diretto della direttiva MIFID sui mercati degli strumenti finanziari continentali,
approvata nel 2004 ed entrata in vigore con l’inizio di novembre in tutti i Paesi
dell’Unione.
La prima legge comunitaria sui servizi di investimento ( 1993), per la verità,
non imponeva tassativamente di concentrare in Borsa gli scambi azionari sui
titoli quotati ma consentiva ai singoli Paesi di rendere obbligatorio quel
percorso. Una opzione che molti, direttamente o indirettamente, hanno
utilizzato. Dieci anni dopo l’Europa della finanza era cambiata.
I mercati finanziari erano diventati più grandi e integrati tra loro, era inoltre
cresciuta l’influenza degli intermediari finanziari internazionali, mandando in
archivio la vecchia regola della “concentrazione”, preferendo ad essa una
“massima armonizzazione”.
La direttiva riorganizza completamente i servizi di investimento, nel cui ambito
è stata inclusa anche la consulenza in materia finanziaria.
Sebbene molte regole riguardino tutti gli strumenti finanziari, la MIFID si
rivolge principalmente agli scambi azionari.
E per ora l’obiettivo di massima armonizzazione non riguarderà il mercato
delle obbligazioni.
La fine del monopolio delle Borse è stato accompagnato da robusti incentivi
per promuovere una maggiore competizione tra le possibili piattaforme di
negoziazione e dall’introduzione di norme di comportamento più rigide che gli
intermediari dovranno rispettare nei confronti dei loro clienti. E’ stata
soprattutto rafforzata la regola di best execution, cioè di eseguire un ordine
del cliente alle migliori condizioni.
Non solo. Sono stati introdotti standard di informazione pre e post-
negoziazione, per rendere possibile la connessione di tutte le potenziali
piattaforme di negoziazione.
Così da aiutare gli investitori e i loro intermediari a trovare il “prezzo giusto”.
Dunque la direttiva non suscita soltanto speranze ma anche preoccupazioni.
Il pericolo che in questi mesi è stato da più parti lamentato è che questi sforzi
non siano sufficienti e che il risultato non sarà quello auspicato dal legislatore.
Il rischio della massima armonizzazione è quello di portare con sé una
frammentazione degli scambi e una minore qualità del prezzo delle azioni.
Il mercato si prepara alla MIFID
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Il cammino che ha portato alla MIFID era probabilmente già segnato da
quando, alla fine degli anni 90’, gli exchange avevano abbandonato la loro
precedente natura mutualistica, trasformandosi in società per azioni. Quel
loro vecchio vestito era coerente con una missione pubblicistica che trovava il
suo fondamento nel ruolo di finanziamento dell’economia reale.
Ma su quelle ragioni, in nome delle quali anche il monopolio delle Borse era
stato sempre giustificato, ha prevalso una tendenza al cambiamento che
consentisse ai mercati regolamentati di crescere e abbandonare l’originaria
dimensione localistica.
Nel 1999 un rapporto della Losco, l’associazione delle Consob mondiali,
rilevò che 15 delle 52 principali Borse al mondo si erano già demutualizzate
trasformandosi in Spa, e altre 30 erano incamminate sulla stessa via. Dopo
pochi anni un nuovo trend si è imposto, spinto dalle medesime ragioni: la
quotazione. E’ stato ancora una volta uno studio dello Iosco a censire il
fenomeno a metà del 2006: 18 Borse tra le quali le piazze di New York,
Londra, Francoforte, avevano già completato l’ingresso nel listino.
E, con la quotazione, nei fatti, si erano indebolite anche le ragioni che
giustificavano la loro posizione dominante nel mercato dei titoli. In fondo la
MIFID - dicono alcuni- si è soltanto limitata a prendere atto dei cambiamenti.
In attesa della nuova cornice normativa si è assistito in questi ultimi tempi a
un crescendo delle iniziative di mercato.
Nel dicembre dello scorso anno il NYSE - Borsa di New York- ha acquistato
Euronext il circuito borsistico che riunisce su base cooperativa i listini di
Parigi, Amsterdam, Bruxelles e Lisbona, dando vita a un mercato
transatlantico nel quale sono quotate oltre 4 mila azioni con una
capitalizzazione complessiva di 26 mila miliardi di dollari. Dopo qualche mese
è stata la volta di Milano che, dopo aver tentato la strada di un circuito
paneuropeo e poi quella di un accordo più circoscritto con Deutsche Borse,
alla fine ha fatto rotta su Londra.
Nel settembre del 2007 la Borsa inglese (LSE) si è fusa con quella italiana
moltiplicando l’offerta di prodotti quotati. Così gli exchange si preparano a
sostenere la sfida. Ma anche gli altri protagonisti di questa partita sono in
azione. Nel febbraio scorso sette tra i più grandi intermediari al mondo:
Citigroup, Goldman Sachs, Merril Lynch, Morgan Stanley, Credit Suisse,
Deutsche Bank e Ubs, hanno annunciato il progetto di creare Turquoise, un
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sistema multilaterale di negoziazione, che si propone di intercettare le
necessità di negoziazione dei grandi investitori istituzionali mondiali oltrechè,
naturalmente sottrarre affari alle Borse regolamentate.
I principi della “buona regolamentazione”
L’occasione del recepimento della direttiva è stata colta dal legislatore italiano
per aggirare i principi della regolamentazione finanziaria. Gli obiettivi di fondo-
la trasparenza e la correttezza degli intermediari, la sana e prudente
gestione, la stabilità e la competitività del sistema - rimangono
sostanzialmente invariati. Ciò che cambia è l’approccio che le Autorità:
Consob e Banca d’Italia, sono invitate ad assumere nello svolgimento delle
proprie funzioni di vigilanza. Rispettando i cosiddetti principi di better
regulation ( buona regolamentazione) di derivazione anglosassone.
Questi - recita il d.lvo di ricezione della MIFID- sono
1. la valorizzazione dell’autonomia decisionale dei soggetti abilitati;
2. la proporzionalità, intesa come criterio di esercizio del potere
adeguato al raggiungimento del fine, con il minore sacrifico dell’interesse dei
destinatari;
3. il riconoscimento del carattere internazionale del mercato
finanziario e la salvaguardia della posizione competitiva dell’industria italiana;
4. l’agevolazione dell’innovazione e della concorrenza.
Come si vede la preoccupazione del legislatore è quella di evitare che
l’industria finanziaria nazionale sia svantaggiata nella competizione normativa
in pieno corso tra gli Stati europei.
Proprio per questo: “Consob e Banca d’Italia potranno imporre obblighi
aggiuntivi a quelli previsti nelle leggi europee soltanto per fare fronte a rischi
specifici per la protezione degli investitori o l’integrità del mercato che non
sono adeguatamente considerati dalle disposizioni comunitarie”.
Una altra importante innovazione, questa volta contenuta nella stessa
direttiva, riguarda il metodo della vigilanza per principi. Alle prese, per
esempio, con la disciplina dei conflitti di interesse gli intermediari non avranno
formali prescrizioni da osservare. Piuttosto, avranno principi da rispettare e
da tradurre in regolamenti interni che l’Autorità di vigilanza dovrà validare.
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L’elenco dei servizi - attività e strumenti finanziari secondo la MIFID
A) Servizi e attività di investimento:
1) ricezione e trasmissione di ordini riguardanti uno o più strumenti
finanziari,
2) esecuzione di ordini per conto dei clienti,
3) negoziazione per conto proprio,
4) gestione di portafogli,
5) consulenza in materia di investimenti,
6) assunzione o collocamento a fermo di strumenti finanziari sulla
base di un impegno irrevocabile,
7) collocamento di strumenti finanziari senza impegno irrevocabile,
8) gestione di sistemi multilaterali di negoziazione
B) Servizi accessori
1) affitto cassette di sicurezza,
2) concessione di crediti -prestiti,
3) consulenza alle imprese,
4) servizio di cambio,
5) ricerca di investimenti,
6) servizi connessi con l’assunzione a fermo,
7) altri servizi e attività di investimento
C) Strumenti finanziari
1) valori mobiliari,
2) strumenti del mercato monetario,
3) quote di un OICR,
4) contratti di opzione,
5) contratti derivati,
6) strumenti finanziari derivati per il trasferimento del rischio di
credito,
7) contratti finanziari differenziati,
8) contratti a termine standardizzati - futures,
9) contratti a termine- forward,
10) contratti di scambio,
11) contratti swaps
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2. I DERIVATI, I FUTURES E I FONDI DI INVESTIMENTO
GLI STRUMENTI FINANZIARI DERIVATI
In finanza, uno strumento derivato è considerato ogni titolo il cui valore è
basato sul valore di mercato di altri beni (azioni, indici, valute, tassi ecc.). I
titoli derivati hanno raggiunto solo recentemente una diffusione enorme nel
mondo grazie alla globalizzazione dei mercati e alla contestuale introduzione
dei computer per la trasmissione degli ordini. Esistono derivati strutturati per
ogni esigenza e basati su qualsiasi variabile, perfino la quantità di neve
caduta in una determinata zona. Gli utilizzi principali sono: arbitraggio,
speculazione e copertura (detta hedging).
Le variabili alla base dei titoli derivati sono dette attività sottostanti e possono
avere diversa natura; possono essere un'azione, un'obbligazione, un indice,
una commodity come il petrolio o anche un altro derivato).
I derivati sono oggetto di contrattazione in molti mercati ma soprattutto
all'over the counter, mercati alternativi alle borse vere e proprie creati da
istituzioni finanziarie e da professionisti tramite reti telefoniche. Tali mercati di
solito non sono regolamentati. Nascono nuovi derivati ogni giorno, con diversi
profili finanziari e diversi gradi di sofisticazione. In gergo, le tipologie standard
vengono dette plain vanilla, mentre i tipi più complessi sono detti "esotici". Le
tipologie più note e diffuse sono: Contratto a termine o Forward, Future,
Opzione, Swap, Esotici, Strutturati
Nel grande universo dei derivati vi sono innanzitutto le opzioni. Esse
conferiscono la facoltà, non l'obbligo, di comprare (Call) o vendere (Put) un
determinato titolo a una determiata data futura a un determinato prezzo detto
strike price. L'opzione comporta il pagamento di un premio, proprio perchè
conferisce un diritto al compratore. I future differiscono dalle opzioni proprio
perché costituiscono un obbligo. Le opzioni possono essere di tipo europeo,
americano o Bermuda: le prime possono essere esercitate solo alla
scadenza, le seconde in qualunque momento fino alla scadenza, le ultime
solo in determinate date. Sono anche presenti delle opzioni scherzosamente
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chiamate "asiatiche" (in quanto progettate durante un viaggio in Giappone da
finanzieri statunitensi), il cui valore dipende dall'andamento storico del prezzo
del sottostante e non solo dal valore attuale (queste sono a rigore delle
opzioni esotiche, in quanto contengono un elemento "condizionale" che ne
determina il valore in base al fatto che un evento si sia verificato o meno).
Call e put sono due principali opzioni intorno alle quali si sono costruite
moltissime strategie operative; alcune sono strangle, straddle, butterfly.
Prezzo di un derivato e rischi correlati
Diversamente da aumenti di capitale sociale o debiti, l'emissione di derivati è
una modalità di finanziamento dell'impresa che può apparire a costo zero, se
il sottoscrittore non esercita il diritto e incassa lo strike. In realtà, qualsiasi
transazione finanziaria ha sempre un costo (altrimenti le banche non le
proporrebbero), che può essere implicito (occulto). In altre parole, il costo
viene mascherato da un mispricing rispetto al valore di mercato. Il costo vero
dell'operazione può essere sostanziale e non determinabile da un operatore
non qualificato. Apparentemente, l'emissione di derivati non tocca gli utili,
dato che transita solo per lo Stato Patrimoniale, con un aumento delle entrate
di cassa contrapposto ad un aumento delle immobilizzazioni finanziarie.
Questa è una tecnica di ingegneria finanziaria e contabilità creativa, che
realizza attraverso l'acquisto di prodotti finanziari lo stesso effetto che ha il
contrarre un debito ed è, in termini di flussi di cassa, ad essa perfettamente
equivalente. Questa tecnica ha consentito ad Enron di contrarre debiti non
contabilizzati, che ne hanno determinato il fallimento. Sono celebri i disastri
finanziari procurati attraverso i prodotti derivati, come quelli di Orange
County, Enron o LTCM. Come per un'obbligazione, il prezzo di un derivato è
univocamente determinato da una formula matematica e non dipende da
valori futuri della variabile indipendente di tale modello di pricing. Perciò, il
prezzo varia soltanto dopo un cambiamento della variabile indipendente e
non in previsione di tale evento, non risentendo delle aspettative degli
investitori, ma soltanto del valore corrente e al limite dei valori passati. Il
prezzo calcolato con un algoritmo certo a partire da dati correnti e passati
certi, produce un risultato univoco. In realtà esistono metodi di pricing più o
meno accurati, a seconda del fatto che si considerino normalmente distribuiti i
prezzi del bene sottostante o si usino approcci più sofisticati. Per aver
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determinato una prima formula di calcolo del prezzo dei derivati, venne
attribuito il premio Nobel per l'economia a Black e Scholes. Il prezzo delle
obbligazioni emesse e di quelle in corso di emissione risente dell'andamento
del tasso d'interesse, come i derivati di quello del sottostante.
Tuttavia, il prezzo del derivato può variare molto se è volatile il titolo
sottostante (ad esempio un'azione), mentre i tassi d'interesse variano nel
peggiore dei casi solitamente a cadenza mensile. Intuitivamente, il prezzo di
un'opzione dipende:
• dallo scostamento rispetto allo strike price e dal suo segno ("in the
money", "out of the money")
• dalla volatilità del sottostante (cioè dalla deviazione standard della
distribuzione dei prezzi del sottostante)
• da quanto tempo manca alla data di scadenza dell'opzione (un'opzione
out of the money poco prima della sua scadenza ha un valore
praticamente nullo, dato che la probabilità che sia esercitabile è quasi
inesistente, mentre, appena emessa, ha un valore diverso da zero)
Mentre con le opzioni è possibile perdere al massimo il valore di acquisto
dell'opzione (l'intero capitale, se si comprano senza copertura), nel caso dei
future non è infrequente poter subire perdite superiori rispetto all'intero
capitale. Ad esempio, acquistando un future call di un bene che subisca un
notevole apprezzamento (ci si è impegnati ad acquistare una certa quantità di
una commodity, nel futuro, ad un prezzo non noto: se il prezzo di quest'ultima
sale, le perdite possono essere potenzialmente illimitate). Inoltre, il rischio di
un derivato è difficile da stimare poiché la funzione di pay-off dipende da una
variabile sottostante di cui non è nota la distribuzione di probabilità. Spesso
questa distribuzione viene assimilata ad una distribuzione normale, ma
questa è solo una semplificazione. Ad esempio, per una call/put non è
facilmente calcolabile la probabilità che il prezzo del sottostante sia
maggiore/minore dello strike stabilito. Sono noti metodi di calcolo, spesso
difficili, in particolare nel caso di opzioni esotiche, che possono comunque
venire approssimate numericamente, per esempio con metodi Monte Carlo.
Gli strumenti derivati possono essere utilizzati per copertura di un rischio
(hedging), utilizzando un derivato con effetto opposto all'operazione che si
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