Alessio Bottan – La partecipazione delle Regioni alla formazione degli atti comunitari 
- 4 -  
 Al di là delle valutazioni circa l’accuratezza o, viceversa, l’illusorietà di 
una tale ricostruzione, la questione del ruolo delle autonomie regionali 
all’interno dell’Unione europea è di particolare interesse per almeno tre motivi. 
 Il primo attiene alla legittimazione democratica delle decisioni della 
Comunità e dell’Unione europea. Il problema dell’insufficiente tasso di 
partecipazione e controllo democratici sull’azione delle istituzioni comunitarie 
affligge la costruzione europea fin dal suo avvio. Nella misura, infatti, in cui il 
baricentro del pubblico potere si sposta verso l’alto, cioè verso le istituzioni 
comunitarie, la distanza fra il cittadino e le sedi di esercizio del pubblico potere 
si accentua, allungando la catena della rappresentanza
5
. Nel corso degli anni 
sono state individuate diverse cause responsabili del cosiddetto deficit 
democratico del sistema comunitario, fra le quali si possono segnalare i limitati 
diritti di partecipazione del Parlamento europeo al processo decisionale 
comunitario, il ruolo marginale dei parlamenti nazionali, la carente 
responsabilità della Commissione europea e il modesto sviluppo del sistema 
partitico europeo
6
. A partire proprio dal Trattato di Maastricht sono stati compiuti 
passi significativi verso la rimozione di tali cause. Il coinvolgimento delle 
Regioni e delle autonomie locali nei processi decisionali comunitari costituisce 
un rimedio considerato in grado di accrescere le qualità democratiche del 
sistema dell’Unione europea. Le Regioni, infatti, sono divenute sempre di più 
enti in grado di sintetizzare le esigenze delle collettività su cui esercitano le 
propria giurisdizione e di rappresentarle presso i livelli di governo superiori
7
. 
 Il secondo motivo è di ordine efficientistico o funzionale. L’Unione 
europea non è dotata di proprie strutture amministrative decentrate; pertanto le 
sue politiche sono applicate dagli enti che sono competenti per materia 
secondo gli ordinamenti interni di ciascuno Stato membro. L’ampliamento delle 
competenze comunitarie comporta che un numero crescente di politiche 
                                                                                                                                               
integrazione la sostituzione degli Stati con le Regioni nella costruzione comunitaria. IURATO, L’UE e la 
rappresentanza territoriale regionale, in Le Regioni, 2006, p. 693. 
5
 SAVINO, Regioni e Unione europea: il mancato “aggiramento” dello Stato, in Le Regioni, 2007, p. 
434. 
6
 Sul deficit democratico dell’ordinamento comunitario si vedano, fra gli altri, CROMBEZ, The 
democratic deficit in the European Union, in European Union Politics, 2003, vol. 4, n. 1, pp. 1001 ss.; 
PASQUINO, The democratic legitimation of European institution, in The international spectator, 2002, 
pp. 35 ss. 
7
 IURATO, op. cit., 2006, p. 688. 
Alessio Bottan – La partecipazione delle Regioni alla formazione degli atti comunitari 
- 5 -  
europee sia implementato da collettività territoriali. Una loro partecipazione 
inadeguata o inefficiente alla “fase ascendente” di formazione delle decisioni 
dell’Unione determina una situazione di uneven distribution of pay and say
8
, 
nella quale Regioni ed enti locali sopportano la maggior parte dei costi legati 
all’attuazione del diritto comunitario (pay), mentre il peso che la loro “voce” ha 
nell’elaborazione di quel diritto (say) è irrisorio.  
Un effettivo apporto delle autorità regionali alla fase ascendente può 
consentire, invece, di anticipare la soluzione di problemi attuativi destinati a 
presentarsi nella fase discendente. La questione riguarda in primo luogo 
l’efficacia delle decisioni comunitarie. Le Regioni, infatti, per via della loro 
maggiore prossimità ai cittadini rispetto alle istituzioni comunitarie e agli Stati, 
possono contare su una migliore conoscenza delle realtà socio-economiche 
sulle quali le politiche europee andranno ad impattare. Un più intenso 
coinvolgimento dei livelli di governo substatali, peraltro, è anche suscettibile di 
incrementare il tasso di effettività delle azioni comunitarie, favorendo 
atteggiamenti di compliance capaci di garantire un’attuazione agevole e rapida. 
Il terzo motivo di interesse è di ordine costituzionale e riguarda il 
fenomeno di erosione delle competenze normative delle Regioni, a seguito 
della loro “comunitarizzazione”. La Comunità e l’Unione europea sono spesso 
competenti a dettare norme in materie che, a livello interno e in base ai diversi 
quadri costituzionali degli Stati membri, appartengono alle prerogative delle 
collettività regionali. Una volta trasferite a livello sopranazionale, le competenze 
delle Regioni sono generalmente esercitate dalle autorità centrali, le quali sono 
responsabili della conduzione delle trattative in seno alle istituzioni comunitarie. 
In assenza di adeguati meccanismi che compensino questa progressiva 
erosione attraverso un coinvolgimento effettivo nel processo decisionale 
dell’Unione, si determinerebbe una situazione che vede non solo la 
compressione degli spazi di autonomia regionale, ma anche e soprattutto 
un’alterazione della distribuzione di poteri a livello domestico
9
. 
                                                 
8
 BORZEL, States and Regions in the European Union, Cambridge, 2002, p. 53. 
9
 WEATHERILL, The challenge of the regional dimension in the European Union, in WEATHERILL – 
BERNITZ (ed.), The role of regions and sub-national actors in Europe, Oxford, 2005, p. 13. 
 
Alessio Bottan – La partecipazione delle Regioni alla formazione degli atti comunitari 
- 6 -  
La presente trattazione intende analizzare i meccanismi istituzionali 
predisposti dal diritto comunitario per consentire alle Regioni di partecipare alla 
fase ascendente di elaborazione degli atti normativi comunitari, e, più in 
generale, alle politiche dell’Unione. Dopo un breve excursus sull’evoluzione 
della dimensione regionale della costruzione europea dalle origini fino al nuovo 
Trattato di riforma, firmato a Lisbona il 13 dicembre 2007 e attualmente 
sottoposto alle ratifiche degli Stati membri (capitolo 1), verrà esaminato il 
Comitato delle regioni, l’organo di rappresentanza istituzionale delle istanze 
regionali e locali all’interno dell’Unione europea (capitolo 2). In seguito sarà 
analizzata la possibilità di partecipazione regionale, prevista dall’articolo 203 del 
Trattato CE, alle delegazioni nazionali in seno al Consiglio dei Ministri, ai suoi 
comitati e ai gruppi di lavoro (capitolo 3). A questo proposito, verranno prese in 
considerazione le normative e le prassi nazionali di sei Stati membri nei quali le 
Regioni hanno competenza legislativa, al fine di valutare come l’opportunità 
offerta dal diritto comunitario venga in concreto sfruttata. 
Il capitolo 4 si concentrerà sul principio di sussidiarietà, introdotto dal 
Trattato di Maastricht e successivamente disciplinato in un apposito Protocollo 
allegato al Trattato di Amsterdam. In quanto criterio che serve ad individuare il 
livello più appropriato di intervento nelle materie che rientrano fra le 
competenze concorrenti, la sussidiarietà costituisce un limite importante ad 
un’eccessiva centralizzazione di competenze in capo alle istituzioni comunitarie. 
Per questo motivo, le Regioni e le autorità locali, pur non essendo menzionate 
nell’attuale formulazione contenuta nel diritto primario, hanno sempre sostenuto 
il principio di sussidiarietà, quale garanzia della loro autonomia e delle loro 
prerogative. 
Verranno, in seguito, prese in considerazione le diverse modalità di 
coinvolgimento degli attori regionali e locali nelle nuove forme di governance 
europea, nozione usata per indicare un processo decisionale aperto, flessibile e 
poco gerarchizzato, nel quale una molteplicità di attori, pubblici e privati, 
partecipano all’elaborazione e all’attuazione delle politiche europee (capitolo 5). 
Il capitolo 6, infine, analizzerà le maggiori innovazioni che il nuovo 
Trattato di riforma, recentemente firmato a Lisbona, dovrebbe introdurre, una 
volta ratificato, per quanto concerne la dimensione regionale dell’integrazione 
Alessio Bottan – La partecipazione delle Regioni alla formazione degli atti comunitari 
- 7 -  
europea. Ci si soffermerà in particolare sul relativo rafforzamento della 
posizione del Comitato delle regioni, sul recepimento a livello di diritto primario 
dei principi di enucleati nel Libro bianco sulla Governance europea
10
 e nelle 
successive comunicazioni in materia, nonché sulla nuova formulazione e 
disciplina del principio di sussidiarietà. 
L’attenzione sarà concentrata sulle procedure e sui meccanismi che 
l’ordinamento comunitario mette direttamente a disposizione delle Regioni per 
prendere parte al processo decisionale. Gli strumenti di cui i livelli intermedi di 
governo dispongono negli ordinamenti nazionali di appartenenza verranno 
analizzati, come si è anticipato, solo in parte, quando si tratterà della 
partecipazione regionale alle delegazioni nazionali in seno al Consiglio, ai suoi 
comitati e gruppi di lavoro. Solo con riguardo all’ordinamento italiano, verranno 
analizzate le procedure che consentono alle Regioni di incidere 
sull’elaborazione della posizione italiana da sostenere in ambito comunitario 
(cosiddetto “segmento nazionale” della fase ascendente). 
Al di là di questi canali istituzionali di partecipazione delle Regioni al 
decision-making comunitario, è opportuno accennare all’esistenza di canali 
informali, attraverso i quali le collettività territoriali esercitano attività di lobbying 
presso le istituzioni europee, sia in forma collettiva che in forma individuale
11
. 
Collettivamente, Regioni ed enti locali si sono organizzate in associazioni e reti 
informali, con lo scopo di difendere i loro membri presso le istituzioni europee. 
Fra queste si possono individuare le organizzazioni a vocazione generalista, 
quali il Consiglio dei Comuni e delle Regioni d’Europa (CCRE) e l’Assemblea 
delle Regioni d’Europa (ARE), e quelle a carattere settoriale, fra le quali si 
possono ricordare la Conferenza delle Regioni periferiche marittime (CRPM), 
l’Associazione delle Regioni europee di confine (ARFE), la Conferenza delle 
Regioni europee con poteri legislativi (REGLEG) e la Conferenza delle 
Assemblee legislative regionali europee (CALRE). 
                                                 
10
 Commissione europea, Libro bianco sulla governance europea, COM(2001) 429. 
11
 Si vedano a riguardo JEFFERY, Sub-national mobilization and European integration: does it make any 
difference?, in Journal of common market studies, 2000, pp. 3 ss.; SMETS, Les Régions se mobilisent – 
Quel “lobby régional à Bruxelles?”, in AA.VV., Lobbysme, pluralisme et intégration européenne, 
Bruxelles, 1998; SMITH, Au-delà d’une “Europe du lobbying” – L’expérience des rapports entre 
Régions et Commission, in AA.VV., Lobbysme, pluralisme et intégration européenne, Bruxelles, 1998, 
pp. 58 ss. 
Alessio Bottan – La partecipazione delle Regioni alla formazione degli atti comunitari 
- 8 -  
Il lobbying individuale, invece, si è svolto principalmente attraverso gli 
uffici di collegamento presso l’Unione europea che un numero crescente di 
Regioni ha aperto nel corso degli anni a Bruxelles
12
. Dal 1984, anno di 
insediamento del primo ufficio regionale, sono state istituite nella capitale belga 
oltre duecento sedi di rappresentanze di regioni ed enti locali. La loro principale 
attività consiste nel monitoraggio delle attività delle istituzioni comunitarie e 
nella successiva comunicazione all’amministrazione di riferimento. Svolgendo 
una funzione di stimolo, capace di attivare gli organi amministrativi e politici dai 
quali dipendono, gli uffici di collegamento costituiscono veri e propri canali di 
accesso all’elaborazione delle politiche europee
13
. Per le istituzioni europee, 
inoltre, essi costituiscono degli importantissimi sensori delle realtà territoriali per 
valutare l’impatto delle diverse azioni, nonché preziosi interlocutori per 
l’orientamento dell’attività normativa comunitaria. 
Sebbene il fenomeno della mobilitazione territoriale presso le istituzioni 
europee abbia proporzioni tali da essere stato definito in termini di terza ondata 
della “lobbificazione” dell’Unione europea
14
, occorre comunque tenere presente 
che mobilization and influence are not synonymous
15
. La partecipazione 
informale non può, pertanto, costituire una valida alternativa ai meccanismi e 
alle procedure istituzionale di coinvolgimento regionale nei processi decisionali 
comunitari
16
.
                                                 
12
 Sul tema si vedano LUCHENA, Gli uffici regionali di collegamento con l’Unione europea nella tutela 
degli “interessi territoriali”, in BUQUICCHIO, Studi sui rapporti internazionali e comunitari delle 
Regioni, Bari, 2004, p. 215 ss.; MARKS – HAESLY – MBAYE, What do subnational offices think they 
are doing in Brussels?, in Regional and federal studies, 2002, n. 2, pp. 1 ss; BADIELLO, Ruolo e 
funzionamento degli Uffici regionali europei a Bruxelles, in Le Istituzioni del federalismo, 2000, pp. 89 
ss.; JEFFERY, Regional information offices in Brussels and Multi-level governance in the EU. An Uk-
German comparison, in Regional and federal studies, 1996, pp. 189 ss.; HEICHLINGER, A Regional 
representation in Brussels: the right idea for influencing EU policy making?, Maastricht, 1999. 
13
 DOMENICHELLI, Le Regioni nella Costituzione europea, Milano, 2007, p. 52. 
14
 PANEBIANCO, Il lobbying europeo, Milano, 2000, p. 39. 
15
 JEFFERY, op. cit., 2000, pp. 4-5. 
16
 IURATO, op. cit., 2006, p. 693. 
Alessio Bottan – La partecipazione delle Regioni alla formazione degli atti comunitari 
- 9 -  
1. L’evoluzione del ruolo delle autorità regionali e locali nel 
processo di integrazione europea 
 
Prima di affrontare il tema della partecipazione delle Regioni alla 
formazione degli atti comunitari, è opportuno soffermarsi brevemente sul 
percorso istituzionale che ha portato al progressivo riconoscimento degli enti 
regionali e locali nell’ordinamento comunitario.  
 
L’originaria “cecità regionale” dell’ordinamento comunitario 
 
Se da un lato i Trattati CECA (1951) ed EURATOM (1957) non hanno 
mai preso in considerazione le articolazioni interne degli Stati membri, il Trattato 
di Roma del 1957 istitutivo della Comunità economica europea recava alcuni 
riferimenti alle “regioni”
1
. Si trattava tuttavia di un’espressione utilizzata in un 
senso puramente geografico ed economico, senza alcuna pretesa di descrivere 
istituzioni politiche
2
. Fin dalle sue origini la Comunità economica europea ha 
avuto una propria politica regionale, realizzata dapprima attraverso lo strumento 
del Fondo sociale europeo previsto dagli articoli 123 e seguenti del Trattato e 
disciplinato con il Regolamento del Consiglio n. 9 del 25 agosto 1960. Nel 1975 
è stato poi istituito il Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR) con 
Regolamento (CEE) n. 724/75, la cui base giuridica si individuava nel 
preambolo e nell’articolo 2 del Trattato, i quali auspicavano lo sviluppo 
armonioso delle attività economiche nell’insieme della Comunità oltre alla 
                                                 
1
 Si veda, ad esempio, il Preambolo: gli Stati membri “solleciti di rafforzare l’unità delle loro economie e 
di assicurarne lo sviluppo armonioso riducendo le disparità fra le differenti regioni e il ritardo di quelle 
meno favorite”; articolo 39, relativo all’elaborazione della politica agricola comune, che fa riferimento 
alle “diverse regioni agricole”; l’articolo 49, relativo alla libera circolazione dei lavoratori, che fa 
riferimento al “tenore di vita e il livello dell’occupazione nelle diverse regioni ed industrie”; articolo 75 
par. 3, articolo 80 par. 2 e 82, relativi alla politica dei trasporti, i quali fanno riferimento al “tenore di vita 
e l’occupazione in talune regioni”, alla “politica economica regionale” degli Stati membri, alle “necessità 
delle regioni sottosviluppate e ai problemi delle regioni che abbiano gravemente risentito di circostanze 
politiche”, nonché agli “svantaggi economici cagionati dalla divisione della Germania all’economia di 
talune regioni della Repubblica Federale”; articolo 92, recante la disciplina degli aiuti di Stati, il quale si 
richiama a determinate “regioni della Repubblica Federale di Germania che risentono della divisione della 
Germania”, alle “regioni ove il tenore di vita sia anormalmente basso, oppure si abbia una grave forma di 
sottoccupazione” e allo sviluppo di “talune regioni economiche”; infine, l’articolo 130, che fa riferimento 
alle “regioni meno sviluppate”. 
2
 ZILLER, Ce qui change pour les autorités régionale set locales dans le projet de Constitution pour 
l’Europe, in COMITE DES REGIONS (Studio), La dimension régionale et locale dans le processus 
constitutionnel européen, Lussemburgo, 2004, p. 19. 
Alessio Bottan – La partecipazione delle Regioni alla formazione degli atti comunitari 
- 10 -  
riduzione delle disparità esistenti fra le differenti regioni e il ritardo di quelle 
meno favorite
3
.  
Le “regioni” all’inizio del processo di integrazione europea si 
configuravano pertanto come aree di intervento delle azioni comunitarie, dalle 
caratteristiche geografiche e socio-economiche omogenee. Esse si 
presentavano come semplici destinatarie di politiche e decisioni elaborate a 
livello sopranazionale
4
.  
L’originaria indifferenza dell’ordinamento comunitario rispetto alle 
articolazioni interne degli Stati membri e dei livelli di governo regionali e locali è 
stata felicemente descritta da Ipsen attraverso la metafora della 
Landesblindheit, ovvero della “cecità regionale”
5
. Il sistema istituito con il 
Trattato di Roma non riusciva a “vedere” le entità territoriali sub-statali e 
delineava i propri procedimenti e i propri organi prendendo in considerazione 
solo i livelli centrali di governo
6
. Tale situazione era dovuta ad un duplice ordine 
di fattori. In primo luogo, occorre tenere presente che l’ordinamento comunitario 
è nato sulla base di un’impostazione puramente internazionalistica che vede gli 
Stati come unici soggetti di diritto. A questo motivo di ordine giuridico si affianca 
un secondo fattore di natura più politica, che si identifica nella scarsa 
articolazione territoriale di molti Stati membri nei primi decenni di esistenza 
delle Comunità europee
7
.  
                                                 
3
 Oltre al Fondo sociale europeo e al Fondo europeo di sviluppo regionale, si può citare, al fine di dare un 
quadro completo della politica regionale nei primi anni del processo di integrazione, il Fondo europeo 
agricolo di orientamento e garanzia, istituito con il Regolamento del Consiglio n. 25 del 4 aprile 1962 
relativo al finanziamento della politica agricola comune. 
4
 DOMENICHELLI, Le Regioni nella Costituzione europea, Milano, 2007, p. 3. Secondo FALCON, La 
“cittadinanza europea” delle Regioni, in Le Regioni, 2001, p. 329, quello delle autorità regionali nei 
processi di gestione della costruzione europea e dei relativi processi decisionali era un “coinvolgimento 
solo passivo, come destinatari obbligati e riflessi di decisioni prese senza di loro”. 
5
 IPSEN, Als Bundesstaat in der Gemeinschaft, in CAEMMERER – SCHLOCHAUER – STEINDORFF, 
Probleme des europäischen Rechts. FS Hallstein, Francoforte, 1966, pp. 248 ss. L’espressione 
Landesblindheit viene spesso tradotta come “cecità federale”. Tuttavia secondo FALCON, op. cit., 2001, 
p. 329, l’ordinamento comunitario sarebbe tutt’altro che cieco da un punto di vista federale, valorizzando 
al massimo gli Stati quali fondatori ed elementi essenziali. Secondo l’Autore il non vedere di cui parla 
Ipsen sarebbe da ricondursi appunto alle entità regionali. 
6
 D’ATENA, Partecipazione degli enti regionali e locali alla fase ascendente del policy making europeo 
– Versante europeo, in COMITATO DELLE REGIONI (Studio realizzato dall’Istituto di studi sui sistemi 
regionali, federali e sulle autonomie «Massimo Severo Giannini»), Procedure per la partecipazione delle 
autorità regionali e locali al processo europeo di Policy Making nei vari Stati membri, Lussemburgo, 
2005, p. 8. 
7
 DOMENICHELLI, op. cit., 2007, p. 3. 
Alessio Bottan – La partecipazione delle Regioni alla formazione degli atti comunitari 
- 11 -  
Sotto il primo profilo, l’indifferenza dell’ordinamento europeo rispetto 
all’articolazione interna degli Stati costituisce un principio fondamentale, 
enucleato nell’articolo 6, par. 3, del Trattato UE, il quale stabilisce che “l’Unione 
rispetta l’identità nazionale dei suoi Stati membri”. Questo comporta che 
l’ordinamento comunitario non impone un’articolazione territoriale agli Stati 
membri; l’organizzazione del decentramento e la distribuzione dei poteri fra i 
diversi enti territoriali rimane, al contrario, una competenza statale esclusiva.  
Sulla base di questa impostazione, la giurisprudenza ha sottolineato più 
volte che la nozione di Stato membro “comprende le sole autorità di governo 
degli Stati membri delle Comunità europee e non può estendersi agli esecutivi 
di regioni o di comunità autonome, indipendentemente dalla portata delle 
competenze attribuite a questi ultimi”
8
. Uno dei corollari del principio di 
autonomia è rappresentato dalla responsabilità esclusiva dello Stato nel caso di 
violazione del diritto comunitario ai sensi dell’articolo 226 del Trattato CE. Lo 
Stato, in altre parole, non può addurre motivazioni fondate sulla presenza di 
ostacoli derivanti dalla struttura costituzionale interna per giustificare il mancato 
adempimento agli obblighi imposti dal diritto comunitario
9
. Le Regioni, inoltre, 
godono, ai sensi dell’articolo 230 del Trattato, di un accesso limitato alla Corte 
di giustizia per l’impugnazione di atti comunitari, alla pari di qualsiasi altra 
persona fisica e giuridica. Il giudice comunitario, infatti, ha affermato che 
un’autorità regionale non può adire la Corte in qualità di ricorrente privilegiato in 
luogo dello Stato membro di appartenenza indipendentemente dalla portata 
delle competenze attribuite ad essa dal diritto interno. Ciò, infatti, “equivarrebbe 
a mettere in pericolo l'equilibrio istituzionale voluto dai Trattati, i quali 
determinano in particolare le condizioni alle quali gli Stati membri […] 
                                                 
8
 Corte di giustizia, Région Wallon c. Commissione, sentenza del 21 marzo 1997, c. 295-97, in Raccolta, 
1997, p. I-1787 ss. Sulle ragioni che giustificano tale principio si veda WEATHERILL, The challenge of 
the regional dimension in the European Union, in WEATHERILL – BERNITZ, The role of regions and 
sub-national actors in Europe, Oxford, 2005, p. 2. 
9
 Si tratta di un principio che trova applicazione anche nel diritto internazionale generale, sancito 
all’articolo 27 della Convenzione di Vienna sul Diritto dei Trattati del 23 maggio 1969. Nella 
giurisprudenza comunitaria, il principio in questione è stato enunciato in numerosi casi, fra i quali si 
ricordano i seguenti: Corte di giustizia, Commissione c. Belgio, sentenza del 14 gennaio 1988, c. da 
227/85 a 230/85, in Raccolta, 1998, p. 1 ss.; Corte di giustizia, Commissione c. Italia, sentenza del 13 
dicembre 1991, c. 33/90, in Raccolta, 1991, p. I-5987 ss.; Corte di giustizia, Commissione c. Belgio, 
sentenza del 16 dicembre 1992, c. 211/91, in Raccolta, 1992, p. I-6757 ss.; Corte di giustizia, 
Commissione c. Spagna, sentenza del 13 dicembre 2001, c. 417/99, in Raccolta, 2001, p. 6015 ss.; Corte 
di giustizia, Commissione c. Italia, sentenza del 16 gennaio 2003, c. 388/2001, in Raccolta, 2003, p. I-721 
ss. 
Alessio Bottan – La partecipazione delle Regioni alla formazione degli atti comunitari 
- 12 -  
partecipano al funzionamento delle istituzioni comunitarie. Le Comunità 
europee non possono infatti comprendere un numero di Stati membri superiore 
a quello degli Stati membri che le hanno costituite”
10
. Pare opportuno 
segnalare, peraltro, che la cecità regionale dell’ordinamento comunitario ha 
subito, nella giurisprudenza comunitaria, più di un ridimensionamento. In molti 
casi, infatti, la Corte ha adottato una nozione di Stato molto più ampia di quella 
sopra indicata, comprensiva anche delle entità territoriali, soprattutto in 
relazione alla fase di esecuzione degli obblighi comunitari
11
. 
Sotto il secondo profilo, relativo alla scarsa caratterizzazione federale o 
regionale degli Stati fondatori, occorre ricordare che all’epoca della 
sottoscrizione dei trattati istitutivi, infatti, la maggior parte Paesi membri 
presentava un’organizzazione interna di impronta centralistica, secondo il 
modello francese. Le uniche eccezioni erano rappresentate dalla Germania, la 
quale era dotata di una struttura federale, e in parte dall’Italia, dove la struttura 
regionale prevista dalla Costituzione repubblicana aveva trovato un’attuazione 
solo parziale. Le uniche Regioni concretamente esistenti erano pertanto le 
cinque Regioni ad autonomia speciale contemplate dall’articolo 116 della 
Costituzione
12
. 
Proprio i Länder tedeschi e le Regioni italiane ad autonomia speciale 
sono state le maggiori vittime dell’avvio processo di integrazione europea. Molte 
delle loro competenze – così come quelle degli Stati di appartenenza – sono 
state trasferite al livello comunitario. Tuttavia, a differenza di quanto avvenuto 
per gli organi centrali di governo, la comunitarizzazione delle loro competenze 
non è stata compensata da meccanismi idonei a garantire una loro 
partecipazione, sia pure indiretta, ai processi decisionali europei. A questo si 
aggiunga che Länder tedeschi e Regioni italiane hanno dovuto registrare un 
arretramento a livello degli ordinamenti nazionali, in termini di potere di 
interagire con gli organi dello Stato centrale nelle materie devolute alla 
                                                 
10
 Corte di giustizia, Région Wallonne c. Commissione, ordinanza del 21 marzo 1997, c. 95/97, in 
Raccolta, 1997, p. I-1787 ss. Analogamente si veda anche Corte di giustizia, Regione Toscana c. 
Commissione, ordinanza del 1° ottobre 1997, c. 180/97, in Raccolta, 1997, p. I-5245 ss. 
11
 Si vedano, ad esempio, Corte di giustizia, Foster c. British Gas, sentenza del 12 luglio 1990, c. 188/89, 
in Raccolta, 1990, p. I-3313 ss.; Corte di giustizia, Fratelli Costanzo c. Comune di Milano, sentenza del 
22 giugno 1989, c. 103/88, in Raccolta, 1989, p. 1839 ss. Sull’argomento si veda WEATHERILL, op. 
cit., 2005, pp. 4-5. 
12
 D’ATENA, op. cit., 2005, p. 9. 
Alessio Bottan – La partecipazione delle Regioni alla formazione degli atti comunitari 
- 13 -  
competenza delle istituzioni comunitarie. Basti pensare all’esautorazione dei 
poteri di partecipazione al procedimento legislativo federale sofferta dal 
Bundesrat
13
 tedesco, e alla privazione dell’iniziativa legislativa statale 
riconosciuta dalla Costituzione alle Regioni italiane. Al fenomeno di 
“espropriazione” delle competenze si è accompagnata una perdita delle 
garanzie giurisdizionali a tutela delle prerogative degli enti in questione. Se, 
infatti, contro un eventuale atto invasivo dello Stato Länder e Regioni italiane 
dispongono del ricorso alla Corte costituzionale nazionale, non altrettanto può 
dirsi rispetto ad un eventuale atto comunitario che pregiudichi illegittimamente 
le loro competenze. Tali entità, a differenza degli Stati di appartenenza, non 
hanno la possibilità di accedere alla giurisdizione comunitaria
14
. 
 
Gli anni Ottanta: i partenariati, l’Atto unico europeo e il Consiglio 
consultivo degli enti locali e regionali 
 
È a partire dalla metà degli anni Ottanta, con l’avvio della presidenza 
della Commissione europea di Jacques Delors, che si assiste ad una svolta 
rispetto all’attenzione che le istituzioni comunitarie rivolgono alle articolazioni 
territoriali interne agli Stati membri. Il Regolamento (CEE) n. 2088/85 del 
Consiglio del 23 luglio 1985 prevedeva la realizzazione di “un’azione 
comunitaria specifica a beneficio delle regioni meridionali della Comunità”, 
posta in essere attraverso “la partecipazione della Comunità alla realizzazione 
di Programmi integrati mediterranei, in seguito denominati PIM” (articolo 1). 
Attraverso lo strumento del partenariato, è stata introdotta una forma di 
coinvolgimento delle autorità regionali nella fase di elaborazione ed esecuzione 
delle azioni comunitarie in materia di politica regionale. In particolare l’articolo 5 
par. 2 del Regolamento stabiliva che i PIM fossero elaborati “all’opportuno 
livello geografico dalle autorità regionali o dalle altre autorità designate da 
ciascuno Stato membro interessato”. In seguito ad una fase di esame e 
approvazione da parte della Commissione europea, l’articolo 9 prevedeva 
l’applicazione dei PIM “mediante contratti di programma tra le parti interessate 
                                                 
13
 Il Bundesrat è il Consiglio federale, organo costituzionale della Repubblica federale tedesca, attraverso 
il quale i Länder vengono rappresentati a livello federale e partecipano alla funzione legislativa. 
14
 D’ATENA, op. cit., 2005, p. 8. 
Alessio Bottan – La partecipazione delle Regioni alla formazione degli atti comunitari 
- 14 -  
(Commissione, Stati membri, autorità regionali o qualsiasi altra autorità 
designata dallo Stato membro), che definiscono i loro impegni rispettivi”. Il 
riferimento alle “autorità regionali” comporta il superamento della concezione 
puramente geografica o socio-economica della nozione di “regioni” rinvenibile 
nel Trattato istitutivo, in favore del riconoscimento della loro natura di entità 
politico-istituzionali. Proprio in ciò è possibile rintracciare la portata innovativa 
del regolamento in questione, che per la prima volta riconosce alle 
amministrazioni sub-statali non più e non solo lo status di oggetto delle azioni 
comunitarie, ma quello di attori direttamente coinvolti.  
È peraltro opportuno precisare che la forma di coinvolgimento realizzata 
attraverso lo strumento del partenariato soffriva di una mancanza di adeguate 
garanzie per la partecipazione dei partners regionali, la cui individuazione era 
competenza delle autorità centrali dello Stato. Inoltre, l’intervento delle regioni 
era previsto solo in una fase finale del procedimento con scarse possibilità di 
incidere sulla ripartizione delle risorse
15
. 
L’Atto unico europeo, firmato nel febbraio del 1986 ed entrato in vigore il 
1° luglio 1987 intendeva porre le basi per un rilancio del processo di costruzione 
europea al fine di portare a termine la realizzazione del mercato interno. Per 
controbilanciare gli effetti della realizzazione del mercato interno sugli Stati 
membri meno sviluppati e per ridurre il divario fra le diverse regioni, l’Atto 
introduce una politica comunitaria di coesione economica e sociale, disciplinata 
in un nuovo Titolo V del Trattato CEE (attuale Titolo XVII del Trattato CE). 
L’articolo 130 A CEE (attuale articolo 158 CE), in particolare, disponeva che 
“per promuovere uno sviluppo armonioso dell'insieme della Comunità, questa 
sviluppa e prosegue la propria azione intesa a realizzare il rafforzamento della 
sua coesione economica e sociale. In particolare la Comunità mira a ridurre il 
divario tra le diverse regioni ed il ritardo delle regioni meno favorite”. In base al 
disposto dell’articolo 130 B CEE (attuale articolo 159 CE), la Comunità 
appoggiava la realizzazione dell’obiettivo di coesione economica e sociale 
attraverso le azioni finanziate dai Fondi a finalità strutturale (Fondo europeo 
                                                 
15
 In occasione della riforma dei fondi strutturali del 1994 il partenariato viene allargato agli attori 
economici e sociali. Come sottolineato da LEVRAT, La complexité de la prise en compte du fait régional 
au sein de l’Union européenne, in BITSCH (a cura di), Le fait régional et la construction européenne, 
Bruxelles, 2003, pp. 195, le regioni perdono così la qualifica di interlocutori privilegiati delle autorità 
comunitarie in materia di politica strutturale. 
Alessio Bottan – La partecipazione delle Regioni alla formazione degli atti comunitari 
- 15 -  
agricolo di orientamento e garanzia Fondo sociale europeo, Fondo europeo di 
sviluppo regionale), la Banca europea degli investimenti e gli altri strumenti 
finanziari esistenti. Il Fondo europeo di sviluppo regionale, istituito nel 1975, 
viene così iscritto nel diritto primario all’articolo 130 C CEE (attuale articolo 160 
CE), con la finalità di “contribuire alla correzione dei principali squilibri regionali 
esistenti nella Comunità, partecipando allo sviluppo e all'adeguamento 
strutturale delle regioni in ritardo di sviluppo nonché alla riconversione delle 
regioni industriali in declino”. 
Con l’Atto unico europeo, la Comunità acquista quindi nuove 
competenze in materia di politiche di sviluppo e politica regionale, per 
l’attuazione delle quali si rivolge sempre più regolarmente alle strutture 
amministrative degli Stati, comprese le articolazioni territoriali. Ragioni di ordine 
economico-sociale fanno delle regioni delle aree dalle dimensioni ottimali per gli 
interventi comunitari, facilitando quel dialogo fra le istituzioni europee e le 
regioni destinato ad intensificarsi negli anni a venire
16
. Nel 1988 la riforma dei 
fondi strutturali costituisce un’ulteriore occasione di valorizzazione del ruolo 
delle collettività territoriali come attori politici direttamente coinvolti nell’azione 
comunitaria. Nel disciplinare il metodo degli interventi strutturali, l’articolo 4 del 
Regolamento (CEE) 2052/88 introduce il concetto di “partnership”, intesa come 
“stretta concertazione tra la Commissione, lo Stato membro interessato e le 
competenti autorità designate da quest'ultimo a livello nazionale, regionale, 
locale o altro, i quali agiscono in qualità di partner che perseguono un obiettivo 
comune”. Lo strumento della partnership opera, come precisa lo stesso articolo 
4, “in fatto di preparazione, finanziamento, misure di accompagnamento e 
valutazione delle azioni”. Tuttavia il rapporto fra le parti della concertazione 
continua a configurarsi in termini tutt’altro che paritari, essendo le regioni 
escluse dalla definizione della normativa relativa agli interventi comunitari che 
esse sono chiamate a realizzare. La partecipazione delle autorità regionali e 
locali, inoltre continua ad essere subordinata alla designazione da parte degli 
organi centrali. Peraltro l’utilizzo nel regolamento della divisione del territorio 
                                                 
16
 DOMENICHELLI, op. cit., 2007, p. 5. 
Alessio Bottan – La partecipazione delle Regioni alla formazione degli atti comunitari 
- 16 -  
europeo in unità (NUTS
17
), che non corrispondono necessariamente alle 
articolazioni interne degli Stati membri, mostra il permanere delle difficoltà delle 
autorità comunitarie a considerare enti regionali e locali come vere e proprie 
collettività politiche. 
L’affermarsi dello strumento del partenariato, dapprima nell’ambito dei 
Programmi integrati mediterranei, poi nella riforma dei fondi strutturali, finisce 
comunque per promuovere ed evidenziare la presenza delle collettività 
territoriali nell’ordinamento comunitario
18
. Il dibattito sull’esistenza di un terzo 
livello di potere in Europa era già ad uno stadio avanzato. Il Parlamento 
europeo è stato uno dei maggiori sostenitori del miglioramento della 
rappresentanza regionale e del coinvolgimento dei livelli intermedi di governo 
del processo decisionale comunitario. Nel luglio 1981, il Parlamento europeo 
aveva creato una commissione istituzionale, di cui Altiero Spinelli era relatore-
coordinatore, per elaborare un progetto di modifica dei trattati esistenti. La 
relazione relativa al progetto di Trattato dell’Unione europea, che prevedeva 
una decisa svolta in senso federale della costruzione europea, è stata 
approvata approvato a larga maggioranza il 14 febbraio 1984. Parte integrante 
del progetto era proprio una partecipazione istituzionale delle autorità locali e 
regionali ai processi decisionali europei
19
. 
Nel solco tracciato dal progetto di Spinelli, occorre menzionare anche la 
Dichiarazione comune, adottata dal Parlamento, dal Consiglio e dalla 
Commissione il 19 giugno 1984, nella quale si legge quanto segue: “Le 
istituzioni comunitarie concordano sull’opportunità, sia pure nel rispetto delle 
competenze interne degli Stati membri e del diritto comunitario, di una stretta 
collaborazione tra la Commissione delle Comunità europee e le autorità 
regionali o eventualmente locali. Ciò permetterà di tenere in maggiore 
considerazione gli interessi regionali nell’elaborazione dei programmi di 
sviluppo regionale”.  
                                                 
17
 La nomenclatura delle unità territoriali per la statistica (NUTS) è stata elaborata da Eurostat più di 25 
anni fa al fine di fornire una ripartizione unica e uniforme delle unità territoriali per la compilazione di 
statistiche regionali per l'Unione europea. 
18
 Per una valutazione dello strumento del partenariato, si veda anche LEVRAT, L’Europe et ses 
collectivités territoriales. Réflexions sur l’organisation et l’exercice du pouvoir territorial dans un monde 
globalisé, Bruxelles, 2005, pp. 206 ss. 
19
 FERAL, Le Comité des Régions de l’Union européenne, Parigi, 1998, p. 12.