5
c), della legge 15 marzo 1997, n.59”, pubblicato sul
supplemento n.80/L alla G.U. n.95 del 24 aprile 1998.
La riforma della disciplina del commercio è risultata
essere un processo ambizioso ma necessario.
Il riordino della suddetta disciplina era, da tempo, una
delle priorità che il Parlamento si era dato nel corso delle
ultime legislature.
L’esigenza di riformare la normativa di settore, vecchia
oramai di trent’anni, era prospettata da più parti con sempre
maggiore insistenza e autorevolezza, e la legge n.59/97 ha
offerto all’esecutivo lo strumento per realizzare uno degli
obiettivi principali del legislatore, in tempi rapidi, attraverso
l’esercizio della delega legislativa ivi contenuta.
L’iter del decreto n.114/98 non è stato – nonostante le
premesse – dei più facili, costellato invece da critiche
durissime, non sempre obiettivamente giustificate, e da aspre
polemiche da parte – soprattutto – degli organismi
esponenziali del settore a livello nazionale, forse anche
opportunisticamente preoccupati per la previsione di un
rinfocolarsi della concorrenza, soprattutto in settori che per
decenni hanno beneficiato di meccanismi di protezione,
meccanismi purtroppo ipotetici perché, è doveroso ed
opportuno evidenziarlo, i vincoli amministrativi non sono
riusciti ad impedire la crisi del piccolo commercio.
C’è chi, come il Presidente della CONFCOMMERCIO – S.
Billè – è giunto a parlare di liberalizzazione selvaggia
dell’attività commerciale, anche se mi sembra che tale
previsione si sia tutt’altro che verificata nella nuova realtà
normativa.
6
Basta scorrere i 31 articoli, di cui si compone il decreto
in commento, per rendersi conto che il commercio – anche
dopo la riforma – continuerà ad essere un settore ad alto
tasso di regolazione, né è pensabile che qualcuno si
attendesse la legittimazione di un esercizio incontrollato (e
incontrollabile) dell’attività commerciale.
Il D.Lgs.114/98 ha, comunque, cercato di rispondere alle
sollecitazioni espresse da parte dell’Autorità Antitrust così
come dalle Associazioni di categoria, anche se si pone come
una legge di principi e, in quanto tale, risulta essere priva di
disposizioni dettagliate. Del resto la materia del commercio
non è ricompresa tra quelle che l'art.1 della legge n.59/97
riserva allo Stato, pur non essendo, viceversa, tra quelle
costituzionalmente di competenza regionale, non rientrando
tra le materie elencate nell’art.117 della Costituzione: di qui
la scelta del legislatore delegato di dettare i principi sulla
materia, demandando la normativa di dettaglio alle Regioni.
Liberalizzazione, semplificazione burocratica e
legislativa, decentramento sono i pilastri – utilizzando
un’espressione dell’allora Ministro dell’Industria, On. P.
Bersani – attorno ai quali ruota l’intera riforma.
I punti salienti di questa riforma sono rappresentati, in
primo luogo, dall’abolizione del Registro degli esercenti il
commercio (REC), che è rimasto in vigore per le sole attività
di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande.
Ispirato poi al principio di semplificazione amministrativa
è stato il drastico ridimensionamento del sistema delle
preventive autorizzazioni comunali per l’esercizio del
commercio, previste ora solo per le medie e grandi strutture
7
di vendita, mentre per le piccole strutture – quelle che il
decreto Bersani indica come esercizi di vicinato – è oggi
sufficiente una semplice comunicazione al Comune
competente.
Il D.Lgs.114/98 oltre a prevedere l’abolizione del REC ha
anche eliminato le precedenti 14 tabelle merceologiche che
sono, invece, accorpate in due soli settori (alimentare e non
alimentare) nell’ambito dei quali l’esercente l’attività
commerciale ha la facoltà di vendere tutti i prodotti relativi.
Ispirato al principio del decentramento di funzioni agli
enti locali è il conferimento alle Regioni di ampi poteri
normativi e amministrativi – molto più estesi rispetto a quelli
previsti nella previgente legge 11 giugno 1971, n.426 – che
comprendono la potestà di disciplinare l’insediamento delle
attività commerciali, l’adozione di norme urbanistiche riferite
al settore, la programmazione degli insediamenti. Sempre
alle Regioni sono poi affidati ampi poteri normativi
nell’ambito del più ampio progetto di revisione della
disciplina del commercio al dettaglio su aree pubbliche.
Innovativamente il decreto in esame disciplina anche
quest’ultima forma di attività commerciale, tradizionalmente
sottoposta a separata normazione rispetto a quella svolta in
sede fissa su area privata.
Dettata in adempimento ai principi della libera
disponibilità da parte degli esercenti e della flessibilità nel
corso della giornata risulta essere la nuova disciplina
introdotta dal decreto Bersani in tema di orari di vendita.
Altri elementi di peculiare novità contenuti nel decreto
Bersani sono rappresentati dalla liberalizzazione, a far data dal
8
24 aprile 1999, della vendita di giornali e riviste ma anche
dall’attribuzione al Ministero dell’Industria di nuovi compiti
finalizzati alla promozione dell’introduzione e dell’utilizzo del
commercio elettronico.
Nelle intenzioni del Governo vi era la volontà di creare un
sistema distributivo moderno e di qualificare il piccolo
commercio, togliendo vincoli burocratici e decentrando.
A poco più di un mese dall’entrata a pieno regime della
riforma (tra il 4 ed il 10 marzo 1999), la CONFESERCENTI in
collaborazione con la SWG, ha condotto un’indagine su un
campione di 400 dettaglianti, dalla quale è risultato come il
grado di informazione sul provvedimento fosse ancora
notevolmente basso, risultando, i contenuti del decreto,
conosciuti solamente dal 42% degli intervistati.
Il Presidente Nazionale della CONFESERCENTI – M.
Venturi – sottolineava, in merito, come fosse necessario
alzare il tiro dell’informazione, avallando un progetto di
collaborazione con il Ministero dell’Industria per promuovere
una campagna di capillare informazione che coinvolgesse
tutti gli operatori.
Il decreto Bersani è oramai entrato in pieno vigore –
dopo il decorso della fase c.d. transitoria – da quasi due anni.
Sicuramente importanti innovazioni sono state introdotte
– fondamentali soprattutto per quanto riguardo l’apertura di
nuove strutture di vendita di piccole dimensioni – ma nella
realtà quotidiana degli utenti e dei piccoli dettaglianti, la
9
liberalizzazione del commercio ha avuto, nel suo primo
periodo di applicazione, modesti effetti.
In base ad un sondaggio – svolto telefonicamente
all’interno di un campione di 404 operatori commerciali di
età superiore ai 18 anni, nei giorni 12-19 aprile 2000 –
sempre effettuato dalla SWG in collaborazione con la
CONFESERCENTI, si evidenzia come i commercianti abbiano
in parte colto le opportunità legate alla flessibilità agli orari e
all’estensione della superficie di vendita, non risultando però
modificata la gamma di prodotti venduti, come a dire che
l’abolizione delle tabelle merceologiche, nella piccola
distribuzione, non ha spiegato in pieno i suoi effetti.
Questo atteggiamento è forse spiegabile con la grande
importanza della specializzazione come strumento di
concorrenza verso i distributori organizzati, motivo per cui
modificare le categorie di prodotti venduti, se non con piccoli
aggiustamenti, può essere una scelta errata dal punto di vista
strategico.
Il negozio di vicinato, sembra continui ad avere la sua
ragion d’essere proprio nella particolarità dei prodotti che
offre, ed una volta caratterizzatosi per una scelta perderebbe il
suo vantaggio competitivo a modificarla.
Problematico è poi risultato l’adempimento da parte delle
Regioni e dei Comuni dei molteplici compiti loro attribuiti dal
decreto. Notevoli sono stati i ritardi, gli inadempimenti,
diverse le procedure sostitutive che è stato necessario attivare
da parte del Ministero dell’Industria.
Proprio a denuncia di questo stato delle cose, legato ad
un grande svantaggio degli esercizi di vicinato rispetto alla
10
grande distribuzione – che, evidentemente, neanche la
liberalizzazione relativa all’avvio di esercizi di vicinato, ha
saputo colmare – la CONFESERCENTI ha diffuso in data 23
maggio 2000 un comunicato stampa nel quale veniva
promossa un’iniziativa, denominata “Cento autobus in cento
città”, per informare i cittadini sui contenuti della riforma
Bersani e per denunciare i ritardi nell’attuazione.
Ma, la sfida dell’innovazione e delle progettualità non è,
e non può, essere rimessa solo alle Regioni e ai Comuni.
Investe anche altri enti pubblici come le Camere di
Commercio, oltreché i soggetti associativi e, più in generale,
le forze imprenditoriali.
Tutti sono chiamati a ripensare il proprio ruolo, alla luce
di un nuovo modo di interagire tra economia e istituzioni, tra
il mondo delle amministrazioni pubbliche e il mondo delle
imprese commerciali.
Come affermato dall’On. P. Bersani, la riforma ha dato
vita ad un nuovo patto tra esercenti commercianti, enti locali
e Stato.
11
I
I MOTIVI DELLA RIFORMA
1.1. La riforma amministrativa sotto la spinta
europea
L’inizio del decennio ha significato per il diritto
amministrativo l’avvio di un periodo di profonde e radicali
modificazioni, importanti al punto tale da far pacificamente
considerare gli anni novanta come “l’età della riforma
amministrativa”
1
, e l’aspetto che maggiormente l’ha
caratterizzata, alla luce anche del Trattato di Maastricht e del
successivo Trattato di Amsterdam
2
, è dato da un incessante e
progressivo processo di “europeizzazione”
3
, manifestatosi
attraverso la modificazione di istituti e principi del diritto
amministrativo nazionale, sotto l’influenza del diritto europeo.
Gli Stati membri, infatti, hanno proceduto, e tuttora
procedono, a sempre più incisive integrazioni, internazionali e
sovranazionali, continuando così quel processo di
1
Il Dott. A. LIROSI, nel corso di una lezione, tenutasi in data 12 dicembre 1998, ha definito il 1990 come “l’anno di
cesura tra il vecchio ed il nuovo diritto amministrativo…l’anno zero del diritto amministrativo”
2
Il Trattato di Maastricht è stato ratificato in Italia con la legge 3 novembre 1992, n. 454 ed è entrato in vigore il 1°
novembre 1993. Il Trattato di Amsterdam , firmato il 2 ottobre 1997, è entrato in vigore solo il 1° maggio 1999, essendo
intervenuta solo alla fine del mese di aprile 1999 la ratifica della Francia.
3
A cura di M.P. CHITI, G. GRECO, Trattato di diritto amministrativo europeo, Milano, Giuffrè, 1997, parte generale,
Introduzione.
12
progressiva integrazione che è alla base dell’intero progetto
europeo, secondo quanto sancito negli stessi Trattati.
È oggi opinione largamente diffusa che, l’entrare in
sintonia con l’ispirazione che pervade l’ordinamento
comunitario è un obiettivo che non può essere differito
4
, né
fallito.
Il problema non è più, allora, quello di un passivo e
acritico adagiarsi sulle posizioni che in sede comunitaria
vengono maturando, quanto piuttosto quello di aderire ad
esse mossi dalla convinzione che, attraverso la valorizzazione
dei diritti dei singoli e dei gruppi, coniugata con il
depotenziamento della funzione legislativa, il tessuto
democratico, lungi dal subire una regressione, ne ricava
invece un rafforzamento, e che, una più corretta dialettica tra
previsioni costituzionali e funzione legislativo –
amministrativa, può favorire il recupero del principio di
certezza del diritto e dei rapporti giuridici
5
.
Il tema della riforma amministrativa è poi reso ancora più
complesso dal fatto che non è più possibile limitarsi a delle
“modernizzazioni”
6
all’interno del tradizionale modello teorico
utilizzato per ricondurre il fenomeno amministrativo entro
schemi definiti, perché la riforma passa oggi attraverso la
rivisitazione stessa di questo modello, in assenza della quale,
la distanza che separa le nostre istituzioni amministrative da
quelle degli altri Paesi europei sarebbe destinata ad
aggravarsi in modo progressivo e irreversibile.
4
A. ZITO, La riforma dell’amministrazione comunitaria e principio di responsabilità: prime riflessioni in margine alla
legge 15 marzo 1997, n. 59, in Rivista di diritto pubblico comunitario, 1997, n. 3-4, pag. 679.
5
A. ZITO, Op. cit., pag. 679
6
A. ZITO, Op. cit., pag. 680
13
L’obiettivo diventa allora quello di incrementare la
funzionalità degli apparati amministrativi e l’efficienza
dell’azione, scopi raggiungibili solo attraverso il
perseguimento di una razionalizzazione organizzativa, della
semplificazione, dello snellimento dei procedimenti e della
ridefinizione dei controlli.
Quasi inevitabilmente, l’ordinamento del diritto
amministrativo viene allora ad assumere un aspetto, per certi
versi, “binario”
7
, dal quale si fanno discendere effetti di
conformazione e di imitazione, in capo agli Stati e tra gli
Stati, realizzando così una, sia pur lenta, convergenza
reciproca dei diritti amministrativi nazionali.
In Italia, questa tendenza è testimoniata da un consistente
incremento della produzione legislativa, che si palesa non
solo nell’organizzazione e nell’attività della P.A., ma anche
nel rapporto tra questa e il privato.
7
S. CASSESE, Diritto amministrativo comunitario e diritti amministrativi nazionali, in Trattato di diritto
amministrativo europeo, (a cura di M.P. CHITI, G. GRECO), parte generale, Milano, Giuffrè, 1997, pag. 11.
Sul tema cfr. anche S. CASSESE, Il problema della convergenza dei diritti amministrativi: verso un modello
amministrativo europeo?, in Rivista trimestrale di diritto processuale civile, 1992, pag. 467; S. CASSESE, L’influenza
del diritto amministrativo comunitario sui diritti amministrativi nazionali, in Rivista italiana di diritto pubblico
comunitario, 1993, pag. 329; S. CASSESE, Il diritto amministrativo comunitario e la sua influenza sulle
amministrazioni pubbliche nazionali, in Diritto amministrativo comunitario, Rimini, 1994, pag. 17.
14
1.2. L’influenza comunitaria nella disciplina del
commercio
Una volta chiarita l’importanza e la portata dell’influenza
comunitaria sul diritto amministrativo nazionale, è però
necessario specificare che, diversamente da quanto è
avvenuto in altri settori economici, in quello del commercio
l’influenza della CE non può dirsi essere stata fino ad oggi
particolarmente consistente, sottolineando inoltre il fatto che
si è trattato, nella maggior parte dei casi, di interventi
indiretti, mediati, all’interno delle politiche attuate nei diversi
settori in cui la Comunità esplica la propria competenza di
attribuzioni, e questo ha portato, parte della dottrina, ad una
sorta di scetticismo, generando forti dubbi sul fatto che in
tema di commercio possa mai darsi un’immediata influenza
del diritto comunitario
8
.
Inoltre, le misure normative della Comunità che si
riferiscono direttamente al commercio, sono – salvo alcune
eccezioni – abbastanza risalenti, e finalizzate ad assicurare
libertà di stabilimento e di prestazione di servizi attraverso la
fissazione di omogenee definizioni delle diverse tipologie di
attività commerciali e dei rispettivi operatori
9
.
8
Tra questi Cnf. M.P. CHITI, Le prospettive di ridefinizione delle funzioni e delle competenze nella disciplina del
commercio: aspetti nazionali e comunitari, in Disciplina del commercio, Roma, Buffetti ed., 1992, n.1 pag. 34
9
Si tratta delle direttive: 64/223/CEE (commercio all’ingrosso); 68/363/CEE (commercio al dettaglio); 75/369/CEE
(agenti di commercio); 64/224/CEE (intermediari di commercio, dell’industria e dell’artigianato); 86/653/CEE (agenti
di commercio).
15
La ragione di questo apparente disinteresse della
Comunità per il commercio deve essere ricercata soprattutto
nella mancanza di una specifica competenza in materia
10
, e
nella convinzione che esso non costituisca un settore cruciale
nella realizzazione di un mercato unico
11
.
L’espressione più importante del diretto intervento
comunitario in materia di commercio è rappresentata dalla
redazione, messa a punto dalla D.G. XV della Commissione,
del “Libro Verde sul commercio” (COM 96/530), avente
come presupposto un approfondito studio su efficacia ed
impatti dell’integrazione del mercato interno
sull’organizzazione e risultati della distribuzione, e che –
insieme con la precedente Comunicazione dell’11 marzo
1991
12
, con cui si pone in una sorta di ideale continuità, e
con la quale costituisce l’unico documento organico adottato
dalla Comunità in materia – indica quest’attività come un
fenomeno di carattere strettamente nazionale, che deve, in
quanto tale, tenere conto delle peculiarità locali.
La stessa Commissione, nel “Libro Verde” ha
espressamente riconosciuto nel commercio un settore che,
per le sue specifiche caratteristiche e per il suo stretto
legame con l’ambito territoriale in cui si svolge, poco si
presta ad un intervento della Comunità di tipo primario
10
Così M.P. CHITI, Referendum e riforma delle leggi sul commercio, in Giornale di diritto amministrativo, 1995, pag.
584
11
L. RIGHI, Commercio e distribuzione, in a cura di M.P. CHITI, G. GRECO, Trattato di diritto amministrativo
europeo, Parte speciale, Vol. I, Milano, Giuffrè, 1997, pag. 430
12
COM 91/41 def. dell’11 marzo 1991, intitolata “Verso un mercato unico della distribuzione”, riprodotta in Disciplina
del commercio, Roma, Buffetti ed., 1991, n. 3, pagg. 213 e ss.
16
rispetto a quello dei singoli Stati membri, lasciando invece
ampio spazio ad un intervento in termini di sussidiarietà
13
.
L’indicazione fondamentale che si può trarre dal “Libro
Verde” è che, per mantenere flessibile e competitivo il
commercio, è necessario che l’intero settore subisca una
sorta di deregolamentazione, avendo come obiettivo primario
quello dello snellimento e della semplificazione legislativa e
amministrativa
14
.
Invero, il nostro ordinamento sta compiendo passi
significativi in questa direzione, grazie ad importanti sviluppi
normativi che, laddove si sono posti nell’ottica di
chiarificazione delle competenze e dello snellimento delle
procedure amministrative, hanno profondamente inciso anche
nel settore che qui interessa.
Nella Comunicazione 41/91, cui prima si faceva
riferimento, intitolata “Verso un mercato unico della
distribuzione”, si legge che “l’attività comunitaria deve
essere, per quanto possibile, libera da vincoli normativi”,
anche se, in sede applicativa, la Corte di Giustizia si è sempre
mostrata cauta nei confronti dei tentativi di risolvere, alla
stregua del diritto comunitario, questioni di diritto interno,
trincerandosi piuttosto dietro un’interpretazione restrittiva dei
principi comunitari, quasi a voler bloccare un’utilizzazione
“strumentale” di questi a fini esclusivamente interni,
nell’ambito di un settore in cui, la marginalità delle esigenze
13
Sul concetto di sussidiarietà, Cnf. S. CASSESE, L’aquila e le mosche. Principio di sussidiarietà e diritti
amministrativi nell’area europea, in Foro italiano, 1995, V, pag. 373; C. FRANCHINI, La Commissione della CE e le
amministrazioni nazionali: dalla ausiliarietà alla coamministrazione, in Rivista italiana di diritto pubblico comunitario,
1993, pag. 669; L. FERRARI BRAVO, E. MOAVERO MILANESI, Lezioni di diritto comunitario, Napoli, Edit,
Scientifica, 1997, II ed.; M.P. CHITI, Principio di sussidiarietà, Pubblica amministrazione e diritto amministrativo, in
Diritto Pubblico, 1996, pag. 789
14
Cnf. il “Libro Verde del commercio”, par. 37 e parr. 69 e ss.
17
di apertura all’esterno dei mercati nazionali, giustifica un
intervento della CE solo in termini di stretta sussidiarietà
15
.
Dalla giurisprudenza comunitaria è però possibile
dedurre un’importante principio, e cioè che, se è vero che le
norme comunitarie possono essere opposte anche allo Stato,
esse non possono però essere interpretate quali impedimenti
all’adozione, da parte di questo, di qualsiasi misura, anche
restrittiva, tanto più se finalizzata alla tutela di interessi
pubblici rilevanti.
Dunque, anche se l’influenza comunitaria assume un
peso sempre crescente, non è ancora possibile – soprattutto
in materia di commercio – configurare una sostituzione totale
degli organi della CE alle autorità statali, cui rimangono
riservati ambiti di competenza esclusiva, salvi gli interventi
comunitari in funzione sussidiaria per le materie che sono
considerate di concorrente competenza tra Stato e CE
16
.
Per il resto la materia che qui interessa risulta
indirettamente interessata da una serie di misure normative,
per la verità particolarmente consistente, adottate nell’ambito
delle politiche comunitarie, che risultano essere, con la
disciplina del commercio, in rapporto di stretta connessione.
Tra queste vanno ricordate soprattutto la normativa
attinente l’armonizzazione tecnica in materia di composizione
dei prodotti, loro imballaggio, etichettatura, quella riguardante
il trasporto delle merci, il sostegno delle piccole e medie
imprese, ecc.
15
L. RIGHI, Op. cit., pag. 432
16
Tali competenze vanno peraltro dedotte dai Trattati, non essendo individuabile in questi un’elencazione tassativa
delle materie considerabili a competenza concorrente.
18
Se dunque – ferma restando la segnalata influenza
indiretta sul commercio di molte politiche comunitarie – non
è attualmente ipotizzabile un diretto intervento comunitario
nel settore, che vada al di là di programmi finalizzati a favorire
l’informazione o la modernizzazione delle imprese
commerciali
17
, né un’immediata concorrenza tra il Trattato e
la disciplina nazionale in materia, ciò non significa tuttavia
che dal livello comunitario non possano trarsi delle precise
indicazioni circa le linee di sviluppo che anche il nostro
Paese deve seguire nell’interesse di un equilibrato sviluppo
del proprio sistema distributivo.
Ciò nonostante, e pur nella varietà di impostazioni
seguite dalle diverse legislazioni nazionali
18
, l’ordinamento
italiano continua a segnalarsi per un’impostazione più
vincolistica rispetto agli altri Stati membri, anche dopo – lo
anticipiamo – l’intervenuta riforma della disciplina di settore.
17
Cfr. ancora il “Libro Verde”, cap. 2
18
Ancora il “Libro Verde” sottolinea come il commercio all’interno dell’UE è caratterizzato dalla diversità degli
elementi economici, demografici, giuridici, fiscali e culturali nazionali di ciascuno Stato membro.