4
Il concetto di modicità era generico, cioè non quantizzato ed il legislatore forniva per
la sua valutazione una duplice criteriologia: la prima di carattere oggettivo, relativa
alle “proprietà tossiche della sostanza detenuta” e la seconda di carattere soggettivo
in relazione alle “condizioni fisiopsichiche del detentore”.
Verso la metà degli anni ’80 la legge n. 685/75 cominciò ad essere messa in
discussione vista la teorica aleatorietà del concetto di “modica quantità” nonostante
l’applicazione della criteriologia oggettiva avesse ormai portato ad una
giurisprudenza sia di merito che della suprema corte, abbastanza uniforme e
consolidata.
Benché la legge si presentasse come una delle discipline più innovative e liberali,
all’atto della sua applicazione pratica, mostrò il suo reale volto: proibizionista e
medicalista.
Partendo dall’analisi delle norme penali si notava, innanzitutto, come le modalità di
regolamentazione giuridica concernente i comportamenti vietati non corrispondesse
alla classica suddivisione del “ciclo delle droghe”, tradizionalmente schematizzata
nella tripartizione fra produzione, circolazione ed uso.
Essa era, invece, focalizzata intorno alla tripartizione fra attività illecite volte alla
“produzione ed al commercio”, “la distribuzione terminale” ed il “consumo
personale” delle sostanze, rispettivamente disciplinate dagli artt. 71
2
, 72
3
ed 80 della
stessa legge
4
.
Sia la previsione di cui all’art.80, comma 2 che l’art.72 erano ancorate al parametro
della “modica quantità”, mentre l’art.71, prevedendo una serie di ipotesi “a
cascata”, fino a ricomprendere la condotta di detenzione, non qualificata
espressamente dal finalismo commerciale, divenne la norma chiave del sistema
repressivo, cosicché, oltrepassata la soglia della “modica quantità” si passava, con
un salto brusco, alle pene stabilite per le condotte delineate in chiave commerciale,
assoggettando, il piccolo spacciatore ed il consumatore anche occasionale, alle
stesse pene del trafficante internazionale.
E proprio tale rilievo era, di per sé, sufficiente a delineare una disciplina poco
attenta al bene giuridico da tutelare e tesa ad inasprire, invece, il controllo penale.
2
L’art. 71 scolpisce, mediante quindici condotte differenti, tutti i possibili aspetti del ciclo della droga. Ricadono sotto
la sua previsione le condotte di “produzione, fabbricazione, estrazione, importazione, esportazione, passaggio in
transito,…”.
3
L’art. 72 si limita ad individuare otto diversi tipi di condotte, escludendo quelli che denotano uno spiccato carattere
produttivo e commerciale. Il finalismo oggettivo delle condotte disciplinate da tale articolo, è indicato dall’inciso “per
uso personale non terapeutico di terzi”. Inoltre, la condotta di cessione, è individuata dal duplice inciso “a qualsiasi
titolo” ed “anche gratuito”.
4
Ronco M., Il controllo penale degli stupefacenti, Napoli, 1990, p. 143 ss..
5
Attraverso lo strumento della “modica quantità”, il legislatore, attuò il divieto di
accumulo di sostanze stupefacenti, che aveva la finalità di far si che gli acquirenti
fossero costretti ad uscire allo scoperto, ed esporsi, attraverso atti di acquisto
ripetuti e a breve distanza, agli accertamenti degli organi repressivi
5
.
Così il soggetto, dichiarato prosciolto ai sensi dell’art. 80, comma 2, veniva avviato al
centro medico e assistenziale regionale per i relativi trattamenti.
La situazione del tossicodipendente si spostava dall’autorità giudiziaria a quella
sanitaria, ritenuta più idonea a recuperare il soggetto da ciò che veniva definita una
“malattia”, senza però recidere il rapporto con l’autorità giudiziaria, potendo essere
sottoposto anche coattivamente ai trattamenti terapeutici e curativi, nel caso in cui
il soggetto si rifiutasse.
Tale sistema non era, quindi, propenso a porre al centro dei suoi obiettivi la persona
quale soggetto titolare di un proprio diritto soggettivo: il bene salute ma, anzi, egli
diventava strumentale ad un fine più ampio tant’è che, i soggetti prosciolti ai sensi
dell’art. 80, comma 2, avevano l’obbligo di testimoniare al fine di individuare le
persone o le organizzazioni criminose.
Lo scopo del legislatore era solo quello di contenere il fenomeno delle
tossicodipendenze, a garanzia dell’ordine e della sicurezza sociale e non, invece, la
tutela della salute individuale del soggetto.
Le svariate proposte di modifica trovarono infine concretezza nel testo di legge
n.162/90 del 26/6/1990 dal titolo “Aggiornamento, modifiche ed integrazioni della
legge 22 dicembre 1975 recante disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope,
prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza” (Legge
Jervolino ‐ Vassalli).
Dopo l’uscita (D.M. n. 186 del 12/7/1990) del relativo regolamento di attuazione, si
giungeva al Testo Unico Legge Stupefacenti D.P.R. 309/90.
Si giunse così all’introduzione della cosiddetta “dose media giornaliera” concetto
non nuovo da un punto di vista sostanziale in quanto per anni proprio questo
concetto era stato di guida per una valutazione oggettiva della “modica quantità”,
ma assolutamente nuovo dal punto di vista giuridico in quanto tale “dose” nei suoi
limiti superiori veniva ora rigorosamente tabulata per ciascuna sostanza e sanciva i
criteri discriminanti per distinguere l’eventualità dell’illecito penale dall’illecito
amministrativo.
5
Ambrosini G., Stupefacenti, legge penale e tutela della salute, in Democrazia del diritto, fasc.4, 1977, p.736.
6
Ciò equivalse a far prevalere una depenalizzazione “tout court” della condotta di
detenzione in dose non superiore a quella tabulata, ma anche ad un momentaneo
consolidamento del principio della concezione di una dose pre‐definita ex lege
indistintamente applicabile a tutti i consumatori di sostanze stupefacenti.
Fu sostenuto che, in tal modo tutte le situazioni in cui la detenzione superasse il
limite quantitativo delle tabelle fossero in teoria accomunate tra loro, cioè tutte
soggette ad incriminazione considerando quindi alla stessa stregua detentori‐
consumatori, consumatori‐spacciatori, piccoli spacciatori, piccoli trafficanti,
narcotrafficanti.
Si denunciò l’incostituzionalità, appunto, di quella previsione normativa che fondava
il discrimine del penalmente rilevante non sul tipo di condotta ma sulla “dose media
giornaliera” che violerebbe il principio di uguaglianza
6
, il principio della necessaria
offensività
7
ed il principio di legalità
8
.
Va invece tenuta presente l’ ampia gradualità delle pene previste, per cui la sanzione
penale, ove il giudice, fatta salva la propria discrezionalità, fosse arrivato comunque
ad una condanna anche in assenza di prove di cessione a terzi, poteva essere
minima, o ridotta ulteriormente in caso di collaborazione ovvero sospesa nel caso in
cui il soggetto, dichiarandosi tossicodipendente, chiedesse di sottoporsi ad un
programma terapeutico riabilitativo.
Successivamente a tale legge, la disciplina di cui al D.P.R. 309/90 fu oggetto di alcuni
interventi, in via d’urgenza, da parte del Governo, volti a stemperare le conseguenze
del rigorismo sanzionatorio.
L’intervento del Governo si realizzò in tre occasioni:
ξ D.l. 8 agosto 1991, n. 247 sulla limitazione delle ipotesi di arresto obbligatorio
9
;
ξ D.l. 13 luglio 1992, n. 335 sull’integrazione del corpo di polizia penitenziaria e
disposizioni urgenti per i detenuti affetti da AIDS
10
;
ξ D.l. 12 gennaio 1993, n. 3 per triplicare le dosi medie giornaliere.
6
Che non consente di riservare al consumo giudizialmente accertato lo stesso trattamento riservato per lo spaccio,
così che il consumatore trovato in possesso di un milligrammo in più del previsto è sottoposto allo stesso trattamento
dello spacciatore.
7
Che vieta la punizione di fatti privi di concreta pericolosità per beni altrui.
8
Dei comportamenti punibili, la cui determinazione non può essere sostituita da una certezza illegalmente
determinata da un atto amministrativo.
9
Emanato a seguito di diversi casi di suicidio di giovani arrestati per mero possesso di quantità minime di droga.
10
Emanato per rispondere all’emergenza dovuta al raddoppio della popolazione carceraria in diciotto mesi di vigenza
della legge, aggravata dal dilagare dell’AIDS.
7
Le numerose questioni giuridiche spesso distorte dai media, soprattutto riguardo
alla tabulazione della “dose media giornaliera”, diedero vita ad un referendum
popolare (1993)
11
che portò all’abolizione di alcuni articoli o di parte di essi,
stravolgendo in parte alcuni concetti fondamentali della legge.
Le abrogazioni di maggiore interesse riguardano:
I. L’abrogazione del “divieto di consumo personale di sostanze stupefacenti”,
sancito dall’art.72, che ha formalizzato l’irrilevanza penale della condotta di
“consumo personale” di droga, ribaltando l’originaria impostazione
legislativa.
II. L’eliminazione del criterio oggettivo della “dose media giornaliera” che
distingueva le condotte finalizzate allo spaccio da quelle finalizzate al
consumo personale, la cui abrogazione ha, di conseguenza, depurato la
condotta di “consumo personale”, da quel disvalore intrinseco connesso al
pericolo che l’accumulo di sostanze stupefacenti, anche se finalizzato al
consumo personale del detentore, rappresentava per i beni giuridici protetti.
Pertanto, la condotta di detenzione, acquisto e importazione di cui all’art. 75,
comma 1 D.P.R. 309/90, di qualsiasi quantitativo di sostanza, finalizzata
all’esclusivo uso personale costituisce illecito amministrativo.
III. L’abrogazione dell’art. 76, disciplinante le misure, di competenza dell’autorità
giudiziaria, a carico di colui che rifiutava o interrompeva il programma
terapeutico e a carico del soggetto recidivo, che ha , di conseguenza,
condotto all’applicazione di sole sanzioni amministrative per gli illeciti di cui
al precedente punto, irrogate dal prefetto anche nel caso di più reiterate
violazioni.
Al contrario, nel caso in cui la detenzione, abbia ad oggetto finalità diverse
dall’uso personale si integra il reato di cui all’art.73 D.P.R. 309/90.
Il cambiamento di prospettiva conseguente al referendum abrogativo, tuttavia,
diede luogo a difficoltà interpretative, oltre che dei contenuti specifici delle singole
disposizioni, anche delle finalità espresse dalle norme in oggetto.
11
Risultati del Referendum:
Voti %
RISPOSTA AFFERMATIVA SI 19 255 915 55,40%
RISPOSTA NEGATIVA NO 15 529 815 44,60%
bianche/nulle 2 125 668
Totale voti validi 34 785 730 100%
8
Il primo problema sorto a seguito dell’intervento referendario, ha riguardato, in
primo luogo, la qualificazione giuridica del fatto: l’orientamento prevalente della
giurisprudenza è stato quello di considerare illecito penale, la sola detenzione
attinente a finalità di uso non personale, mentre, quella per uso personale, integra
solo un illecito amministrativo.
Veniva erroneamente connotata dall’elemento negativo dell’uso personale, la sola
detenzione dello stupefacente che, però non costituiva ancora un momento
dell’elemento soggettivo, ma solo una componente della condotta.
Ne conseguiva che l’onere della prova della finalità non personale della detenzione
gravava sull’accusa, incombendo all’imputato solo l’allegazione degli elementi a se
favorevoli.
Il criterio quantitativo, costituiva un utile elemento indiziario della finalità di
“spaccio” ma, esso, doveva essere valutato in relazione ad altri fattori.
Il referente quantitativo non poteva essere ritenuto, da solo, idoneo a risolvere il
problema della prova della destinazione a terzi della sostanza stupefacente, ma
doveva essere affiancato da altri elementi ricavabili dalle concrete modalità,
oggettive e soggettive, della vicenda.
Ecco alcuni degli importanti parametri da valutare:
9 La qualità soggettiva del detentore
12
;
9 Giudizio di compatibilità tra il quantitativo di droga e le condizioni
economiche del soggetto
13
;
9 Le modalità di custodia della sostanza
14
;
9 Il grado di purezza della stessa
15
;
9 Al luogo in cui la detenzione viene accertata;
9 La quantità delle sostanze.
In tutte le situazioni caratterizzate, invece, dall’assenza di un accertato spaccio in
flagranza o di altri concreti elementi che potessero portare l’accusa a sostenere il
delitto di cui all’art. 73 D.P.R. 309/90, non poteva che ritenersi la destinazione
all’uso personale che, di conseguenza, determinava l’applicazione delle sanzioni
12
Tossicodipendente o meno: la circostanza che la sostanza stupefacente venisse trovata nella disponibilità di un
soggetto non dedito all’assunzione della stessa, rappresentava un indizio per ritenerla destinata a terzi.
13
L’assenza di una dimostrata attività lavorativa, induceva a ritenere che il commercio della sostanza, costituisse la
fonte principale di reddito del detentore.
14
Entità unica o suddivisione in dosi, magari accompagnata dal possesso di determinati strumenti: bilancino,
bustine,….
15
Che, se di grado elevato, faceva presumere la successiva destinazione al taglio.
9
amministrative di cui all’art. 75, comma 1, a prescindere dal quantitativo della
sostanza.
Sono stati, infatti, necessari circa 13 anni affinché, dopo il referendum del 1993,
fossero approvate modifiche al TU n. 309/90, con caratteristiche di profonda e
sostanziale innovazione, uscite con L. n. 49 del 21 febbraio 2006 (Legge Fini ‐
Giovanardi) e pubblicate nella G.U. n. 62 del 15 marzo 2006 come “Testo
aggiornato”.
Tre i motivi conduttori salienti del testo riformato:
1. La ridefinizione del concetto “sostanze stupefacenti” scaturito nell’unificazione
delle tabelle, attribuendo indistintamente a tutte (e a tutte le condotte ad esse
legate) un medesimo disvalore di base indipendentemente dalla indubbia, effettiva
diversa pericolosità dei vari tipi di stupefacenti nessuno dei quali deve essere
considerato, per dirla in gergo e non in termini scientifici, né leggero, né pesante.
Nonostante ciò va tenuto presente che, a parità di circostanze e di quantità di
sostanza, la qualità della medesima (di maggiore o minore lesività) sarà importante
perché si realizzi il convincimento del giudice su quell’ipotesi e la tipologia della
sostanza sarà comunque condizionante nella irrogazione di pene di maggiore o
minore entità, potendo il giudice fruire dello strumento stesso della norma, che
offre una ampia gradualità di pene.
2. La volontà di perseguire penalmente solo le condotte diverse da quelle del
consumo o ad esso prodromiche (di qualsivoglia consumo si tratti – saltuario,
occasionale, abituale o cronico), con grande attenzione alla tutela del bene giuridico
protetto che si identifica nella salute individuale e soprattutto collettiva; cioè, in
ultima analisi, la volontà di arginare pesantemente tutte le condotte volte alla
diffusione (dalla produzione alla cessione a qualsiasi titolo, al traffico) degli
stupefacenti.
La configurazione dell’illecito penale, è riformata oggi con la suddivisione delle
condotte di chiunque coltiva, produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette
in vendita, cede, distribuisce, commercia, trasporta, procura ad altri, invia, passa o
spedisce in transito, consegna per qualunque scopo sostanze stupefacenti o
psicotrope… distinte dalle condotte di chiunque importa, esporta, acquista, riceve a
qualsiasi titolo o comunque illecitamente detiene le medesime sostanze.
“Tolleranza zero” per il primo tipo di condotta giuridica, a prescindere quindi,
ovviamente, dal quantitativo della sostanza, mentre le altre condotte divengono
penalmente perseguibili solo in relazione a più fattori o criteri che concorrano come
inequivocabili indizi o prove di una destinazione diversa da quella di uso
10
esclusivamente personale, tra i quali la quantità (se superiore ai limiti massimi
consentiti di cui più oltre si tratterà), la modalità di presentazione (peso lordo
complessivo, confezionamento, frazionamento) e le altre circostanze dell’azione.
Il giudice quindi potrà applicare la sanzione penale in presenza di uno o più dei tre
criteri, che tuttavia non costituiscono presunzione assoluta di colpevolezza o meno,
in quanto i loro contenuti non sono di per sé ipotesi incriminatrici.
L’imputato avrà la facoltà/diritto, ma non l’obbligo (come avveniva anche con la
normativa precedente) di portare prove a proprio discarico.
Fatto del tutto innovativo è la possibilità per l’imputato tossicodipendente o
assuntore di sostanze stupefacenti o psicotrope di chiedere ed ottenere
l’applicazione, in luogo della pena detentiva, del “lavoro di pubblica utilità”.
Ciò rappresenta, se correttamente applicato,uno degli elementi più illuminati della
riforma del Testo unico per due fondamentali motivi: l’uno legato al fatto che la
norma annovera, assieme alla fattispecie della persona tossicodipendente, anche e
chiaramente la fattispecie del mero assuntore, cioè di colui che non abbia
necessariamente contratto alcun tipo di dipendenza; l’altro legato al fatto che tale
scelta alternativa è perfettamente confacente proprio alla figura del consumatore
saltuario o a quello che, ad esempio abbia usato lo stupefacente per una sola prima
volta.
3. La re‐introduzione di “limiti”, pur se con concetto innovativo e diverso rispetto a
precedenti disposizioni del passato (modica quantità, dose media giornaliera) come
guida al discrimine dell’ambito di competenza giuridica: amministrativo o penale.
Questi “limiti massimi” dei quantitativi di sostanze stupefacenti o psicotrope
(indicati dall’apposito decreto) se superati, possono integrare ‐ assieme anche ad
eventuali altre situazioni caratterizzanti e indizi di destinazione diversa da quella di
uso esclusivamente personale ‐ la presunzione dell’illecito penale, sempre
ovviamente se sarà provata la destinazione diversa dall’uso personale, rimanendo a
carico dell’accusa l’onere della prova.
I valori indicati nel decreto (DM 11 aprile 2006 pubblicato in G.U. n.95 del 24 aprile
2006) non sono correlati alla dose (attiva, minima, media, massima, efficace,
tollerabile, tossica, letale) né al periodo di possibile assunzione (dose singola,
giornaliera, settimanale, mensile), ma di fatto rappresentano unicamente il
quantitativo massimo che il soggetto, indipendentemente che egli abbia in atto o
meno un rapporto con lo stupefacente, può detenere senza che sia intrapresa la via
del procedimento penale (notizia di reato), non ravvedendosi in tale quantitativo
l’indizio della potenzialità (del rischio, cioè) per una attività di cessione ad altri.
In altri termini i “limiti massimi”, così come formulati, vogliono rappresentare
concettualmente la soglia sotto la quale, ovviamente in assenza di indizi o prove di
11
destinazione a terzi, i quantitativi siano tali da far ritenere la condotta dell’agente
priva di una qualsiasi idoneità lesiva dei beni giuridici tutelati collocandosi così al di
fuori dell’area penalmente rilevante.
Nell’ottica di quanto osservato si tratta quindi di “limiti” che il legislatore ha deciso
di adottare sulla base di suggerimenti scientifici di una commissione di esperti in
scienze forensi (dalla tossicologia, alla medicina, al diritto), che esprimano il proprio
parere tenendo conto ovviamente di parametri farmaco‐tossicologici basilari che il
legislatore di per sé non può conoscere.
Si sottolinea che ai fini giuridici è determinante solo il quantitativo netto in
milligrammi (o microgrammi per taluni allucinogeni) di principio attivo presente
nella totalità della “droga” di strada sia che si tratti di polveri, di compresse o
capsule, di prodotti vegetali o altro.
Questi nuovi “limiti massimi” sembrano avere rispettato il criterio finalistico di
riferimento della norma, quello appunto di considerare fondamentale, nella
formulazione di detti quantitativi, la tutela dello Stato contro il rischio della
diffusione e della cessione ad altri di sostanze stupefacenti.
Va sottolineato ulteriormente che i “limiti” di cui al decreto hanno unicamente lo
scopo di dirimere se il fatto possieda o meno rilevanza penale, in altre parole se
debba essere sanzionato solo con provvedimenti amministrativi o possa invece
possedere offensività penale: ciò significa soltanto che la “strada” del procedimento
sarà, a seconda del superamento o meno del limite, quella davanti all’autorità
amministrativa (prefetto) o quella davanti all’autorità giudiziaria (procuratore della
repubblica)
16
.
16
E. Bertol, Note di commento al Testo Aggiornato del D.P.R. n. 309/90 recante “Testo Unico delle leggi in materia di
disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di
tossicodipendenza”, in Riv. It. Medicina legale 2006, 03, 511.