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l’istruzione che spesso è presto abbandonata per poter entrare subito nel mondo del lavoro), la
compresenza di due punti di vista opposti, quali quello meramente economico e quello della
miriade di comitati che stanno nascendo per difendere strenuamente le porzioni di territorio
ancora integre minacciate da nuove espansioni edilizie.
Ancora, si è in presenza di amministrazioni locali che poco fanno per la qualità ambientale e di
vita del territorio da loro gestito: si pensa soltanto a localizzare le nuove zone produttive previste
il più vicino possibile ai futuri caselli autostradali, senza considerare il valore del territorio che
verrà irrimediabilmente devastato: sono spesso zone agricole che porteranno, con la loro
edificazione, alla realizzazione di ulteriori infrastrutture per permetterne l’accessibilità. Si assiste
quindi ad una corsa permanente all’adattamento dei progetti, manca cioè una visione globale e
contestualizzata del problema: al solito, arriva prima lo sviluppo economico che lo strumento
urbanistico, per una mentalità sbagliata dei tecnici che continuano a far finta di non vedere il
“laissez faire” (ma ne sono consapevoli) che fino ad oggi ci ha portato il modello della città
diffusa, così carico di problematiche. A questo proposito, mi sembra esemplare una frase di
Manuela dal Lago, presidente della Provincia di Vicenza: “d’ora in avanti lo sviluppo non va
più inteso come rapina o spreco del territorio… I sindaci si trovano in mezzo a interessi
speculativi locali a cui non sanno dire di no, mettendo a rischio lo sviluppo e il benessere futuro
dei nostri figli” (ad un convegno a Noventa Vicentina sullo sviluppo, settembre 2002).
E cosa dire poi delle varianti elaborate in tutta fretta per evitare il blocco delle zone produttive
previsto dalla legge regionale 27 dicembre 2002, n°35? Il blocco, di sette mesi, voleva essere
uno strumento per frenare il fenomeno di “capannone selvaggio”, ma alcune amministrazioni (si
veda per esempio Barbarano Vicentino, e la sua variante al PRG n°11 del 28 dicembre 2002…
un solo giorno dopo la creazione della legge!!) sono riuscite lo stesso a “scavalcare” lo
strumento legislativo, approvando una variante appena prima dell’entrata in vigore della legge
regionale…. mi sembra quindi di poter affermare che la presenza dei sopra citati interessi
speculativi esistono, e sono purtroppo ancora una volta l’interesse primario del governo locale.
Ai livelli superiori di governo non si può certo dire che il punto di vista si scosti di molto: le
norme e le direttive esistenti sembrano orientate ad un nuovo sviluppo economico rispettoso
soprattutto delle valenze ambientali e paesaggistiche, ma se si guarda alla realtà sembra che le
cose vadano come sono sempre andate, e si ha cioè una diffusione altissima di attività produttive
sul territorio, che non porta certo a miglioramenti della situazione attuale, già abbastanza
disastrata. Del coordinamento tra enti preposti alla gestione in questo campo, così presente nelle
prescrizioni e nelle direttive, non se ne sente proprio parlare. Eppure, un’opera del genere, che
interessa con i suoi effetti un’area che certo non rispetta dei confini amministrativi comunali,
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dovrebbe attivare una rete di relazioni per contenere il problema, per meglio organizzare le
inevitabili espansioni. Mi sembra utile inserire qui un’altra dichiarazione molto attinente: “i
sindaci del nostro territorio hanno grosse responsabilità, dal momento che ragionano solo in
termini comunali, ignorando il vocabolo sistema. Ognuno di loro cerca di fare il proprio
interesse. Per quanto riguarda ad esempio le aree, noi imprenditori non le vogliamo da ogni
parte come si vuol far credere: sono i sindaci che le propongono per ragioni evidenti. Noi,
semmai, abbiamo il problema della manodopera che non si trova. E’ pertanto inutile creare
nuove fabbriche se la disoccupazione è al 2%. Se si progettano nuovi insediamenti produttivi, il
ricorso alla manodopera straniera è d’obbligo. Allora bisognerà prima di tutto chiedere ai
cittadini se sono d’accordo e poi costruire alloggi per extracomunitari, asili, scuole e, se
necessario, moschee. Di conseguenza, se manca la manodopera, è del tutto inutile progettare
nuove aree produttive, ma caso mai prediligere una produzione di qualità e non di quantità”
(Renzo Belcaro, Presidente Regionale Associazione Piccola Industria e Vicepresidente
Nazionale CONFAPI, novembre 2002).
Questa nuova infrastruttura appare come un affare in mano a pochi: la presenza di caselli di
uscita a pochi chilometri uno dall’altro è un altro punto a favore delle nuove zone produttive che
sorgeranno, poiché avranno una buona accessibilità e dei buoni collegamenti una con l’altra. Chi
ci rimette senza dubbio è la popolazione in generale, poiché si vedrà portare via una grande
quantità di terreno agricolo di una certo pregio, e la devastazione di un paesaggio che presenta
peculiarità non riscontrabili in altre zone: si ricorda la presenza dei Colli Euganei e dei Monti
Berici, e di un corridoio tra questi due rilievi caratterizzato da una produzione agricola degna di
tutela e valorizzazione (che non sarà possibile dal momento in cui il tracciato passa proprio in
questo corridoio!!). Non ci si può certo affidare alla speranza che non avvengano le espansioni in
tutto il territorio: basti pensare al contesto in cui siamo, alla già altissima diffusione edilizia
presente su tutto il territorio, al ricco Nordest che non si ferma, per anticipare con amarezza (e
senza troppi sforzi) che l’espansione si avrà (è già in atto), eccome!
Tutto il processo può essere riassunto in tre passaggi (CERTU
2
, 1999):
MESSA IN ATTO DELL’OPERA → CAMBIAMENTO DEI COMPORTAMENTI →
MODIFICAZIONE DELLE STRUTTURE SPAZIALI.
2
CERTU: Centre d’études sur les réseaux, les transports, l’urbanisme et les constructions publiques, di Lione.
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Naturalmente, qui il processo è ridotto all’osso, ognuna delle tre voci è ricca di ramificazioni, ma
si può dire che questi sono i passaggi fondamentali.
Ancora, alla luce di ciò che ho detto finora, sempre utilizzando una definizione del CERTU che
ben si applica al mio caso di studio, posso affermare che un territorio ben organizzato “detta” le
sue condizioni all’opera, non ne è turbato, mentre un territorio disorganizzato, mal gestito
subisce il progetto, addirittura rischia di perdere la sua identità o comunque di cambiarla
(CERTU, idem).
Infine, lo schema seguente illustra il processo di scelta della localizzazione dell’impresa, e i vari
fattori che sono importanti nella decisione: l’impresa naturalmente è al centro del sistema. I
fattori importanti sono la disponibilità di materie prime, il grado di innovazione nelle tecnologie
di sviluppo e industriali, i regolamenti presenti sul territorio (per esempio, le norme del PRG o di
altri strumenti urbanistici), la presenza di istituti bancari e il loro grado di integrazione con il
sistema produttivo, la disponibilità di terreni per la localizzazione e di fabbricati magari già
presenti in attesa di essere occupati, i servizi per le imprese e il loro grado di innovazione e le
strutture pubbliche intese come loro grado di efficienza. Altro elemento fondamentale che merita
buona parte dell’attenzione è la popolazione, intesa soprattutto come disponibilità di
manodopera. Per attrarre e far stabilire sul territorio interessato la quota necessaria di persone, si
deve puntare su altri fattori, che entrano quindi (anche se più indirettamente) nel sistema intero:
lo stato della viabilità, e quindi una buona accessibilità (che interessa anche da vicino l’azienda
stessa), la disponibilità di alloggi, le attrezzature e i servizi indispensabili per un buon livello di
vita.
Ecco quindi gli elementi fondamentali perché un’impresa scelga di localizzarsi in un dato
territorio: sono tutti fattori che nel nostro caso si possono trovare in buona quantità e a buon
livello, come già sopra si ha avuto modo di dire e come sarà richiamato più avanti.
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Figura 1: La scelta della localizzazione delle imprese (fonte: CERTU, 1999).
POPOLAZIONE
MANODOPERA FORMAZIONE
IMPRESE
MERCATO
MATERIE
PRIME
TECNOLOGIE
DI
SVILUPPO E
INDUSTRIALI
REGOLAMENTI
ISTITUTI
BANCARI
TERRENO
SERVIZI PER
LE IMPRESE
FABBRICATI
ESISTENTI
STRUTTURE
PUBBLICHE
ALLOGGI SERVIZI ATTREZZATUREVIABILITA’
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Con il mio studio allora ho voluto prima di tutto approfondire l’aspetto del rapporto tra contesto
locale e infrastruttura, poiché ritengo fondamentale far capire come una stessa opera possa aver
effetti diversi a seconda dell’interazione che avviene con gli attori locali e l’ambiente. Ho cercato
di esplorare anche gli aspetti più importanti del contesto sociale, e cioè facendo un’analisi,
seppur generale, dei valori presenti in questo territorio, delle dinamiche sociali e della cultura. A
questo proposito, ho cercato dati sulle componente straniera, perché, come sarà esposto anche
più avanti, è ormai una parte fondamentale per la sopravvivenza dell’apparato produttivo del
Nordest.
Poi, mi sembra utile aver inserito un breve excursus storico sulla nascita e lo sviluppo
dell’industria del Nordest, poiché è un fenomeno che ha radici profonde e radicate nella
tradizione stessa della popolazione: non è un fenomeno venuto alla luce negli ultimi anni, anche
se l’interesse per esso è piuttosto recente. Ho raccolto quindi i dati sulle espansioni previste nel
prossimo futuro, per analizzare le dinamiche scatenate dalla previsione di quest’opera così
invasiva, nelle tre province interessate, specificandoli per comune: in questo modo, raccogliendo
anche i dati demografici di base, ho voluto fornire un quadro generale del contesto di cui si parla.
Infine, una buona parte della tesi è dedicata alle valenze naturalistiche e paesaggistiche presenti
sul territorio, peraltro numerose e pregevoli, per evidenziare come quest’opera andrà ad
interagire in modo negativo con l’ambiente: con il territorio agricolo, che verrà inevitabilmente
“divorato” dall’opera stessa e dagli effetti indotti come l’espansione edilizia (non solo delle
attività produttive, ma anche delle residenze); con il paesaggio (di cui il territorio agricolo è parte
integrante e fondamentale) che risentirà degli impatti visivi risultanti (non solo per quanto
riguarda l’autostrada, ma anche per i nuovi capannoni, le nuove ferite che saranno inferte dalle
attività estrattive, ecc.).
Un ruolo importante hanno i comitati di difesa attivi nei territori analizzati, sempre attenti alle
azioni intraprese dalle amministrazioni locali, e la sezione del Medio-Basso Vicentino di Italia
Nostra, che dispone di numerosi professionisti (ingegneri, architetti, ecc.) che mettono a
disposizione gratuitamente i propri saperi per lottare per un territorio migliore e tutelare le
valenze presenti, oltre che di cittadini ai quali sta a cuore la propria terra: il concetto che più
interessa divulgare è che alcune funzioni del suolo hanno carattere collettivo, e ciò per quanto
riguarda i paesaggi naturali, i panorami, i terreni agricoli.
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Sono beni dei quali la società necessita assolutamente, pur non essendo forniti dal mercato:
purtroppo però sono in balia dei soli interessi economici, non vengono conteggiati come costi
della realizzazione di opere infrastrutturali o edilizie, anche se i danni sono avvertibili in modo
sensibile.
Si segnala comunque una certa difficoltà nel reperire i dati riguardanti le attività produttive
previste, poiché difficilmente le amministrazioni hanno dato ascolto alle richieste: importante è
stata quindi la consultazione degli archivi regionali degli strumenti urbanistici.
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PARTE PRIMA: GLI STUDI E LE ANALISI
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CAPITOLO 1
LA PIANIFICAZIONE SOVRAORDINATA
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1.1 INTRODUZIONE
Di seguito analizzerò i piani di livello sovraordinato che possono interessare gli ambiti di studio,
partendo naturalmente dal Piano Territoriale Regionale di Coordinamento della Regione Veneto,
per poi passare ai piani provinciali, e infine ai piani d’area. Devo premettere subito che il piano
provinciale di Padova attualmente è in fase di totale revisione, perciò non aveva senso analizzare
uno strumento urbanistico superato nella metodologia e nelle analisi, nonché nelle previsioni. Per
questo, ho voluto inserire il Progetto Strategico per la Provincia di Padova, poiché dà delle
indicazioni seppure molto generali sulle strategia future della provincia, anche per quanto
riguarda l’ambiente e il settore produttivo. Per quanto riguarda il Piano Provinciale di Rovigo
invece, esiste soltanto il Documento Preliminare, inserito in internet all’inizio di quest’anno:
nonostante non si sia in possesso di uno strumento finito, è comunque prezioso per le chiare
indicazioni sul percorso che la Provincia rodigina intende seguire.
Infine, mentre ampio spazio sarà dato al Piano d’Area dei Monti Berici (anno 2000), quello del
Parco dei Colli Euganei avrà qui meno importanza: con questo non si vuole certo dire che è uno
strumento di poco conto, anzi. Infatti esso, con le sue prescrizioni e direttive è riuscito a fermare
molti scempi compiuti secondo logiche economiche (per esempio, si vedano le attività
estrattive), e quindi non c’è la necessità di criticarlo o di affermare che le normative non siano
state messe in atto, come invece spesso succede per gli altri piani.
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1.2 IL PIANO TERRITORIALE REGIONALE DI COORDINAMENTO
DEL VENETO:
Il PTRC della Regione Veneto, nella relazione tecnica, compie una panoramica della situazione
generale del Veneto: ciò che ci interessa qui sono i campi economico e ambientale.
Gli elementi caratteristici del territorio veneto sono la ricchezza di risorse ambientali e la stretta
interdipendenza tra il sistema insediativo e l’organizzazione e la struttura delle attività
produttive: sono presenti molteplici settori produttivi e generalmente si tratta di media e piccola
impresa.
Molti sono i problemi e i conflitti generati dalla presenza di questi due elementi: da una parte
l’economia spinge per un continua crescita (e quindi ci si trova di fronte ad uno smisurato
consumo del suolo), dall’altra si avverte sempre più la necessità di tutelare un territorio così
ricco e così particolare. Nella relazione si legge: “(..) una più penetrante consapevolezza del
rischio di degrado del territorio sottoposto ad usura e compromissione delle risorse con minore
o maggiore reversibilità” (Relazione Tecnica PTRC, 2.3, “I lavori preparatori del P.T.R.C.).
Di seguito si analizzano la parti del P.T.R.C. che interessano l’argomento di studio di questa tesi:
la parte riguardante le attività estrattive verranno trattate nel capitolo dedicato ad esse, per
evitare una dispersione di informazioni che risulterebbero poi di difficile lettura.
1.2.1 L’ASPETTO DEMOGRAFICO ED ECONOMICO:
Il piano fa una breve panoramica sulle tendenze demografiche ed economiche negli anni, a
partire dagli anni ’50 fino ad arrivare a quelli appena precedenti la redazione e approvazione del
piano (1991).
Negli anni ’50 si assiste ad una accelerata notevole del settore industriale: ciò è evidenziato dai
dati del censimento dell’anno 1951, in cui emerge, per la prima volta, che l’incidenza
percentuale degli attivi nell’industria manifatturiera supera quella nazionale; da allora, il valore
si mantiene al di sopra delle medie nazionali: siamo di fronte ad un vero e proprio boom.
Crescono l’occupazione nel settore industriale e contemporaneamente il numero delle imprese.
A partire dagli anni ’60 del secolo scorso si assiste così al nuovo fenomeno (caratteristico
appunto della regione Veneto) che porterà al disegno attuale territoriale: la diffusione delle
attività produttive su tutto il territorio regionale. Si registra perciò una crescita occupazionale
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all’interno della piccolissima industria, quasi a conduzione familiare. Accanto alle attività
tradizionali (e cioè le industrie del mobile, della lana, delle calzature,ecc.) nasce e si sviluppa un
nuovo settore: quello meccanico, che localizza i suoi stabilimenti nelle immediate vicinanze dei
poli maggiori.
Questa diffusione capillare sul territorio delle imprese ha provocato degli effetti importanti: una
sempre maggiore dotazione infrastrutturale (le industrie necessitano di luoghi facili da
raggiungere e ben collegati con il resto del territorio e con i servizi), un consumo del suolo
sfrenato, un paesaggio agrario sempre meno valorizzato e trasformato anch’esso dalle nuove
tecnologie;di conseguenza, nemmeno la campagna sfugge ad una impostazione economica e
aziendale della produzione.
Dagli anni ‘70 la tendenza registra una drastica caduta dei tassi di natalità: le conseguenze sono
una stasi iniziale della popolazione e in seguito l’inevitabile rallentamento della crescita
demografica. Si assiste quindi ad un progressivo invecchiamento della popolazione. Questa
inversione del trend demografico porta perciò a dei cambiamenti notevoli nel modo di pensare
alle politiche future, in quanto cambiano le necessità di servizi delle persone e influenza anche il
mercato del lavoro.
Da qui, la necessità evidenziata dalla Regione Veneto, che “il necessario e auspicabile processo
di ammodernamento, avanzato e continuo degli insediamenti, della rete relazionale e di
trasporto, delle strutture produttive, dei diversi settori economici e dei servizi, possono e
debbono procedere da criteri di compatibilità ambientale e il nuovo scenario demografico,
unitamente alla domanda di qualità del vivere che la società esprime, costituiscono il quadro di
riferimento per le soluzioni da ricercare e progettare” (P.T.R.C. Veneto, 3.2.1 “Le tendenze
demografiche e socio-economiche”).
Non più quindi un’espansione che risponde a criteri quantitativi, ma un’attenzione per
l’ambiente e la propensione all’ammodernamento delle strutture, più che ad un aumento: la
popolazione veneta chiede la qualità del vivere.
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1.2.2 IL SISTEMA METROPOLITANO DEL CENTRO-VENETO:
Come già ricordato in precedenza, le aree metropolitane venete presentano delle caratteristiche
ben precise: una grande estensione territoriale, una distribuzione diffusa sul territorio delle
strutture produttive, dei servizi e delle aree residenziali.
Per quanto riguarda la zona precisa dello studio, si evidenzia come tra l’area vicentina e
padovana ormai non ci sia più una netta distinzione: si è in presenza di forti relazioni tra i due
sistemi urbani.
Mentre l’area padovana si distingue per la sua vocazione terziaria di servizio a tutta la regione e
allo stesso tempo possiede una solida struttura produttiva, l’area vicentina è “.. una delle aree
produttive regionali più dinamiche e diversificate nel settore industriale, impegnata nella
competizione internazionale tanto da contribuire per circa un terzo all’export regionale totale”
(par. 4.5.2. “Il sistema metropolitano del centro-Veneto”).
Proprio nell’area vicentina si individua la necessità di azioni volte a ripristinare la qualità
ambientale ormai deteriorata dai molteplici e continui processi di utilizzazione sconsiderati delle
risorse, avvenuti sia nel passato (quando ancora non si aveva la consapevolezza della
disponibilità limitata di tali risorse), che nel presente, nonostante l’allarme sui pericoli e sulle
conseguenze degli sfruttamenti così sfrenati sia stato reso noto da tempo.
Infine, per quanto riguarda l’area del Polesine, si è in presenza di sistemi urbani minori, che per
la propria organizzazione produttiva hanno saputo combinare specifici fattori territoriali,
ambientali e culturali: in questo caso si ha una forte complementarietà con la aree centrali. Il
Piano, per la crescita del sistema produttivo polesano, individua i fattori principali nella
realizzazione e l’ammodernamento delle opere infrastrutturali.
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1.2.3 UN PIANO A VALENZA PAESISTICA
La L.R. 9/1986 (integrazione della Legge urbanistica regionale n°61/1985) attribuisce valenza
paesistica al P.T.R.C.
Per questo, il piano, tra le altre cose, individua “il sistema delle risorse naturalistiche
ambientali; formula direttive, prescrizioni e vincoli per la tutela del paesaggio e dell’ambiente
immediatamente prevalenti o che dovranno essere specificati in sede di pianificazione
successiva (Piani di Area, P.T.P., Piani di Settore) o subordinata (P.R.G.)”.
Inoltre, uno dei compiti è anche la tutela e l’individuazione delle bonifiche storiche di particolare
importanza e dei paesaggi agrari di notevole valore paesaggistico: questo punto è di
fondamentale importanza per il territorio analizzato da questo lavoro. La crescita disordinata e
senza criteri delle aree urbanizzate, e in particolare delle aree produttive, riduce sempre di più il
territorio agricolo, spesso di notevole valore: un valore inteso come coltivazione di prodotti di un
certo pregio, ma anche come paesaggio agricolo così caratteristico nella Regione Veneto.
Nel paragrafo 4.3.4 della Relazione Tecnica si “... assume il sistema storico-ambientale, inteso
nella sua più vasta accezione, quale principale riferimento per le soluzioni da adottare in ordine
alla struttura territoriale regionale”. Di conseguenza, il sistema storico-ambientale diventa il
termine con cui tutti gli altri sistemi (insediativo, produttivo, infrastrutturale) vengono
paragonati, confrontati e integrati.
In particolare, il P.T.R.C. prevede interventi specifici di tutela “collegati ad indirizzi di utilizzo
economico-produttivo delle risorse” (par. 4.3.4. “Rilevanza del sistema ambientale nel
P.T.R.C.), per regolare la fruizione e la valorizzazione delle risorse ambientali. Inoltre, sono
individuati settori di attività e luoghi nei quali si prevedono politiche per fermare una volta per
tutte nuove situazioni di compromissione ambientale.