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La ristrutturazione dell’attività didattica in funzione di un
maggiore controllo dei processi di insegnamento-apprendimento
implica una trasformazione dei criteri di valutazione. Questi non
possono più limitarsi ad una verifica più o meno soggettiva dei
livelli prestabiliti di successo o insuccesso scolastico (valutazione
finale), ma accompagnano ed orientano tutta l’attività didattica,
avendo di mira la massimizzazione dell’apprendimento da parte
di tutti gli allievi. È coerente con questa metodologia che il
carattere soggettivo della valutazione sia ridotto al minimo,
sostituendo le interrogazioni orali e i compiti scritti con prove
oggettive di profitto ( test di completamento e di sostituzione di
frasi a scelta semplice, a scelta multipla e simili) costruite dopo
ogni passo in rapporto agli obiettivi specifici di ogni singola
sequenza di insegnamento-apprendimento.
Per quanto i docenti delle scuole di ogni ordine e grado possano
divergere nella interpretazione e nella valutazione di parecchi
punti della problematica educativa, spesso ciò che sembra
accomunarli è, purtroppo, la loro formazione razionale.
La conoscenza è vista e posseduta, nel migliore dei casi, nella sua
sola dimensione critica. Non è conoscenza organizzata in
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funzione dell’agire, ma del sapere; non del risolvere i problemi,
bensì del giudicare. Spesso è ancora peggio: ripetizione
stereotipata di trattazioni, di giudizi, di confronti, di valutazioni.
Nella scuola secondaria, come nelle università, si sviluppa una
formazione culturale di tipo critico-osservatorio, quando non
meccanico-riproduttivo. Questo accade perché molti docenti non
hanno conoscenze di tipo psicologico e pedagogico. Tuttavia non
è sufficiente conoscere, occorre anche saper mettere in pratica
tali conoscenze nella risoluzione di precisi problemi formativi e
nelle scelte che vanno compiute nel contesto dell’attività
didattica. In maniera non dissimile da quella del medico o
dell’avvocato, la preparazione professionale dell’insegnante non
può puntare su una acquisizione del sapere pura e semplice, ma
deve mirare alla esplicazione di specifiche competenze
operative. Lo studio non è fine a se stesso, ma orientato alla
capacità di intervenire efficacemente sulla realtà. Apprendere
dunque è imparare a pensare, cioè a risolvere problemi: lo
schema del processo di apprendimento si identifica con quello
dell’indagine. La scuola allora per insegnare a pensare, deve
sviluppare negli allievi la capacità di concentrarsi sulle
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condizioni oggettive che esigono, promuovono e mettono alla
prova il pensiero. Primo compito dell’insegnante è promuovere
l’attività dell’allievo con opportune stimolazioni, in grado di
produrre le impressioni sensibili esterne e interne, che sono il
fondamento della formazione di idee adeguate, dell’azione dei
meccanismi associativi e della dinamica delle emozioni.
Particolare importanza ha il linguaggio dell’insegnante, poiché la
parola può stimolare a produrre l’attività mentale; essa però non
deve essere usata come esclusiva modalità di intervento
didattico: è importante soprattutto per richiamare e ricordare cose
già insegnate e per l’esercizio logico.
In tutta la trattazione che segue si esamineranno alcuni delle
principali questioni che riguardano l’insegnamento e
l’apprendimento della matematica delle quali si è ampiamente
discusso durante il Corso di perfezionamento in Didattica della
Matematica per la Scuola Secondaria, tenutosi presso il
Dipartimento di Matematica dell’Università di Bari durante
l’anno accademico 1999/2000.
Questa tesi è il risultato di una attenta riflessione su quanto è
stato detto in aula sulla nuova professionalità del docente di
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matematica e sulle esperienze fatte dagli insegnanti intervenuti
che da anni sono impegnati nell’ambito della ricerca in didattica
della matematica.
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Capitolo 1
I comportamenti dell’insegnante e
l’apprendimento della matematica
In questo capitolo, si esamineranno i vari comportamenti che un
insegnante può assumere in base alle sue convinzioni sul rapporto tra
l’insegnamento e le difficoltà di apprendimento in matematica.
Successivamente si analizzeranno i vari tipi di apprendimento che ci
possono essere.
In un libro molto rivoluzionario che uscì già nel 1975, intitolato
‘’Insegnamento come attività sovversiva’’ (Postman e Weigartner ) si
descrivono, in modo molto suggestivo, gli atteggiamenti e le
convinzioni dei vari tipi di insegnanti attraverso il racconto degli
atteggiamenti e delle convinzioni di altrettanti tipi di medici.
Nel libro si legge che un medico viene incoraggiato dal suo primario
perché la morte dei suoi pazienti è stata , a suo parere, causata da essi
stessi dal momento che erano dei cattivi pazienti. Infatti secondo il
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primario non c’è niente che possa fare un bravo medico quando si
trova davanti dei cattivi pazienti. Del resto, la cura che era stata loro
prescritta (una buona dose di penicillina) funziona sempre!
E’ questa la posizione di alcuni insegnanti nei confronti del problema
delle difficoltà di apprendimento in matematica : basta spiegare e, se
necessario, rispiegare anche molte volte gli stessi argomenti perché vi
sia l’apprendimento dei contenuti: se questo non c’è, è solo colpa dei
cattivi allievi. Tale convinzione sfocia nel fatalismo : non si adopera
nessuna strategia per fare apprendere la matematica ai cattivi allievi.
Vi sono poi i cosiddetti bravi insegnanti, cioè coloro i quali si
preoccupano troppo, non rassegnandosi di fronte al fallimento del loro
insegnamento. Essi tendono a distinguere due categorie di allievi:
quelli che ritengono siano i bravi alunni e gli alunni con difficoltà in
matematica. I bravi insegnanti , cercando di recuperare gli alunni che
appartengono alla fascia bassa per eliminare questo divario, in realtà
lo aprono ancora di più perché le loro ripetute spiegazioni, nonché la
messa in guardia dagli errori sono molto utili solo per i bravi allievi.
Si genera così la cosiddetta <<antinomia dell’insegnante>>, cioè una
contraddizione interna che ogni bravo professore prima o poi
sperimenta. Egli arriva a pensare così: <<Riesco a insegnare qualcosa
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solo a quelli che imparerebbero ugualmente; invece non riesco a
incidere su coloro che veramente avrebbero bisogno di me!>>. È
questa una convinzione davvero frustrante per un insegnante perché
gli fa sembrare inutile il suo lavoro. Se persiste può portare
l’insegnante a rinunciare all’intervento.
Fin’ ora ho già più volte utilizzato il termine convinzione, con cui in
generale si intende la conoscenza soggettiva che un individuo si
costruisce nel tentativo di interpretare l’esperienza di tutti i giorni.
Tra le cause principali che generano l’antinomia dell’insegnante vi è il
fallimento dell’intervento di recupero tradizionale. Quest’ultimo
focalizza l’attenzione sulle conoscenze che l’alunno con difficoltà di
apprendimento non possiede. Ciò è confermato dalla eccessiva
importanza che viene attribuita all’errore perché esso segnala che
certe conoscenze non ci sono e addirittura può far capire quali
conoscenze mancano. Di conseguenza si interviene solo sulle
conoscenze (che non ci sono) correggendo gli errori, dicendo perché è
stato fatto l’errore, mostrando il procedimento corretto e la soluzione
giusta, rispiegando pazientemente più e più volte e mettendo in
guardia dagli errori tipici che si possono commettere. Tutti questi sono
comportamenti che il bravo insegnante (colui che si preoccupa delle
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difficoltà di apprendimento dei suoi allievi) mette in atto
quotidianamente.
Questi comportamenti funzionano perfettamente ma solo con gli
alunni bravi, mentre falliscono con gli alunni con difficoltà di
apprendimento in matematica. Da ciò consegue la frustrazione
dell’insegnante e la rinuncia a ogni tipo di intervento.
Il fallimento dell’intervento di recupero tradizionale è dovuto in gran
parte al fatto che esso è un approccio locale: cioè mira solo a
eliminare gli errori. Se si vuole gestire meglio il problema delle
difficoltà di apprendimento, esso va sostituito con un approccio più
globale. In quest’ultimo non saranno più importanti solo gli errori ma
si focalizzerà maggiormente l’attenzione sui cosiddetti comportamenti
fallimentari, cioè sui vari comportamenti che portano l’allievo a
sbagliare. Sono messe in risalto non più solo le conoscenze ma anche
le abilità metacognitive, le convinzioni e le emozioni.
Le abilità metacognitive sono state riscoperte nell’ambito della
risoluzione dei problemi e constano essenzialmente nella
consapevolezza delle proprie risorse e nella regolazione dei propri
comportamenti in base a tali risorse. Si parla ad esempio di
metamemoria e della consapevolezza delle proprie risorse e dei propri
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limiti di memoria e delle capacità di regolare il proprio
comportamento in base a tali risorse di memoria. Chi sa di avere poca
memoria può decidere di attivare un processo di controllo ma il fatto
che si decida di attivarlo non basta: occorre anche saperlo attivare.
Infatti a parità di risorse un soggetto che ha abilità di tipo
metacognitivo è in grado di dare una prestazione di gran lunga
superiore rispetto a uno che ha meno abilità di questo tipo perché chi è
consapevole dei propri limiti e sa applicare dei processi di controllo,
può usare delle strategie che compensano alle risorse che non ha e può
in taluni casi dare prestazioni migliori di chi ha più risorse. Occorre
quindi non solo conoscere bene l’argomento di studio ma anche saper
gestire le proprie risorse, conoscendo i propri punti deboli e punti
forti. Sembra però che la scuola non faccia nulla per eliminare le
carenze metacognitive degli alunni. Raramente si interviene
esplicitamente su queste. Anche i bravi insegnanti spesso si limitano
ad intervenire sugli errori per evitare che questi vengano commessi ma
non insegnano agli alunni a convivere con i propri handicap e a
minimizzarne gli effetti.
È fondamentale, quanto più si va avanti negli studi, insegnare agli
allievi a conoscere le proprie risorse e a regolarsi di conseguenza.
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Se riprendiamo l’esempio del medico fatto inizialmente e analizziamo
alcune competenze che pensiamo egli debba possedere per poter
esercitare validamente la sua professione, in primo luogo, dobbiamo
segnalare la capacità di fare una diagnosi , la più esatta possibile, della
situazione sanitaria del suo paziente. Questo implica saper condurre
un colloquio finalizzato alla raccolta di informazioni utili alla
diagnosi, saper esaminare l’organismo del paziente, saper determinare
quali analisi sono utili o necessarie, ecc. La raccolta delle
informazioni, sia soggettive che oggettive, è finalizzata alla
elaborazione di un quadro clinico sufficientemente preciso e alla
comprensione della struttura biopsichica del soggetto. Il medico può
così delinearsi quale risultato sanitario può ragionevolmente ricercare,
data l’età, lo stato patologico, la struttura biopsichica del malato, il
tipo di vita che egli conduce, il lavoro che svolge, ecc. Ora egli è in
grado di elencare una serie di obiettivi più specifici e peculiari, il cui
conseguimento concorre alla risoluzione del problema sanitario
presente. Egli insomma prefigura uno stato che, rispetto alla
situazione di partenza, gli appare come ragionevolmente raggiungibile
e augurabile. A questo punto egli elabora un piano di intervento che
può comprendere parallelamente o successivamente varie componenti:
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terapie farmacologiche, operazioni chirurgiche, azioni di sostegno
psicologico e ambientale, diete particolari, ecc. Tutto questo viene
organizzato in via di ipotesi, tanto più ragionevole, quanto più la
diagnosi fatta è affidabile e le sue conoscenze nel campo curativo
sono valide e aggiornate; egli però non si fermerà a queste ipotesi ma
dovrà essere sempre attento alle reazioni del paziente, dovrà
continuamente rilevare la situazione nel suo evolvere, usare ancora
analisi di laboratorio e controlli sul malato, e in base a queste nuove
informazioni confermare la diagnosi e la terapia, o mutare l’una e
l’altra o solo la seconda.
La competenza complessiva del medico evidentemente verrà da noi
accertata in base al risultato finale di tutte queste operazioni sanitarie.
Tutto questo si può tradurre nel contesto dell’azione educativa
scolastica e si può così schematizzare:
SITUAZIONE INIZIALE
- Diagnosi della situazione iniziale.
- Progettazione del piano di intervento.
INTERVENTO
- Realizzazione del piano di intervento.
- Rilevazione dell’andamento della situazione.
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Eventuali modifiche del progetto.
SITUAZIONE FINALE
- Controllo dei risultati ottenuti in base al piano effettivamente
realizzato.
In primo luogo, è quindi necessaria una diagnosi della situazione
iniziale . Infatti, ciascun allievo all’inizio di qualsiasi esperienza di
apprendimento, possiede, a un certo grado di evoluzione e di
produttività, una struttura conoscitiva o matrice cognitiva. Si tratta
dell’insieme delle rappresentazioni interne, dei concetti, dei principi,
delle regole, dei procedimenti e delle capacità intellettuali oltre che
dei sempre connessi atteggiamenti e stati emotivi, consci o inconsci,
che formano come una rete più o meno sviluppata sia nel senso
dell’astrazione che della generalizzazione. Tutto questo insieme di
elementi conoscitivi, di capacità ed atteggiamenti forma una o più
strutture dotate di una certa stabilità. Tale sistema è soggetto ad
evoluzioni: non tutte le relazioni significative sono sempre presenti;
spesso si hanno separazioni e suddivisioni in settori. All’inizio infatti
si può trattare di semplici associazioni, di aggregati, di esperienze
interiorizzate slegate tra di loro. Anche in seguito questo insieme
appare spesso diviso in parti tra loro separate. L’apprendimento deve
quindi consistere nella incorporazione del nuovo contenuto nella
struttura cognitiva dell’allievo sotto l’influenza dell’insegnante.
Si possono distinguere due fondamentali dimensioni relative ai
processi di apprendimento scolastico. La prima riguarda il modo
secondo il quale la nuova conoscenza, o la nuova abilità, viene
incorporata nell’insieme dei fatti, dei concetti e delle generalizzazioni
già interiorizzati ed organizzati dall’alunno.
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Ai due estremi di questa dimensione ci sono un apprendimento
meccanico e uno significativo. La seconda concerne l’itinerario
attraverso il quale le nuove conoscenze e abilità vengono acquisite. Ai
due estremi di questa dimensione ci sono l’apprendimento per
scoperta e quello per ricezione.
Un apprendimento meccanico è caratterizzato dal fatto che il nuovo
elemento di conoscenza viene acquisito in maniera isolata, senza
connessioni o legami con quanto già si conosce. A causa di questa
mancanza di relazioni tra il nuovo apporto e la struttura conoscitiva
già sviluppata, la sola maniera praticabile per poterlo trattenere nella
memoria consiste nella ripetizione meccanica e stereotipata. Non si ha
alcuna trasformazione né dell’apporto conoscitivo esterno, né della
struttura conoscitiva interna. Pertanto rimanendo la nuova conoscenza
isolata nell’insieme dei concetti posseduti, essa risulta difficilmente
reperibile e utilizzabile.
L’apprendimento significativo, invece, è caratterizzato dal fatto che il
nuovo materiale da apprendere può collegarsi, e viene di fatto
collegato, con gli altri concetti e le altre capacità già posseduti e
quindi incorporato non in maniera isolata, ma viene ben connesso con
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la struttura conoscitiva precedente. Sia questa che il nuovo apporto
vengono più o meno trasformati. La rete di relazioni che così si
costituisce rende facile sia il ricordo che l’utilizzazione della nuova
conoscenza.
L’apprendimento per scoperta pone invece l’accento sull’itinerario di
apprendimento e più precisamente sul suo carattere di processo
indipendente e sul fatto che la conquista della verità avviene
autonomamente. Non si tratta in generale di scoprire qualcosa per
primi, cioè in senso assoluto bensì in senso relativo, richiede non solo
l’enunciazione di un’ipotesi attendibile ma l’effettiva verifica del suo
valore di verità.
L’apprendimento per ricezione viene identificato come mancanza di
autonomia nella conquista di un procedimento risolutivo e della verità
di una proposizione. Tutto questo deriva dalla trasmissione culturale,
o comunicazione diretta.
Queste due dimensioni dell’apprendimento non si escludono
a vicenda. Si passa infatti per gradi da un apprendimento più
significativo a uno meno significativo e quindi più meccanico.