1
Introduzione
L’obiettivo principale di questa tesi è studiare l’attuale disciplina italiana
sulla partecipazione dei lavoratori all’azienda.
Il lavoro si è sviluppato seguendo un percorso storico-logico. Storico,
perchØ nel primo capitolo - L’introduzione nell’ordinamento italiano della
partecipazione dei lavoratori all’impresa -, si è cercato di ripercorrere le prime
esperienze di partecipazione dei lavoratori all’impresa in Italia, nonchØ i primi
tentativi del legislatore italiano di legiferare sul tema in esame, tentativi, che,
sebbene non si sono tradotti in vere e proprie leggi, sono comunque sfociati
nell’introduzione del principio partecipativo nell’art. 46 della Costituzione del
1948.
Dall’introduzione di quest’ultimo principio (Istituto) nella carta
costituzionale, il legislatore italiano – a differenza di altri paesi europei – non ha
mai attuato una legge organica e sistematica sulla partecipazione dei lavoratori
all’azienda. Le norme che oggi disciplinano la partecipazione in Italia sono,
infatti, poche, sporadiche, ma soprattutto di derivazione comunitaria. Queste
ultime norme, in particolare quelle che si occupano della partecipazione dei
lavoratori alle decisioni aziendali, sono state analizzate nel secondo capitolo -
La partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese nell’ordinamento
italiano – mentre quelle che disciplinano (nella maggioranza sono norme del
codice civile che fanno capo al diritto societario) la partecipazione finanziaria
dei lavoratori sono state analizzate nel terzo capitolo intitolato “la
partecipazione finanziaria dei lavoratori nella legislazione italiana”.
Nell’ultimo capitolo - Verso una via italiana alla partecipazione dei
lavoratori nell’impresa? –, dopo aver fatto un cenno sulla specificità degli
ordinamenti giuridici di altri paesi europei circa la disciplina della partecipazione
dei lavoratori all’impresa (in particolare la Francia e la Germania), si è cercato di
analizzare i vari progetti di legge presentati – nell’attuale legislatura - in
parlamento con lo scopo di dotare l’Italia di una legge organica sulla
partecipazione dei lavoratori all’impresa.
3
CAPITOLO I
L’introduzione nell’ordinamento italiano
della partecipazione dei lavoratori all’impresa
I.1. Il fondamento della partecipazione e le prime forme attuative
Il significato storico della partecipazione dei lavoratori alla gestione
dell’azienda è chiaramente descritto in questa definizione: “La partecipazione dei
lavoratori dipendenti nell’impresa riguarda le proposte e le esperienze volte a
migliorare o a modificare l’asimmetria del rapporto e delle condizioni di lavoro e,
non di rado, anche le loro condizioni socioeconomiche nella società”
1
.
Il tema della partecipazione nasce in un contesto storico, quello
occidentale, caratterizzato da un forte sviluppo economico che, purtroppo, portò al
peggioramento sia dei rapporti sociali sia delle condizioni di lavoro all’interno
delle imprese.
La necessità partecipativa cominciò, infatti, a germogliare all’indomani del
XIV secolo, epoca in cui prendono forma i fattori che portarono i lavoratori a
costituire i primi movimenti sindacali. Invero, in questo momento, i lavoratori si
trovarono di fronte a maestri e padroni che sempre piø si preoccupavano di come
accaparrarsi, da soli, le nuove opportunità derivanti dallo sviluppo del
commercio
2
. C’era appunto una crescente divergenza d’interessi tra i due nuovi e
principali protagonisti dell’azienda: il lavoratore e il padrone. Questo stato di cose
portò alla creazione delle prime associazioni professionali, formate da soli
1
Baglioni G., Lavoro e decisioni nell’impresa, Il Mulino, Bologna, 2001, p. 15
2
Fanfani A., Storia del lavoro in Italia dagli inizi del secolo XVIII al 1815, GiuffrØ,
Milano, 1959, p. 179-180.
4
lavoranti ovvero operai.
Con la soppressione delle ultime corporazioni medievali, e soprattutto con
il divieto dell’associazionismo operaio, la rivoluzione francese eliminò le ultime
forme esistenti di solidarietà tra le categorie. Ciò ha ulteriormente compromesso
le condizioni di lavoro dei singoli membri dei ceti meno abbienti, i quali dovettero
sopravvivere in un ambiente dove la produzione diventava piø meccanica (con
l’impulso della rivoluzione industriale) e il capitalismo sempre piø selvaggio nel
ricercare il profitto
3
.
La sostituzione dell’imprenditore al capo della bottega, l’introduzione
delle macchine nel processo produttivo, l’ampliarsi delle dimensioni delle aziende
e del numero dei dipendenti di uno stesso imprenditore, tutti fenomeni derivanti
dalla rivoluzione industriale, provocarono, dal canto loro, un ampliamento della
distanza tra il capo d’azienda ed il lavoratore. Quest’ultimo si sentiva sempre piø
ridotto al rango di mero elemento di fabbrica, estraneo alla gestione aziendale
4
.
¨ infatti per rispondere al prolungarsi, nel corso dei secoli, di tali
situazioni d’ingiustizia che si riunirono le forze del lavoro per, almeno all’inizio,
aiutarsi a vicenda, formando verso la meta dell’ottocento le prime leghe e società
di mutuo soccorso, espressioni, queste, del futuro movimento cooperativo e del
sindacalismo moderno.
Mentre il movimento sindacale cercava, come tra l’altro ancora per certi
versi oggi, di dare una risposta ai problemi dei lavoratori tramite l’esaltazione
della lotta e dello scontro sociale (ottenendo anche successi parziali), alcuni
pensatori dell’epoca (tra metà e fino ottocento), molti dei quali ispirati dalla
3
Menegazzi G., I nuovi fondamenti dell’ordine vitale dei popoli, GiuffrØ, Milano, 1965,
vol. I, p. 179
4
Fanfani A., Storia delle dottrine economiche, Milano - Messina, 1955, p. 440
5
corrente sociale e cattolica
5
, cominciarono invece a esaltare idee e suggerire
esperienze con cui si poteva superare la lotta di classe.
L’idea centrale delle loro proposte era promuovere il principio
dell’armonia e della solidarietà tra le classi sociali, e non l’equilibrio meccanico
garantito dall’azione sindacale. Quest’armonia doveva avvenire con la
promozione di organizzazioni socio-economiche caratterizzate da una progressiva
solidarietà tra il capitale e il lavoro. ¨ solo in queste condizioni che si poteva,
secondo loro, dare una risposta sostanziale alla crescente asimmetria del rapporto
e delle condizioni di lavoro, asimmetria che il movimento sindacale riuscì a
limitare solo in parte, in quell’epoca.
Per loro si potevano risolvere fino in fondo i problemi economici e sociali
della classe operaia dando al fattore lavoro una maggior responsabilità e proprietà
sull'impresa, cioè una maggior partecipazione.
Tra i vari tentativi di ricongiungere il capitale al lavoro riveste notevole
importanza il movimento cooperativo, che in Italia era stato sostenuto da
Giuseppe Mazzini
6
. Nella cooperativa, sia essa di lavoro che di produzione, il
lavoratore diventava esso stesso capitalista e soggetto centrale d’impresa. Esso era
5
Tra questi Giuseppe Toniolo, Mons. Ketteler e il Papa Leone XIII che, nella sua
enciclica Rerum Novarum, affrontò la questione sociale dell’epoca.
6 “Il riordinamento del lavoro sotto la legge dell’associazione sostituito all’attuale del
salario sarà la base del mondo economico futuro, e implica che un capitale indispensabile
all’impianto di lavoro e alle anticipazioni necessarie debba raccogliersi nelle mani degli Operai
associati. Questo avverrà per vie diverse. Tra queste vie una che per opera dei buoni delle classi
medie potrebbe condurre all’intento è quella d’ammettere i produttori artigiani alla partecipazione
degli utili dell’impresa. Esperimenti di questo genere furono, sin dal 1830, tentati e riuscirono;
provarono una verità economica troppo negletta, che per aumentare la somma della produzione
non basta di aumentare la richiesta o di trovare nuove sorgenti al lavoro, ma è necessario
aumentare il valore produttivo di ogni individuo e che questa attività produttrice aumenti in
ragione diretta della parte che gli è concessa nei frutti della produzione: il lavoro libero produce
piø del lavoro servile e nelle condizioni attuali l’operaio che, senza interesse alcuno materiale o
morale nei risultati della produzione non dà, generalmente parlando, se non quel tanto di lavoro
necessario a rivendicargli il salario pattuito, ha dalla compartecipazione sprone a produrre
maggiormente e meglio”. Si veda Mazzini G., Interessi e principi, Bompiani, 1944, p. 274-275
6
dunque in grado di migliorare la propria condizione sociale nell’impresa e
nell’economia in generale; perciò, è possibile dire che le cooperative costituiscono
le prime esperienze partecipative.
La partecipazione ha poi assunto altri connotati. Infatti, alla fine dell’800 e
inizio del 900 sono emerse altre forme e modalità partecipative che -
discostandosi sia dall’isolamento cooperativistico che dallo scontro sociale di
stampo sindacale - avevano come scopo quello di introdurre la pace sociale
all’interno dell’azienda capitalistica, tramite meccanismi rappresentativi e
distributivi che, rispettivamente, davano ai lavoratori maggior voce alle decisioni
aziendali e maggior partecipazione ai benefici economici dell’impresa.
I.2. Le prime esperienze di introduzione dell’istituto partecipativo
in Italia
I.2.1. La relazione Carli del 1917
Approvata alla Camera di Commercio di Brescia nella seduta del 22
novembre 1917, la relazione Carli costituisce, con molta probabilità, una delle
prime manifestazioni di interesse legislativo sul tema della partecipazione in
Italia.
Nella relazione, il professor Filippo Carli scrive: “La borghesia scherzava
col fuoco quando elargiva a larghi strati della popolazione, e, cioè ai lavoratori,
delle libertà politiche senza dar loro, nel frattempo, un adeguato contenuto
economico”
7
. Il rapporto era realizzato in un periodo caratterizzato da duri scontri
sociali causati da problemi salariali. Esso era, infatti, una dura critica alla classe
7
Avataneo L., La partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese, Tesi di
laurea UNITELMA (2007-2008), p. 10, www.tesionline.it
7
borghese. Quest’ultima continuava ad approcciarsi in modo unilaterale alle
problematiche legate ai rapporti sociali e al trattamento economico dei lavoratori,
sebbene avesse concesso nel 1913 delle libertà politiche al proletariato (prime
elezioni a suffragio universale maschile).
Per il professor Carli la risoluzione dei conflitti sociali passava tramite il
riconoscimento, all’interno dell’azienda, delle libertà civili concesse alla classe
proletaria. Secondo lui la partecipazione degli operai alle imprese attraverso
l’azionariato sociale, e quindi la partecipazione agli utili, era l’unica soluzione per
liberare i rapporti sociali ed economici dell’impresa dal dominio dei capitalisti, e
per eliminare i conflitti sociali.
La relazione in esame metteva in luce come il problema dei rapporti tra
capitale e lavoro cominciasse ad essere concepito non soltanto come una
questione di distribuzione del reddito, ma anche di conflitto di poteri, che
imponeva la necessità di individuare formule idonee a conciliare gli opposti
interessi tra le classi sociali in contrapposizione.
In un ordine del giorno, approvato dal Consiglio della stessa Camera di
Commercio il 28 febbraio 1918, si mette bene in luce la posta in gioco di quel
periodo, dicendo che: “… il lavoro – fattore principalissimo della produzione e
del conseguente benessere economico – non occupa ancora un posto degno
accanto agli altri fattori del benessere sociale; convinta che la partecipazione degli
operai alle imprese può creare l’armonia tra queste due classi; fa voti che per
opera saggiamente innovatrice del legislatore, sia senza indugio applicata in Italia
la partecipazione degli operai alle imprese nella forma piø radicale completa”
8
.
Oltre ad offrire un certo orientamento (azionariato sociale/partecipazione
dei lavoratori agli utili) in merito alla strada da seguire per risolvere l’importante
8
Ibidem
8
problema dello scontro sociale, con i suoi derivati (scioperi), le sopraindicate
relazioni non suscitarono nessun reale intervento legislativo.
I.2.2. Il decreto del 19 settembre 1920 del governo Giolitti
Il decreto governativo del 19 settembre 1920, con cui il presidente del
Consiglio Giolitti istituì una commissione paritetica - costituita da rappresentanti
dei lavoratori e dei datori di lavoro - avendo come compito la formulazione di un
progetto di legge per il controllo operaio delle imprese, costituisce anch’esso una
delle prime prove di interesse delle istituzioni legislative del Regno d’Italia verso
il tema della partecipazione.
Secondo ricostruzioni storiche
9
, a convincere Giolitti a costituire tale
commissione erano state le vicende che avevano caratterizzato la situazione
economico-sociale dell’Italia nel periodo immediatamente antecedente all’avvento
del fascismo
10
, cioè gli avvenimenti del così detto “biennio rosso” (1919-1920).
Tra queste: le ondate di sciopero del movimento operario che, con
l’occupazione delle fabbriche (di Torino, Genova e Milano) da parte dei consigli
di fabbrica
11
, puntavano al controllo della produzione da parte degli operai e alla
lotta rivoluzionaria e politica; e la pubblicazione, l’8 settembre 1920 a Fiume,
9 Avataneo L., Op. cit., p. 10
10 http://ita.anarchopedia.org/consigli_ed_occupazioni_di_fabbrica_in_Italia_ (1919-20)
11
I consigli di fabbrica erano degli organismi di rappresentanza dei lavoratori all’interno
dell’azienda, formati da delegati dei diversi reparti aziendali. Tra i compiti dei consigli di fabbrica
vi era: il controllo della produzione, e la preparazione militare, politica, e tecnica delle masse. I
consigli di fabbrica erano organi indipendenti dalle organizzazioni sindacali, le quali erano
rappresentate, in azienda, dalle commissioni interne. Tre erano le correnti di pensiero al sostegno
del movimento dei consigli di fabbrica: la corrente riformista (che voleva che i consigli facessero
parte dei sindacati), la corrente massimalista sociale, tra cui il movimento de “L'Ordine Nuovo” di
Gramsci (per cui i consigli erano organi rivoluzionari tendenti alla conquista del potere politico) e
la corrente anarchica (secondo cui i consigli costituivano organi rivoluzionari non per la conquista
ma per l’abbattimento del potere politico). Si veda il sito:
http://www.antoniogramsci.com/torinese.htm;
http://ita.anarchopedia.org/consigli_ed_occupazioni_di_fabbrica_in_Italia_ (1919-20)
9
della Carta del Carnaro (stilata da Gabriele D’Annunzio), che prevedeva, tra le
altre cose, la socializzazione dei mezzi di produzione, quindi l’azionariato dei
lavoratori.
La commissione paritetica non riuscì a elaborare un testo unificato,
soprattutto a causa delle divergenze di vedute tra i rappresentanti dei lavoratori e
quello dei datori di lavoro. Vennero, quindi, redatti due diversi progetti di legge,
uno dei quali - quello dei rappresentanti dei lavoratori - prevedeva l’azionariato
sociale, la partecipazione agli utili e la possibilità, per i lavoratori, di giungere, col
tempo, alla proprietà dell’impresa.
Presentato l’8 febbraio 1921, insieme con altri tre progetti di legge alla
Camera, il disegno di legge unitario del governo prevedeva invece - all’insegna
della legge tedesca del 4 febbraio 1920 (che attuava l’art. 165 della Costituzione
della Repubblica di Weimar) - l’istituzione all’interno delle aziende di
commissioni di controllo composte di nove membri eletti per due terzi dagli
operai e per un terzo dagli impiegati e dai dirigenti. A tali commissioni si
proponeva il riconoscimento dei diritti di informazione e di consultazione,
senza però nessun potere deliberativo
12
.
Nella relazione del disegno di legge si leggeva, infatti, che era “giunto il
momento di accordare alle classi lavoratrici, nei limiti del giusto e del
ragionevole, il diritto di conoscere lo svolgimento delle industrie e di
controllarle”.
Nessuno chiese mai che tali disegni di legge fossero messi all’ordine del
giorno della Camera. Con ogni probabilità, era prevalsa nelle forze politiche la
volontà di non modificare, tramite il rafforzamento del ruolo dei rappresentanti
dei lavoratori, le prerogative di governo dell’azienda detenute dai proprietari
12 Ivi
10 dell’impresa. La lotta dei lavoratori si concluse sostanzialmente con un accordo,
tra il padronato e le organizzazioni sindacali, che prevedeva aumenti salariali.
I.2.3. Il manifesto di Verona e la mancata rivoluzione sociale fascista
L’interesse dello Stato italiano per il tema della partecipazione non
scomparve nemmeno durante il ventennio fascista, iniziato ufficialmente nel 1922
(dopo il biennio rosso) con l’istituzione, da parte del Re Vittorio Emmanuelle III,
del governo di Benito Mussolini.
Durante quest’epoca, caratterizzata dall’ideologia nazionalsocialista e da
un assetto socio-economico basato sulle corporazioni
13
, l’interesse legislativo sul
tema della partecipazione si manifestò verso la fine del regime, in occasione
dell’emanazione del così detto manifesto di Verona
14
, redatto nel 1943, e
dell’approvazione, nel febbraio 1944, da parte del Consiglio dei Ministri, del d.l.
n. 375 sulla socializzazione delle imprese.
Infatti, nel dodicesimo punto del manifesto di Verona, i congressisti
stabilivano in modo programmatico, che: “In ogni azienda (industriale, privata,
parastatale, statale) le rappresentanze dei tecnici e degli operai cooperano
intimamente – attraverso una conoscenza diretta della gestione – all’equa
fissazione dei salari, nonchØ all’equa ripartizione degli utili tra il fondo di
riserva, il frutto del capitale azionario e la partecipazione agli utili per la parte dei
lavoratori. In alcune imprese, ciò potrà avvenire con una estensione delle
13 Le corporazioni erano organismi che rappresentavano i diversi interessi della società,
ma che erano, al tempo stesso, inquadrati all’interno dello Stato e soggetti ad un apposito
Ministero. Con il sistema delle corporazioni, il governo fascista metteva un freno ai conflitti
sociali, la cui regolazione era diventata materia dello stato. Con l’approvazione della legge n.164
del 5 febbraio 1934, l’esecutivo fascista istituiva ufficialmente 22 corporazioni.
14 Il Manifesto di Verona definiva i punti (18) principali della politica del neopartito
Fascista Repubblicano nato dalle ceneri del Partito Nazionale Fascista. Era emanato il 14
novembre 1943 durante il Congresso svoltosi a Verona; il documento è da molti considerato come
l'atto costitutivo della Repubblica Sociale Italiana.