10
PREFAZIONE.
Datata 24 ottobre 1977, n. 801, la legge allora tanto attesa, recante in
diciannove stringati articoli la ‖Istituzione e ordinamento del servizio per le
Informazioni e la sicurezza e la disciplina del segreto di Stato‖, stava per
compiere i trent'anni di vita, quando, il 12 ottobre del 2007, l'entrata in
vigore della legge 3 agosto 2007, n. 124, intitolata ―Sistema di Informazione
per la sicurezza della Repubblica e nuova disciplina del segreto‖, con i suoi
quarantasei articoli, ne ha sancito l'abrogazione, fatte salve, in via
provvisoria, alcune parti di ordine strutturale bisognose di specifica
regolamentazione.
Sebbene sia da annoverarsi tra le più brevi della storia, la XV legislatura è
riuscita, quindi, nel difficile compito di varare la riforma dei servizi di
intelligence e del segreto di Stato, fornendo finalmente una risposta alle
sempre più pressanti istanze di rinnovamento di un sistema che, a partire
dalla metà degli anni '90, ha cominciato ad evidenziare tutte le sue carenze
strutturali.
Un intervento del legislatore in questo settore era, invero, atteso da lungo
tempo e reclamato da più parti, con toni che si erano fatti via via più
insistenti. Alla base di queste esigenze, così fortemente avvertite, oltre alla
constatazione che la legge n. 801 del 1977 era sostanzialmente incompleta,
vi era una pluralità di fattori.
La fine della guerra fredda e la sconfitta del fenomeno terroristico degli anni
11
'70-'80 avevano evidenziato i limiti di un modello costruito per fronteggiare
questi pericoli e divenuto, ben presto, inadeguato per operare in uno
scenario profondamente mutato e magmatico, verrebbe a dire destrutturato.
Nuove minacce, infatti, son venute a profilarsi all'orizzonte del nostro Paese.
Si possono citare la criminalità organizzata, divenuta nel tempo sempre più
aggressiva e feroce, che attraverso una vera e propria politica del terrore, ha
tentato di condizionare e piegare ai propri scopi il funzionamento delle
istituzioni democratiche, sfruttando anche una sorta di ―contiguità‖ di
interessi con la classe politica (si pensi, ad esempio, alle infiltrazioni negli enti
locali). Il terrorismo globale, la cui finalità non è più quella di richiamare
l'attenzione della opinione pubblica internazionale sulle cause di popoli privi
di identità statuale, ovvero l'espressione di una sedicente lotta rivoluzionaria
al sistema politico-economico occidentale, ma quella di provocare il maggior
numero di vittime possibile, terrorizzare milioni di persone e paralizzare
l'economia mondiale. Ciò, con l'obiettivo di distruggere la comunità
internazionale occidentale ed imporre un modello di società basato su di una
lettura radicale e rigida della legge islamica.
O ancora, si pensi ai continui ―attacchi‖ agli interessi economico-finanziari
nazionali in un'epoca in cui la globalizzazione spinta li rende inevitabilmente
più vulnerabili.
A questi fattori, si è aggiunta la necessità di garantire l'indispensabile
supporto informativo ai contingenti militari, impegnati, con crescente
frequenza ed ampiezza dei dispositivi, in numerose aree calde del globo.
12
Non può, poi, mettersi in secondo piano una serie di altre questioni scaturite
dalla dialettica istituzionale che si è formata a seguito della applicazione della
legge n. 801 del 1977. Il punto dolente è stato, naturalmente, relativo
all'utilizzo del segreto di Stato, in relazione al quale, proprio sul finire degli
anni '90, si sono verificati diversi conflitti di attribuzione.
All'origine, vi era una oggettiva carenza della legge n. 801 del 1977, che
mancava di una disciplina esplicita dei poteri e del modus operandi dei Servizi
e del loro personale, necessariamente diversi da quelli della polizia
giudiziaria. Infatti, la necessità di salvaguardare la sicurezza dello Stato
conduceva – così come conduce tutt'oggi – i cd. ―agenti segreti‖ ad operare
con condotte extra legem, che si concretavano, cioè, in una violazione della
legge penale. In assenza di qualsiasi norma espressa, la non punibilità di
quelle azioni – moralmente giustificate, quantomeno in linea di principio, da
così alti intenti – veniva garantita attraverso il ricorso al segreto di Stato.
Esso – con i limiti enunciati dalla legge n. 801 del 1977, ribaditi dal codice di
procedura penale del 1988 e quelli ulteriori affermati dal magistero della
Corte Costituzionale nelle due basilari sentenze nn. 110 e 410 del 1998 –
assumeva una connotazione strumentale alla configurazione dei confini entro
i quali i Servizi potevano operare per la salvaguardia della sicurezza del
paese. Non sfugge, peraltro, come il silenzio del legislatore del 1977 aveva
portato a ricercare soluzioni che spostavano il registro del discorso dal piano
che avrebbe dovuto essere loro proprio, quello, cioè, del diritto sostanziale, a
quello processuale. E questo per effetto della disciplina recata
13
dall'ordinamento che – a parte le figure di reato dedicate alle violazioni del
segreto, peraltro risalenti al 1930 – apprestava una tutela agli arcana imperii
unicamente sul piano processuale, trasformando, così, quello che avrebbe
dovuto essere un problema inerente al giudizio sulla conformità del
comportamento alla norma in un problema dei rapporti tra esecutivo e
giudiziario.
A questi problemi, si aggiungeva, infine, l'avvertita necessità di realizzare un
sistema di controlli veramente efficace, al fine di evitare il ripetersi di episodi
non commendevoli di cui si erano resi protagonisti esponenti dei Servizi, degli
organi politici e di quelli giudiziari nei primi anni '90.
Ed è, in effetti, proprio a quegli anni, in cui, tra l'altro, si registravano le
prime conseguenze del mutamento al contesto della sicurezza internazionale
e nazionale, e cioè nel corso della XI legislatura, che risale il primo ed
autorevole appello del sen. Francesco Cossiga a rinnovare il sistema di
informazione e sicurezza, invocando l'inderogabile esigenza di superare
quello delineato nel 1977. E' quella legislatura, infatti, che registra la
presentazione di un disegno di legge dal titolo ―Nuovo ordinamento dei
servizi di informazione e di sicurezza‖, poi sistematicamente ripresentato
nella XII, XIII e XIV legislatura.
La relazione che accompagnava le proposte muoveva ogni volta dal rilievo
―della grave crisi che da anni ha travagliato i nostri sistemi di informazione e
di sicurezza, l'uso del segreto di Stato e lo stesso apparato della difesa
nazionale‖, anche per il ―venire meno di forti riferimenti quali
14
l'occidentalismo, la NATO e la CEE‖. Tra i motivi posti a base della esigenza di
una radicale innovazione, veniva pure evidenziata, accanto ai mutamenti
epocali degli anni 1989, 1990 e 1991 e al conseguente mutamento degli
equilibri politico-istituzionali interni, la ―decadenza del sistema vigente in
parte per la sua insufficienza strutturale, in parte per la sua delegittimazione
morale, in parte per la insufficienza di motivazione ed obiettivi e per la
mancanza di una autonoma politica nazionale di difesa e di sicurezza‖.
L'illuminato appello, rimasto purtroppo senza seguito per ben tre Legislature,
al suo quarto reiterarsi trovava finalmente sbocco in un disegno di legge
governativo del giugno 2002, alla luce anche delle linee guida condivise sia
dal Comitato interministeriale per l'informazione e la sicurezza, sia dal
Comitato parlamentare di controllo. La costante e progressiva crescita di
adesioni permetteva, così, di delineare con sempre maggiore puntualità il
nuovo assetto, sino a giungere alla data del 3 agosto del 2007, in cui, con
una votazione sostanzialmente bipartisan, è stata approvata la legge 124.
15
CAPITOLO I
IL SEGRETO DI STATO E LA TUTELA DELLA SALUS REI PUBLICAE
SOMMARIO: 1. Segreto e potere. - 1.1. La dimensione politica del segreto. - 1.2. Il
segreto come esigenza della democrazia. - 2. Gli arcana imperii. - 3. Il segreto di Stato e
il processo penale. - 3.1. La disciplina del segreto di Stato: il ruolo della Consulta e il
principio di bilanciamento. - 4. La salus rei publicae.
1. Segreto e potere.
1.1. La dimensione politica del segreto.
Il segreto sta nel nucleo più intimo del potere
1
. Questo frammento, tratto
dagli studi di Elias Canetti, aiuta a cogliere, immediatamente, l'inerenza
stretta tra segreto e potere, massime il potere politico. Avere e mantenere
segreti, significa disporre del potere della conoscenza e delle possibilità ad
essa connesse. Segretare non implica soltanto l'azione del separare, del
setacciare, del coprire, ma anche dello scoprire, del palesare, del tradire,
permettendo così di tracciare la linea di confine tra il conosciuto e l'ignoto
(ma conoscibile, distinto, cioè, dall'inconoscibile). Avere un segreto si traduce
nell'avere una conoscenza da cui gli altri sono esclusi, attraverso la quale si
tengono unite le redini del potere politico e si esercita, di conseguenza, il
1
E. CANETTI, Massa e potere, Milano, 1972, pag. 317.
16
dominium.
Chi sa può, dunque. ―Il giudice per potere decidere deve conoscere molte
cose: il suo potere si fonda in modo particolare sull'onniscenza‖. Lo stesso
vale per chi è titolare del potere politico: ―il potente, che si serve del proprio
segreto, lo conosce con esattezza e sa bene apprezzarne l'importanza in
varie circostanze‖
2
. In particolare, il sovrano, seguendo l'associazione
ricorrente con l'immagine del Panopticon - la struttura carceraria a veduta
diseguale - è il veggente invisibile
3
; è colui che conosce ogni cosa e non
palesa ciò che conosce. Ma è anche chi ha il potere del silenzio, che si
estrinseca non solo nel non rispondere alle domande, ma, soprattutto, nel
selezionare che cosa dire e che cosa tacere.
A ben vedere, in ciò si coglie una caratteristica tipica del potere, ossia ―una
ineguale ripartizione del vedere a fondo‖, che pone chi comanda e chi
obbedisce su due livelli assolutamente disomogenei e distanti
4
. Non è difficile
coglierne la ragione. Infatti, non v'è chi non veda come il segreto si traduca
un concetto relazionale, sia dal punto di vista del rapporto con la cosa, il
fatto, l'atto, oggetto di segretazione, sia da quello dei soggetti tra i quali
intercorre il rapporto di conoscenza. Ebbene, tale relazione incide, qualificandoli
in maniera specifica, sui rapporti tra i soggetti che compongono le organizzazioni sociali, che
2
E. CANETTI, Massa e potere, cit., pag. 320.
3
N. BOBBIO, La democrazia e il potere invisibile, in Riv. it. sc. pol., 1980, pagg. 181 ss.,
4
In tal senso, E. CANETTI, Massa e potere, cit., pag. 320, il quale, più specificamente,
esclude che governanti e governanti posseggano un linguaggio comune proprio per la
ineguale ripartizione della conoscenza.
17
entrano in conflitto proprio per effetto del segreto. E ciò sia che si assuma la prospettiva
delle interrelazioni governanti-governati, sia quella tra i diversi poteri dello Stato. In
particolare, il ―divulgare‖ un segreto rimanda, da un lato, all'atto di diffondere
una conoscenza presso il popolo; dall'altro, alla possibilità di rendere
partecipi gli altri poteri dello Stato di notizie qualificate top secret perché
ritenute di primaria importanza.
È in queste connotazioni che va colto il carattere selettivo ed elitario della
segretezza, tanto più elitario quanto più il segreto è concentrato.
Non sfugge come esse rimandano ad una una naturale associazione con il
principio di eguaglianza: l'esistenza di segreti e di soggetti depositari di cose
segrete pone questi ultimi in una posizione asimmetrica rispetto a tutti gli
altri. Nella dimensione verticale od orizzontale in cui è possibile declinare il
principio della separazione dei poteri, la presenza di sfere coperte da segreto
connota le relazioni intersoggettive in modo diseguale. Gli arcana, per
definizione, postulano la differenza dei rapporti.
Orbene, il nucleo del problema consiste proprio nell'ancorare siffatte
differenzazioni ad un criterio di ragionevolezza e, allo stesso tempo, di
necessità, nella consapevolezza che il metro di tale asimmetria traccia la
sottile linea di confine tra potere (e Stato) autoritario e potere (e Stato)
democratico
5
.
5
Molto acutamente N.BOBBIO, La democrazia, cit., pagg. 87-88, afferma che nello Stato
costituzionale la ―pubblicità è la regola, il segreto l'eccezione‖. Aggiunge, in particolare,
che ―è un'eccezione che non deve far venir meno la regola, giacché la segretezza è
giustificata, non diversamente da tutte le misure eccezionali (...), soltanto se è limitata
18
1.2 Il segreto come esigenza della democrazia.
Le copiose elaborazioni sulle forme di Stato e forme di governo insegnano
che nello Stato costituzionale di diritto la pubblicità è la regola e il segreto è
l'eccezione, giacché quest'ultimo costituisce una forma di limitazione della
libertà di informazione, uno dei valori fondamentali di un sistema
democratico. Tuttavia, gli studiosi non tardano a specificare che non ogni
compressione di tale libertà – non si tratta, quindi, un diritto - che si badi, è
propria tanto dei singoli cittadini, quanto di ogni potere dello Stato, consente
di stampare etichette di antidemocraticità. Infatti, se è pur vero che per poter
parlare di «cittadino di uno Stato democratico» non può trascurarsi il giusto
rilievo da attribuire alla relazione ―esclusione-inclusione dall'informazione‖ (
su cui va ad incidere inevitabilmente il potere di disporre segreti)
6
, è
altrettanto vero che un ordinamento nel quale vigono arcana non può essere
qualificato, per ciò solo, come un ordinamento antidemocratico
7
. Ciò in
quanto la misura dello status di cittadino può essere valutata anche a partire
dalle informazioni che sono coperte dal segreto, fermo restando, però, che
non esiste un diritto alla notizia, ovvero a sapere di tutto e da tutti, bensì,
piuttosto, la necessità di ―istituzioni della libertà di informazione‖, che
nel tempo‖.
6
In tal senso, M. RICCIARDI, Appunti sul segreto di stato e sul principio di trasparenza, in
Pol. dir., 1993, pag. 41.
7
È, magari, l'abuso del segreto a porre in pericolo la <<democraticità>> dello Stato.
19
traducano il dovere dello Stato di garantire al massimo l’accesso alle
informazioni di natura pubblicistica
8
.
Ora, il punto è che tale dovere può essere disatteso non in virtù di scelte
discrezionali svincolate da qualunque criterio, ma solo a causa di determinate
situazioni, la cui sussistenza, che impone esigenze di particolare riservatezza,
consente di non alterare, o, meglio, non rompere, il fondamentale equilibrio
esistente tra la regola della pubblicità e l'eccezione del segreto.
È questo, in effetti, il principio proprio di ogni forma di segreto pubblico nelle
società democratiche: esso, di regola, è uno strumento per limitare la
diffusione di certe informazioni in nome di un’esigenza altrettanto, se non di
più, fondamentale; anzi, è lecito affermare che il ricorso agli arcana imperii
risponda ad una precisa necessità collegata alla conservazione stessa della
organizzazione statuale.
Infatti, basti considerare – aderendo alle osservazioni avanzate da autorevole
dottrina – che una vita associata in cui tutto sia palese o tutto sia ridotto alla
legalità formale è pura utopia alla luce dell'esperienza. In tal senso, il
giurista-politologo Gianfranco Miglio ricorda il conflitto tra Bellarmino e
Galileo: ciò che il cardinale aveva rimproverato allo scienziato non era di aver
scoperto verità scientifiche che scardinavano l'ideologia religiosa, politica e
8
D'altronde, la pubblicità, pur essendo regola base della convivenza democratica, non
assurge in nessun ordinamento costituzionale al rango di valore assoluto: esemplare, in
proposito, la Costituzione italiana, la quale, pur richiamando più volte il principio della
pubblicità non esclude il segreto, né, tanto meno, ha impedito od impedisce una tutela
differenziata delle diverse tipologie di segreto.
20
sociale, ma di averle diffuse in una lingua, l'italiano, accessibile a tutti
9
. Si
manifesta così una intrinseca e apparentemente insuperabile ambiguità: per
effetto, da un lato, della forza egalitaria e democratica del divulgare; e,
dall'altro, della vis eversiva dell'ordine costituito, connessa al disvelamento di
un segreto. In questa impostazione, il segreto non è inteso solo come
instrumentum regni, ma come presupposto stesso della governabilità. In
particolare, esso è inteso come lo strumento di equilibrio nell'esercizio del
potere politico, necessariamente diviso tra la cd. legge formale, reggente i
rapporti tra gli individui, e quella materiale della ragion di Stato, posta su un
piano di ontologica preminenza giacché regola l'intera convivenza e la sua
stessa sopravvivenza.
Ed è proprio nella legge materiale della ragion di Stato che il politologo
rinviene il fondamento in cui germogliano le istanze di segretezza. Esse,
infatti, non rappresentato qualcosa che ―è inventato dalla classe politica
(certo, - il segreto, n.d.r. - serve alla classe politica, è ovvio: chi detiene il
potere cerca di mantenerlo), ma la questione è che a un certo punto l'intera
collettività si ribella all'uso della legalità formale che si traduce in una
distruzione della comunità stessa‖. In presenza di situazioni del genere ecco
che emerge la inadeguatezza della sola legge formale.
Ebbene, dalla necessità di prevenire e/o impedire tale tragico epilogo trova
legittimità non solo la teoria della ragion di Stato - ritenuta non la teoria del
9
In tal senso, G. MIGLIO, Il segreto politico, in AA.VV., Il segreto nella realtà giuridica
italiana, Padova, 1983, pag. 171.
21
libero arbitrio in politica, ma la sintesi della concezione dello stato di
eccezione come necessità per la salus rei publicae – ma, soprattutto, del
―segreto politico‖. Questo rappresenta il mezzo principale attraverso cui dare
attuazione a quella legge materiale posta a salvaguardia dell'esistenza
medesima del vivere sociale e che giustifica, in nome di un superiore e
preminente fine, il travalicamento della legge formale.
Orbene, tale lettura del segreto, offerta dal Miglio, rappresenta bene i termini
della relativa problematica. In sostanza, ciò che riguarda il politico, che è il
governo della cosa pubblica, viene inteso come un quid che, in virtù della
legge formale, non può che essere anche manifesto. Tuttavia, nell'ottica del
politologo, la politica deve necessariamente mantenere uno spazio che va al
di là di quella legge formale, permettendo, dunque, che l'eccezione prevalga
sulla regola, a meno che non si accetti il rischio che venga distrutta la stessa
comunità statale.
Secondo questo approccio, quindi, viene riconosciuto uno spazio legittimo
agli arcana nell'organizzazione della politica, consentendo di costruire una
dimensione costituzionale del segreto, specie con riguardo alla versione più
complessa del segreto di Stato
10
.
Infatti, in ogni forma politica è ineliminabile ricorrere al segreto: ciò vale
anche nei sistemi democratici; il punto, però, è quello di indirizzare siffatto
segreto verso la realizzazione di un fine superiore, che giustifichi l'eccezione
10
Il segreto di Stato, non a caso, viene normalmente giustificato per proteggere la sicurezza
collettiva, ovvero la sicurezza dello Stato-ordinamento.
22
alla legge formale. Pertanto, la questione fondamentale che inerisce a questa
categoria politica non sta tanto nella opposizione ―palese-occulto‖, quanto
nella giustificazione estrinseca degli arcana e nella loro struttura, quali
strumenti funzionali ad un obiettivo politico fondamentale.
Considerando questo aspetto, riesce agevole distinguere l'essenza degli
arcana imperii nelle esperienze politiche autoritarie rispetto a quella che
assumono – almeno in linea teorica – in uno Stato democratico.
Orbene, non v'è chi non veda come nelle esperienze più radicali il segreto di
Stato non è strumento di potere, ma si identifica con il potere stesso,
diventando esso stesso fine politico: il segreto per il segreto, ovvero il potere
per il potere. La ―scelta‖ di utilizzare gli arcana è rimessa (quasi)
esclusivamente alla volontà del sovrano, generalmente slegata da fini
obiettivi, sottratta in tutto o in parte a regole giuridiche, insuscettibile di
controllo da parte di chiunque. Ciò, in definitiva, ha finito per generare una
―ossessione di completezza delle barriere difensive poste a tutela del segreto
di Stato‖ che rompeva l’equilibrio dei poteri e attribuiva all'esecutivo ―una
competenza dilatatoria della sfera di segretezza‖ sganciata da parametri
oggettivi e tassativi
11
.
11
Nello sviluppo della tematica del rapporto segreto-Stato autoritario, è interessante notare
che l’indagine storiografica condotta sull’ordinamento giuridico italiano da P. PISA, La
tutela penale del segreto di stato dalle codificazioni preunitarie al codice Rocco‖, in Annali
della Facoltà di Giurisprudenza, Università di Genova, 1975, pagg. 167 ss., dimostra
come le norme introdotte nel codice fascista solo in parte fossero frutto della concezione
autoritaria del regime, inserendosi piuttosto in una tradizione risalente, che aveva
23
Nel contesto dello Stato di diritto e, a fortiori, nello Stato costituzionale, il
segreto di Stato deve, invece, trarre fondamento in determinati valori
fondamentali; è soggetto al principio di legalità e, quindi, deve essere
regolato positivamente e in maniera organica, sia per ridurre la naturale
ampiezza delle valutazioni ad esso inerenti, sia per rendere effettivo il
principio di divisione dei poteri in vista della garanzia e della sicurezza del
sistema. Delle antiche dottrine della ragion di Stato gli ordinamenti
costituzionali hanno conservato l'obiettivo fondamentale della tutela di valori
comuni che, con formula sintetica e più moderna, si può rendere con
l'espressione ―sicurezza politica‖.
Il segreto può essere, e spesso è, necessario, ma al cospetto del valore della
sicurezza solo come mezzo a fine, anzi, sempre come strumento di
realizzazione dell'obiettivo ultimo della difesa di valori comuni, da qualsiasi
parte o in qualsivoglia modo minacciati o vulnerati.
La sicurezza dello Stato non è un concetto oggettivo, ma un concetto
oggettivizzabile: il riferimento al mantenimento dell'unità politica spinge in
questa direzione. Non un qualsiasi interesse giustifica il segreto, ma solo un
interesse così qualificato. La determinazione del bene protetto mediante la
decisione sul segreto di Stato rimane pur sempre espressione di un giudizio
di valore soggettivo, ma sottoposto agli ineludibili canoni della ragionevolezza
tematizzato il segreto di Stato al di fuori delle garanzie dello Stato di diritto e del
liberalismo politico.