Infatti, nel senso più generale possibile, possiamo definire fatto (che
deriva dal latino factum = fieri = diventare) sia un evento accaduto,
quanto un’affermazione considerata vera circa l’accadimento di un
determinato evento: già da questa prima e generalissima definizione di
fatto naturale, risulta evidente come possa essere difficile, anzi
impossibile stabilire nella realtà una corrispondenza biunivoca tra i
due concetti. In ambito scientifico un fatto è un dato ottenuto tramite
un esperimento: un fatto, quindi, che si configura come una
rappresentazione imparziale, in rapporto alle condizioni in cui
l’esperimento scientifico si è svolto. E tanto più questo fatto è
osservato da un alto numero di sperimentatori, tanto più si potranno
escludere diverse ipotesi interpretative.
Partendo da queste semplici considerazioni preliminari, se
focalizziamo il pensiero su un concetto di fatto che sia più consono
alla scienza del diritto, risulta subito ovvio come possa risultare arduo,
se non impossibile ridurre una delle più ampie definizioni di fatto su
esposte ai fini del diritto: è necessario, infatti, procedere ad una
selezione per distinguere nel fluido avvenire dei fatti, quelli che
abbiano una qualche rilevanza, se visti in maniera teleologicamente
orientata alle norme del diritto. E risulta subito evidente dalla prima
2
definizione data del fatto, che stabilire un legame biunivoco tra ciò
che è accaduto nella realtà e ciò che si pretende vero è impossibile,
essendo impossibile verificare il fatto in sé: è necessario ricostruire
l’accaduto con l’ausilio di altri fatti che sono ad esso connessi, senza
poter mai arrivare alla sicurezza che il fatto avvenuto in natura ed il
fatto affermato siano perfettamente identici.
1
Il fatto giuridico
2
è sia definito in base all’effetto, sia in relazione di
opposizione all’atto. Secondo la prima accezione il fatto giuridico è
tutto ciò a cui una norma giuridica del sistema positivo attribuisce un
effetto positivo, mettendo quindi l’accento sul rapporto di causalità
giuridica; secondo l’altra accezione il fatto si definisce negativamente
rispetto al concetto di atto: l’atto è un fenomeno collocato sul piano
temporale che svolge e manifesta esteriormente una volontà umana,
quindi, definendo a contrario il fatto, quest’ultimo risulta un
1
UBERTIS G., La ricostruzione giudiziaria del fatto tra diritto e storia, in Cass. Pen., 2006, p.
1208. L’autore afferma che la teoria del sillogismo giudiziale, secondo cui “la sentenza sarebbe un
atto costituito da una premessa maggiore contenente l’enunciazione di una norma giuridica, da
una premessa minore relativa all’affermazione del verificarsi di un fatto contemplato dalla norma,
infine da una conclusione con cui, collegando i risultati dei due percorsi separatamente seguiti
per risolvere la quaestio iuris e la quaestio facti, si fissa la conseguenza giuridica di tale
accadimento.”, teoria, da cui si trae il corollario del un giudice come “bocca che pronunzia le
parole della legge”, secondo la suggestiva definizione di Montesquieu ne “Lo spirito delle leggi”,
è caduta con la “smentita a livello epistemologico della possibilità di ottenere una assoluta Verità
che conduca alla conoscenza di una altrettanto assoluta Oggettività.”
2
FALZEA A., Fatto giuridico, in Enciclopedia del diritto, vol. XVI, Milano, 1967, p. 942.
3
fenomeno temporale che non è generato volontariamente da un’attività
umana.
Secondo la teoria del diritto ormai maggioritaria, la seconda
definizione è considerata una mera specificazione della prima, ma la
dimostrazione del discorso esula dallo specifico fine di questa
trattazione. Il risultato che interessa ai fini dell’individuazione di una
figura di fatto processuale è che quest’ultimo viene visto in funzione
causale, ovvero come produttivo di determinati effetti.
2. Profili normativi del fatto processuale
Restringendo il campo dell’indagine al diritto processuale penale, la
ricostruzione del fatto è il compito del processo penale. Dal combinato
degli artt. 330 e 335 comma 1 e 2 c.p.p. discende per il pubblico
ministero l’obbligo di iscrivere la notizia di reato nell’apposito
registro, sia che ne abbia avuto notizia di propria iniziativa, sia che ciò
sia avvenuto per iniziativa della polizia giudiziaria o in seguito ad una
denuncia da parte di pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio
o ad un referto da parte dei soggetti tenuti ad effettuarlo. Questi atti
4
devono contenere il fatto di reato, le circostanze, gli effetti e, se
conosciuta, la persona (o le persone) a cui il fatto va attribuito.
Qualora dovesse mutare il solo nomen iuris del fatto di reato oppure
dovessero emergere diverse circostanze, ciò non obbligherebbe il
pubblico ministero ad una nuova iscrizione della notizia di reato, ma
semplicemente ad aggiornare la notizia già iscritta: quindi il fatto di
reato rimane sempre lo stesso fatto, indipendentemente da quale sia la
sua qualificazione giuridica e dalle circostanze che lo connotino. Ciò
che conta è l’avvenimento naturale che abbia elementi rilevanti per la
sussunzione in una fattispecie di reato, sussunzione assolutamente
provvisoria, volta, in questa fase procedimentale, alla determinazione
in ordine all’azione penale da parte del pubblico ministero.
Ex art. 369 c.p.p. qualora il pubblico ministero debba compiere un
atto, come, ad esempio l’interrogatorio, al quale il difensore della
persona sottoposta alle indagini abbia diritto di assistere, notifica a
quest’ultimo l’informazione di garanzia, contente l’indicazione delle
norme che si assumono violate e le circostanze spazio-temporali che
connotano il fatto. Facendo riferimento all’interrogatorio, l’art. 65
c.p.p. prescrive che “L'autorità giudiziaria contesta alla persona
sottoposta alle indagini in forma chiara e precisa il fatto che le è
5
attribuito, le rende noti gli elementi di prova esistenti contro di lei e,
se non può derivarne pregiudizio per le indagini, gliene comunica le
fonti.”: la determinatezza dell’enunciazione del fatto attribuito è un
punto cardine per il processo di stampo accusatorio.
Il nostro diritto processuale accoglie un concetto di azione penale,
definito come “azione in senso concreto”
3
, discendente
dall’integrazione tra l’obbligo di esercizio dell’azione penale a carico
del pubblico ministero (art. 112 Cost.) ed il diritto al “non processo”
di cui è portatore l’individuo. In questo contesto la formulazione
dell’imputazione, che è il momento genetico dell’azione penale,
costituisce una divisione tra “giurisdizione di garanzia” e
“giurisdizione di accertamento”. In altri termini, in questa fase pre-
processuale di cui ci stiamo occupando, il procedimento è finalizzato
all’azione, non è ancora il processo finalizzato al giudizio e non c’è la
sicurezza che si arrivi a quest’ultimo.
Ancora non sussiste un obbligo di esercizio dell’azione penale per il
pubblico ministero e questa fase gli è indispensabile per valutare se
debba esercitarla. Se dalle indagini risulterà che un fatto di reato si è
verificato, a parere del pubblico ministero, si passerà alla
3
RICCIO G., Fatto e imputazione, in Quaderni di Scienze Penalistiche, Università degli Studi di
Napoli Federico II, Dipartimento di Scienze Penalistiche, Criminologiche e Penitenziarie, Napoli,
2005, p. 27.
6
formulazione dell’imputazione, anticipando un concetto che verrà a
breve esplicato.
È qui, in questa fase procedimentale, che si esplica pienamente il
diritto della persona al “non processo” e si misura la distanza da una
concezione inquisitoria del processo.
4
In un sistema penale che garantisce alla persona il diritto a non subire
il processo, si instaura un contraddittorio volto a questo specifico
scopo e per garantirne l’effettività si contesta il fatto come risulta dalle
indagini nella forma più chiara e precisa possibile, con l’enunciazione
degli elementi di prova: solo così si mette l’indagato in condizione di
controbattere la ricostruzione del pubblico ministero e della polizia
giudiziaria, perché non si addivenga al processo.
Il più importante istituto, volto a garantire questo “diritto al non
processo” è collocato appena prima della formulazione
dell’imputazione, ed è stato introdotto dalla c.d. “legge Carotti”
5
: ci
riferiamo all’istituto dell’“addebito provvisorio” (art. 415 bis c.p.p.).
Prima della scadenza del termine delle indagini preliminari, il
pubblico ministero, escludendo che ci sia la necessità di archiviazione
per infondatezza della notizia di reato, fa notificare alla persona
4
RICCIO G., Fatto e imputazione, cit., p. 26.
5
Legge n. 479 del 16 dicembre 1999.
7
sottoposta alle indagini – e al difensore – un avviso di conclusione
delle indagini, che contiene tra l’altro, la “sommaria enunciazione del
fatto per il quale si procede, delle norme di legge che si assumono
violate, della data e del luogo del fatto […]” (art. 415 bis comma 2
c.p.p.) dando all’indagato la possibilità di richiedere più atti al
pubblico ministero, di cui l’unico vincolante è la richiesta di essere
sottoposto ad interrogatorio. Quindi, prima che il pubblico ministero
formuli l’imputazione e qualora non sia ancora avvenuto un
interrogatorio, è data questa garanzia all’indagato: gli è concesso di
confrontarsi con il pubblico ministero sul fatto; ed il fatto, già
nell’avviso è enunciato sommariamente ma connotato tanto dalle
coordinate spazio-temporali, quanto dalla qualificazione giuridica,
cosicché la persona possa arrivare all’interrogatorio con cognizione di
causa.
Se non ritiene di procedere alla richiesta di archiviazione, il pubblico
ministero, ex art. 405 c.p.p. deve formulare l’imputazione o
procedendo al giudizio direttissimo, quindi contestando l’accusa
dinnanzi al giudice del dibattimento (art. 449 c.p.p.), o richiedendo il
giudizio immediato (art. 453 c.p.p.), o con citazione diretta a giudizio
innanzi al tribunale ordinario in composizione monocratica (art. 550
8
c.p.p.), oppure, infine, deve richiedere il rinvio a giudizio al giudice
dell’udienza preliminare (art. 417 c.p.p.). Anche prima dell’apertura
della fase strettamente processuale, è possibile l’applicazione della
pena su richiesta delle parti (art. 444 c.p.p.), e a certe condizioni il
pubblico ministero può emettere il decreto penale di condanna (art.
459 c.p.p.)
Il momento della formulazione dell’imputazione è fondamentale per il
processo penale, essendo lo spartiacque tra giurisdizione di garanzia e
giurisdizione di accertamento: è da questo momento che l’azione
penale si considera iniziata ed è necessario che si arrivi ad una
pronuncia giurisdizionale.
Ed in ossequio a questo principio, l’attribuzione dello status di
imputato riveste un “significato non irrilevante ai fini dell’attivazione
del sistema di garanzie e dei diritti assicurati all’individuo nel corso
dell’iter procedimentale”.
6
Prendiamo come ipotesi di lavoro il rinvio a giudizio dinnanzi al
giudice dell’udienza preliminare.
All’indagato, durante l’udienza preliminare, viene contestato il fatto
contenuto nella richiesta di rinvio a giudizio, che, come prevedibile (e
ovvio dall’analisi delle precedenti fasi del procedimento penale: le
6
RICCIO G., Fatto e imputazione, cit., p. 27.
9
garanzie si ampliano nel corso del procedimento, non diminuiscono),
va enunciato in forma chiara e precisa. Ma questa formula, questa
specificazione riguardo al fatto, è un’aggiunta relativamente recente:
si deve alla cosiddetta “Legge Carotti”
7
. L’aggiunta si è rivelata
necessaria, in quanto la giurisprudenza, nonostante un nuovo codice di
procedura penale ispirato al processo accusatorio continuava a seguire
una pratica distorsiva in sede di enunciazione dell’imputazione: erano
comuni fenomeni di imputazioni generiche, magari appiattite sulla
fattispecie penale corrispondente
8
, o imputazioni alternative. Il
fenomeno sarà trattato più diffusamente in seguito.
9
Nell’udienza preliminare può accadere un fenomeno del tutto
speculare a quello descritto nell’art. 516 c.p.p. per quanto riguarda il
processo dinnanzi al tribunale: il fatto potrebbe risultare diverso
dall’imputazione. Questo è un punto nodale, come risulta evidente già
a prima vista, perché il processo si svolge su un fatto, la cui identità è
fondamentale per non negare l’esistenza stessa del processo.
Se il fatto dovesse risultare diverso da come prospettato
nell’imputazione (e anche qualora dovesse emergere un fatto connesso
ex art. 12 c.p.p. comma 1 lettera b) o una circostanza aggravante) è
7
L. 16 dicembre 1999, n° 479.
8
FOSCHINI G., La Criptoimputazione, in Arch. pen., 1967, vol. XXIII, parte I, p. 337 e ss.
9
Si faccia riferimento al secondo capitolo per i fenomeni distorsivi dell’imputazione.
10
fatto obbligo al pubblico ministero di modificare l’imputazione e
contestarla all’imputato.
Se il giudice per l’udienza preliminare rinvia a giudizio l’imputato, il
decreto di rinvio a giudizio deve contenere l’imputazione
10
(che quindi
in questo caso è contenuta in un atto giudiziale e non del pubblico
ministero, per quanto rappresenti, in ogni caso l’esatta proiezione
dell’imputazione del pubblico ministero, in ossequio al principio di
separazione delle funzioni tra giudice e parti).
All’esordio del nuovo codice di procedura penale, in assenza di una
norma analoga a quella dell’art. 521 c.p.p., che consente al giudice di
dare al fatto una qualificazione giuridica differente da quella
prospettata dal pubblico ministero, si era formata in materia una
giurisprudenza di legittimità molto restrittiva
11
, supportata anche da
una parte della dottrina
12
, secondo la quale qualora il giudice
dell’udienza preliminare avesse ritenuto errata la sussunzione del fatto
10
Per una maggiore precisione terminologica, andrebbe distinta l’”imputazione” intesa come
addebito contenuto nell’atto di esercizio dell’azione penale, dall’”accusa” che è l’addebito quando
viene sottoposto al vaglio della verifica dibattimentale. Questa distinzione è valida quando i due
atti siano distinti. In questo senso, CORDERO F., Procedura penale, 8ª ed., Milano, 2006, p. 454.
11
Cass. Pen., Sez. IV, 4 ottobre 1996, Pianeti, in Cass. Pen., 1998 p. 212; Id., Sez. VI, 28 giugno
1995, Sculli, in CED Cass., rv 202338; Id., Sez. VI, 13 ottobre 1993, Santercole, in Cass. Pen.,
1996, pag. 9043.
12
LUPO E., L’Udienza preliminare, in Quaderni del C.S.M. - Incontri di studio sul nuovo codice
di procedura penale, Vol. II, 1989, p. 265; CONTI G. - MACCHIA A., Il nuovo processo penale,
Roma, 1989, p. 104.
11
in una determinata fattispecie di reato, da parte del pubblico ministero,
non avrebbe potuto procedere ad una riqualificazione della stessa, ma
sarebbe stato costretto a pronunciare una sentenza di non luogo a
procedere. Queste pronunce hanno portato a notevoli effetti
paradossali e negativi
13
. A breve distanza di tempo, un nuovo
orientamento si è sviluppato in giurisprudenza, orientamento subito
condiviso dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione
14
e
successivamente affermatosi pacificamente
15
, secondo cui, in un
ordinamento che si basi sul principio di legalità, al giudice spetta
naturalmente il potere di dare una corretta definizione giuridica del
fatto su cui è chiamato a pronunciarsi: il principio “iura novit curia” è
connaturato all’esercizio della giurisdizione.
Anche perché, in caso contrario, il giudice dell’udienza preliminare, si
troverebbe “di fronte alla drammatica scelta tra due decisioni
13
App. Milano, Sez. IV, 28 gennaio 2002, in Foro Ambrosiano, 2002, p. 226. La Corte d’Appello,
investita dell’appello di una sentenza di primo grado per un fatto il cui processo si era già
precedentemente tenuto e per cui il giudice dell’udienza preliminare aveva sancito il non luogo a
procedere, avendo il pubblico ministero sbagliato la qualificazione giuridica, non ha potuto fare
altro che decretarne l’epilogo, in forza della violazione del principio del ne bis in idem: il fatto
risultava strutturalmente identico nel nuovo processo, ed era cambiata la sola qualificazione
giuridica, quindi ex art. 649 c.p.p., non era possibile giudicare per la seconda volta lo stesso
imputato per lo stesso fatto.
14
Cass. Pen., Sez. Un., 19 giugno 1996, Di Francesco, in Foro It., 1997,vol. II, p. 78; Id., Sez. IV,
29 gennaio 1996, Verde, in Cass. Pen., 1997, p. 1462.
15
Cass. Pen., Sez. VI, 16 novembre 1998, Carlutti, in Cass. Pen. 2000, p. 1033; per
un’affermazione recente della stessa linea confronta Cass. Pen., Sez. Un., 20 dicembre 2007,
omissis, in penale.it.
12
parimenti errate”
16
: pronunciare una sentenza di non luogo a
procedere, nonostante il fatto, sussunto sotto una diversa fattispecie di
reato, presenti tutti gli elementi necessari per addivenire ad un
processo, oppure, pronunciare un decreto di rinvio a giudizio che non
rispecchi le sue stesse convinzioni (lasciando quindi al giudice del
dibattimento il compito di modificare la qualificazione giuridica del
fatto)
17
.
Qualora, invece, sia il fatto stesso a risultare diverso da come descritto
nell’imputazione nel corso dell’udienza preliminare, o dovesse
emergere un reato connesso ex art. 12 comma 1 lettera b) c.p.p., o,
ancora, una circostanza aggravante, il pubblico ministero ha l’obbligo,
ex art. 423 c.p.p., di modificare e contestare l’imputazione
all’imputato. È lo stesso articolo, al secondo comma, a prevedere
l’ipotesi che emerga un fatto nuovo e a prevedere delle specifiche
modalità per la contestazione, contestuale o meno che sia
18
.
Una nuova problematica emerge da questa disposizione di legge,
ovvero il discrimen tra il fatto diverso ed il fatto nuovo: anche questo
16
Cass. Pen., Sez. IV, 29 gennaio 1996, Verde, cit.
17
CESARIS A., Luci ed ombre sul potere del giudice dell’udienza preliminare di dare al fatto una
qualificazione giuridica diversa da quella prospettata dal pubblico ministero, in Foro amb., 2002,
fasc. 2, p. 228.
18
In questo caso è necessaria una richiesta del pubblico ministero al giudice, che deve autorizzarla,
se è anche presente il consenso dell’imputato. Altrimenti il pubblico ministero deve procedere
nelle forme ordinarie.
13
problema verrà analizzato più avanti,
19
ed è sicuramente una
questione, a dispetto delle apparenze, di complessa soluzione, a causa
della stratificazione nel concetto di fatto processuale di elementi del
fatto penale sostanziale, non consoni allo scopo del processo
20
.
Qualora il giudice delle indagini preliminari ritenga di rinviare a
giudizio l’imputato, emette un decreto di rinvio a giudizio, ex art. 429
c.p.p., che, per la modifica della già citata “legge Carotti”, contiene
“l’enunciazione, in forma chiara e precisa
21
, del fatto, delle
circostanze aggravanti e di quelle che possono comportare
l'applicazione di misure di sicurezza, con l'indicazione dei relativi
articoli di legge”. E’ evidente che si voglia arrivare al dibattimento
con una imputazione, contenente un fatto ed una qualifica giuridica,
che sia la più precisa possibile, in ossequio, come sarà presto detto, ai
diritti della difesa ed al tema del processo.
In modo del tutto analogo a quanto avviene nell’udienza preliminare,
anche nel dibattimento è possibile procedere alla modifica
dell’imputazione qualora il fatto risulti diverso da come descritto nel
19
Si veda il terzo capitolo, quarto paragrafo, di questa tesi per l’elaborazione di un criterio
interpretativo sull’identità del fatto.
20
RICCIO G., Fatto e imputazione, cit., p. 30; PAPAGNO C., La nozione funzionale del “fatto
processuale”e l’effettività del diritto di difesa, in Dir. pen. e proc., 2009, fasc. 1, p. 80.
21
Una enunciazione con tali caratteristiche è stata specificata dal legislatore per evitare i già citati
fenomeni distorsioni della “criptoimputazione” e delle imputazioni alternative.
14