed il testo scritto ha esclusivamente funzioni
complementari
3
. In tale prospettiva, lo scritto servirebbe ad
aggiungere all’immagine quello che per vari motivi essa non è in
grado di significare o intensificare quello che già viene espresso dal
disegno o, ancora, richiamare ciò che non può essere disegnato.
Nel fumetto si attuerebbe per tanto una sintassi mista, grafico-
linguistica, nella quale ognuno dei due codici sarebbe usato in modo
da sfruttare al massimo le proprie potenzialità senza che la prevalenza
dell’uno sull’altro sia determinata dal caso o dalla tradizione
4
,
arrivando ad un prodotto finale in cui la narrazione non è data dalla
sommatoria di due codici distinti, ma dalla fusione di essi.
3
Becciu, 1971. Cit. in Imbasciati-Castelli; Psicologia del fumetto; Firenze, Guaraldi,
1975 pag. 80
4
In effetti nell’evoluzione storica del fumetto, notiamo come si sia passati da una
prevalenza, dovuta alla tradizione, del codice linguistico scritto, ad un sempre
maggiore sviluppo delle potenzialità espressive del disegno.