2
Nel 1984, il padrino dei 2 mondi era, in breve, un “pentito di mafia illegale”
4
. Né sui rapporti
tra magistrato inquirente e collaboratore, né tanto meno sul piano dei benefici, si aveva una
adeguata regolamentazione normativa.
Al contrario con le L. 6 Feb. 1980 e 29 Mag. 1982, la formalizzazione nei confronti
dei collaboratori, fuoriusciti dai canoni eversivi terroristici, era di già ampiamente operativa. I
mafiosi pentiti, invece, potevano assumere molteplici aspetti: talora correo, alle volte
testimone, altre ancora testimone “de relato”.
Nell’oscurità della disciplina non si poneva in aiuto il D.L. 6 Set. 1982, n. 629,
convertito nella L. 12 Ott. 1982, n. 726, dal titolo: “Misure urgenti per il coordinamento della
lotta contro la delinquenza mafiosa”. In tale decreto che riconosceva all’Alto Commissario
per il coordinamento della lotta contro la delinquenza mafiosa i dovuti poteri, non vi era alcun
accenno nei confronti dei collaboratori, dissociati per fatti di mafia.
Bisognerà attendere l’art. 2 della L. 15 Nov. 1988, N. 486, contenente disposizioni
contro la delinquenza di tipo mafioso, per integrare il D.L. 6 Set. 1982 dell’art. 1 ter: all’Alto
Commissario venivano concessi i primi poteri inerenti le misure di sicurezza, e riservatezza,
per assicurare “l’incolumità delle persone esposte a grave pericolo per effetto della loro
collaborazione nella lotta contro la mafia o di dichiarazioni da esse rese nel corso di indagini
di polizia o di procedimenti penali, riguardanti fatti riferibili a organizzazioni e attività
criminose di stampo mafioso. Tali misure potranno anche essere adottate per garantire
l’incolumità dei prossimi congiunti”.
Il primo sistema di protezione, sfortunatamente, si rivelò un buco nell’acqua se si
pensa alla persistente mancanza di una tipizzazione univoca del collaboratore (assente a
tutt’oggi) e ai complicati quesiti, scaturiti sulle procedure attuative delle misure di sicurezza.
4
R. Minna, “La mafia in Cassazione”, Scandicci (FI)1995. Ed. La Nuova Italia. Pag. 107.
3
L’Alto Commissario poteva godere si, di una imponente discrezionalità, ma ampiamente
teorica; la norma, infatti, non abbatteva le limitazioni sostanziali di coordinamento
dell’autorità indicata
5
.
L’art. 1 ter fu soppresso successivamente dall’art.2 del D.L. 29 Ott. 1991, N.345, recante
disposizioni urgenti per il coordinamento delle attività investigative nella lotta contro la
criminalità organizzata, convertito, con modificazioni, nella L. 30 Dic. 1991, n. 410. L’art. 2
quater del D.L. 29 Ott. 1991, introdotto dall’art. 1, comma 3, della L. 7 Ago. 1992, n. 356, di
conversione del D.L. 8 Giu. 1992, n. 306, in tema di criminalità mafiosa, ha soppresso la
figura dell’Alto Commissario per il coordinamento della lotta contro la delinquenza mafiosa,
vigente, quest’ultimo, fino al 31 Dic. 1992. Dunque, le competenze dell’art. 1 ter del D.L. 6
Set. 1982, n. 629, sono devolute al Capo della polizia - Direttore generale della pubblica
sicurezza. Tale figura ha sostituito in toto l’Alto Commissario.
E da più correnti, successivamente all’omicidio del Giudice istruttore di Agrigento
Rosario Livatino, si elevarono critiche molteplici all’indirizzo dell’insensibilità legislativa.
Durante il 1990 si richiedeva a gran voce una regolamentazione stabile sia sulla protezione
del pentito che sugli incentivi atti ad accrescere il fenomeno
6
. Il flop provocato dal D.L.6 Set.
1982 è più che evidente. In tale contesto, comunque, si riorganizza la complessa materia
5
A. Bernasconi, “I sistemi di protezione per i collaboratori della giustizia nella prospettiva premiale
dell’ordinamento italiano e nell’esperienza statunitense”, in Criminalità organizzata e politiche
penitenziarie, a cura di A. Presutti. Milano 1995. Ed. Cortina. Pag. 216-217.
6
G. Caselli- A. Ingroia: “Normativa premiale e strumenti di protezione per i collaboratori della
giustizia: tra inerzia legislativa e soluzioni d’emergenza”, in Processo penale e criminalità organizzata,
a cura di V. Grevi. Bari 1993. Ed. Laterza. Pag. 207-209.
4
legata alla lotta contro il traffico degli stupefacenti: viene approvato, infatti, il testo
unico 309 del ’90, in cui vengono messe in luce alcune disposizioni di favore per coloro che
si adoperano nella frizione dell’attività illecita, cooperando nelle indagini degli investigatori.
I tempi appaiono maturi per aprire una breccia ai pentiti di mafia.
5
1.2.: Il sistema speciale di protezione
Si giunge così al D.L. 15 Gen. 1991, N. 8, convertito nella L. 15 Mar. 1991. Tale
decreto rappresenta il primo grande passo per la protezione dei collaboratori di giustizia,
emigrati dalla precedente appartenenza mafiosa. Il legislatore riesce, anche se per alcuni
aspetti a larghe linee, nell’intento di omologare, in un unica disciplina, la sicurezza dei
collaboratori
7
. Il titolo è decisamente opportuno: “Nuove misure in materia di sequestri di
persona a scopo di estorsione e per la protezione di coloro che collaborano con la giustizia”.
Va innanzitutto enucleato il principio per cui, accanto al neo sistema speciale di protezione,
resta in vigore il sistema ordinario. All’art. 9 del D.L. 15 Gen. 1991 N. 8 si evidenzia la
possibilità di adottare delle misure di protezione, idonee ad assicurare l’incolumità,
provvedendo, inoltre, a misure di assistenza, per i soggetti esposti a grave ed attuale pericolo
per effetto della loro collaborazione o delle dichiarazioni rese durante le indagini preliminari.
Il requisito principale, per la promozione di tale sistema ordinario, consiste nel “grave ed
attuale pericolo”. La collaborazione potrà essere offerta, relativamente ai delitti previsti
dall’art.380 del c.p.p.
In poche parole la tutela sarà effettuata per i crimini per cui è previsto dal nostro
codice l’arresto obbligatorio in flagranza. Anche per alcune ipotesi di furto, dunque, è
possibile accedere al programma di protezione
8
.
Il 2 comma dell’art. 9 allarga il campo di protezione non soltanto ai prossimi
7
D. Manzione, Commenti agli art. 9-18 D.L. 15 gen. 1991, convertito in L. n.82/91(sequestri estorsivi
e “ pentiti”), in Legisl. Penale, 1992. Pag. 677 ss.
8
V. Musacchio, “Rilievi sulla recente legislazione in materia di Pentitismo”, in Riv. Pen. 1993. Pag.
989-991.
6
congiunti, come espresso dall’art. 1 ter del D.L. 6 Set. 1982, ma viene esteso anche ai
conviventi ed a coloro che sono esposti a grave ed attuale pericolo a causa delle relazioni che
intrattengono col collaboratore. E’ plausibile che risorse e mezzi, messi a disposizione, non
possano assistere a sufficienza questi soggetti
9
.
L’art. 10 del D.L. 15 Gen. 1991 apre le porte al sistema speciale di protezione. Se le
misure di tutela già adottate, dall’Alto Commissario per il coordinamento della lotta contro la
delinquenza di tipo mafioso, sostituito nel ’93 dal Capo della polizia, dall’autorità di pubblica
sicurezza, o se si tratta di persona detenuta, dal Ministero di grazia e giustizia-dipartimento
dell’amministrazione penitenziaria, non assicurano l’incolumità del soggetto, può essere
definito uno “speciale” programma di protezione, aperto, inoltre, a misure assistenziali.
Al comma 2 si evince l’istituzione di una Commissione Centrale per la definizione e la
susseguente applicazione dello speciale programma di protezione, composta da un
Sottosegretario di Stato che la presiede, due magistrati con particolare esperienza nella
trattazione di processi per fatti di criminalità organizzata, e 5 tra funzionari ed ufficiali esperti
nel settore. La differenza principale tra sistema ordinario e speciale risiede nella deliberazione
della Commissione Centrale per la futura attuazione dello “speciale”. Con l’ordinario, invece,
il Capo della polizia o alcune autorità provinciali di sicurezza, quali questore o prefetto,
possono avviare automaticamente le misure di protezione, provvedendo autonomamente alla
gestione del pentito
10
. I contenuti,
9
D. Manzione, op. cit. pag. 680.
10
S. D’Amico, “Il collaboratore della Giustizia”, Torino 1995. Ed. Laurus Robuffo. Pag. 52 e ss. Per
una corretta analisi dell’iter procedurale ordinario, e speciale, del sistema di protezione.
7
coperti in gran parte da segreto istruttorio
11
, la durata, e l’ammissione allo speciale
programma di protezione, valutati in rapporto al rischio cui soggiace il collaboratore per le
dichiarazioni rese o che egli può rendere, (il D.M. 24 Nov. 1994 chiarirà minuziosamente
quest’ultimo aspetto), sono deliberati, periodicamente, dalla Commissione Centrale.
A questo punto è bene chiarire quali siano i soggetti legittimati a proporre la richiesta
del programma speciale. Secondo l’art. 11, potrà essere qualsiasi Procuratore della
Repubblica a spedire l’istanza alla Commissione. Dato il gran numero dei casi e nel silenzio
della legge sarà, quasi sempre, il magistrato titolare dell’indagine a cui il pentito abbia
prestato, o presterà, la propria collaborazione. Accanto al PM, potranno procedere alle
richieste il Capo della polizia, a seguito dell’ abolizione dell’Alto Commissario, o il Prefetto.
In questi ultimi casi occorrerà, prima della deliberazione della Commissione Centrale, il
parere del Procuratore della Repubblica. Infine, vi potrà essere il caso in cui, per eventi
particolarmente urgenti, il Capo della polizia adotti speciali misure di protezione senza
attendere la deliberazione della Commissione.
L’art. 12 del D.L. 15 Gen. 1991, sul quale 3 anni dopo, il D.M. 1994 fornirà maggiori
precisazioni, specifica alcuni obblighi amministrativi a carico del collaboratore. Tra questi
bisognerà presentare completa documentazione riguardante il proprio stato civile, di famiglia
e patrimoniale, procedimenti penali, civili, ed amministrativi pendenti, titoli di studio, licenze
e propri rappresentanti per atti di ordinaria amministrazione. Tutti dati utili affinché la
11
La relazione del presidente della Commissione Parlamentare di inchiesta sul fenomeno della mafia e
sulle altre associazioni criminali similari, Tiziana Parenti, durante la seduta di mercoledì 29 marzo
1995 fa riferimento ad un “decreto riservato emanato in data 26 novembre 1994, il cui contenuto,
secondo quanto riferito dal dott. Vigna alla Commissione nella seduta del gennaio 1995, concerne tra
l’altro, il tema del programma, dell’assegno di mantenimento, dell’assistenza legale e del trasferimento
all’estero”.
8
Commissione possa valutare positivamente la posizione del futuro collaboratore.
Il 2° comma dell’art. 12 è ancora un punto caldo su cui dottrina e politica si dividono
ampiamente. La legge sottolinea che il programma dovrà essere sottoscritto dagli interessati i
quali dovranno sottostare ad impegni quali l’ottemperanza delle norme di sicurezza prescritte
e la collaborazione attiva all’esecuzione del programma. In sede di conversione di legge,
invece, è stata soppressa la lettera b) del comma 2 che segnalava, tra gli impegni, l’obbligo
per il collaboratore “di rendere le dichiarazioni e compiere le attività e gli atti in relazione ai
quali il programma è stato adottato”.
La soppressione, operata dalla Commissione Giustizia della Camera, sembra tendere le
braccia al futuro collaboratore che desideri temporeggiare nelle propalazioni piuttosto che
incappare in una conseguente revoca del programma
12
. Un punto di vista, a prim’acchitto
pleonastico, ma decisivo come molti ritengono per la realizzazione di un vero e proprio
contratto con il collaboratore. In poche parole, se non rilascia dichiarazioni perché continuare
a proteggerlo, ed aspettare, probabilmente, necessarie esternazioni?. Più che doveroso
l’ingresso della lettera d) del comma 2 ad opera dell’art. 13, comma 3, del D.L. 8 Giu. 1992,
N. 306, in tema di criminalità mafiosa, convertito, con modificazioni, nella L. 7 Ago. 1992, N.
356, che vieta al collaboratore di rilasciare a soggetti diversi dalla autorità giudiziaria o dalle
forze di polizia dichiarazioni che riguardino fatti di interesse per i procedimenti in relazione ai
quali hanno prestato o prestano la loro collaborazione. Le modificazioni avvenute con il già
citato art. 13 del D.L. 8 Giu. 1992 impongono, quale ultimo impegno per il collaboratore,
12
Su questo punto, D. Manzione, op. cit., pag. 687 afferma che “pur in assenza di azione coattiva se
costui non collabora, conformemente alla dichiarazione, vi è almeno la ragione di verificare, sulla base
dell’impegno assunto, se sia possibile mantenere le misure protettive”.
9
l’elezione del proprio domicilio nel luogo in cui ha sede la Commissione. Vale a dire Roma.
Percorrendo la normativa di protezione, l’art. 13 specifica alcune modalità applicative
di tutela del collaboratore. Al 1° comma, lo speciale programma potrà far si che il
collaboratore sia trasferito in comuni diversi da quello di residenza o in luoghi protetti, e se
detenuto anche in deroga alle vigenti disposizioni in materia penitenziaria, attraverso
l’emanazione di un Decreto del Ministro degli Interni, di concerto con il Ministro di Grazia e
Giustizia, e sentite le istituzioni interessate tra cui la Commissione Centrale.
Sempre per fini di tutela e riservatezza, comma 2, può essere autorizzato l’utilizzo di
un documento di copertura, oppure, comma 3, per particolari motivi di sicurezza il
Procuratore della Repubblica o il Giudice possono disporre che il soggetto esaminato o
interrogato elegga domicilio presso persona di fiducia o presso un ufficio di polizia, anche ai
fini delle necessarie comunicazioni o notificazioni.
Al comma 4 dell’art. 13, per gravi ed urgenti motivi di sicurezza, ed in deroga all’art.
285 c.p.p. che impone nei casi di detenzione o di fermo, l’obbligo per il soggetto di essere
trattenuto in strutture carcerarie, si concede al Procuratore della Repubblica, o al Giudice
quando ritiene di applicare la custodia cautelare, la possibilità di far custodire le persone
arrestate o fermate, per il tempo strettamente necessario alla definizione dello speciale
programma, con l’ausilio della polizia giudiziaria, in locali diversi dal carcere. Sul tragitto di
una tutela più esaustiva per i futuri collaboratori, (sui quali sia già intervenuta una sentenza di
condanna o una misura di sicurezza, persone detenute dunque), l’art. 13 bis del D.L. 15. Gen.
‘91., integrato dall’art. 13, comma 1, del già citato D.L. 8 Giu. 1992, n. 306, presenta sia
10
aspetti di tutela che premiali. Di quest’ultima presenza e delle sue conseguenze
parleremo più avanti. In merito al sistema di protezione, l’art. 13 bis si dispone lungo l’onda
del citato art. 13, restringendo i confini dell’ordinaria amministrazione penitenziaria.
Una disposizione, dunque, a fallimento dell’attuale sistema di riservatezza insito nelle
nostre carceri
13
. Ancora una volta per gravi ed urgenti motivi di sicurezza, l’art. 13 bis,
comma 1, per il tempo strettamente necessario alla definizione dello speciale programma di
protezione da parte della Commissione Centrale, concede, ma non ad un qualsiasi Procuratore
della Repubblica, bensì al Procuratore Generale presso la Corte di Appello nel cui distretto ha
sede l’istituto penitenziario, su richiesta del Capo della Polizia, che ne informa il Ministro
dell’Interno, che le persone detenute per espiazione della pena o internati in strutture
carcerarie per misure di sicurezza siano custodite in luoghi diversi dagli istituti penitenziari.
Tale procedimento allarga la fattispecie a coloro per cui è già stata avviata la
detenzione. La normativa premiale, seppur indirizzata per scopi di riservatezza, sembra
contraddistinguere il secondo periodo del comma 1, art. 13 bis. Il Procuratore Generale della
Corte d’Appello, infatti, potrà autorizzare specifiche modalità applicative delle misure
alternative alla detenzione, diverse ovviamente dalla liberazione anticipata, quali semilibertà,
affidamento in prova al servizio sociale, assegnazione al lavoro all’esterno, o la detenzione
domiciliare. Un primo assaggio dei benefici che potrà ricevere stabilmente attraverso la
formalizzazione della collaborazione.
Il comma 2 dell’art. 13 bis allarga le facoltà del Procuratore Generale, (con il dubbio
13
A. Bernasconi, op. cit., pag. 217.
11
se occorra in tali casi la richiesta del Capo della polizia - direttore di pubblica
sicurezza come nella fattispecie del comma 1)
14
, autorizzandolo alle stesse misure
“extramoenia” anche prima dell’inizio dell’esecuzione della pena o della misura di sicurezza
per gli internati. Dunque, ancor prima della sentenza del Giudice che autorizzi la detenzione
intramuraria.
Il comma 3, invece, precisa che la nuova figura del Procuratore Nazionale Antimafia
affianchi nelle deliberazioni delle precedenti misure il Procuratore Generale nei casi in cui i
detenuti o gli internati debbano rispondere dei reati indicati all’art. 51 comma 3 bis del c.p.p..
In tale articolo, in cui si definiscono le funzioni del Pubblico Ministero, il comma 3 bis tratta
dei procedimenti, per i delitti, consumati o tentati, di cui all’art. 416 bis del c.p., associazione
di tipo mafioso, o per i delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto art.
416 bis, o, al fine di agevolare le stesse associazioni di stampo mafioso.
Dell’art. 13 ter, anch’esso introdotto dall’art. 13, comma 2, del D.L. 8 Giu. 1992. N.
306, poi convertito nella L. 7 Ago. 1992, spiccatamente di natura premial-penitenziaria,
tratteremo nella stesura dei benefici accordati ai collaboratori di giustizia posti a regime
speciale di protezione.
Ed ancora in tema di tutela l’art. 14 delinea sommariamente i compiti dell’istituto atto
a realizzare concretamente le misure di sicurezza. Stiamo parlando del Servizio Centrale di
protezione, istituito nell’ambito del dipartimento di pubblica sicurezza, o per meglio dire,
presso la direzione centrale della polizia criminale
15
.
Un ufficio centralizzato anch’esso, e soggetto alle deliberazioni del Ministro
dell’Interno, di concerto con il Ministro del Tesoro, che ne stabilisce la dotazione di personale
14
A. Bernasconi, op. cit., pag. 217-218 considera implicita la richiesta del Capo della Polizia al
Procuratore generale pur in assenza di una indicazione normativa.
12
e di mezzi, anche in deroga alle norme vigenti. Di quest’ultimo aspetto, però, si conosce ben
poco. Soprattutto di eventuali discrasie che possano nascere da collaboratore a collaboratore,
o dei reali rapporti che insorgano tra questo distaccamento, sostanzialmente operativo, sia in
maniera periferica che centrale, ed il pentito. Ciò di cui si è certi è la presenza di un Direttore
Centrale che coordina i poteri investigativi della Direzione Nazionale Antimafia e delle forze
di polizia.
Grazie a queste connessioni, il Servizio Centrale di protezione si propone quale
maestosa rete di informazioni su collaboratori e associazioni criminali esistenti
16
. Del 2°
comma, art. 14, è quanto mai inutile soffermarsi dopo la soppressione dell’Alto
Commissario. Se tali misure di protezione, appena descritte, non siano adeguate per assicurare
l’incolumità del collaboratore, posto a regime speciale, il legislatore, all’art. 15, e su richiesta
degli interessati, permette l’attuazione del cambiamento delle generalità. Una misura capace,
se seguita nel migliore dei modi, di permettere l’eventuale reinserimento del collaboratore nel
sistema sociale.
Una forma di rieducazione alla vita di tutti i giorni (attualmente unica misura che
possa permettere un determinato grado di nuova socializzazione per ex criminali
collaboranti).
A tal proposito, il Governo ha emanato il Decreto Legislativo 29 Mar. 1993, N. 119,
dal titolo: “Disciplina del cambiamento delle generalità per la protezione di coloro che
collaborano con la giustizia”. Prima di addentrarci in quest’ultima materia, l’art. 16 del D.L.
15
La collocazione strutturale del Servizio Centrale di protezione la offre S. D’Amico, op. cit., pag. 76.
16
Ancora S. D’Amico, op. cit., sulle funzioni operative del Servizio Centrale di protezione. Pag. 51.
13
15. Gen. 1991, specifica che tocca al Ministro dell’Interno riferire semestralmente dei
programmi di protezione, sulla loro efficacia, e sulle modalità di applicazione, all’organo
parlamentare. All’art. 17, infine, viene formalizzata l’applicazione di spesa statale riguardante
il complesso dello speciale programma di protezione.
14
1.3.: Il cambiamento delle generalità
Riconducendo la nostra attenzione al citato D. L.vo 29 Mar. 1993, N. 119, va detto che
il Legislatore ha emesso una minuziosa procedura riguardante il cambiamento delle
generalità. L’art. 1 elenca la fase burocratica della richiesta di mutamento dello status
giuridico, esclusivamente per i soggetti già ammessi, o da proporre, allo speciale programma
di protezione. In quest’ultimo caso la richiesta viene valutata (oltre ai Ministri dell’Interno e
di Grazia e Giustizia) dall’organo proponente il programma; nel primo caso l’istanza dovrà
pervenire direttamente alla Commissione Centrale. Per la positiva deliberazione del
programma speciale, il collaboratore ha l’onere di fornire all’autorità proponente completa
documentazione circa il suo status civile, amministrativo, e penale.
All’art. 2 si delinea l’attività della Commissione Centrale nelle procedure
amministrative per il rilascio dell’autorizzazione al cambiamento delle generalità e la
designazione dell’autorità incaricata di inoltrare le richieste, e di concerto la custodia o
distruzione di atti e certificati. L’art. 11 del D.M. 24 Nov. 1994, n. 687, individua, di norma,
tale autorità nell’istituto del Servizio Centrale di protezione.
Ancora sul D.L.vo 29 Mar. 1993, l’art. 3 sottolinea, attraverso un decreto, il contenuto
dell’avvenuto cambiamento delle generalità: nuovi cognome e nome, nuove indicazioni della
data di nascita e del luogo, e degli altri dati sanitari e fiscali. Sarà a cura del predetto Servizio
Centrale di protezione la cura e la vigilanza del registro dati, elemento ufficiale tra le vecchie
e le nuove indicazioni soggettive.
L’art. 4 regola le procedure esecutive del Servizio Centrale di protezione affinché,
15
giuridicamente, il collaboratore divenga un nuovo soggetto per le istituzioni pubbliche.
Dall’art. 5 si delineano le disposizioni attinenti alla vita amministrativa. Si parte dall’esonero
di responsabilità civile, disciplinare, e penale, per i pubblici ufficiali, gli incaricati di pubblico
servizio, o i dipendenti degli uffici di pubblica amministrazione che forniscano atti e
documenti relativi alle nuove generalità per i soggetti cui è stato predisposto il mutamento
giuridico, per passare agli effetti delle precedenti identità, (art. 6), che sussistono fino
all’emanazione del decreto di cambiamento, alle richieste di variazioni e trasferimenti delle
iscrizioni anagrafiche (art. 7), fino alla tutela dei terzi di buona fede (art. 8).
Il D.L. vo. sul cambiamento delle generalità conclude il suo iter sulla segretezza dei
procedimenti; il tutto è coperto da segreto d’ufficio. Inoltre vi è il dovere di astensione da
parte di pubblici ufficiali, impiegati, o incaricati di pubblico servizio, dal deporre sulle
precedenti generalità del collaboratore, giuridicamente ricostruito. Lo Stato, dunque, ha
pensato bene di esercitare il caso limite per quei soggetti la cui protezione è decisamente
inoffensiva.