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- CAPITOLO 1°-
1. Storia del gioco d’azzardo
Sono giochi d’azzardo tutti quei giochi il cui risultato è determinato dal
caso>>: questa breve ma precisa definizione dei giochi d’azzardo ci
permette di capire un concetto fondamentale, e cioè che i giochi d’azzardo
sono un’infinità. La parola “azzardo” deriva dal francese hasard, che a sua
volta deriva dall’arabo zarah, che significa “dado”.
“Datare con precisione la scoperta dei giochi d’azzardo è un’impresa
pressoché impossibile: essi sono da millenni parte integrante della cultura
di ogni popolo. Troviamo notizie sui giochi d’azzardo già a partire dal
4.000 a.C.; nell’antico Egitto, ma anche in India, Cina e Giappone, i più
antichi manoscritti portano testimonianze riguardanti forti scommesse al
gioco dei dadi e alle corse con i carri, ma è lecito pensare che i giochi
d’azzardo siano nati quasi contemporaneamente all’umanità stessa”.
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Lo scrittore e accademico di Francia Roger Caillois (1913-1978) definisce i
giochi d’azzardo come: ”Giochi umani per antonomasia”.
“Solo la mente umana, infatti, è stata in grado di concepire giochi che,
anziché basarsi sull’abilità o sulla particolari caratteristiche fisiche di un
elemento, si basassero esclusivamente sul caso”.
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Con il progredire della
storia umana, anche i giochi d’azzardo e la loro penetrazione all’interno del
tessuto socio-economico si sono evoluti.
1
Cesare Guerreschi, giocati dal gioco. Edizioni San Paolo 2000 (pag.45)
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Caillois R. (1958), I giochi e gli uomini. La maschera e la vertigine, Bompiani, Milano 2000
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Attorno al XII e XIII secolo fanno la loro comparsa le corse dei cavalli con
relative scommesse, mentre nel XVI secolo, in Italia e in Inghilterra,
nascono le prime lotterie.Nel frattempo, gli atteggiamenti delle autorità
civili e religiose nei confronti del gioco d’azzardo furono soggetti a vari
mutamenti, alternando fasi di permissivismo con fasi di totale
proibizionismo. Anche i letterati presero posizione su questo argomento.
Nel canto undicesimo dell’Inferno, il poeta Dante Alighieri scrive (vv. 40-45):
<< Puote omo avere in sé man vïolenta/ e ne’ suoi beni; e però nel secondo/ giron
conviene che sanza pro si penta/ qualunque priva sé del vostro mondo,/ biscazza e
fonde la sua facultade,/ e piange là dov’esser dé giocondo>>.
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Attorno al XV-XVI secolo, Nicolò Macchiavelli (1469-1527) e Torquato
Tasso (1544-1595) espressero la loro opinione nei confronti del gioco e dei
giocatori come segue: <<Detestabile cosa el giuoco! Vita inquietissima
quella del giocatore, sentina di vizi abominevoli!>>.
Associato alla bestemmia, il gioco fu ripetutamente vietato in città quali
Venezia e Firenze.
L’invenzione del <<gioco d’azzardo per eccellenza>>, cioè della roulette, è
invece opera del filosofo Blaise Pascal, sebbene già nel Medioevo
esistessero giochi che si basavano sui giri di una ruota, che alla fine
individuavano un numero. Nel 1895, invece, l’americano Charles Fay
sviluppò le prime slot-machines, che ben presto negli Stati Uniti vennero
chiamate <<banditi con un braccio solo>>.
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Alighieri D ., Inferno XI, a cura di N. Spegno, La nuova Editrice, Firenze 1960
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Consci dell’enorme potere economico rappresentato dall’industria dei
giochi d’azzardo, gli Stati non tardarono a porre in essere politiche che
permettessero lo sfruttamento di questa risorsa finanziaria: queste
politiche, se da una parte miravano (e mirano tuttora) a limitare l’iniziativa
privata nel campo dei giochi d’azzardo, dall’altro canto promuovevano il
ruolo di uno stato biscazziere, tramite lo sviluppo di lotterie nazionali, il
controllo statale sulle case da gioco ecc.
Allo stesso tempo, però, l’accesso ai casinò è stato limitato a livello
normativo, sia per tutelare alcune categorie di possibili utenti, che
avrebbero rischiato la rovina economica se fosse stato loro concesso di
accedere ai casinò (e, così, al casinò di Montecarlo non è permesso accedere
ai cittadini monegaschi, oppure, sempre a titolo esemplificativo, in Italia
l’accesso ai casinò è interdetto ai residenti nelle aree limitrofe al posto in
cui è situata la casa da gioco), sia per motivi religiosi (nel casinò
recentemente aperto in Palestina, voluto dallo stesso Arafat, sebbene i
croupiers ed il restante personale siano arabi, onde non profanare il
Corano, che vieta esplicitamente il gioco d’azzardo).
Contemporaneamente al controllo dello Stato sul gioco d’azzardo, si è
sviluppata una fitta rete illegale collegata ad esso, che in Italia raggiunge
un fatturato pari ad un terzo di quello ottenuto dal gioco d’azzardo
<<legale>>. Da quanto detto sinora, è facile intuire che il gioco d’azzardo
rappresenta un’attività che coinvolge milioni di persone, stimabili
nell’ottanta per cento della popolazione adulta.
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E’ possibile dividere i giochi d’azzardo in due categorie:
a) Dentro al casinò
b) Fuori dal casinò
Alla prima categoria appartengono giochi quali roulette, baccarà, chemin
de fer, black-jack ecc.
Alla seconda, appartengono invece le lotterie, il lotto, il superenalotto, il
totocalcio, il totogol, il totip, e tutte le scommesse sportive, tutti i giochi di
carte e di dadi, la tombola ecc.
Un posto a parte va riservato ai video-poker e alle slot-machines.
Queste macchinette cosiddette “mangia-soldi” erano fino a poco tempo fa
relegate solo all’interno delle case da gioco, mentre oggi la loro diffusione è
pressoché illimitata (si trovano, quasi in ogni bar e tabbacheria), sebbene le
vincite in denaro siano spesso mascherate da “buoni-consumazione”.
La domanda ricorrente a proposito dei giochi d’azzardo è la seguente:
- è meglio vietarli oppure legalizzarli?
Da secoli si cerca di dare una risposta a tale quesito, che ha coinvolto varie
scuole di pensiero. Dal canto nostro, riteniamo che il divieto dei giochi
d’azzardo non sia una scelta proponibile, per tutta una serie di fattori.
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Innanzitutto, crediamo sia oggettivamente impossibile pretendere di
eliminare un’attività, che a pieno titolo fa parte della nostra e di altre
culture da millenni; i vari tentativi fatti nel corso della storia hanno sortito,
come unico effetto, di aumentare l’entità del gioco clandestino.
“Inoltre, bisogna ricordare che, se tra l’uno e il tre per cento della
popolazione adulta risulta essere giocatore d’azzardo patologico (DSM IV
Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders del 1994), per il restante 97%
il gioco d’azzardo rappresenta un piacevole diversivo, un modo per
socializzare, che può rivelarsi anche utile”.
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E’ vero anche, però, che è impensabile pretendere di mantenere il gioco
d’azzardo al di fuori di qualsiasi forma di controllo: la pericolosità insita in
questa attività, quando sfugge al controllo del singolo, è tale da giustificare
misure informative e preventive rivolte all’intera popolazione, attuate dagli
organi competenti a vigilare sulla salute pubblica.
Infine, è necessario creare una vera e propria cultura del gioco d’azzardo,
un educazione al gioco, visto come strumento di arricchimento, e non come
mezzo alternativo alle attività lavorative.
Se, quindi, gli Stati intendono continuare a proporsi come gestori principali
di questa attività, essi devono mettere in atto tutte quelle misure
preventive, che impediscano lo sviluppo del cosiddetto GAP (gioco
d’azzardo patologico). In questo periodo stiamo assistendo, in Italia in modo
particolare, ad una fase di estrema legalizzazione del gioco d’azzardo.
Nel giro di pochi anni sono nati o sono stati permessi un gran numero di
nuovi giochi: dalle scommesse sportive al superenalotto, dal totogol al
totosei e inoltre sono allo studio del legislatore numerose proposte di legge
volte a favorire l’apertura di case da gioco in ogni regione del nostro Paese.
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Cesare Guerreschi, op. cit. p. 50
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2. Il caso Dostoevskij
“Fedor Michajlovic Dostoevskij nacque a Mosca il 30 ottobre 1821, secondo
di sette figli, da Michajl Andreevic, medico di origine lituana e Marija
Fedorovna Necaeva, proveniente da una famiglia di commercianti.
L’atmosfera in casa Dostoevskij è opprimente e i bambini hanno
un’infanzia infelice, nonostante il carattere semplice e allegro della madre
la quale insegna a leggere al piccolo Fedor la Bibbia, il libro di Giobbe
diviene la sua lettura preferita.
Nel 1837 muore la madre affetta da una tisi ingravescente e indebolita dalle
numerose gravidanze: la famiglia si disgrega completamente.
Fedor, su insistenza del padre, fa domanda d’ammissione alla Scuola
Superiore di Ingegneria di Pietroburgo, dove dal 1838 al 1843 studia,
lottando in segreto per difendere la propria vocazione letteraria; legge
avidamente, non prova alcuna inclinazione per l’ingegneria militare (ma è
attirato dall’architettura e gli rimarrà per sempre il gusto per gli edifici, gli
interni, la loro fisionomia, il loro carattere).
Nel 1839 muore misteriosamente il padre, forse ucciso dai suoi contadini
che era solito maltrattare sotto i fumi dell’alcol.
Si dice che dopo aver ricevutola notizia, Fedor ebbe il suo primo attacco di
epilessia, malattia che si presenterà più volte nel corso della sua vita.
Il 12 agosto 1843 Fedor termina gli studi ed ottiene il diploma, il grado di
ufficiale e un modesto impiego come cartografo in un distaccamento di
Pietroburgo.
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Lo stipendio è miserabile ed inoltre comincia in questo periodo la sua
passione per il gioco; nelle situazioni più disperate è capace di giocare e
perdere migliaia di rubli, dannandosi l’esistenza per far fronte ai debiti, alle
cambiali e agli usurai.
E’ probabilmente che da questa situazione di disperazione assoluta nasca il
suo odio per i tranquilli borghesi, i piccoli commercianti, i proprietari, gli
accumulatori: incapace di maneggiare i soldi, è generoso fino all’estremo.
Dostoevskij in questo periodo conosce Michail Petrasevskij, convinto
sostenitore del socialismo utopistico di Fourier, che lo invita a frequentare
il suo salotto dove discutono nuove questioni sociali ed economiche.
Dostoevskij frequenterà le riunioni assiduamente, attratto dall’idea di una
società pacifica e dominata dall’amore; egli non è, né mai sarà, un
rivoluzionario (prende anzi le distanze dalle posizioni più estreme di
alcuni membri del gruppo), ma sogna provvedimenti che possano abolire
la servitù della gleba, la censura, la disuguaglianza, l’oppressione, la
povertà. All’inizio del 1849 escono le prime due parti di Netocka
Nezvanova. Il 25 aprile 1849, alle cinque del mattino, Dostoevskij viene
arrestato e imprigionato nella fortezza de Pietro e Paolo con l’accusa di far
parte di una società segreta sovversiva guidata da Petrasevskij.
Nel frattempo esce anche la terza parte di Netocka Neavanova,
ma senza la sua firma.
Il 16 novembre è condannato alla pena di morte mediante fucilazione,
esecuzione che all’ultimo momento, come era uso a quei tempi per esaltare
la grandezza e la magnanimità dello zar, viene commutata in condanna ai
lavori forzati in Siberia.
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Nella fortezza di Omsk Dostoevskij passa quattro anni a contatto con
detenuti di ogni genere, provenienza, estrazione, ognuno con una storia
diversa; tutto materiale che verrà utilizzato per Memorie da una casa di
morti. Nel 1854, terminata la pena, viene mandato a Semipalatinsk, non
lontano dal confine cinese, come soldato semplice.
Là si innamora della moglie di un doganiere del uogo e dopo la morte di
questo prende la donna, Marija Dmitrevna, come sposa. Nel novembre
1854 giunge a Semipalatinsk, conosce A.E. Vrangel’, il nuovo procuratore,
con il quale Dostoevskij stringe una salda e sincera amicizia.
Alla morte dello zar Nicola I, nel 1855,sarà lo stesso Vrangel’ ad adoperarsi
per permettere a Dostoevskij di tornare a Pietroburgo. Nel 1863, a distanza
di tre mesi l’una dall’altro, muoiono la moglie, da tempo malata, ed il
fratello Michail, per una fulminea malattia, che lo lascia in gravi difficoltà
finanziarie per l’edizione della rivista (quasi 25000 rubli di debito).
Dopo poche settimane, per un colpo apoplettico muore anche Apollon
Grigorev, l’amico definito da Fedor come “l’uomo più autenticamente
russo”. Nel 1865 firma con l’editore F. Stellovskij un contratto, per il quale
dovrà consegnarli entro il primo novembre dell’anno successivo un nuovo
romanzo, pena la pubblicazione fuori diritti da parte di Stellovskij di tutte
le sue opere. E’ in questa fase della sua vita che il demone del gioco ha la
sua massima espressione e violenza; l’editore gli fa accettare questo tipo di
contratto capestro proprio per i suoi debiti di gioco: concede anticipi ma
minaccia, se non vengono rispettate le scadenze, tutti i diritti d’autore.
Nella descrizione del protagonista del romanzo Il giocatore (in una lettera
ad un amico) mette molto di se stesso.
La nota caratteristica in lui è che tutti i suoi succhi vitali, le sue forze, la sua
turbolenza, il suo ardire mettono a capo alla roulette.
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Egli è un giocatore ma non è un semplice giocatore, così come il cavaliere
avaro di Puskin non è un semplice spilorcio.
Egli è nel suo genere un poeta, ma egli stesso si vergogna di questa poesia,
perché sente profondamente la sua bassezza, anche se la necessità del
rischio lo nobilita ai suoi stessi occhi. Tutto il racconto è il racconto di come
egli già da tre anni va girando per le case da gioco…si tratta della
descrizione i una specie di inferno.
Nell’idea originale del romanzo lo Scrittore prefigura un ravvedimento per
il giocatore ma nell’opera pubblicata, egli dichiara che smetterà solo
quando raggiungerà il pareggio. Se si considera che in quel periodo
Dostoevskij era alla disperazione e, pur col rischio di vedersi negati i diritti,
giocava cifre sempre più grosse il parallelismo con le storie raccontate dai
nostri pazienti è evidente, come la contraddizione intrinseca che essi
esprimono nei loro racconti ben si configura nella descrizione testé
riportata. In lettere private scritte dopo la pubblicazione del romanzo,
Dostoevskij cerca disperatamente di giustificare la sua passione:
…se solo riuscissi a giocare freddamente…a non perdere il controllo…
sono frasi sempre più ricorrenti. Prometteva di smettere ma non vi riusciva
a dispetto della enorme quantità di debiti contratti: la malattia e la
negazione della stessa presenti in quella personalità a livelli elevati.
Comincia a scrivere Delitto e castigo, e per velocizzarne la stesura assume
una stenografa, Anna Grigorevna Snitkina, che sposerà nel 1867.
Nel 1866 esce a puntate sul “Russkij vestnik” (Il messaggero russo), Delitto
e castigo. Lo stesso anno termina il giocatore.