sull’assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali,
approvato con DPR 30 giugno 1965, n. 1124, che ha costituito e
costituisce tuttora una delle principali fonti legislative in materia di
tutela contro i rischi del lavoro, e concludendo con la disciplina del
recente D. Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38, che rappresenta l’ultimo
importante provvedimento di riforma della speciale assicurazione
obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali.
Il secondo capitolo è incentrato sull’ambito di applicazione della
disciplina dell’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro. Sono
riassunte quelle che possono essere definite le attività protette,
vengono indicati i soggetti obbligati all’assicurazione, vale a dire i
datori di lavoro, ed elencanti, dettagliatamente, i soggetti assicurati,
sia in ambito industriale sia in ambito agricolo. Il capitolo si conclude
con il riferimento ad un terzo soggetto la cui presenza è
imprescindibile per la regolare costituzione di un rapporto
assicurativo: l’assicuratore, vale a dire l’INAIL, tenuto a fornire le
prestazioni a fronte del diritto all’incasso dei premi.
Il terzo capitolo, partendo dalla definizione indicata nell’art. 2 del T.U.
n. 1124 del 1965, fornisce la nozione giuridica di infortunio sul lavoro.
I requisiti caratterizzanti tale nozione sono individuati nella causa
violenta, ossia quell’evento lesivo che arrechi un danno all’organismo
del lavoratore, mediante un’azione determinata e concentrata nel
tempo, e nell’occasione di lavoro, ossia tutte le condizioni, comprese
quelle ambientali, in cui l’attività produttiva si svolge e nella quale è
immanente il rischio di danno per il lavoratore – danno che può
provenire dallo stesso apparato produttivo oppure dipendere da fatti
e situazioni proprie del lavoratore – e ogni altra condizione
ricollegabile in modo diretto o indiretto allo svolgimento dell’attività
lavorativa. Viene anche indicata la disciplina dell’infortunio in itinere,
non ricompresa nel T.U. del 1965, e per la prima volta inserita in
seguito alla modifica introdotta dal D.Lgs. n. 38 del 2000, così come,
grazie allo stesso decreto entra nell’oggetto assicurativo della tutela
obbligatoria INAIL anche il danno biologico, definito come la lesione
all’integrità psicofisica della persona, suscettibile di valutazione
medico legale. In conclusione si segnalano quali conseguenze
possono derivare al lavoratore a seguito di un infortunio sul lavoro.
Esse sono l’impedimento assoluto e di fatto a svolgere il proprio
lavoro dal momento dell’infortunio e sino alla guarigione clinica della
lesione (inabilità temporanea assoluta al lavoro) e la perdita
completa o parziale dell’attitudine al lavoro, in modo permanente
(inabilità permanente assoluta o parziale al lavoro).
L’obiettivo di questo lavoro è fornire, per quanto possibile e senza
pretesa di esaustività, alla luce delle evoluzioni storico-legislative,
una nozione di infortunio sul lavoro e della tutela relativa. La ricerca,
basata sull’abbondante letteratura sviluppatasi in materia e sulle
pronunce della giurisprudenza, sia di merito sia di legittimità, enuclea
gli elementi che concorrono a determinare la figura dell’infortunio in
ambito lavorativo, ponendo attenzione ai mutamenti manifestatisi
nel corso degli anni e a quale sia stata la risposta dell’ordinamento di
fronte al crescente bisogno di tutela di cui ha diritto il lavoratore che
subisce un infortunio per causa del lavoro.
1
CAPITOLO I
EVOLUZIONE STORICO-LEGISLATIVA DELLA
DISCIPLINA GIURIDICA DELL’INFORTUNIO SUL
LAVORO E DELLE MALATTIE PROFESSIONALI.
1. Premessa.
I mutamenti indotti dalla rivoluzione industriale e l’impatto delle
nuove tecnologie sul diritto del lavoro hanno comportato la difficoltà
da parte dei giuristi di confrontarsi con i nuovi modelli economici e
antropologici, scombussolando il sistema normativo dell’epoca.
A fatica i principi del diritto civile comune potevano essere adattati
alle nuove esigenze, in quanto racchiusi in un codice civile che
costituiva unicamente un “ grande, minuzioso regolamento della
proprietà fondiaria”
1
Come ha affermato Carnelutti << la scienza giuridica, soprattutto in
Italia, è imperturbabilmente borghese; i problemi giuridici del lavoro
la lasciano quasi indifferente>>
, e che focalizzava l’attenzione sulle sempre più
obsolete figure del lavoratore autonomo e della piccola industria
domestica, trascurando qualsiasi riferimento alle <<macchine>>.
2
1
ROMAGNOLI, Alle origini del diritto del lavoro: l’età preindustriale, in
Riv.it.dir.lav., 1985, I, p.521 ss.
, a voler sottolineare come un vero e
2
CARNELUTTI, Infortuni sul lavoro, Roma, 1913, I, p. XII.
2
proprio diritto del lavoro non esistesse, essendo desunte tutte le
norme inerenti la materia dal diritto civile.
Lo stesso contratto di lavoro, pur avendo acquisito enorme rilievo e
diffusione, non aveva alcuna normativa di riferimento se non quella
di derivazione romanistica sulla locazione, basandosi sulle norme che
nel diritto giustinianeo regolavano la locatio conductio operis et
operarum e che tuttora disciplinano il moderno contratto di lavoro.
Le leggi speciali in materia erano interventi contingenti ristretti a
poche fasce operaie, e il <<codice sociale>>, che avrebbe dovuto
affiancarsi e contrapporsi al codice civile, rimase a livello di semplice
aspirazione.
Il legislatore italiano sembrava molto più prodigo nel predisporre
nuovi meccanismi giuridici a tutela dei traffici piuttosto che a farsi
legislatore “sociale” e a modificare le vecchie impalcature civilistiche,
che cominciavano ad andare strette ai nuovi fenomeni del mondo del
lavoro
3
Per lungo tempo, infatti, la materia degli infortuni sul lavoro non
ebbe una propria regolamentazione speciale; fino al 1898, anno in cui
fu emanata la prima disciplina della materia, gli infortuni sul lavoro
trovavano un riscontro normativo nelle regole del diritto civile in
tema di responsabilità. Avvenuto l’infortunio, si doveva soltanto
stabilire se il datore di lavoro ne fosse responsabile, con il
conseguente obbligo di risarcimento dei danni prodotti dall’evento.
.
3
GAETA, Infortuni sul lavoro e responsabilità civile: alle origini del diritto del
lavoro, Napoli, 1986, p. 12.
3
La tradizione romanistica aveva però tramandato una precisa
distinzione, sulla quale si soffermò, per poi dissolversi, il dibattito
dottrinale fino alla legge del 1898, tra responsabilità contrattuale,
fondata sulla violazione di un preesistente vincolo che legava le parti,
e responsabilità extracontrattuale, che operava tutte le volte che un
atto dell’uomo provocava un danno ad altri. In assenza di norme
speciali in grado di dare un’autonoma regolamentazione della
materia, un ruolo di primaria importanza fu svolto anche dalla
giurisprudenza alla quale fu affidato il compito di interpretare i
principi comuni del diritto civile cercando di adattarli al fenomeno del
nuovo mondo del lavoro: << la giurisprudenza ha una missione non
solo interpretatrice della legge ma anche creatrice, dal momento che
le è data dalla legge stessa la facoltà di applicare l’analogia, l’equità, i
principi generali del diritto, e di penetrare, per così dire,
nell’intenzione delle parti e scrutarne i più riposti pensieri, ed infine
di seguire nella ricerca della verità il sistema largamente discrezionale
delle presunzioni>>
4
.
4
CAVAGNARI, La responsabilità civile nella giurisprudenza, in Sp, 1895, p. 345.
4
2. I precedenti legislativi. La teoria della
responsabilità extracontrattuale
Il codice civile del 1865, all’art. 1151, richiamando il principio
antichissimo <<nessuna responsabilità senza colpa>>, ricavato dalla
lex Aquilia de damno iniuria dato, ribadiva che << qualunque fatto
dell’uomo che arreca danni ad altri, obbliga quello per colpa del
quale è avvenuto, a risarcire il danno>>. Trasferendo tale principio
nel campo degli infortuni sul lavoro emerge come le imprese siano
tenute a rispondere dei danni cagionati ai loro dipendenti per sinistri
avvenuti nell’espletamento delle mansioni loro assegnate, solo in
quanto alle stesse imprese sia imputabile una qualsiasi colpa, che
abbia contribuito a determinare direttamente o indirettamente
l’evento. Al successivo art . 1152 c.c. era fornita una nozione di colpa,
per la quale <<ognuno è responsabile del danno che ha cagionato
non solamente per un fatto proprio, ma anche per propria negligenza
od imprudenza>>,con la conseguenza che il datore di lavoro
rispondeva dell’infortunio sia per proprio atto volontario che per un
proprio comportamento colposo. L’applicazione dei principi della
colpa aquiliana e il ricorso agli artt. 1151 e 1152 finivano però per
mortificare la particolarità dell’infortunio sul lavoro, caratterizzato da
uno stretto collegamento ad una ben determinata organizzazione
produttiva,per omologarlo ad un sinistro comune, ad una qualsiasi
<<disgrazia accidentale>>.
5
La responsabilità del datore di lavoro per gli infortuni occorsi ai propri
dipendenti, legati a lui da un rapporto di tipo contrattuale, veniva
così ricondotta al modello della responsabilità extracontrattuale,
basandosi sull’assunto che il contratto di lavoro, o per meglio dire di
locazione d’opera, si fondasse unicamente <<sull’opera e la
mercede>>. Gli estremi del contratto di locazione d’opera, cioè
esecuzione dell’opera da una parte e prestazioni della mercede
dall’altra , escludevano che il conduttore d’opere avesse assunto
l’obbligo di cautelare il locatore contro eventuali sinistri, in quanto,
sulla base dell’art. 1570 c.c., la volontà manifestata dai contraenti in
occasione della stipulazione del contratto era circoscritta
unicamente al compimento dell’opera e al compenso per i quali i
contraenti avevano prestato il proprio consenso. L’impresa dunque
per contratto non si obbligava a tutelare la vita e la salute
dell’operaio e a rispondere civilmente della sua incolumità personale,
in quanto tale obbligo non sarebbe stato ricompreso nell’art 1570 del
codice civile. L’obbligo di sicurezza poteva ritenersi di natura
contrattuale solo se si fosse ammesso che la parti, implicitamente o
esplicitamente, avessero inteso includerlo nel contratto di lavoro
5
.E
quindi, poiché il datore di lavoro, <<a meno che abbia espressamente
assunto maggiore obbligazione, non ha altro obbligo che pagare la
mercede>>
6
5
GAETA, op. cit., p. 21.
,ne conseguiva che di responsabilità per inadempimento
contrattuale si sarebbe potuto parlare solo in caso di mancata
6
Cass. Firenze 16 novembre 1896, Flaibani e Plazzotto – Ferrovie Meridionali, in
FI, I, 1897, c. 81.
6
corresponsione del salario
7
. Al dipendente rimaneva una sola
possibilità: visto che <<l’operaio mancherebbe di titolo per far cadere
a carico del padrone ciò che è la conseguenza della professione da lui
esercitata […],soltanto potrà tendere per il conseguimento di una
maggiore mercede. E difatti è noto che quando una professione viene
esercitata sotto condizioni difficili e pericolose, ordinariamente
l’operaio richiede e viene compensato con maggiore stipendio>>
8
.
Una vera e propria monetizzazione del rischio con la quale
l’imprenditore pagava in anticipo il prezzo di eventuali infortuni.
Dall’altra parte, l’operaio con questa maggiore retribuzione, dovuta
alla pericolosità del lavoro e alla correlata maggiore possibilità di
infortuni, aveva la possibilità di provvedere autonomamente per
acquistare i mezzi atti a garantire la propria sicurezza. Anche se
l’analisi dei salari del tempo mostra come questi fossero talmente
bassi da non permettere all’operaio di provvedere alla propria
sicurezza, visto che il salario bastava a mala pena <<pel suo
sostentamento e pei suoi godimenti secondo le consuetudini di vita
della classe cui appartiene>>
9
La ricostruzione della responsabilità imprenditoriale nelle forme della
colpa extracontrattuale comportava che la parte ricorrente davanti al
giudice, vale a dire l’operaio, era tenuta a provare la colpevolezza del
convenuto. Nel caso in cui avvenisse un infortunio, chi promuoveva
.
7
Cass. Firenze 16 novembre 1896, Flaibani e Plazzotto – Ferrovie Meridionali, in
FI, I, 1897, c. 81.
8
App. Venezia 18 maggio 1888, De Boni, Antonini, Zini, in F, 1888, II, p.787.
9
AURITI, Responsabilità civile dei padroni per gli infortuni del lavoro. Discorsi due,
Roma, 1886, p. 7.
7
l’azione di indennizzo non solo doveva provare il fatto da cui il danno
poteva essere derivato, ma doveva anche dimostrare che il fatto
medesimo fosse imputabile a colui al quale si domanda il
risarcimento, ossia l’imprenditore. Ma addossare l’onere della prova
della colpevolezza imprenditoriale all’operaio o ai suoi familiari
significava ridurre al minimo le possibilità di un’efficace tutela
giudiziaria antinfortunistica. Era, infatti, pressoché impossibile
riuscire a dimostrare la colpa dell’imprenditore, cosi come
difficoltoso era reperire compagni di lavoro, ricattabili con la
minaccia del licenziamento, disposti a testimoniare a favore
dell’infortunato . Tutto si complicava ulteriormente laddove la prova,
nel caso di infortunio mortale, dovesse essere fornita dai parenti
dell’operaio, i quali presumibilmente non conoscevano la dinamica
dell’incidente né l’organizzazione aziendale. L’infortunio quindi,
privato delle sue particolarità, era del tutto assimilabile a un qualsiasi
sinistro accidentale e occasionale, con la conseguenza
dell’accoglimento del concetto di responsabilità extracontrattuale e
del consolidamento del dogma della “fatalità” dell’infortunio, dietro
la cui maschera si celavano incidenti addebitabili incontestabilmente
alle nuove forme di svolgimento della prestazione lavorativa.
Bisogna ricordare comunque come inizialmente la storia giudiziale
sugli infortuni sul lavoro sia cominciata richiamando una fattispecie di
responsabilità extracontrattuale che potenzialmente poteva risolversi
in modo particolarmente gravoso per l’imprenditore. L’art. 1153 c.c.
al quarto comma poneva, infatti, una presunzione di colpa in capo al
padrone e al committente << per i danni cagionati dai loro domestici