43
1.11 LEGITTIMAZIONE ATTIV A ALL’INSINUAZIONE AL PASSIVO
FALLIMENTARE PER CREDITI DI PREVIDENZA INTEGRATIV A
Come messo in luce precedentemente, la scelta del nostro Legislatore
65
in materia di
tutela verso il lavoratore subordinato in caso di insolvenza del datore di lavoro riguardo
le quote destinate a previdenza integrativa è stata quella di garantire non la prestazione
erogata dal fondo pensione, ma la sola quota di contributi omessi.
A differenza di quanto realizzato per i crediti retributivi ed i contributi per la previdenza
obbligatoria, per i quali opera un accollo ex lege del Fondo di Garanzia
66
, per i crediti di
63
Con Sentenza n. 15945 del 16 agosto 2004.
64
Cass. sez. lav. n. 25257 del 14 dicembre 2010.
65
Art. 5 D. Lgs. 80/1992
66
Come analizzeremo nell’apposito capitolo che si focalizzerà sul riparto dei crediti.
44
previdenza integrativa il Legislatore ha istituito ex novo un Fondo, in forma di gestione
contabile separata presso l’INPS. Le ragioni di questa autonomia sono state
individuate
67
nella volontà di non far ricadere su un fondo, finanziato attraverso la
solidarietà generale, le omissioni contributive a danno di una categoria ristretta di
lavoratori, che volontariamente accedono ad una tutela non obbligatoria e che, tra
l’altro, all’epoca in cui il decreto legislativo è stato approvato, appariva come una classe
privilegiata. In effetti, in tal modo, si sarebbe realizzata una “solidarietà al contrario”
68
,
a carico dei lavoratori meno abbienti in favore di quelli più abbienti, che potevano
infatti accedere alla previdenza complementare.
Ancora, le ragioni dell’indipendenza del Fondo si collocherebbero anche nella diversa
natura giuridica che connota le somme da esso erogate, che, secondo la giurisprudenza
69
e parte della dottrina, avrebbero natura previdenziale, a differenza di quelle del Fondo
per la liquidazione del TFR.
Il Fondo dovrà corrispondere all’avente diritto gli interessi di rivalutazione, mentre per
quanto concerne il danno da svalutazione monetaria per le somme destinate alla
previdenza complementare, se si ammette che esse abbiano natura previdenziale, è
escluso il cumulo tra interessi e danno da svalutazione, che sarebbe invece consentito se
si ritiene che, ferma restando la loro funzione previdenziale, la natura delle somme
destinate alla previdenza complementare restasse pur sempre retributiva.
Tuttavia è controverso stabilire a chi spetti in primis insinuarsi al passivo fallimentare,
se il lavoratore o il fondo di previdenza integrativa; tale situazione può incidere sulla
legittimazione in ordine alla domanda per la partecipazione al concorso e, al tempo
stesso, sulla possibilità di vedere ammesso, o meno, il relativo credito, attesa la
possibilità di riconoscerne la titolarità in via esclusiva al Fondo, in quanto destinatario
delle somme, ovvero al lavoratore.
67
D. GARCEA, Il fondo di garanzia per la contribuzione previdenziale in Le nuove leggi civ. comm., 2007,
pag. 864.
68
M. CINELLI, sub art. 1, in IDEM (a cura di), Disciplina delle forme pensionistiche complementari.
Commentario, in Le nuove leggi civ. comm., 1995, pag. 182.
69
D. GARCEA, Rassegna critica della giurisprudenza sul Fondo di Garanzia, in Riv. dir. sic. soc., 2005, pag.
645 e D. GARCEA, Il Fondo di Garanzia per la contribuzione previdenziale, cit., pag. 865-866.
45
L’INPS, al fine di fare chiarezza, è intervenuto con la Circolare n. 23 del 22 febbraio
2008, attraverso la quale ha individuato le modalità dell’intervento del Fondo di
Garanzia contro il rischio derivante dall’omesso od insufficiente versamento, da parte
del datore di lavoro insolvente, dei contributi di previdenza complementare, nell’intento
di rendere la relativa regolamentazione coerente ed ha, espressamente, stabilito che
possono richiederne l’intervento i lavoratori subordinati che, “...al momento di
presentazione della domanda, risultino iscritti ad una delle forme pensionistiche
complementari collettive o individuali iscritte nell’apposito albo tenuto dalla COVIP”.
E’ stata così esclusa la legittimazione delle forme pensionistiche complementari di
richiedere direttamente al Fondo di Garanzia l’integrazione dei contributi, con
conseguente riconoscimento della legittimazione in via esclusiva dei lavoratori. La
circolare, però, ha escluso che il lavoratore possa poi ottenere l’intervento del Fondo di
Garanzia, in quanto quest’ultimo è tenuto a provvedere al versamento dei contributi
omessi al Fondo di previdenza complementare che, successivamente, procederà
all’erogazione in favore del prestatore di lavoro
70
.
In questo modo, la prassi amministrativa esclude che sia legittimato a presentare
domanda il fondo di previdenza complementare, salvo poi affermare che la liquidazione
delle somme omesse debba essere fatta in favore di questo. La circolare amministrativa
afferma infatti che “le forme pensionistiche complementari non possono in alcun caso
richiedere direttamente al Fondo di Garanzia l’integrazione dei contributi”, lasciando
intendere che potrebbero solo segnalare l’omissione al lavoratore, sollecitando una sua
iniziativa.
Tuttavia gli orientamenti dei nostri Tribunali possono pervenire ad una conclusione
difforme da quella sin qui illustrata, nelle ragioni che la sostengano riconoscendo la
“legittimazione concorrente del lavoratore e del Fondo”, cui non siano state versate dal
datore di lavoro le somme destinate alla previdenza integrativa o complementare, sul
presupposto che la legge ha riconosciuto sia al Fondo sia all’iscritto “la contitolarità del
diritto alla contribuzione”, ex art. 1 comma 2, n.8 L. 243/2004. Il lavoratore è così
legittimato in quanto direttamente interessato a salvaguardare il proprio diritto
70
Sul tema, CIANI, Il trattamento di fine rapporto alla luce della riforma del sistema pensionistico
complementare, in Trattato delle procedure concorsuali, a cura di GHIA-PICCININI C.-SEVERINI. Torino,
2010.
46
all’integrità della retribuzione, che potrebbe risultare compromesso quante volte il
Fondo dovesse rimanere inerte e si soggiunge che, d’altronde, il rischio di duplicazioni
è evitato dalla verifica che il curatore è tenuto a compiere nel momento in cui è
chiamato a predisporre la formazione dello stato passivo.
Pertanto, premesso che l’irregolarità contributiva da parte del datore di lavoro lede il
diritto di cui sia il lavoratore e sia il Fondo sono titolari, ad entrambi può essere
riconosciuta la legittimazione all’insinuazione al passivo delle somme omesse, salva la
possibilità di verificare da parte del Curatore, in sede di riparto, l’effettivo intervento del
Fondo.
1.12 INSINUAZIONE AL PASSIVO FALLIMENTARE DEI CREDITI DA
LA VORO
Abbiamo fin qui analizzato come i lavoratori dipendenti, alla pari degli altri creditori e
dei titolari di diritti reali o personali su beni mobili o immobili di proprietà o in possesso
del fallito, siano tenuti a presentare domanda di ammissione al passivo (cd. insinuazione
o ricorso) almeno trenta giorni prima dell’udienza di verifica ex art. 93 l.f.. Il ricorso
deve essere accompagnato dalle ragioni di prelazione nonché dai documenti
giustificativi del credito, ossia i documenti dimostrativi del diritto del creditore, o del
terzo che chiede la restituzione o la rivendica del bene: a titolo esemplificativo possono
essere allegati contratti aventi data certa, fatture con relative bolle di accompagnamento,
estratti di conti correnti bancari, iscrizioni ad albi
71
. I creditori possono tuttavia
depositare i documenti fino al giorno dell’udienza di verifica
72
, come stabilito dall’art.
95 della legge fallimentare.
La nuova scansione temporale delle scadenze (deposito delle domande, deposito del
progetto di stato passivo e termine per le osservazioni scritte e documenti integrativi)
71
Artigiani, agenti, ecc.
72
Il decreto correttivo del 2007 ha infatti eliminato il precedente obbligo di presentare tali documenti, a
pena di decadenza, entro i quindici giorni antecedenti all’udienza. In precedenza infatti si impediva al
creditore di superare le eccezioni e le conclusioni del curatore pur essendo in possesso della
documentazione idonea a dimostrare il proprio diritto, e lo si costringeva ad impugnare il decreto di
esecutività dello stato passivo per ottenere un’ammissione che avrebbe potuto essegli accordata già in
fase di verificazione dello stato passivo.
47
appare inoltre più idonea a consentire ai creditori ed ai titolari di diritti reali e personali
sui beni del fallito l’esercizio dei rispettivi diritti di difesa. E’ bene comunque precisare
che, scaduti i trenta giorni che precedono la data dell’udienza di verifica, per il creditore
è possibile solamente “integrare” la documentazione a sostegno della domanda di
insinuazione al passivo, non essendo infatti possibile il mutamento della domanda
stessa
73
.
La domanda di ammissione al passivo è una vera e propria domanda giudiziale
74
, la
quale produce, oltre agli effetti sostanziali (interruzione della prescrizione, impedimento
della decadenza) anche effetti processuali, tra cui l’effetto di far sorgere nel giudice
delegato il potere dovere di decidere sulla domanda
75
. In altri termini, poiché nella
domanda il creditore deve indicare tanto la somma vantata (petitum), tanto i fatti
giustificativi del suo diritto (causa petendi), tanto le eventuali ragioni di prelazione, il
giudice, nonostante i suoi notevoli poteri inquisitori, è vincolato all’oggetto della
domanda, ossia non potrà riconoscere somme maggiori di quelle risultanti dalla
domanda, o ammettere un credito in via privilegiata quando il creditore abbia chiesto
l’insinuazione in via chirografaria.
Considerata dunque l’importanza ed i limiti intrinseci che l’insinuazione incorpora
anche riguardo le fasi successive della procedura fallimentare, la Legge Fallimentare
non permette al creditore, in quel lasso di tempo che intercorre tra il deposito della
domanda tempestiva nel rispetto del termine dei trenta giorni e prima che il giudice
renda esecutivo lo stato passivo, di modificare la propria domanda ampliandone
l’oggetto, oppure introducendo nuove circostanze di fatto o comunque nuovi elementi
che finirebbero col mutare le ragioni costituenti il diritto fatto valere o, addirittura,
integrare la domanda richiedendo il privilegio non chiesto in precedenza. L’art. 95
consente infatti di presentare osservazioni scritte e documenti integrativi fino
73
Come visto nel paragrafo dedicato all’insinuazione al passivo, l’art. 93 l.f. è chiarissimo nel disciplinare
l’inammissibilità del ricorso se non soddisfatti i primi tre requisiti, oppure la decadenza a credito
chirografario in mancanza di adeguato titolo di prelazione a corredo della domanda.
74
Come sancito dall’art. 94 della Legge Fallimentare.
75
Secondo l’opinione consolidata, la domanda di ammissione è necessaria in quanto senza di essa il
giudice non può, d’ufficio e nonostante i poteri riconosciutogli dalla legge, procedere di sua iniziativa ad
accertare i crediti, anche se gli stessi dovessero risultare da altra documentazione.
48
all’udienza
76
, non anche di mutare la domanda introducendo nuovi fatti costitutivi: è
consentita una semplice emendatio libelli, non anche una mutatio
77
.
La successiva richiesta del privilegio non vantato in sede tempestiva configurerebbe
quindi una mutatio e non una semplice emendatio libelli: l’accertamento di qualsiasi
privilegio, pertanto l’accertamento della condizione giuridica legittimante,
comporterebbe infatti nuova causa petendi (accertamento di un titolo diverso rispetto al
semplice diritto di credito chirografario) e nuovo petitum (richiesta di collocazione
privilegiata nella liquidazione).
Dunque, una volta scaduto il termine di trenta giorni prima dell’udienza fissata per
l’esame delle domande di ammissione, non è possibile integrare la domanda
richiedendo il privilegio. Ne consegue che, se il creditore non chiede che il proprio
credito venga ammesso in via privilegiata, il giudice delegato deve ammettere il credito
in chirografo ed è preclusa la strada dell’insinuazione tardiva per conseguire il
riconoscimento della prelazione. Tuttavia, nel caso il privilegio venga istituito da una
legge successiva, la causa della prelazione verrebbe ad esistere successivamente alla
presentazione della domanda, dunque il creditore già ammesso in chirografo potrebbe
presentare domanda in via tardiva per conseguire l’ammissione in privilegio
78
.
Riguardo le molteplici categorie di crediti che possono nascere durante lo svolgimento
di un unico rapporto di lavoro, si è pronunciata la Cassazione con sentenza n. 4950 del 2
marzo 2007, la quale ha stabilito che, contrariamente alle opposizioni allo stato passivo
che costituiscono lo sviluppo della precedente fase di verificazione e di accertamento
dei crediti, le domande di ammissione tardiva sono da considerarsi domande giudiziali
autonome, per cui lo stesso creditore/lavoratore può proporre una domanda tardiva per
altri crediti che non siano stati oggetto di precedenti giudizi, anche se fondati sul
medesimo rapporto lavoristico. Tale orientamento viene riconfermato con sentenza n.
20534 del 6 ottobre 2011, la quale esplicita che, nonostante l’unitarietà del rapporto di
lavoro, i diritti di credito che dallo stesso derivano trovano fondamento in situazioni
76
Ad esempio: osservazioni circa il progetto di stato passivo redatto dal curatore.
77
Per esempio, rappresentando le ragioni di prelazione di un credito un elemento costitutivo della causa
petendi della domanda di ammissione al passivo, la successiva richiesta di un riconoscimento della
prelazione in precedenza non richiesta dà luogo ad una vera e propria mutatio libelli.
78
Cass. 11 gennaio 1980.
49
differenziate dal punto di vista sostanziale, divenendo così tra loro sezionabili e
partitamente tutelabili.
A questo punto, il lavoratore può proporre, a titolo esemplificativo, in via tempestiva la
domanda diretta al conseguimento del TFR, e in via tardiva quelle per differenze paga,
mensilità aggiuntive, ferie. L’assunto di base considera che il rapporto di lavoro non
origina un unico credito in capo al lavoratore, bensì varie voci creditorie a cui sono
sottesi differenti elementi costitutivi.
La Cassazione ha emanato altresì un principio generale
79
, secondo il quale un credito,
per poter essere insinuato tardivamente, deve essere diverso in base ai criteri del petitum
e della causa petendi da quello fatto valere nell’insinuazione ordinaria. Ne discende che
il creditore può proporre una domanda tardiva per altri crediti che non siano stati
oggetto di precedenti giudizi, anche se fondati sul medesimo rapporto, quando si sia in
presenza di un distinto oggetto sostanziale dell’azione; di fatto, a fronte di una prima
domanda per conseguire il TFR e di una successiva domanda di ammissione al passivo
per crediti diversi (differenze paga, mensilità aggiuntive, ferie, etc.), si può constatare
come siano differenti gli elementi costitutivi dei singoli crediti e che non vi sia quindi
alcuna preclusione all’azionabilità di alcune di esse in via tardiva pur a fronte della
proposizione di domanda tempestiva per altre, essendo i due giudizi contraddistinti da
assoluta diversità per petitum e causa petendi. A tale riguardo, va ribadito che si è in
presenza di una domanda nuova quando è fondata su presupposti di fatto e situazioni
giuridiche non prospettate in precedenza, in modo da importare il mutamento dei fatti
costitutivi del diritto fatto valere in giudizio e da introdurre nel nuovo processo un
diverso tema di indagine e di decisione, con un distinto oggetto sostanziale dell’azione,
in modo da porre in essere, in definitiva, una pretesa diversa, per la sua intrinseca
essenza, da quella fatta valere in precedenza.
La Cassazione
80
è arrivata a considerare come, addirittura nell’ambito della stessa
tipologia di credito, si possa giungere alle stesse conclusioni: premesso infatti che la
causa petendi si identifica con i fatti costitutivi del diritto azionato e che tale non è il
rapporto di lavoro ma lo sono i fatti rilevanti che si succedono nello svolgimento dello
79
Cass. civ. sez. I, 14 ottobre 2010, n. 21241.
80
Cass., sez. III, 17 maggio 2010, n. 11960.
50
stesso, nell’ambito della costituzione di un diritto retributivo riferito ad un determinato
periodo temporale, diversi sono i fatti dai quali sorge il diritto alla retribuzione per quel
periodo rispetto a quelli che assumono rilevanza in un periodo diverso, a partire dalla
stessa esistenza di elementi costitutivi del diritto per finire a quelli che ne qualificano
l’ammontare.
Diventano così proponibili separatamente
81
le domande aventi ad oggetto pretese
retributive identiche, ma riferite a periodi diversi del medesimo rapporto di lavoro,
atteso che anche in questo caso le domande si fondino su petitum e causa petendi del
tutto autonomi. Nonostante le domande attengano alla stessa voce “credito da
retribuzione”, i fatti dai quali sorge il diritto al compenso per il lavoro effettuato nei vari
periodi lavorativi sono differenti, sia negli elementi costitutivi del diritto che in quelli
che concorrono alla quantificazione del suo ammontare.
Allo stesso modo, nell’ipotesi in cui con la prima domanda il lavoratore si sia insinuato
per il TFR, e quindi esso sia stato calcolato senza aver tenuto conto delle mensilità che
verranno chieste in via tardiva, l’ammissione del Giudice Delegato relativa al TFR non
preclude il successivo riconoscimento di crediti per mensilità ulteriori, non sussistendo
incompatibilità tra le due pronunce, che rimangono fondate su presupposti di fatto del
tutto diversi
82
.
81
Nel senso che il lavoratore può insinuarsi prima tempestivamente e poi tardivamente.
82
Non si può affermare l’ipotesi viceversa in quanto, in tema di trattamento di fine rapporto, la
domanda di riliquidazione della prestazione in virtù di una differente base di calcolo non è ammessa.
Infatti il credito per TFR è unico e non frazionabile; non sarà possibile per il lavoratore insinuarsi, ad
esempio, in via tempestiva per il TFR in ragione delle indennità contrattuali erogate in maniera fissa e
continuativa e poi riproporre la domanda in via tardiva deducendo come base del computo profili
differenti, quali il riconoscimento dei compensi per lavoro straordinario. La diversa prospettazione del
calcolo, anche se non dedotta, era comunque deducibile con la domanda tempestiva e la particolarità
del credito per TFR lo rende non segmentabile in più periodi; non deve ritenersi consentito al creditore
di una determinata somma di denaro, dovuta in forza di un unico rapporto obbligatorio, di proporre
plurime richieste deducendo differenti elementi costitutivi della base di computo.