288
veniva meno. In realtà, se questo era l’intento iniziale, i fatti si sono sviluppati verso
un indirizzo diverso, in cui il modello regolatorio è visto quasi come una
caratteristica propria del settore e in cui lo stesso modello ricopre un ruolo che non
solo tende a promuovere la concorrenza, ma a perseguire finalità di politica
industriale, di promozione e sviluppo dei mercati, di garanzia per gli utenti del
servizio e tutta quella serie di ulteriori fini che sono specificati all’art. 13 del Codice
in materia di comunicazioni elettroniche, e che altrimenti risulterebbero scarsamente
tutelate. Significativo è evidenziare che alcuni Autori si chiedono se in realtà il vero
obiettivo perseguito dalla nuova disciplina sia effettivamente l’eliminazione della
regolazione o se invece non sia piuttosto quello di introdurre una normativa più
adeguata al fine di garantire una maggiore concorrenzialità
2
, il che non richiederebbe
di per sé l’esclusione della regolazione stessa che comunque continuerebbe a
perseguire anche ulteriori finalità rispetto a quella della tutela della concorrenza, ma
ugualmente altrettanto importanti. A questi problemi va aggiunto il fatto che le
Autorità di regolamentazione saranno particolarmente restie a cedere terreno,
rinunciando ai propri poteri regolatori, per addivenire ad una disciplina incentrata sul
diritto della concorrenza, costituendo questo un ulteriore ostacolo. Comunque, alcuni
auspicano che i soggetti operanti nel settore diano un’interpretazione restrittiva delle
norme, recuperando il carattere transitorio ed eccezionale della disciplina ex ante, e la
sua funzionalità verso l’instaurazione di una normativa basata sul diritto della
concorrenza. Ciò nonostante si noti che anche l’attività regolatoria si pone con
particolare importanza nel momento in cui essa persegue degli obiettivi ulteriori
rispetto alla semplice promozione della concorrenza, quali la tutela dei consumatori e
in particolare i disabili, o l’innovazione e lo sviluppo tecnologico, ecc. che nel settore
considerato ricoprono un ruolo particolarmente importante; si tratta di obiettivi di
primissimo piano che comunque devono necessariamente essere garantiti e assicurati.
Tra l’altro la stessa Direttiva Quadro, nel sottolineare l’importanza che per i cittadini
2
I. CHIEFFI, “Competenze dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e della Commissione nel nuovo quadro
normativo comunitario e italiano per le comunicazioni elettroniche”, in “Rivista italiana di diritto pubblico
comunitario”, 2004, p. 483.
289
riveste l’accesso ad una infrastruttura delle comunicazioni poco costosa e
comprensiva di un’ampia gamma di servizi, pone tale obiettivo che potrà essere
perseguito soltanto aprendo da una parte alla concorrenza, ma dall’altra all’innegabile
tutela che deve essere garantita a questi ulteriori interessi pubblici. La regolazione
che dovrà garantire tali interessi dovrà necessariamente essere tecnicamente neutrale
così da non discriminare le varie tecnologie e da alterare il gioco concorrenziale.
In sostanza l’ispirazione originaria della riforma comunitaria non sembrerebbe essere
orientata a ritenere ancora superato il quesito relativo alla prevalenza o al
coordinamento delle due discipline, e pertanto non sembra possibile, allo stato attuale
delle cose, poter dare ancora un giudizio netto sulla prevalenza dell’una o dell’altra;
anzi entrambe si rendono necessarie, nel momento in cui la regolazione permette di
definire fattispecie altrimenti difficilmente sanzionabili tramite le procedure antitrust
(si pensi alla figura della posizione dominante collettiva, scarsamente usata dal diritto
antitrust), o, in particolare, di tutelare, come visto poco fa, interessi ulteriori e di
fondamentale importanza rispetto alla concorrenza; inoltre un ruolo di primo piano va
riconosciuto al sistema di soft law che permette di disporre una disciplina più
“leggera”, che garantisca un’integrazione più graduale dei principi in essa contenuti.
In sostanza si può riconoscere alla riforma il ruolo di via intermedia rispetto alla
effettiva primazia del diritto della concorrenza, una via intermedia consistente
nell’introduzione di un diritto che potremmo definire “diritto speciale della
concorrenza”.
La complessità e la continua evoluzione della materia considerata si rispecchiano
anche nel sistema di ripartizione delle competenze legislative da attribuirsi ora allo
Stato ora alle Regioni o ad ulteriori unità territoriali: un sistema che indubbiamente
risente di tensioni opposte che da una parte spingono verso la necessità di una
disciplina uniforme, che possa garantire efficacemente una certa omogeneità su tutto
il territorio nazionale al fine dell’applicazione concreta di principi quali quello di non
discriminazione, principio a cui si ispira l’intero Codice, ma dall’altra tali esigenze
spingono verso la necessità di garantire l’autonomia regionale e le relative funzioni
290
spettanti alle Regioni stesse. Portatrice di queste esigenze contrapposte risulta essere
la sentenza della Corte Costituzionale n. 336/2005, nella quale le Regioni di Toscana
e Marche sostengono che alcune norme del Codice in realtà sono contrarie a quanto
la Costituzione sancisce agli artt. 117 e 118 in materia di ripartizione delle
competenze legislative tra Stato e Regioni, sostenendo che il Codice
3
dispone una
disciplina eccessivamente dettagliata ed autoapplicativa che non consentirebbe
alcuno spazio per l’intervento legislativo delle stesse Regioni. La Corte in tale
sentenza effettua un’attività di particolare importanza giungendo a disporre una sorta
di conciliazione tra le esigenze delle autonomie locali e la necessità che nel settore
considerato si disponga una disciplina di principio a carattere unitario; attività questa
che oltre a sottolineare il ruolo di primo piano che in questo campo viene svolto dalle
sentenze della stessa Corte (che risulteranno essere una sorta di momento di verifica
del funzionamento dell’intero settore), svolge una funzione di primaria importanza
che non era riuscita al Codice stesso, spesso particolarmente confuso nel disporre
l’attribuzione delle funzioni legislative a Stato, Regioni ed Enti locali.
La stessa evoluzione tecnica ha reso possibile il fenomeno della convergenza
tecnologica, con la quale si spezza quel rapporto preferenziale tra mezzi e servizi che
caratterizzava il sistema precedente, per accogliere un sistema che, tramite l’utilizzo
di un solo mezzo, permette la fruizione di una serie amplissima di servizi
4
; il
fenomeno della convergenza tecnologica ha modificato pertanto lo scenario nel
presupposto base di corrispondenza mezzi/servizi, il che a sua volta ha avuto delle
ripercussioni di non poco conto circa il quadro normativo tradizionale: in tal senso si
è assistito ad un passaggio da un “diritto dei media”, concepito come la sommatoria
di una serie di discipline settoriali, ad un “diritto della convergenza” inteso come una
disciplina incentrata sulla neutralità tecnologica necessaria per approntare una tutela
completa e basata sull’assenza di distinzione in base al tipo di mezzo utilizzato, per
3
Nelle norme impugnate.
4
Basti pensare in questo senso all’evoluzione che la telefonia mobile ha avuto in questi anni, per notare che siamo
passati da telefoni cellulari con i quali era permesso “soltanto” di effettuare delle chiamate telefoniche, ai telefoni
cellulari di “ultima generazione” con i quali si rende possibile non solo inviare in tempo reale immagini, suoni e testi,
ma addirittura seguire programmi televisivi e tenersi sempre informati sul traffico.
291
garantire la fruizione dei relativi servizi
5
. A sostegno di quanto appena detto, si nota
che a partire dal Libro Verde del 1997
6
e dalla successiva Comunicazione del 1999
7
,
l’intento del legislatore comunitario è stato quello di pervenire alla realizzazione di
un convergenza regolamentare, che facesse seguito alla suddetta convergenza
tecnologica. Le indicazioni che sono state date in questi due atti, vengono recepite
nella disciplina comunitaria disposta nel 2002 che comporta la sostituzione, ad una
regolamentazione verticale delle reti, di una regolamentazione orizzontale
dell’insieme di infrastrutture, la quale copra tutte le reti e i servizi di comunicazione
elettronica; tale esigenza è fatta propria dal considerando n. 5 della dir. 2002/21/CE
(Direttiva quadro), secondo il quale “la convergenza dei settori delle
telecomunicazioni, dei media e delle tecnologie dell'informazione implica l'esigenza
di assoggettare tutte le reti di trasmissione e i servizi correlati ad un unico quadro
normativo”. Al fine di realizzare il processo suddetto, il legislatore comunitario
stabilisce l’esigenza di separare la disciplina dei mezzi di trasmissione da quella dei
contenuti dei servizi offerti sulle reti di comunicazione elettronica, che restano
disciplinati, per espresso riferimento dato dalla direttiva stessa, dalla dir. 89/552/CE
8
come modificata dalla dir. 97/36/CE
9
. Ciò nonostante, la ricomprensione delle reti di
trasmissione delle radiodiffusioni, nel campo di applicazione delle direttive del 2002
viene effettuata esplicitamente dalla stessa Direttiva Quadro, in quanto all’art. 2 lett.
a) questa definisce le “reti di comunicazioni elettroniche” come “i sistemi di
trasmissione e, se del caso, le apparecchiature di commutazione o di instradamento e
altre risorse che consentono di trasmettere segnali via cavo, via radio, a mezzo di
fibre ottiche o con altri mezzi elettromagnetici, comprese le reti satellitari, le reti
terrestri mobili e fisse (a commutazione di circuito e a commutazione di pacchetto,
5
P. CARETTI, “Diritto dell’informazione e della comunicazione”, Bologna, il Mulino, 2004, p. 180.
6
“Libro verde sulla convergenza tra i settori delle telecomunicazioni, dell’audiovisivo, e delle tecnologie
dell’informazione e sulle implicazioni normative”, del 3 dicembre 1997, COM (1997), 623.
7
Comunicazione della Commissione, “Verso un nuovo quadro per l’infrastruttura delle comunicazioni elettroniche e i
servizi correlati. Esame del 1999 del quadro normativo delle comunicazioni”, COM (1999), 539.
8
In base allo stesso considerando n. 5 della direttiva quadro, infatti, ”il contenuto dei programmi televisivi è
disciplinato dalla direttiva 89/552/CEE del Consiglio del 3 ottobre 1989, relativa al coordinamento di determinate
disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti l'esercizio delle attività
televisive”.
9
D. IELO, L. MUSSELLI, “Concorrenza e regolazione nel nuovo codice delle comunicazioni elettroniche”, in “Foro
amministrativo: TAR”, 2004, pp. 1952 ss.
292
compresa Internet), le reti utilizzate per la diffusione circolare dei programmi
sonori e televisivi, i sistemi per il trasporto della corrente elettrica, nella misura in
cui siano utilizzati per trasmettere i segnali, le reti televisive via cavo,
indipendentemente dal tipo di informazione trasportato”.
A livello nazionale, l’attuazione di tale disciplina non risulta perfettamente conforme
alle prescrizioni sancite a livello comunitario dalle direttive di “seconda
generazione”; in particolare, se da una parte il Codice delle comunicazioni
elettroniche abbraccia in maniera completa la definizione di “reti di comunicazione
elettronica” disposta dalla Direttiva, dall’altra pone una norma che vanifica tutto lo
sforzo effettuato a livello comunitario: ci riferiamo all’art. 2, comma III in base al
quale “rimangono ferme e prevalgono sulle disposizioni del Codice le norma speciali
in materia utilizzate per la diffusione circolare di programmi sonori e televisivi”
10
;
tale approccio non appare condivisibile nella misura in cui il Codice si pone
l’obiettivo di dare attuazione alla disciplina comunitaria; pertanto, nella recezione di
tali norme, si prevede da una parte la disciplina delle reti affidata al Codice, dall’altra
quella dei contenuti affidata alla legge di sistema. In questo senso è stato fatto notare
come questa inclusione solo parziale della disciplina inerente al settore televisivo
costituisce una sorta di arresto del fenomeno del “diritto della convergenza”
inaugurato, a livello nazionale dalla l. n. 249/1997.
Tale scelta non rimane fine a se stessa, ma comporta delle conseguenze di non poco
conto per quanto attiene il regime di riparto e assegnazione delle frequenze. In questo
senso le direttive imponevano che ogni decisione al riguardo fosse presa, ispirandosi
a criteri di obiettività trasparenza, non discriminazione, consentendo di poter far salvi
criteri e procedure sancite dagli Stati membri per la concessione di diritti d’uso nei
casi di frequenze scarse. La disposizione contenuta all’art. 27, comma V del Codice,
invece, oltre a ribadire le esigenze disposte dalle direttive, fa salva la specifica
disciplina in materia di concessione delle radio frequenze ai fornitori di servizi del
contenuto radiofonico e televisivo
11
12
. Ancora si dispone un regime differenziato per
10
Rinvio relativo alle disposizioni contenute nella l. n. 112/2004.
11
Senza che la direttiva Quadro preveda niente di simile.
293
la gestione delle radio frequenze a seconda del riferimento a servizi radiotelevisivi o
ad altre comunicazioni elettroniche contravvenendo alle disposizioni comunitarie
13
.
Le difformità tuttavia non si fermano qui, ma proseguono sul terreno dei titoli
abilitativi; sotto tale profilo, se da una parte il Codice recepisce le disposizioni dettate
dalla direttiva 2002/20/CE (direttiva Autorizzazioni) indirizzate a realizzare un
sistema incentrato sul venir meno del potere discrezionale in capo alle
amministrazioni per il rilascio di tali autorizzazioni, così da realizzare un sistema di
autorizzazioni generali che fungano da “quadro normativo” di settore piuttosto che da
veri e propri atti amministrativi
14
, dall’altra si congela tale sistema facendo salva la
vigenza dei titoli in corso e contravvenendo alle disposizioni comunitarie che
prevedevano una scadenza anticipata dei titoli preesistenti
15
rischiando di annullare
l’obiettivo di liberalizzare l’accesso al mercato tramite lo strumento
dell’autorizzazione generale. Inoltre il decreto, nel far salve procedure speciali per
accedere a risorse scarse
16
quali quelle dell’audiovisivo, rinvia ancora alla disciplina
disposta dalla legge “Gasparri” la quale dispone una sanatoria per l’illegittima
occupazione sine titulo delle risorse disponibili e pretende di effettuare una selezione
dell’operatore in base a giudizi di carattere tecnico/discrezionale. Proprio in relazione
a tale punto il Codice e la legge “Gasparri” “calpestano la regola della convergenza”,
rompendo l’unità della disciplina dell’accesso alle risorse, introducendo sistemi
diversi in relazione al mercato a cui si fa riferimento
17
.
12
P. CARETTI, op. cit., p. 208
13
In questo senso, nell’ipotesi di radiofrequenze per servizi radiotelevisivi, l’art. 14, comma II censura il frequency
trading, sancendo che vengano fatte salve le disposizioni in materia di radiodiffusione sonora e visiva, restringendo la
possibilità di trasferire su base commerciale i diritti d’uso delle frequenze con scarsa disponibilità ai soli operatori di
telecomunicazioni, contravvenendo alla disposizione prevista all’art. 9 Direttiva Quadro che sancisce la possibilità di
trasferire le frequenze tra imprese, imponendo semplicemente che le relative procedure siano rese pubbliche e tenute
sotto controllo dall’AGCOM.
14
Limitando peraltro il ricorso alle licenze individuali nei casi particolari di diritti d’uso individuali.
15
A norma dell’art. 17, comma I della direttiva Autorizzazioni che prevede che “al più tardi entro la data di
applicazione indicata all'articolo 18, paragrafo 1, secondo comma (ovvero il 25 luglio 2003), gli Stati membri
allineano alle disposizioni della presente direttiva le autorizzazioni preesistenti alla data in cui essa entra in vigore”.
16
Come previsto dalla direttiva stessa.
17
G. DE MINICO, “Decreto di recepimento del pacchetto direttive CE in materia di comunicazioni
elettroniche:conformità o difformità dal diritto comunitario?”, in “Politica del diritto”, 2003, p. 438.
294
Infine, ultimo campo in cui il Codice non sembra rispondente alla disciplina dettata
dalle direttive, risulta quello relativo al ruolo che, nel nuovo sistema, deve ricoprire il
Ministero delle Comunicazioni, rispetto a quello dell’AGCOM.
In tal senso l’Autorità Garante per la Concorrenza e il Mercato
18
ha dimostrato delle
perplessità in quanto, se da una parte le Direttive comunitarie individuavano nelle
Autorità Nazionali di Regolazione il soggetto più indicato a svolgere funzioni di
regolazione nel settore (soprattutto in base a orientamenti comunitari che tendono a
conferire una posizione di particolare rilievo in settori di rilevanza economica, a
soggetti dotati di caratteristiche quali l’imparzialità e l’indipendenza da qualsiasi
influsso politico), tali funzioni risultano attribuite, oltre che all’AGCOM, anche al
Ministero delle comunicazioni, in base ad una norma che nell’affermare che “nello
svolgere le funzioni di regolamentazione indicate nel Codice (…) il Ministero e
l’Autorità, nell’ambito delle relative competenze, adottano tutte le misure ragionevoli
e proporzionate intese a conseguire gli obiettivi generali (…)”
19
, sembra configurare
una fungibilità dei due organi, nell’esercizio delle funzioni menzionate con
conseguente rischio di una sovrapposizione i competenze
20
. Tra i poteri a cui si fa
menzione vi sono quelli che prevedono il Ministero come il soggetto incaricato a
ricevere le Dichiarazioni di Inizio Attività e a verificare la sussistenza dei presupposti
disposti nell’autorizzazione generale (in verità in tal caso c’è chi sostiene che, visto la
nuova disciplina delle autorizzazioni generali e visto che la stessa autorizzazione
perde tutto il carattere amministrativo e discrezionale che aveva in precedenza, il
potere ministeriale risulti molto ridimensionato
21
), a concedere i diritti individuali
d’uso (ex art. 27) e a prendere decisioni circa la cessione di diritti individuali d’uso
(art. 14). In particolare inoltre, si tende a sottolineare la violazione di disposizioni
quali l’art. 3, comma II della Direttiva Quadro, dove si stabilisce che “gli Stati
membri che mantengono la proprietà o il controllo di imprese che forniscono reti e/o
18
Con parere AS267 del 22 maggio 2003 a proposito del nuovo Codice delle comunicazioni elettroniche.
19
Art. 13, comma I Codice.
20
D. IELO, L. MUSSELLI, op. cit., p. 1957.
21
F. M. SALERNO, “Soggetti, funzioni e procedure della regolazione”, in M. CLARICH, G. F. CARTEI (a cura di), “Il
codice delle comunicazioni elettroniche”, Milano, Giuffrè, 2004, p. 85.
295
servizi di comunicazione elettronica provvedono alla piena ed effettiva separazione
strutturale delle funzioni di regolamentazione dalle attività inerenti alla proprietà o
al controllo”; essendo questo il caso italiano, sembra che l’attribuzione di funzioni di
questo tipi a favore del Ministero non assolva certamente al dettato della norma in
commento.
Comunque, tracciando un quadro complessivo del sistema, si può notare che se da
una parte sussistono inequivocabilmente le contraddizioni appena accennate,
dall’altra indubbiamente il processo di liberalizzazione ha portato a dei risultati
positivi che hanno comportato un soddisfacente livello di concorrenzialità dei mercati
(il che ha indubbiamente agevolato gli utenti facendo aumentare il numero degli
operatori che offrono questo tipo di servizi sempre più differenziati per qualità e
gamma e conseguentemente anche un calo dei prezzi), una sempre maggior qualità
delle reti, uno sviluppo dei servizi tecnologicamente più avanzati in particolari di
quelli a banda larga.