La nuova architettura finanziaria internazionale e i Pvs
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xvi In conclusione ci chiederemo, mantenendo ancora una volta un punto di vista solidale con le esigenze dei PVS, quali ulteriori passi potrebbero essere ancora fatti per procedere nella riforma dell'architettura del sistema finanziario internazionale. Struttura La tesi è divisa in due parti. La prima, di carattere più generale e di tipo panoramico sui problemi e le proposte alla base del dibattito della riforma del sistema finanziario internazionale, consta di due capitoli. La seconda, composta di tre capitoli, approfondisce le tematiche nuovamente attuali, alla luce dei recenti sviluppi, dei rapporti fra liberalizzazione del conto capitale e fragilità finanziaria di un paese. Essa indaga inoltre su di un possibile ruolo di forme di restrizioni dei flussi di capitali nella prevenzione e gestione delle crisi finanziarie. Il dibattito generale è supportato dall'analisi dettagliata di tre casi empirici per esso particolarmente rilevanti: le esperienze cilena, malese e indiana con diverse tipologie di controlli dei capitali. Nelle conclusioni generali sono esposte delle osservazioni personali e si delineano le risposte agli interrogativi poc'anzi espressi facendo riferimento alla tesi nel suo complesso. Una sintesi dei principali contenuti e conclusioni sarà data nel seguito del sommario. L'appendice 1, fornisce al lettore un quadro degli eventi delle principali crisi finanziarie degli anni novanta che hanno colpito i paesi emergenti (crisi messicana, asiatica, russa e brasiliana) e dalle quali è sorta l'esigenza della riforma del sistema finanziario internazionale. Nell'appendice 2 sono elencati i principali attori delle riforme, più volte richiamati nel corso della tesi, ed è sintetizzata l'evoluzione recente del dibattito e delle riforme, suddiviso secondo le aree di interesse. Caratteristiche e limiti principali della tesi La principale caratteristica di questa tesi è l'ampiezza degli argomenti collegati alla scelta di un tema così interessante ed attuale, ma anche complesso come quello della riforma dell'architettura del sistema finanziario internazionale in corso. Questo aspetto può costituire un pregio, ma anche un serio limite per un tesi di laurea, tipicamente soggetta a limitazioni spaziali e temporali piuttosto stringenti, qualora rischiasse di rimanere eccessivamente generica. Proprio a ragione di questi timori abbiamo cercato di mantenere un giusto equilibrio fra l'esigenza di panoramicità, che comunque comporta l'affrontare un siffatto argomento, ed quella di limitazione degli ambiti di indagine e di approfondimento di tematiche specifiche. La prima esigenza trova sicuramente espressione nel corso della prima parte della tesi, appunto di carattere panoramico generale. La seconda esigenza è stata soddisfatta in una pluralità di modi: (1) mantenendo, nell'arco di tutta l'esposizione, un interesse primario per le implicazioni dei diversi problemi e riforme proposte per i paesi emergenti; (2) escludendo dalla revisione del dibattito sulla ristrutturazione del sistema finanziario internazionale la gran parte di quelle proposte scarsamente realistiche e difficilmente realizzabili (specialmente in relazione alla creazione di nuove IFI o modificazioni radicali dei loro compiti) e concentrando l'attenzione sull'evoluzione del dibattito "ufficiale" e sulle misure attuate o comunque attentamente considerate in tali sedi; (3) dedicando l'intera seconda parte della tesi agli aspetti specifici della liberalizzazione del conto capitale ed utilizzo dei controlli sui flussi di capitale in funzione prudenziale nei paesi emergenti (con analisi di casi specifici nel quinto capitolo). xvii Un altro aspetto specifico di questa tesi è costituito dalla modalità di reperimento delle fonti. Come emerge dalla bibliografia, la maggior parte dei documenti utilizzati per la stesura sono facilmente recuperabili direttamente in Internet, prevalentemente presso siti di IFI, banche centrali e governi nazionali. Per molti versi possiamo quindi affermare che questa tesi stessa è frutto di quel processo di maggiore trasparenza nella diffusione dell'informazione, invocato nel corso della riforma dell'architettura finanziaria internazionale (cfr. par. 2.2). Non nascondiamo, per contro, come questa modalità di raccolta delle informazioni possa aver condotto a considerare in misura subordinata e minore fonti informative non presenti sul Web. Pur considerando questi rischi e limiti, riteniamo che i benefici di un accesso rapido ed estensivo all'informazione quale quello concesso da Internet, abbiano superato i costi relativi ai rischi e i limiti suddetti. Le fonti bibliografiche sono state prevalentemente in lingua inglese e di area anglosassone. La ricerca si è comunque ristretta, per nostri limiti personali, a documenti nelle suddette lingue: italiano, inglese, francese, spagnolo e nederlandese. FLUSSI DI CAPITALI E CRISI FINANZIARIE La composizione e il volume dei flussi di capitali dai paesi industrializzati verso quelli emergenti è mutata considerevolmente nel corso degli ultimi trent'anni, specialmente negli anni novanta. Negli anni settanta i flussi netti di capitale privato verso i paesi emergenti si presentavano abbastanza bassi, sia in termini assoluti, sia come percentuale relativa al PIL, prevalentemente nella forma di prestiti bancari. Una porzione rilevante dei flussi totali, inoltre, era invece costituita da quelli ufficiali. Negli anni ottanta si assistette ad una crescita dei flussi di capitale privato fra il 1980 e il 1981 e poi, in seguito alla crisi del debito nei PVS, avvenne una brusca diminuzione dei flussi di capitale privato (minimo nel 1984) ed un aumento di quelli ufficiali. Solo a partire dal 1989-90 si assiste ad una vigorosa ripresa dei flussi di capitale privato (ora prevalentemente investimenti diretti esteri e investimenti di portafoglio oltre che prestiti bancari) verso i paesi emergenti, fino a livelli anche dieci volte superiori a quelli medi degli anni ottanta (massimo nel 1996, con $213,84 mld. di flussi netti), e, al contempo ad una diminuzione dei capitali ufficiali. Questi flussi, nel corso del periodo 1990- 97, si presentano fortemente concentrati verso pochi paesi riceventi, principalmente in Asia e America Latina. Il settore pubblico diventa inoltre il maggior ricevente di questi flussi. Una serie di fattori interni ed esterni ai paesi riceventi sembra spiegare questo aumento. Fra i primi rientra l'aumentata credibilità di molti paesi emergenti, in seguito alla ristrutturazione del loro debito estero e agli aumenti di produttività ottenuti mediante programmi di riforme strutturali, di miglioramenti nelle politiche macroeconomiche seguiti a programmi di stabilizzazione (specialmente nei paesi ASEAN e in America Latina); tutto ciò avrebbe aumentato i tassi di rendimento attesi dagli investitori esteri e fatto diminuire la percezione del rischio paese. Fra i secondi vi sono i cambiamenti tecnologici (legati alla recente rivoluzione nei campi delle telecomunicazioni e dell'informatica), il processo di globalizzazione e innovazione dei mercati finanziari, che ha aumentato le possibilità di diversificazione, e variazioni nelle economie dei paesi industrializzati. Queste sono state di tipo ciclico e strutturali. Fra le prime rientrano la diminuzione dei tassi reali di interesse, che ha reso più attraenti investimenti nelle economie emergenti, e fra le seconde la modificazione della struttura per età della popolazione che, dotando investitori istituzionali di maggiori risorse, avrebbe aumentato la disponibilità di capitali anche per gli investimenti all'estero. xviii I flussi finanziari verso i PVS possono favorire la loro crescita economica finanziando gli investimenti e i consumi, garantendo una loro minor volatilità, aumentando le possibilità di diversificazione delle fonti creditizie e consentendo di superare temporanei declini del reddito attraverso prestiti internazionali. D'altra parte essi possono produrre anche effetti negativi, specialmente in presenza di alcune fragilità e inadeguatezze preesistenti delle economie e dei sistemi finanziari dei paesi riceventi. Fra di questi l’eccessiva espansione della domanda aggregata, che può generare un surriscaldamento macroeconomico e produrre pressioni inflazionistiche e/o sui tassi di cambio. Il sistema bancario e finanziario che intermedia i flussi di capitale, spesso assai volatili, se procede ad un espansione incontrollata del credito può risultare vittima della sua stessa cattiva gestione di risorse abbondanti, qualora si verifichino situazioni di inversioni dei flussi di capitali che possono degenerare in crisi finanziarie. Il manifestarsi di crisi finanziarie è un fenomeno connaturato all'attività economica stessa, pur potendosi manifestare con modalità, complessità ed estensione diversa a seconda del periodo storico e delle caratteristiche del sistema finanziario. La tassonomia delle crisi finanziarie può ricomprendere diverse forme: crisi valutarie, bancarie, della bilancia dei pagamenti e del debito (estero e interno). Esse possono avere natura limitata o portata sistemica. Infine una crisi finanziaria può assumere contemporaneamente più di una delle forme suddette. Numerosissime sono le spiegazioni teoriche alla base delle crisi finanziarie. Un posto rilevante fra esse assume l'ipotesi di instabilità finanziaria (IIF) di H.P.Minsky, ripresa da C.P.Kindleberger (1978) in un noto modello di crisi finanziaria, a cui noi ci riferiamo come modello di Minsky-Kindleberger (cfr. subpar. 1.4.2). L'IIF studia le relazioni che legano gli investimenti ai prezzi delle attività e quest'ultimi all'andamento degli investimenti nonché al funzionamento dei mercati e una delle sue principali conclusioni è che i meccanismi interni stessi di un’economia capitalistica generano delle relazioni finanziarie che conducono a instabilità. Quindi le relazioni di prezzo e di valore delle attività che portano a una crisi in una struttura economica sono degli eventi normali. Kindleberger (1978) delinea "l’anatomia di una crisi tipica" composta da alcune fasi in successione: lo spostamento, l’espansione monetaria, la superattività e l’euforia, il mutamento improvviso e il discredito, ed, eventualmente, il panico e il crollo. Dal modello di Minsky-Kindleberger, incentrato sugli aspetti speculativi dell'agire degli operatori economici, emerge la considerazione dell’aspetto “irrazionale” della natura umana che sembra spesso guidare l’azione anche in campo economico. Euforia, ottimismo nelle proprie capacità, improvvise disillusioni e panico giocano ruoli essenziali nella spiegazione delle crisi finanziarie. Le crisi valutarie, legate a cambi fissi o a parità striscianti, hanno costituito uno degli aspetti fondamentali delle crisi finanziarie nel dopo Bretton Woods. Tre tipologie di modelli sono state individuate dalla letteratura. I modelli della prima generazione spiegano le crisi valutarie come dovute ad attacchi speculativi degli operatori in seguito a perdite di fiducia degli attori economici nelle politiche macroeconomiche di un paese, e all'incapacità del governo di difendere la parità oltre i limiti imposti dalle riserve valutarie. I modelli della seconda generazione presuppongono che i governi difendano il livello del tasso di cambio fisso mediante politiche monetarie restrittive e alti tassi di interesse fintanto che i benefici della difesa (in termini di credibilità delle autorità monetarie nel perseguimento dei propri obiettivi) non superino i costi dovuti dall’impatto negativo sul sistema economico e finanziario della politica monetaria restrittiva. Nei modelli della terza generazione (che si ispirano alla crisi asiatica) assumono un ruolo fondamentale i rischi di azzardo morale indotti da garanzie governative al sistema bancario. La concessione di garanzie implicite di bail-out alle banche, rendono i prestiti ai sistemi bancari estremamente attraenti e favoriscono un massiccio afflusso di capitali stranieri. Quando le garanzie vengono ritirate, i flussi di capitali si invertono, si xix assiste ad un peggioramento della bilancia dei pagamenti e a difficoltà nel sistema. Per sostenere le banche mediante iniezioni di liquidità, il governo abbandona l’obbiettivo del mantenimento del tasso di cambio. Da tutti e tre i modelli emerge comunque un ruolo negativo di politiche governative incompatibili con l’obiettivo di stabilità del tasso di cambio, che incrementano la probabilità di crisi. In tempi recenti, fra il 1975 e il 1997, l'incidenza delle crisi finanziarie è stata notevole. Uno studio del FMI (1998b) registra, su un campione di 53 paesi, 158 crisi valutarie e 54 crisi bancarie, spesso, soprattutto nei PVS (dove si registrano anche difficoltà assai comuni nei pagamenti con l'estero), associate fra loro. L’incidenza delle crisi valutarie nei PVS è stata quasi tripla rispetto ai paesi industriali e quasi quadrupla quella delle crisi bancarie. Anche i costi di risoluzione delle crisi sono inoltre risultati più alti (anche oltre il 40% del PIL), mentre più rapidi sono stati i periodi di ripresa della crescita. Negli anni novanta in particolare, le crisi sono state precedute da fenomeni di liberalizzazione dell'economia ed del settore finanziario mediante deregolamentazione e liberalizzazione del conto capitale. La volatilità dei capitali è aumentata notevolmente in concomitanza con la crescita di forme di finanziamento a breve termine o comunque facilmente smobilizzabili (p.es. investimenti di portafoglio), di natura essenzialmente speculativa: i cosiddetti flussi di hot money 1 . Un'ulteriore aspetto caratteristico delle crisi degli anni novanta è stata la facilità con cui le difficoltà finanziarie di un paese si sono trasferite ad un altro. In questi casi si è parlato di contagio, tuttavia una definizione condivisa di questo termine non esiste ancora. Infatti mentre il termine contagio è spesso riferito generalmente al diffondersi di disturbi (generalmente peggioramenti delle condizioni) sui mercati da un paese ad un altro, si è cercato di distinguere fra diversi tipi di contagio sulla base delle ragioni e dei canali di trasmissione della volatilità dei mercati che ne sarebbero alla base. Da un lato, vi sarebbero il contagio basato sui fondamentali o impropriamente definito tale: si enfatizza il ruolo delle normali interdipendenze fra i mercati e si individuano canali di trasmissioni come shock comuni (monsoonal effects), effetti di traboccamento commerciali e finanziari (spillover effects). In aggiunta vi sarebbero forme di contagio puro, che sembrano dipendere unicamente dal comportamento degli investitori e degli altri intermediari finanziari senza un riscontro nei mutamenti dei fondamentali economici di un paese. Nel contagio puro rientrerebbero panici finanziari, herd behaviours, bandwagon effects, perdite di fiducia e mutamenti improvvisi delle aspettative degli operatori su determinati mercati, generalmente riconducibili a problemi di informazione asimmetrica. L'apparente irrazionalità collettiva di questi comportamenti è giustificabile sulla base di comportamenti razionali a livello di singoli operatori (cfr. subpar. 1.5.3). Diverse analisi empiriche sulle crisi recenti sembrano confermare l’importanza di molti canali reali di trasmissione del contagio basato sui fondamentali, rispetto a visioni che considerano preponderanti quello di tipo puro. Inoltre, emerge una dimensione regionale del contagio e la sua non casualità: la vulnerabilità di un paese a crisi finanziarie (specialmente valutarie) “importate” è cioè maggiore per quelle economie che presentano squilibri esterni, inadeguatezza delle riserve internazionali e legami commerciali e finanziari (diretti e indiretti) con altre economie sofferenti. 1 Alcuni (cfr. Dooley, 1996: 661), d'altra parte sottolineano la mancanza di fondatezza della tradizionale associazione di un diverso grado di volatilità a seconda della tipologia dei flussi (per cui, ad esempio, IDE sarebbero relativamente più stabili rispetto a investimenti di portafoglio). xx Nel corso degli anni si sono sviluppate diverse misure per la gestione dei flussi di capitale e la prevenzione e gestione delle crisi finanziarie, sia a livello nazionale, sia a livello internazionale in seno a quelle istituzioni preposte al mantenimento della stabilità del sistema finanziario globale, come il FMI e la Banca Mondiale. Fra le misure "tradizionali" di gestione degli afflussi di capitali e prevenzione delle crisi rientrano misure di sterilizzazione, la stretta della politica fiscale, l'apprezzamento del tasso di cambio nominale, l’imposizione dei controlli sui flussi in entrata e la liberalizzazione dei flussi in uscita. Fra le più note misure di gestione delle crisi bancarie a livello nazionale ritroviamo il prestatore di ultima istanza (per garantire liquidità al sistema bancario e ristabilire la fiducia nella solvibilità del sistema fra gli operatori), strumenti amministrativi volti ad impedire o rendere difficoltoso il normale funzionamento dei mercati (fra cui i controlli sui deflussi dei capitali), l'emissione di titoli governativi a operatori commerciali contro la presentazione di garanzie sulle loro scorte, la garanzia delle passività di istituzioni commerciali o finanziarie in difficoltà, la creazione di intermediari specializzati per apporre ulteriori garanzie a cambiali tratte e consentirne lo sconto e operazioni di mercato aperto per fornire la liquidità necessaria al mercato. Per le crisi valutarie tre sono, generalmente, le linee di difesa adottate: (1) l'utilizzo di politiche monetarie e del tasso di interesse volte a ripristinare la fiducia dei mercati e fermare la fuga di capitali, (2) l'utilizzo di riserve internazionali sufficienti per contrastare le dinamiche del mercato dei cambi, (3) l'arresto unilaterale del pagamento del debito (mediante imposizioni di restrizioni cambiarie) e l'inizio di negoziazioni per una sua ordinata ristrutturazione. Rimane aperta ai governi, nei casi più gravi, specialmente relativi a crisi della bilancia dei pagamenti, il ricorso all'assistenza di IFI come il FMI o le banche multilaterali di sviluppo, che attraverso linee di credito o altri servizi di finanziamento e assistenza tecnica, spesso associati a stringenti misure di condizionalità, garantiscono aiuto nel ristabilire situazioni di stabilità nei paesi colpiti dalle crisi finanziarie. LA RISTRUTTURAZIONE DELL'ARCHITETTURA FINANZIARIA INTERNAZIONALE Le crisi degli anni novanta hanno sia riproposto all'attenzione della comunità internazionale problemi già visti in un contesto nuovo, sia introdotto problemi totalmente nuovi. Fra quelli principali che sono divenuti oggetto del dibattito sulla riforma del sistema finanziario internazionale: (1) la debolezza dei settori bancari e finanziari nelle economie emergenti, insieme con prematuri e insufficientemente controllati processi di liberalizzazione; (2) una cattiva gestione del debito del settore pubblico e/o privato e la scarsità delle risorse liquide a disposizione per fronteggiare degli shock; (3) punti deboli nella disciplina di mercato, derivanti da problemi di informazione inadeguata (scarsa trasparenza, non uniformità e comparabilità dell'informazione disponibile) e da problemi di azzardo morale; (4) problemi istituzionali nella rinegoziazione del debito con i privati, per il ruolo crescente delle obbligazioni governative rispetto ai prestiti con sindacati bancari; (5) regimi di cambi (fissi e parità striscianti) eccessivamente vulnerabili in molte economie emergenti; (6) inappropriate politiche macroeconomiche nei paesi emergenti, prima e durante le crisi; (7) l'alta volatilità dei flussi di capitale privati verso le economie emergenti (specialmente della cosiddetta hot money) e fenomeni di contagio regionali e globali di estrema intensità; (8) scarsa efficacia dell'azione del FMI e della Banca Mondiale e critiche diffuse al loro operato nelle crisi. Già a partire dal 1995 il G-7 iniziò a parlare di una "architettura internazionale" e a invocare una serie di misure per migliorare la stabilità dell'economia globale, fra cui migliori dati economici e finanziari e più risorse per il FMI. Inoltre nel 1996 il G-10 preparò un rapporto sulla risoluzione delle crisi finanziarie internazionali, molte proposte del quale sono poi state xxi recentemente riprese. Anche il FMI, già dopo la crisi messicana, adottò alcune misure per rafforzare il sistema finanziario internazionale (cfr. subpar. 2.1.2). Tuttavia è dopo la crisi asiatica che il dibattito sulle riforme ha acquisito vigore ed è fra l’ottobre del 1998 (vertice dei G-7) e l’aprile del 1999 (incontro annuale del FMI e della Banca Mondiale) che si delineò un quadro delle riforme ufficiale su di alcune aree di sostanziale accordo: (1) Trasparenza, standard e sorveglianza. (2) Rafforzare i sistemi finanziari. (3) Tematiche relative alla liberalizzazione del conto capitale. (4) Coinvolgimento del settore privato nella prevenzione e risoluzione delle crisi. (5) Problematiche sistemiche come le implicazioni della mobilità dei capitali, la volatilità dei tassi di cambio e la riforma istituzionale del FMI Al vertice dei G-7 di Colonia, nel giugno 1999, tali aree sono state sostanzialmente ribadite e si è giunti, in ambito ufficiale ad un accordo che i miglioramenti nel sistema debbano essere costruiti nell'ambito delle istituzioni già esistenti. Fra gli attori più importanti per le proposte relative alla riforma ricordiamo il G-22, con le sue tre relazioni dell’ottobre 1998 (G-22, 1998a, 1998b e 1998c), le quali hanno costituito una sorta di agenda generale delle riforme possibili, il FMI (il cui lavoro si è sviluppato per molti aspetti sviluppando idee di altri attori), l'Institute of International Finance e, più recentemente, il Foro per la Stabilità Finanziaria (FSF) con i suoi rapporti dell’aprile 2000 su aspetti specifici del sistema finanziario internazionale (FSF, 2000b, 2000c, 2000d). Numerose altre istituzioni internazionali sono attivamente presenti nel dibattito e nell'approntamento di meccanismi per una più efficace prevenzione e gestione delle crisi, specialmente nella preparazione di standard e buone pratiche. L'ultima relazione del FMI sui progressi nella riforma dell'architettura del sistema finanziario internazionale (FMI, 2000) presenta un quadro assai complesso di iniziative già realizzate, in corso di attuazione (trasparenza ed elaborazione di standard in genere) e altre ancora in fasi preliminari o avanzate del dibattito ( fra cui coinvolgimento del settore privato, controlli dei capitali e liberalizzazione del conto capitale, e la nuova area della riduzione e ridefinizione delle finalità di alcuni degli strumenti finanziari del FMI per assistere i paesi membri). Prevenzione: trasparenza e responsabilità Per trasparenza "ci si riferisce a quel processo mediante cui le informazioni circa le condizioni, decisioni e azioni sono rese accessibili, visibili e comprensibili"(cfr. G-22, 1998a: v). Per responsabilità (accountability) "ci si riferisce alla necessità di giustificare e accettare le responsabilità che derivano dalle decisioni prese" (cfr. G-22, 1998a: v). Sebbene sia riconosciuto che un miglioramento di queste dimensioni non possa da solo considerarsi sufficiente in un'efficace prevenzione delle crisi, sicuramente potrebbe contribuire ad evitare il formarsi di squilibri finanziari, riconoscerli in tempo per attuare delle più pronte politiche di aggiustamento e facilitare la limitazione di fenomeni di contagio, migliorando in tal modo la performance economica. E’ possibile dividere l’analisi delle iniziative relative alla trasparenza e alla responsabilità secondo tre gruppi di attori: il settore privato, le autorità nazionali e le IFI. Nel settore privato la scarsa trasparenza della posizione finanziaria di molte società, l'assenza di bilanci consolidati di gruppo, debolezze nascoste da lacunose pratiche contabili nei settori aziendale e bancario sembrano essere stati alla base della cattiva allocazione delle risorse, che xxii ha contribuito all'insorgere della crisi asiatica e all'accelerazione della stessa. La preparazione di standard internazionali comuni o di "buone pratiche" condivise (approccio volontario utilizzato anche in problematiche relative al rafforzamento del settore finanziario) è stato l’approccio più seguito ed è tuttora in corso, relativamente alla trasparenza dell’informazione e della sua diffusione in quelle aree di fragilità sopra menzionate, da parte di IFI e organizzazioni internazionali dotate di expertise specifica. La trasparenza e responsabilità delle autorità nazionali è relativa, principalmente, alle politiche economiche seguite, e alla preparazione e diffusione di tutte quelle informazioni su base aggregata che riguardino le imprese, le famiglie ed il governo. Anche in questo ambito alcune organizzazioni hanno dettato standard per la compilazione delle statistiche macroeconomiche. Vale la pena di richiamare soprattutto l’iniziativa del FMI (del 1996) degli Special Data Dissemination Standard (SDDS), un sistema volontario di standard di diffusione dell’informazione, per guidare i paesi membri che abbiano, o possano cercare, l'accesso ai mercati internazionali dei capitali nella fornitura dei loro dati economici e finanziari al pubblico. Dopo la crisi asiatica gli SDDS sono stati rivisti per carenze emerse nei dati relativi alle riserve valutarie, debito estero e indicatori della solidità del settore finanziario. Nelle aree delle politiche governative il FMI ha preparato (nel 1999) il Code of Good Practices on Fiscal Transparency e il Code of Good Practices on Transparency in Monetary and Financial Policy. Anche per le IFI stesse è emersa l'esigenza che migliorino la trasparenza dei propri modi di vedere e delle proprie operazioni e si rendano così maggiormente responsabili al pubblico in generale e verso i propri azionisti in particolare. Il FMI e le banche multilaterali di sviluppo stanno migliorando gradualmente il loro livello di trasparenza attraverso la pubblicazione di un maggior numero di informazioni (nei loro rapporti annuali e sempre più sui propri siti Internet) relative ai loro obiettivi, operazioni e processi decisionali, nonché posizioni di bilancio e informazioni finanziarie (cfr. per il FMI: programmi sperimentali di rilascio dei PINs, lettere di intenti, delle relazioni dello staff nelle consultazioni secondo l'Articolo IV, ecc.). Un altro passo è costituito dalle valutazioni indipendenti a cui iniziano ad essere sottoposte le attività di molte IFI. Esiste tuttavia il problema dell'equilibrio fra i benefici della trasparenza e l'esigenza di riservatezza dell'informazione, specialmente per il FMI (un'eccessiva trasparenza potrebbe mettere in pericolo il suo ruolo di confidente privilegiato dei membri nella sua azione di sorveglianza). Un ulteriore problema è quello della necessità di monitorare il rispetto degli standard di trasparenza ("trasparenza sulla trasparenza"). Meccanismi di monitoraggio sono cruciali per migliorare la credibilità delle pretese di un'impresa o di un paese di essere trasparente o di avere raggiunto un più elevato grado di trasparenza. Il G-22 (1998a) ha proposto "Rapporti sulla Trasparenza": diverse valutazioni di osservanza degli standard dovrebbero essere riassunte e pubblicate in una singola relazione per ogni paese, ad opera del FMI. Il Fondo ha intrapreso delle serie di studi preliminari sulla trasparenza (i Reports on the Observance of Standards and Codes, ROSCs) in collaborazione con la Banca Mondiale. Prevenzione: rafforzare i sistemi bancari e finanziari Un ruolo centrale, nelle recenti crisi, è attribuibile a deboli sistemi bancari e mercati dei capitali sottosviluppati, che hanno contribuito alla cattiva allocazione delle risorse. L'inadeguatezza della regolamentazione e vigilanza prudenziale dei sistemi finanziari si aggiunta all'impreparazione dei singoli operatori finanziari alla gestione dei rischi resa più complessa dalla crescente integrazione nei mercati finanziari globali. Uno dei punti centrali del dibattito è divenuto quindi l'attuazione di adeguate pratiche ed istituzioni per migliorare la xxiii vigilanza, il regolamento dei pagamenti, la contabilità, ecc. All'interno di quest'area assume un peso considerevole il problema della riforma dei sistemi bancari che, particolarmente nei paesi emergenti, hanno un ruolo preponderante all'interno dei sistemi finanziari, spesso caratterizzati da mercati mobiliari scarsamente sviluppati. Fra le cause di vulnerabilità di un sistema finanziario rientrano il quadro macroeconomico generale (mutamenti dell'andamento dell'economia reale, dei tassi di interesse esterni o interni, dei tassi di cambio, ecc.) e la fragilità della gestione degli intermediari finanziari e dell'ambiente in cui operano (gestione inadeguata, che porta ad eccessiva assunzione di rischi; mancanza di adeguata informazione sulle condizioni finanziarie dell'operatore; presenza di garanzie pubbliche che possono condurre a comportamenti di azzardo morale; un sistema di vigilanza delle istituzioni inadeguato; ecc.). Le misure per intervenire su queste fragilità dei sistemi finanziari, assai diffuse nei paesi emergenti, sono state per lo più ricavate sulla base dell'esperienza dei paesi industrializzati, che hanno già affrontato simili problemi (cfr. subpar. 2.3.1). Anche in quest'area lo stabilimento di standard, principi e pratiche condivise è stato l'approccio più utilizzato. Essi sono stati sviluppati e sono tuttora in corso di sviluppo da parte di numerose IFI e gruppi internazionali nel settore bancario (BRI, CBVB), assicurativo (IAIS), della vigilanza dei mercati mobiliari (IOSCO), dei regolamenti (CPSS), della contabilità (IASC, IFAC), del controllo e della certificazione contabile, delle procedure di insolvenza (UNCITRAL, FMI, Banca Mondiale), dei principi di governo societario (OCSE, Banca Mondiale) e, abbiamo già visto, della trasparenza. Nell'applicazione degli standard occorre promuovere incentivi per i mercati alla valutazione dei progressi compiuti. Un passo in questo senso può venire da valutazioni del loro rispetto da parte dei singoli paesi, sul modello delle agenzie di rating, anche se la scarsa precisione di molte linee guida e standard renderebbe per molti versi assai discrezionale il giudizio formulato. Sussiste inoltre la necessità di eliminare incentivi distorti che alcuni standard possono creare. Ad esempio, sembra che il sistema di pesi dell'Accordo di Basilea abbia introdotto delle distorsioni: i prestiti a breve termine (fino a un anno) sono considerati meno rischiosi di quelli a lungo termine, e questo anche per i prestiti a banche dei mercati emergenti; ciò avrebbe contribuito a quell'incremento dei prestiti a breve termine, che ha costituito una causa di fragilità, specialmente nella crisi asiatica. Un ruolo primario nella diffusione degli standard è rivestito dal FMI. Alcuni suggeriscono che la condizionalità dell'assistenza del Fondo potrebbe essere legata all'adozione degli standard attraverso programmi specifici e che, in occasione delle annuali consultazioni secondo l'Articolo IV, potrebbe pubblicare delle relazioni specifiche per ogni paese sull'adozione e l'osservanza dei diversi standard internazionali in ogni paese per ogni area (estendendo la funzione dei ROSCs).Un altro modo per garantire il monitoraggio degli standard è quello degli esami fra pari (peer reviews): l'esame dei sistemi di vigilanza e regolamentazione di un paese avverrebbe ad opera di organi competenti stranieri. Essi dovrebbero avvenire fra paesi con un grado simile di sviluppo dei mercati finanziari e livelli e forme comparabili di regolamentazione. Le IFI potrebbero fornire le strutture e la sede adatta per questi processi, per facilitarne l'avvio e la diffusione. Infine, l'assistenza tecnica e per la formazione del personale da parte delle IFI, costituisce un mezzo efficiente per il trasferimento di know-how dei paesi industriali ai paesi emergenti e la creazione di effettive capacità per l'applicazione degli standard internazionali e il rafforzamento dei sistemi finanziari. Un problema particolarmente rilevante per la stabilità dei sistemi finanziari emerge nell'ambito della regolamentazione e vigilanza di quei gruppi finanziari e di quelle banche che operano attivamente all'estero. In particolare emergono problemi di coordinazione fra diversi organi di xxiv vigilanza sia all'interno di ogni paese, che fra paesi diversi. Alcuni principi base e standard in proposito sono stati stabiliti. E' importante infine analizzare i possibili modi di definire i ruoli e di migliorare la collaborazione fra le IFI esistenti, in modo da sfruttare nel modo più efficiente le risorse limitate di ciascuna di esse. Si è assistito nei lavori di elaborazione degli standard ad una cooperazione fra le diverse organizzazioni, che condividono le loro conoscenze specifiche su un argomento o area di interesse (cfr. p.es. FSLC fra FMI e Banca Mondiale) Prevenzione: coinvolgere il settore privato Una critica molto diffusa alle operazioni di salvataggio nelle recenti crisi finanziarie è stata quella di un eccessivo supporto ufficiale per salvare gli investitori privati. Le garanzie implicite o esplicite dei governi e delle IFI, poste a garanzia della stabilità dei sistemi economici e finanziari, avrebbero incoraggiato i debitori e creditori privati ad assumere un rischio eccessivo, evitando di cautelarsi adeguatamente contro potenziali sviluppi avversi dei mercati e costruendo così le condizioni per disastrose crisi finanziarie. Il problema è quello di assicurare una ridistribuzione delle perdite in caso di crisi fra i debitori, in particolare i governi colpiti, ed i creditori. Attualmente la situazione appare sostanzialmente sbilanciata a sfavore dei primi. Un riequilibrio dei costi da sostenersi in caso di crisi è quindi una delle modalità per ottenere un graduale miglioramento della situazione, in modo da riproporzionare i flussi di capitale agli aumentati rischi e pervenire ad una sostanziale riduzione delle possibilità di crisi. Inoltre, le misure preventive aiuterebbero a sviluppare un rapporto fra attori pubblici e il settore privato, che faciliterebbe la risoluzione delle crisi finanziarie che dovessero comunque verificarsi. Fra le critiche più comuni ad un tale approccio vi è quella che renderebbe eccessivamente difficoltoso riguadagnare l'accesso ai mercati dei capitali dopo una crisi o aumenterebbe indirettamente il rischio di contagio della crisi ad altri paesi o mercati. Rendere più difficoltosa l'uscita dei creditori in tempi di crisi li porterebbe a ritirarsi ai primi segni di difficoltà, temendo di rimanere bloccati, stimolando così le possibilità di accadimento delle crisi; inoltre diminuirebbe la propensione degli investitori privati a prestare ai paesi emergenti e aumenterebbe quindi il costo delle risorse e/o si ridurrebbe la quantità disponibile. Fra le proposte volte ad assicurare i PVS contro i rischi di illiquidità nei mercati del debito rientrano accordi finanziari contingenti: forme di assicurazione privata basate sul mercato: il debitore paga un premio assicurativo per compensare i creditori che sottoscrivono l'opzione per i rischi assunti. Linee di credito contingenti con consorzi privati di banche dovrebbero fornire un'assicurazione contro rischi di sviluppi avversi dei mercati, fra cui il rischio di liquidità. Esperienze limitate di tali strumenti sono state registrate nei casi dell'Argentina, dell'Indonesia e del Messico. Rispetto alla forma "tradizionale" di autoassicurazione costituita dalle riserve valutarie esse dovrebbero consentire di ottenere liquidità ad un prezzo inferiore. Tuttavia in caso di gravi crisi le linee di credito contingente contrattate possono rilevarsi da sole insufficienti ed inoltre rimane probabile che esse possano comunque essere stipulate unicamente da pochi selezionati paesi che godono di politiche sane, di una buona reputazione creditizia internazionale e un rating adeguato. Altre soluzioni proposte consistono nel sostegno ufficiale al debito dei mercati emergenti (attraverso forme di garanzie ufficiali per mobilitare risorse private), strumenti di assicurazione che generino un servizio del debito variabile in maniera anticiclica rispetto all'andamento xxv economico del paese interessato e opzioni di vendita in titoli di stato e linee di credito interbancarie (che permettano ai governi o alle banche debitrici l'estensione della scadenza sotto specifiche condizioni, per un periodo limitato e, generalmente, ad uno differenziale determinato in periodi di crisi). L'opzione universale di differimento del debito con una penalità (UDROP) sarebbe costituita invece da un'opzione (il cui prezzo viene determinato dal mercato), contenuta in tutti i contratti di debito, esercitabile a discrezione del mutuatario per differire il pagamento della passività (per 3-6 mesi) ad un tasso penalizzante. Monitoraggio del debito estero, proroghe concertate e commissioni permanenti di creditori, costituirebbero ulteriori modalità di coinvolgimento del settore privato. E' stata poi sottolineata l'importanza di forti e chiare procedure di insolvenza e di un'adeguata regolamentazione dei rapporti creditizi che garantiscano il sistema legale indispensabile per affrontare i problemi delle imprese e consentire che le difficoltà finanziarie accumulate dal settore aziendale non si diffondano e concorrano a una crisi generalizzata dei pagamenti. Un problema particolare degli ultimi anni è la notevole crescita del finanziamento mediante titoli obbligazionari nei mercati emergenti, che rende più difficoltosa la ristrutturazione del debito governativo. Oltre ad incentivare ristrutturazioni volontarie si è proposto per riequilibrare il burden sharing fra debitori e creditori di diffondere nei titoli obbligazionari governativi delle clausole di azione collettiva che facilitino la ristrutturazione. Per evitare un aumento del costo dell'indebitamento sul mercato per i soli paesi emergenti, si è spinto per un "effetto dimostrativo" da parte dei governi dei paesi più avanzati attraverso l'introduzione dei nuovi termini contrattuali nelle loro emissioni di titoli di stato 2 . La gestione delle crisi e il ruolo del FMI Nonostante le misure in atto, o quelle che si possono sviluppare per la prevenzione delle crisi finanziarie a livello nazionale o internazionale, è universalmente riconosciuto che tali crisi continueranno a manifestarsi. Due sono gli approcci estremi possibili nel rispondere all'insorgere di tali crisi: il non intervento e l'utilizzo sistematico di misure di intervento per arginare sul nascere i problemi e limitare gli effetti sistemici. Si tratta ovviamente di trovare un compromesso: da un lato gli alti costi sociali e il rallentamento del processo di sviluppo sconsigliano di perseguire una politica di "disimpegno" nella gestione delle crisi, dall'altro ben noti problemi di azzardo morale e la limitatezza delle risorse a disposizione della comunità internazionale non consentono un incondizionato impegno nelle politiche di salvataggio. Secondo alcuni la natura sistemica o locale delle crisi e l'entità dei suo probabile impatto negativo sullo sviluppo futuro di un paese costituirebbero discriminanti per l'intervento da parte di IFI. La responsabilità primaria nell'evitare e nel gestire le crisi rimane comunque in capo ai governi. Essi sono responsabili dell'introduzione di quelle misure urgenti di politica monetaria, fiscale o di intervento strutturale, necessarie per la soluzione delle crisi, dell'applicazione dei piani di intervento concordati con le IFI ed, eventualmente della difficili decisioni di moratorie sui pagamenti o di ripudio del debito. La comunità internazionale, le IFI (in particolare il FMI) forniscono una serie di accordi ad hoc e di strumenti di sostegno finanziario assai diversificati che generalmente impongono dei forti programmi di aggiustamento. Tuttavia la dimensione, sofisticazione, eterogeneità e soprattutto 2 A partire dal gennaio 2000 il Tesoro del Regno Unito sta includendo clausole di azione collettiva in tutti i suoi strumenti di debito e, nel febbraio 2000, il governo tedesco ha dichiarato la validità di tali clausole negli strumenti di debito governativi di diritto tedesco. xxvi volatilità dell'attuale mercato internazionale dei capitali sembra aver ridotto l'efficacia dell'approccio tradizionale nella risoluzione delle crisi finanziarie. E' sempre più sentita l'esigenza di ripensare le strategie di impegno nella risoluzione delle crisi. Il FMI è sicuramente l'istituzione che nel corso degli ultimi anni è stata maggiormente al centro del dibattito sulla riforma dell'architettura del sistema finanziario internazionale, sia come attore della discussione, sia come oggetto di discussione. In particolare, l'azione del Fondo nelle più recenti crisi finanziarie è stata nuovamente oggetto di numerose critiche. Nella crisi asiatica, ad esempio, J. Stiglitz è stato particolarmente critico relativamente alle prescrizioni di alti tassi di interesse e ristrettezza fiscale, J. Sachs e M. Feldestein, hanno argomentato che i pacchetti di salvataggio del FMI avrebbero dovuto fornire più risorse e imporre meno condizioni, vista la natura speculativa della crisi. Tre altre tipologie di critiche sono state mosse al FMI, non solo relativamente alla crisi asiatica, ma anche a quelle seguenti: (1) non aver saputo prevedere in tempo le crisi; (2) essere stato eccessivamente ingerente nelle politiche e aspetti socio culturali dei paesi in crisi; (3) aver alimentato, con eccessivi pacchetti di salvataggio per la risoluzione delle crisi, un atteggiamento di azzardo morale degli investitori internazionali (specialmente quelli a breve o brevissimo termine) che avrebbe contribuito ad aumentare le probabilità delle crisi seguenti. Gran parte di queste critiche sono facilmente contestabili (cfr. subpar. 2.6.1.3). Durante gli anni, benché gli obiettivi primari non siano cambiati, il FMI ha subito un evoluzione nel suo ruolo. Pur mantenendo un'attenzione principale su sane e prudenti politiche fiscali e monetarie e l'apertura dei mercati, ha allargato, specialmente in seguito alle recenti crisi finanziarie, il suo ambito di azione spingendo nella sua opera di sorveglianza in alcune aree: (1) rafforzamento e la solidità dei sistemi finanziari nazionali, specie nei paesi emergenti; (2) miglioramenti nella qualità della spesa pubblica;(3) maggiore trasparenza e responsabilità dei governi e degli affari aziendali, in modo da evitare errori di politiche e spreco delle risorse nazionali; (4) adeguati e accessibili sistemi di sicurezza sociale, per alleviare l'impatto dell'aggiustamento economico e delle riforme per i membri più vulnerabili della società; (5) deregolamentazione e la fine dei monopoli. Accanto a ciò, si è assistito alla diversificazione delle forme in cui il Fondo fornisce le sue risorse finanziarie (fra le iniziative più recenti il Servizio di Riserva Integrativa, 1997: SRF; e la Linea di Credito Contingente, 1999: CCL). Il FMI ha sviluppato poi una sempre maggiore collaborazione con altre IFI. Al di là quindi di adattamenti del proprio Statuto l'istituzione di Bretton Woods ha saputo mantenersi al passo con il mutamento imposto al suo ruolo. Nell'ambito della prevenzione e gestione delle crisi il FMI riveste, o potrebbe rivestire, un ruolo da protagonista in alcuni meccanismi per un ordinato salvataggio del debito. Particolari caratteristiche proprie del ruolo di un prestatore di ultima istanza internazionale sono embrionalmente presenti nella nuova Linea di Credito Contingente, che fornisce finanziamenti a breve termine per fronteggiare problemi di bilancia dei pagamenti derivanti dal contagio internazionale. La politica di Prestiti in Arretrato del FMI è volta a facilitare la fase di ristrutturazione seguita ad una sospensione dei pagamenti. Per litigation stays (interruzioni temporanee vincolanti delle vertenze giudiziarie intentate dai creditori) e per il ruolo di corte fallimentare alla quale quali i paesi possano appellarsi per sospensioni dei pagamenti (cfr. modello del United States Bankruptcy Code), un possibile ruolo del Fondo a riguardo è stato proposto. xxvii LIBERALIZZAZIONE DEL CONTO CAPITALE E CONTROLLI DEI CAPITALI L'integrazione dei mercati finanziari di molte economie emergenti nel sistema internazionale ha sicuramente costituito una delle cause del grande sviluppo dei flussi di capitale privato verso quei paesi nei primi anni novanta, e, per contro, si sia rivelata una causa di accelerazione e aggravamento delle seguenti crisi finanziarie. Uno degli aspetti del dibattito sulla riforma dell'architettura del sistema finanziario internazionale riguarda una riconsiderazione critica delle tematiche relative alla liberalizzazione del conto capitale, alla luce dei pericoli emersi nelle crisi più recenti. Da questa revisione critica nascerebbe anche il rinnovato interesse per la possibilità, per paesi caratterizzati da sistemi finanziari fragili, di utilizzare forme di controllo dei capitali per regolare i loro flussi e cercare di minimizzare gli episodi di instabilità finanziaria. L'approfondimento di questa parte del dibattito sulla riforma dell'architettura finanziaria internazionale costituisce la seconda parte della tesi. Liberalizzazione del conto capitale La liberalizzazione del conto capitale di un paese si colloca in un contesto più ampio e complesso. Essa rappresenta una delle due "dimensioni" del processo di apertura della bilancia dei pagamenti di un paese (l'altro è l'apertura del conto capitale) e può anche essere vista come una fase particolare del quadro più complesso di riforme per la liberalizzazione di un sistema finanziario. La convertibilità del conto capitale, per analogia con l'Articolo VIII dello Statuto del FMI definisce la convertibilità del conto corrente, può essere definita come una situazione in cui siano state rimosse le proibizioni alla libertà di transazioni finanziarie e dei capitali. Per eguale analogia, tale obiettivo non è necessariamente incompatibile con il permanere di alcuni strumenti restrittivi basati su meccanismi di prezzo o regolamentazioni prudenziali su tali transazioni 3 . Nel corso degli anni novanta si è assistito ad un aumento dei processi di liberalizzazione in molti PVS e, con il crollo del blocco comunista, nelle economie in transizione. Anche in questi casi, la portata e la velocità dei processi di liberalizzazione intrapresi sono state estremamente variabili. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, la liberalizzazione del conto capitale si è inserita in quadro più vasto e graduale di riforme economiche volte a modificare e a rafforzare il sistema finanziario. In quest'ottica, specialmente nei PVS asiatici e dell'America Latina e nelle economie in transizione, si sono allentati o eliminati i controlli sugli investimenti diretti esteri, sugli investimenti obbligazionari ed azionari di portafoglio, eliminati i sistemi duali di tassi di cambio, ecc. In altri casi, più limitati, l'approccio è stato più diretto, con l'apertura di parti significative del conto capitale in un solo momento. Fra i principali vantaggi associati all'apertura del conto capitale, in analogia con l'apertura del conto corrente, si indicano un maggior afflusso di capitali dall'estero e ad una crescita dello stock di capitale nell'economia (cfr. MacDougall, 1968), la possibilità di sostenere un livello più alto di capitale (riducendo i costi in termini di perdita di consumo attuale impliciti nei risparmi interni) e disavanzi di parte corrente della bilancia dei pagamenti e di poter attenuare gli shock al reddito e ai consumi e ridurre i costi di finanziamento. A flussi particolari come gli investimenti diretti esteri sono, inoltre, associati eventuali benèfici trasferimenti di competenze tecnologiche e gestionali. La teoria della finanza aziendale insegna poi che la libertà nelle transazioni finanziarie consentirebbe, attraverso il commercio di attività rischiose, la 3 Infatti la definizione di convertibilità del conto corrente data nello statuto del FMI non proscrive totalmente l'uso di tariffe sulle importazioni e di tasse sulle sottostanti transazioni. xxviii ripartizione e diversificazione dei rischi, mediante la costituzione di un portafoglio di attività negativamente correlate. I costi collegati al mantenimento dei controlli dei capitali costituirebbero poi un argomento indiretto per la liberalizzazione del conto capitale. Fra i rischi della liberalizzazione tre sono quelli più comunemente identificati, specialmente per i PVS: (1) la perdita di risorse finanziarie e fiscali, (2) la perdita di autonomia ed efficacia delle politiche macroeconomiche, (3) l'aumento dell'instabilità macroeconomica e finanziaria. L'apertura del conto capitale causerebbe una "fuga di capitali" da parte dei residenti. Ad esso si assocerebbe una preoccupazione legata alla fragilità degli equilibri fiscali. La debolezza delle situazione fiscale dei governi di molti PVS porta sovente ad imporre una "imposta da inflazione" 4 . L'apertura del conto capitale porterebbe ad una riduzione di questi guadagni da signoraggio, man mano che gli attori economici iniziano a sostituire attività in valuta domestica con attività in valuta estera e si riduce la base dell'imposta da inflazione. Anche la politica monetaria può subire gravi limitazioni. In situazioni di tasso di cambio fisso (o parità striscianti) e mercati dei capitali liberalizzati la validità della parità coperta dei tassi di interesse, determina la perdita di autonomia della politica monetaria nella fissazione del tasso di interesse interno. Tale effetto può essere limitato in caso di cambi flessibili, ma problematiche di volatilità del cambio nominale implicano altri costi (p.es. effetti reali conseguenze di overshooting del tasso di cambio). Il rischio dell'aumento dell'instabilità macroeconomica e finanziaria, è legato ai flussi di hot money che possono provocare variazioni rilevanti dei tassi di cambio, dei tassi di interesse e della produzione e portare a crisi finanziarie. Inoltre il processo di apertura del conto capitale, in particolare, e quello di liberalizzazione del settore finanziario, in generale, come dimostrano alcune analisi empiriche, sono causa di fragilità del sistema finanziario. Demirugüç-Kunt e Detragiache (1998) evidenziano che il processo di liberalizzazione finanziaria è un fattore rilevante per l'insorgere di fragilità nel sistema bancario, ma è meno grave per quei paesi che erano stati finanziariamente "repressi" 5 . Rossi (1999) conferma un ruolo simile anche per crisi valutarie ed in più che la presenza di maggiori controlli sugli afflussi di capitali è associata a una minore probabilità di crisi. Questi due studi registrano anche come, nel medio periodo, gli effetti positivi della liberalizzazione finanziaria sulla crescita tendono a bilanciarsi con i costi connessi ad una maggior incidenza di crisi finanziarie. Nel tentativo di limitare i rischi e godere più ampiamente dei benefici di una liberalizzazione del conto capitale si sono sviluppati molti studi sulla sequenza ottimale del processo di liberalizzazione entro la quale collocare nella maniera più opportuna questa fase. In questo quadro si sono individuati una serie di requisiti preliminari indispensabili: (1) un quadro macroeconomico stabile e (2) un sistema finanziario interno robusto. Circa la sequenza ottimale di liberalizzazione del conto capitale rispetto al conto corrente, la "scuola ortodossa" insegna che quest'ultimo debba essere liberalizzato per primo. La motivazione principale alla base di questa scelta è che generalmente una liberalizzazione del 4 Mediante la creazione di base monetaria, passività senza interessi, e l'imposizione di misure di repressione finanziaria che impongono al settore privato la detenzione della valuta domestica e al sistema bancario il mantenimento di riserve (non remunerate o a remunerazione fissa) presso la banca centrale, i governi suppliscono alle fragilità dell'apparato fiscale. 5 In un paese finanziariamente "represso" le istituzioni sono costrette a pagare tassi di interessi reali molto bassi o addirittura negativi. In tal modo si riducono i risparmi privati e si limitano le risorse disponibili per l'accumulazione del capitale. xxix conto corrente viene preceduta da un deprezzamento reale del tasso di cambio, per bilanciare gli effetti negativi della riduzione delle barriere protezionistiche, mentre la liberalizzazione del conto capitale conduce tendenzialmente ad un apprezzamento del cambio reale. L'iniziale afflusso di capitali, stimolato dall'apertura del conto capitale come risposta alla domanda repressa di attività nazionali all'estero, tenderebbe a superare l'effetto dell'apertura del conto corrente, con un apprezzamento, perlomeno in una prima fase, del tasso di cambio reale e riallocazioni temporanee delle risorse all'interno dell'economia che sconsigliano liberalizzazioni simultanee. Circa la collocazione della fase di apertura del conto capitale nel più vasto contesto del processo di liberalizzazione del sistema finanziario la posizione emergente più di recente è di compromesso fra altre più estreme. Per essa il processo di liberalizzazione del conto capitale necessita di integrarsi in maniera organica con tutta una serie di riforme concorrenti, sia relative al settore interno che a quello esterno. Da questo punto di vista sembra sottolinearsi l'importanza della "coordinazione" delle diverse riforme. L'interesse si concentra non tanto sulla sequenza di riforme di aree diverse (p.es. fiscale, monetaria, del mercato finanziario interno, del conto corrente o del conto capitale), ma piuttosto di pacchetti di misure di liberalizzazione gradualmente coinvolgenti tutte (o la maggior parte di) queste diverse aree. Il problema della velocità della liberalizzazione del conto capitale è poi un falso problema, se considerato isolatamente, ma va inquadrato in quello più generale del mantenimento di un equilibrio e di un coordinamento fra tutte le riforme da attuarsi nell'ambito del processo complessivo di liberalizzazione del sistema finanziario, che non metta in pericolo la stabilità dello stesso. Vista la complessità di molte delle riforme interne previste, appare più ragionevole pensare ad una fase di transizione abbastanza lunga, specialmente per quelle economie emergenti che partono da un sistema finanziariamente represso e che dispongono di scarse risorse economiche e umane per attuare le riforme necessarie. Per paesi che abbiano già affrontato gli adeguamenti macroeconomici (politiche monetaria, fiscale e dei cambi) e dei sistemi e degli operatori finanziari nazionali più volte citati, è invece possibile un percorso più celere. Questa maggiore flessibilità ed attenzione alle condizioni specifiche dei diversi paesi emergenti nell'approccio al processo di liberalizzazione del conto capitale si è riflessa anche sul dibattito che verso la metà degli anni novanta aveva proposto di procedere all'emendamento dello Statuto del FMI per rendere la promozione della liberalizzazione del conto capitale un suo obiettivo specifico e dargli al FMI l'appropriata giurisdizione sui movimenti di capitali. Il progetto sembra abbandonato e l'attenzione del FMI si è volta piuttosto all'esame più approfondito delle diverse esperienze di liberalizzazione e di utilizzo di controlli dei capitali nei diversi paesi membri in funzione prudenziale. Il caso dell'India, benché da esso non emergano chiare indicazioni generalizzabili ad altre situazioni, rappresenta un esempio interessante di liberalizzazione graduale e organica del conto corrente, del conto capitale e del sistema finanziario (cfr. par. 5.4). A partire dal 1991, e nel corso degli anni novanta, l'India ha proceduto ad una apertura del conto capitale favorendo soprattutto forme di capitali a lungo termine e tradizionalmente meno volatili, quali gli IDE e investimenti di portafoglio azionari, rispetto a prestiti a breve termine o ai depositi a vista di indiani non residenti. Nel frattempo giunse alla liberalizzazione del conto corrente con la accettazione, nel 1994, delle obbligazioni dell'Articolo VIII del FMI. Sono stati poi compiuti rapidi progressi nello sviluppo dei mercati mobiliari e alcune riforme del settore bancario (sebbene più lente e ancora incompiute) dirette, in un primo tempo, a migliorare l'ambiente in xxx cui le banche operavano (stabilimento di mercati del debito statale, della regolamentazione e vigilanza prudenziale, ecc.) e, in un secondo tempo, a migliorare la loro efficienza operativa. Durante la transizione sono rimasti numerosi controlli dei capitali, principalmente di tipo diretto, basati sulla quantità, piuttosto che di tipo indiretto con influenza sui prezzi. Pare che essi abbiano consentito di mantenere un certo spazio per politiche macroeconomiche indipendenti, abbiano isolato l'India da fenomeni di contagio nelle recenti crisi e permesso il perseguimento di una diminuzione delle passività sull'estero del paese, e, soprattutto, una modificazione delle forme di finanziamento verso il debito a lungo termine e il capitale di rischio. Due elementi chiave in particolare sembrano aver caratterizzato il successo dell'esperienza indiana di graduale liberalizzazione: (1) la forte capacità amministrativa (per un PVS) e (2) la relativa chiusura e arretratezza dei mercati finanziari, dominati dalla proprietà pubblica e dal controllo pervasivo della RBI. Controlli dei capitali e finalità prudenziali Per ciò che riguarda la forma assunta dai controlli sui flussi di capitali, è possibile individuare una gran quantità di tipologie. Innanzitutto si distingue, in modo assai generale, fra controlli sui flussi in entrata e controlli sui flussi in uscita. Le forme assunte possono, poi, essere diverse: proibizioni dirette, sistemi di licenze o procedure di approvazione, oppure sistemi basati sul prezzo come tasse o sulle diverse transazioni di capitali volte a modificare la direzione, entità e/o composizione dei flussi (controlli indiretti). Si può poi classificarli sulla base dei flussi di capitale specifici su cui sono imposti (cfr. classificazione AREAER del FMI; tab. 3.1). Ma quali sono le ragioni che spingono un paese a mantenere o reimporre controlli dei capitali? La letteratura economica individua due grandi gruppi di motivazioni: (1) quelle che sono basate su argomentazioni di second best, per i quali le restrizioni costituirebbero una forma ulteriore di distorsione atta ad eliminarne un'altra, potenzialmente più dannosa per il benessere della società e (2) quelle, più recenti, che considerano l'esistenza di equilibri multipli, in cui l'intervento governativo nei mercati dei capitali consentirebbe il raggiungimento dell'equilibrio ottimale (first best). All'interno del primo gruppo possiamo distinguere fra ragioni di stabilizzazione (del prodotto, dei prezzi e del tasso di cambio) e quelle legate a distorsioni di alcuni prezzi relativi dell'economia, dettate da diverse cause (processo di liberalizzazione, mantenimento della tassa d'inflazione, limitazione dei deflussi di capitali dei residenti, incertezza dei diritti di proprietà e distorsioni del mercato interno). Un'argomentazione peculiare di questo gruppo individua nei flussi di capitali stessi, specialmente quelli speculativi, la fonte di distorsione dell'equilibrio ottimale; il controllo di questi flussi ristabilirebbe la condizione di first best (cfr. subpar. 4.2.1). Al secondo gruppo (assai meno numeroso) si riconducono quelle teorie che ammettono la possibilità che timori di attacchi speculativi (detti "autorealizzantesi"), anche se condotti in presenza di politiche monetarie pienamente coerenti, possono nondimeno generare essi stessi un attacco e portare a cambiamenti di politica economica e passaggi fra diversi equilibri economici. Le motivazioni per l'imposizione dei controlli dei capitali si richiamano alla possibilità di perseguire o mantenere quell'equilibrio ritenuto ottimale secondo il metro di giudizio del governo, evitando che attacchi speculativi autorealizzantesi provochino un allontanamento dallo stesso (cfr. subpar. 4.2.2). La rassegna della teoria e la considerazione di casi empirci mostra che fra le ragioni principali che giustificano controlli dei capitali rientrano il perseguimento di una certa autonomia della xxxi politica monetaria e la volontà di mantenere la base imponibile e il gettito fiscale. Le ragioni di carattere prudenziale sono state invece solitamente secondarie. Una delle critiche principali al mantenimento o reintroduzione di forme di controlli dei capitali risiederebbe nella loro scarsa efficacia, per la possibilità di una loro evasione da parte di quegli operatori che devono sopportare il costo della distorsione nei consumi e nei commerci intertemporali da questi causata. Qualora i benefici di un loro aggiramento superino la somma dei costi da essi imposti e dei costi per l'evasione stessa, è intuitivo ritenere che essi saranno, almeno in parte, resi inefficaci. L'evasione dei controlli dei capitali avverrebbe in molteplici modi. La sottofatturazione delle esportazioni e la sovrafatturazione delle importazioni sono utilizzate per aggirare controlli sui deflussi dei capitali. Più in generale, l'evasione può avvenire sostituendo transazioni regolate e/o tassate con altre che non lo sono, ma caratterizzate da un certo grado di sostituibilità, sfruttando in tal modo aree non coperte dalla regolamentazione o ideando delle scappatoie, mediante la creazione di nuovi strumenti finanziari. Prima di valutare l'efficacia e quindi i costi associati ai controlli è però opportuno definire l'efficacia stessa. Se l'efficacia è definita come "la differenza osservata durante estesi periodi di tempo nel comportamento medio di alcune variabili economiche selezionate, fra paesi con controlli dei capitali e paesi senza di essi" (Dooley, 1996: 669), piuttosto che come "la capacità di un governo di mantenere indefinitamente un regime incoerente di politica macroeconomica" (ibidem), allora riscontriamo, dallo studio di numerosi studi empirici, una efficacia almeno temporanea, nel perseguimento degli obiettivi per i quali i controlli erano stati imposti (cfr. subpar. 4.4.1. per le modalità di misurazione dell'efficacia). In particolare lo studio di Ariyoshi e altri (2000), di cui abbiamo sintetizzato i risultati in Tabella 4.1, evidenzia in molti casi il successo dei controlli dei capitali, misurando tre dimensioni: capacità di mantenere differenziali fra i tassi di interesse interni e quelli esterni in mercati offshore o paralleli, la capacità di resistere a pressioni sul tasso di cambio o scoraggiarle e la capacità di evitare eccessivi afflussi e/o deflussi di capitali e di modificarne la composizione verso scadenze più lunghe. Il tempo, guadagnato dai paesi, sembra dipendere dall'estensione e portata dei controlli e dalla qualità delle politiche attuate dai governi; loro incoerenze, ritardi in riforme strutturali necessarie, sembrano associate alle esperienze più fallimentari. Tuttavia, in moltissimi studi condotti rimane difficile distinguere il contributo al perseguimento di un obiettivo dovuto ad altre misure (p.es. interventi di sterilizzazione, riforme strutturali, ecc.) attuate contemporaneamente dai governi, o a mutamenti di altre condizioni interne o del quadro internazionale. Tutta una serie di modelli teorici individua nel funzionamento stesso dei mercati dei capitali una fonte di volatilità e incertezza. Voci, operatori scarsamente informati, effetti imitativi, bolle speculative e altri comportamenti legati a problematiche di asimmetrie informative tipiche dei mercati finanziari, guidano i movimenti di molti flussi di capitali, specialmente di breve periodo, ritenuti di natura speculativa. L'imposizione di controlli e restrizioni su certe tipologie di transazioni finanziarie, permetterebbe di eliminare alcune di queste distorsioni. Quest'idea di fondo è alla base della Tobin tax e di tutte quelle proposte volte a "gettare la sabbia negli ingranaggi troppo flessibili dei mercati finanziari", che mirano a ridurre le oscillazioni dei prezzi, tassi di cambio e tassi di interesse causate da reazioni dei mercati non supportate da mutamenti dei fondamentali di un'economia. Esse hanno specificatamente una finalità prudenziale. La Tobin tax (cfr. subpar. 4.5.1) rientra, a nostro parere, fra quelle proposte della riforma dell'architettura del sistema finanziario internazionale, che riteniamo di difficile fattibilità e scarsamente realistiche, a causa della sua peculiare caratteristica di universalità. Tuttavia altre xxxii misure nazionali in parte analoghe sono state guardate con interesse da parte della comunità internazionale: fra di esse misure di controllo sugli afflussi di capitale come tasse (funzionanti come Tobin tax asimmetriche) e requisiti di riserva non remunerata (URR). Entrambi questi meccanismi manterrebbero la caratteristica di progressività (cioè colpirebbero in misura proporzionalmente maggiore le operazioni più a breve termine, presumibilmente ritenute di carattere speculativo) tipica della Tobin tax. La funzione prudenziale di queste tipologie di controlli sugli afflussi di capitali è quella di evitare la costituzione di posizioni rischiose in valuta estera, specialmente a breve scadenza, innalzando il costo del ricorso al prestito all'estero per i mercati emergenti e riducendo i rendimenti attesi degli investitori (specie degli speculatori). L'ottica adottata è quindi preventiva. L'esperienza con l'URR cileno, esaminata nel quinto capitolo (cfr. par. 5.2), indicherebbe che l'efficacia sul volume degli afflussi di capitali, oltre il breve periodo sembra insignificante, mentre è incerto se l'introduzione dell'URR abbia modificato la composizione degli afflussi di capitali in favore di quelli a medio e lungo termine. L'URR cileno inoltre è stato accompagnato da una serie di misure intraprese nel corso degli anni dalle autorità cilene per il perseguimento di obiettivi comuni o collegati a quelli suoi propri. In questo senso esso appare come uno dei numerosi strumenti di politica economica e la sua efficacia va riconsiderata, tenendo conto del contributo specifico di tutti gli altri. D'altra parte, non minimizzando completamente i possibili effetti di breve e medio periodo riscontrati in numerosi studi, si può ritenere che il periodo di tempo limitato, in cui tali controlli sui capitali si dovessero mantenere efficaci potrebbe consentire alle istituzioni del paese interessato di rafforzare gradualmente il proprio sistema finanziario secondo le linee indicate da standard internazionali e IFI. Krugman (1998) ha espresso la tesi che controlli sui deflussi di capitale possono essere imposti dopo l'inizio di una crisi, per permettere di abbassare i tassi di interesse, stimolare la crescita, il tutto senza incorrere in rischi di nuove crisi valutarie. Questi controlli avrebbero una funzione temporanea. Nel tempo guadagnato, le difficoltà congiunturali e strutturali dell'economia dovrebbero essere superate, procedendo con apposite riforme che consentano di smantellare gradualmente le misure restrittive precedentemente imposte. La gran parte del mondo accademico è generalmente unita sulla inopportunità di controlli sui deflussi di capitale: (1) la loro efficacia sarebbe al più temporanea (breve o brevissimo periodo); (2) il tempo guadagnato per le riforme spesso nasconderebbe in realtà la mancanza di volontà politica di attuarle; (3) tali controlli danneggerebbero le possibilità di accesso dei paesi ai mercati internazionali dei capitali per lungo tempo, minando la credibilità e attrattiva del paese per gli investitori esteri (questo con possibili conseguenze sui tassi di sviluppo del paese a medio-lungo termine). La Malesia, che ha imposto controlli valutari e sui deflussi dei capitali piuttosto estesi (cfr. par. 5.3) sembra presentare un immagine abbastanza positiva (almeno nel breve e medio periodo) di una simile soluzione. L'efficacia nell'eliminare il mercato offshore del ringgit, evitare pressioni speculative sulla valuta, sembra essere stata ottenuta e a costi ragionevoli (anche considerando i deflussi di capitali dopo l'allentamento delle misure che imponevano periodi minimi per il rimpatrio dei capitali stranieri). L'effetto sulla crescita economica è invece difficilmente distinguibile stante l'attuazione di altre misure di riforma macroeconomiche e strutturali (specie nel settore finanziario) che li hanno accompagnati e la concomitante ripresa in tutta la regione. Tre fattori ci appaiono emergere come la chiave della riuscita dell'esperienza malese: (1) la Malesia non ha imposto i controlli per gravi problemi legati a squilibri macroeconomici della sua economia; (2) i controlli applicati sono stati di ampia portata e rigorosamente applicati, lasciando pochi spazi a tentativi di aggiramento e scappatoie della legislazione; (3) il tempo xxxiii guadagnato con i controlli è stato impegnato efficacemente per il risanamento del sistema bancario (e in parte di quello aziendale) e per le riforme strutturali necessarie ad un suo rafforzamento. CONCLUSIONI In relazione alla riforma in generale emergono i seguenti aspetti: • L'intensità delle crisi avvenute e la rapida successione fra le stesse (fra lo scoppio della crisi asiatica e quella brasiliana intercorre solo un anno e mezzo) hanno senza dubbio instillato un sentimento di impellenza nel dibattito e contribuito a vivificarlo. La riforma si presentava come necessaria e il momento per il dibattito era sicuramente quello adatto. • Le proposte formulate dal mondo accademico e da vari gruppi internazionali o IFI sono state nel complesso assai numerose, ma in sostanza l'approccio alla riforma è stato, nel settore ufficiale, estremamente cauto. • La riforma si è incentrata primariamente su alcune delle aree condivise quasi da tutti: quelle della trasparenza e responsabilità, rafforzamento del settore finanziario e del settore aziendale. Altre aree, come quella relativa al coinvolgimento del settore privato, oggetto di un accordo di massima circa la necessità di intervento, hanno visto progressi estremamente limitati. • L'approccio prevalentemente adottato alle riforme è stato quello degli standard internazionali, buone pratiche condivise e linee guida di comportamento, relativi ad aree in cui sono state individuate inadeguatezze, possibili cause di crisi finanziarie, e ad aspetti specifici da cui sono sorte fragilità. L'enfasi rinnovata posta sul loro sviluppo e, in parte, sulla loro applicazione, specialmente nelle economie emergenti, ha costituito il principale aspetto concretamente tangibile della riforma dell'architettura finanziaria internazionale. • I progressi nel coinvolgimento del settore privato sono rimasti assai scarsi. Solo relativamente alle procedure di insolvenza si registrano progressi, ancora una volta, attraverso elaborazione di standard internazionali (p.es. UNCITRAL Model Law on Cross- Border Insolvency). • I progressi maggiori restano nell'area della prevenzione delle crisi e la divisione dei costi, sia nella fase di prevenzione sia in quella di gestione, rimane comunque ancora sostanzialmente sbilanciata a sfavore dei debitori (cioè i paesi emergenti) rispetto ai creditori privati. • Due preoccupazioni specifiche sono sentite, in particolare dai PVS (cfr. G-24, 2000a e 2000b): 1. la tendenza del dibattito sulla riforma dell'architettura finanziaria internazionale ad aver luogo in fori e gruppi di lavoro internazionali, nei quali la loro rappresentanza è estremamente limitata, ma le cui proposte hanno spesso rilevanti conseguenze sui paesi emergenti. 2. il diffondersi di proposte di riforma delle istituzioni di Bretton Woods, tese a limitare l'accesso alle loro risorse attraverso nuove forme di condizionalità, ad aumentare i costi di accesso e ridurre le scadenze dei finanziamenti del FMI e il pericolo di iniziare delle "lotte fra poveri", facendo pagare il costo delle risorse per i paesi più poveri ai paesi emergenti a medio reddito 6 . 6 Peraltro ci sembrano comunque rilevanti le osservazioni del Comitato Meltzer (cfr. Com.Cons. IFI, 2000). Senza dubbio è opportuno che vi sia un ricorso maggiore al mercato da parte di quei paesi emergenti che hanno accesso ad esso e che le risorse delle IFI siano prevalentemente destinate ai paesi che invece non l'hanno (o l'hanno a costi assolutamente proibitivi). xxxiv In relazione alle IFI e al FMI si evidenziano in particolare alcuni sviluppi: • Un importante risultato del dibattito è stata la maggiore flessibilità di vedute, introdotta nell'operatività del FMI e di altre IFI. Se prima, in molti casi, c'era la tendenza ad un approccio del tipo one size fits all, ora sta maturando una tendenza a produrre analisi più specifiche, a rivedere e valutare, anche con contributi esterni, le proprie azioni ed i propri programmi e a riprendere e ad approfondire il dibattito in aree (ad esempio la liberalizzazione del conto capitale) su cui prima esistevano posizioni di consenso consolidate. • Le nuove problematiche affrontate e le critiche ricevute hanno modificato e stanno modificando il ruolo del FMI. Se è vero che è aumentato l'ambito di azione degli interventi del Fondo in aree nuove (la sua "ingerenza" negli affari nazionali) al contempo, è aumentata anche l'attenzione per problematiche sociali collegate all'impatto dell'aggiustamento economico e delle riforme per i membri più vulnerabili della società. • Dal punto di vista strutturale, l'introduzione della SRF e della CCL del FMI, pur con i limiti ad esse associati, costituiscono novità importanti per la gestione delle crisi finanziarie. • La politica del prestito in arretrato del FMI sebbene non ancora sufficientemente testata, sembra un primo passo promettente nel facilitare il coinvolgimento del settore privato nella ristrutturazione del debito. In relazione alle tematiche di liberalizzazione del conto capitale e all'utilizzazione di forme di controlli dei capitali, per limitare la probabilità di crisi e la volatilità dei mercati finanziari si osserva quanto segue: • Nonostante si continuino a riconoscere i sostanziali potenziali vantaggi associati all'apertura del conto capitale, occorre attentamente gestire la sequenza del processo di liberalizzazione, per minimizzare i rischi di instabilità finanziaria ad essa associati (per molti aspetti simili a quelli relativi al più generico processo di liberalizzazione del sistema finanziario e dipendenti da politiche macroeconomiche inconsistenti e dalla scarsa solidità e capacità dei sistemi finanziari stessi di gestire adeguatamente le nuove sfide imposte dall'apertura) • La necessità, per evitare che i costi superino i benefici, di procedere a processi graduali e organici nel processo di liberalizzazione e apertura di un paese, ha portato a riconoscere che occorra un tempo ragionevolmente adeguato per perseguire il rafforzamento dei sistemi finanziari nazionali. Ciò ha, ha suggerito di ammettere fasi di transizione in cui permangono alcuni controlli sui capitali. • Un interesse diffuso è stato mostrato per i controlli sugli afflussi di capitali, particolarmente guardando all'esperienza del Cile e del suo requisito di riserva non remunerata (URR). Minore consenso hanno raccolto invece restrizioni sui deflussi di capitale, come quelle imposte dalla Malesia. Tuttavia: 1. L'analisi sui controlli cileni ridimensiona l'efficacia prudenziale degli stessi, e dell'URR in particolare, nel perseguire la ricomposizione dei flussi di capitale e del debito estero verso scadenze più lunghe e forme meno volatili, limitata, al più, al breve e medio periodo. L'effetto nel ridurre i flussi totali di capitali appare ancora più ambiguo e fugace. 2. L'analisi del caso della Malesia sembra indicare l'efficacia delle restrizioni valutarie e sui deflussi dei capitali nel perseguimento dei loro obiettivi. Inoltre, il bilancio complessivo, benché provvisorio, fra costi e benefici sembra indicare una xxxv prevalenza dei secondi. Siamo pertanto portati ad esprimere un giudizio meno negativo di quello della gran parte del mondo accademico. Alla luce delle analisi delle esperienze di Cile, Malesia ed India, concludiamo che, nonostante l'efficacia spesso non sembri andare oltre il medio periodo, l'utilizzo di forme di controlli dei capitali debba restare un'opzione aperta per i paesi emergenti. Sebbene l'introduzione o l'entrata a regime di molte delle altre proposte per la riforma dell'architettura del sistema finanziario internazionale e in particolare il miglioramento della regolamentazione e vigilanza prudenziale possano portare nel medio-lungo termine, a ridurre la necessità di ricorso ai controlli (specialmente in funzione preventiva delle crisi finanziarie), i controlli dei capitali possono rivelarsi utili come misure temporanee, sia per procedere ad ordinate liberalizzazioni, sia per procedere a rafforzamenti successivi del proprio sistema finanziario. In relazione al problema dei costi legati alla perdita di credibilità di un paese che introduce controlli di capitale, sottolineiamo come questo possa essere amplificato proprio da una loro condanna aprioristica, indistintamente dalle condizioni specifiche del paese. A questo proposito consigliamo: A. Che le IFI stesse dovrebbero essere più flessibili nel loro giudizio sui controlli dei capitali, in presenza di particolari condizioni ed in occasioni di crisi finanziarie, procedendo a più aperte e attente valutazioni della loro opportunità e possibilità di successo, caso per caso. B. Che in questo ambito, sia importante che le IFI, come il FMI, giungano a formulare espliciti giudizi di ammissibilità di controlli temporanei dei capitali, sostenute eventualmente da risorse finanziarie a tassi non punitivi e dall'assistenza tecnica indispensabile (come già avviene) per le riforme necessarie dei sistemi finanziari e delle politiche macroeconomiche (che resterebbero comunque elementi accessori e non necessariamente collegati al giudizio di ammissibilità espresso). La valutazione dovrebbe avvenire caso per caso, sulla base comunque di alcune linee guida, dedotte dall'analisi di precedenti esperienze di reintroduzione di controlli dei capitali. C. Che un ruolo analogo, con sostegno tecnico e finanziario, sia esteso al sostegno di approcci graduali alla liberalizzazione del conto capitale, per quei PVS ancora fondamentalmente chiusi e con sistemi finanziari arretrati, i quali non dispongono di sufficienti competenze tecniche ed economiche per le riforme necessarie ad attuarli con successo, minimizzando, in tal modo, i rischi per la stabilità. Ulteriori passi fondamentali, a nostro avviso utili per caratterizzare il proseguimento del lavoro relativo alla nuova architettura del sistema finanziario internazionale, sono: ™ Consolidare e affinare le iniziative già intraprese. Dopo le fasi di dibattito, sviluppo e applicazione sperimentale, bisogna che si proceda ad affinare i nuovi strumenti ed, eventualmente, a renderli definitivi. Tutto ciò specialmente in relazione all'approccio degli standard, ad altre iniziative legate alla trasparenza e ai nuovi servizi di assistenza finanziaria e tecnica della IFI. ™ Maggior 'burden sharing' delle riforme fra paesi emergenti e creditori internazionali. E' necessario, proseguire nei tentativi di coinvolgimento dei creditori privati nella prevenzione come nella risoluzione della crisi finanziarie. Si sottolineano in particolare fra i meccanismi ritenuti più facili da introdurre e più promettenti, sulla base dell'analisi condotta: linee di credito contingente private per paesi emergenti o strumenti di assicurazione sul servizio del debito, l'istituzione di commissioni permanenti di creditori e l'introduzione di clausole di azione collettiva nei titoli governativi. Il ruolo della politica del prestito in arretrato del FMI e la xxxvi CCL, dovrebbero giocare una funzione importante di sostegno nella ridistribuzione del costo degli aggiustamenti necessari in caso di difficoltà nei pagamenti. In casi particolari, forme temporanee di controlli dei capitali con finalità prudenziali, sostenute dai giudizi di ammissibilità poc'anzi consigliati, dovrebbero costituire un'ulteriore modalità per un più equo burden sharing. ™ Coinvolgere maggiormente i PVS nel dibattito sulla riforma. Senza voler ridurre la vivacità del dibattito sulla riforma dell'architettura del sistema finanziario internazionale, eliminando fori ristretti di discussione, che godono di sicuri vantaggi in termini di efficienza operativa, è importante che, in ultima istanza, il dibattito sia ricondotto in sedi il più rappresentative possibili, come il FMI, la Banca Mondiale e le Nazioni Unite. Le decisioni devono essere prese in quei consessi, per mantenere la legittimazione più ampia possibile e avere migliori probabilità di essere attuate effettivamente ed avere successo. ™ IFI: soluzioni non concertate con i creditori e consulenza ai PVS. Giudizi espliciti di ammissibilità delle di IFI possono essere estesi, valutando attentamente caso per caso le condizioni dei paesi, in modo da ridurre i costi in termine di credibilità e accesso ai mercati che i paesi emergenti debbono sopportare, in caso di crisi dei pagamenti che presentino difficoltà e possano richiedere soluzioni non concertate con i creditori. Inoltre la consulenza tecnica, oltre che nella attuazione delle riforme relative alla trasparenza, ai sistemi finanziari, ecc., dovrebbe svilupparsi (e un ruolo importante in questo senso è giocato non solo dalle IFI ma anche dall'UNCTAD) sempre più nella promozione della conoscenza economica, in modo che i PVS (specialmente quelli meno sviluppati) possano prendere con cognizione di causa le scelte relative alle proprie politiche economiche e partecipino al dibattito sulla riforma dell'architettura del sistema finanziario internazionale con una chiara e consapevole visione dei propri interessi e delle implicazioni delle diverse proposte. Passi più ambiziosi e radicali, quali l'introduzione della Tobin tax, dell'UDROP o la creazione di una corte fallimentare internazionale, rimangono (almeno per il momento) poco realistici. Bisogna mantenere, a nostro avviso un approccio pragmatico, ma non minimalista, circa le riforme da compiere e soprattutto evitare quella fase di stanchezza che sembra insorgere all'allontanarsi degli stimoli offerti alla riforma da un episodio recente di crisi finanziaria.
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La nuova architettura finanziaria internazionale e i Pvs
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Informazioni tesi
Autore: | Alessandro Turri |
Tipo: | Tesi di Laurea |
Anno: | 1999-00 |
Università: | Università degli Studi dell'Insubria |
Facoltà: | Economia |
Corso: | Economia e Commercio |
Relatore: | Francesco Abbate |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 280 |
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