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in grado di garantire l'attuazione dei principi della nuova Carta repubblicana.
Ne è scaturito un sistema sostanzialmente accentrato che, se da una parte dà
alla sola Corte il potere di sindacare la legittimità costituzionale delle leggi,
dall'altra attenua i suoi effetti con la previsione di una iniziativa a "livello
diffuso", riconosciuta ad ogni giudice; questi, qualora dubiti della conformità
ai principi costituzionali della legge che è chiamato ad applicare nel suo
processo, deve sospendere il giudizio che si svolge dinanzi a sé e adire la
Corte perché sciolga il dubbio di costituzionalità, posto che la soluzione di
esso è pregiudiziale rispetto alla decisione del caso concreto.
Non prevedendo un ricorso diretto del cittadino, come tale o come portatore di
un interesse qualificato, delle minoranze parlamentari o di un Procuratore
della Costituzione, il sistema valorizza il ruolo del giudice e dell'iniziativa a
questi riconosciuta nel ricorso alla Corte, connotandola di una sostanziale
esclusività: nella maggior parte dei casi, infatti, l'ordinanza di remissione è
frutto della sensibilità del giudice e l'istanza di parte, quando c'è, svolge il
ruolo di semplice stimolo. Nella concreta attuazione della disciplina relativa
alla fase di instaurazione del processo costituzionale sembra, infatti, essere
venuta meno la duplice configurazione della funzione attribuita al giudice: la
figura del giudice "promotore" ha soppiantato quella del giudice "controllore"
delle istanze ad esso rivolte dalle parti del giudizio a quo
2
; ciò essenzialmente
in considerazione della posizione e delle garanzie riconosciute al giudice nel
nostro sistema costituzionale, tali da poter assicurare la sua idoneità a valutare
e ad individuare meglio di ogni altro l'interesse pubblico sotteso alla questione
di costituzionalità.
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Il radicamento della Corte nell'assetto costituzionale e il riconoscimento della essenzialità delle
funzioni da essa svolte, ha reso superflua la garanzia offerta da un giudice che funge da filtro
rispetto alle questioni promosse dalle parti al fine di evitare, da un lato, che giungano alla Corte
questioni speciose, accademiche e astratte oppure prive di qualsiasi reale consistenza, e di
riaffermare, dall'altro, il valore della legge da parte di un organo dello Stato contro il rischio di una
ribellione del cittadino contro la legge stessa.
3
Quindi, nell' ordinamento italiano la soggezione del giudice alla legge, che si
evince dall' art. 101, secondo comma, Cost. , vale solamente quando questa sia
stata approvata nel rispetto delle regole e dei principi stabiliti dalla
Costituzione; il giudice chiamato a fare applicazione di una legge rispetto alla
quale abbia dubbi di costituzionalità , deve necessariamente investire la Corte
della questione.
In un assetto del genere, dove l'iniziativa del giudice è elevata al rango di
presupposto per il giudizio di costituzionalità delle leggi davanti alla Corte, la
eventuale insensibilità dello stesso ai nuovi principi introdotti dalla
Costituzione e il conseguente non rilevante utilizzo dell'eccezione di
costituzionalità, avrebbero potuto portare al fallimento del nostro modello di
giustizia costituzionale. Fortunatamente, l'esperienza ha rivelato l'esistenza di
una profonda sinergia tra Corte e giudici e la propensione di questi ultimi a far
funzionare il sindacato di costituzionalità. E non è tutto: si è soliti ricondurre
la presa di coscienza dell'importanza del ruolo che la Costituzione può
assumere nell'opera interpretativa del giudice, al Congresso di Gardone, tenuto
dall'Associazione nazionale magistrati nel 1965. In quella occasione viene
approvato un ordine del giorno che rifiuta la configurazione dell'attività
interpretativa come puramente formalistica e priva di risvolti concreti nella
vita del Paese, e conferisce al giudice il potere di applicare direttamente la
Costituzione (quando ciò sia tecnicamente possibile), di rinviare all'esame
della Corte costituzionale le leggi per le quali non sia possibile una
interpretazione adeguatrice e di interpretare tutte le leggi in conformità ai
principi costituzionali.
Viene così superata la tradizionale distinzione di piani (costituzionalità-
legalità) e di compiti tra la Corte e i giudici comuni in base alla quale alla
Corte spetterebbe la Costituzione e ai giudici la legge. Si ribadisce, così, una
posizione già esplicitata dalla Corte in occasione della pronuncia di una delle
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sue prime sentenze quando, nel valutare la questione di costituzionalità
sollevata in via incidentale da un giudice, essa non si era ritenuta vincolata
all'interpretazione da questi seguita nel presentare l’eccezione di legittimità
costituzionale.
Nonostante ciò, la Corte di Cassazione ha mantenuto un atteggiamento di
chiusura nei confronti delle interpretazioni sulla costituzionalità delle leggi
fornite dalla Corte costituzionale fino agli inizi degli anni 80, quando la cd.
"guerra tra le due Corti" è finita grazie al richiamo operato dalla
giurisprudenza costituzionale alla nozione di diritto vivente, ossia alla legge
come interpretata ed applicata dalla giurisprudenza
3
.
Nel periodo più recente il rapporto tra la Corte e i giudici comuni si è
ulteriormente evoluto in ordine al riconoscimento concreto, in capo a questi
ultimi, di risolvere direttamente i dubbi di costituzionalità attraverso l' attività
interpretativa, e di procedere, quando possibile, ad una diretta applicazione
della Costituzione. Il giudice, infatti, non può ricorrere all'eccezione di
costituzionalità per sciogliere i dubbi interpretativi inerenti alle disposizioni
rispetto alle quali non si è ancora formato un diritto vivente, essendo il
giudizio di costituzionalità preordinato ad eliminare le norme viziate e non a
valutare l'incertezza circa la loro applicabilità. In questi casi il giudice stesso
deve superare il dubbio mediante una interpretazione adeguatrice conforme ai
principi costituzionali.
La recente giurisprudenza mostra quindi una Corte costituzionale impegnata a
valorizzare l'attività interpretativa della legge e della Costituzione da parte del
giudice, e che si riserva un ruolo di intervento esterno rispetto ad essa, specie
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La cd. "guerra tra le due Corti" per l'affermazione del monopolio nell'interpretazione della legge
ha visto contrapposte la Corte di Cassazione e la Corte costituzionale fino agli anni 80 ed è stata
superata grazie al riferimento al diritto vivente. In particolare v. MALFATTI- PANIZZA -
ROMBOLI, Giustizia costituzionale, Torino, Giappichelli, 2003; GARDINO CARLI,Giudici e
Corte costituzionale nel sindacato sulle leggi. Gli "elementi diffusi" del nostro sistema di giustizia
costituzionale, Milano, 1998.
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in presenza di un diritto vivente. Inoltre, a fronte dell'inerzia del legislatore, la
Corte chiama il giudice
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a porre rimedio alle omissioni legislative attraverso
l'applicazione diretta dei principi costituzionali generali da essa forniti per
offrire tutela alle nuove istanze sociali
5
; ciò determina una maggiore
"concretizzazione" della questione di costituzionalità, in particolar modo
quando le fattispecie concrete presentano elementi di notevole specificità,
consentendo di raggiungere il risultato voluto solo riguardo al caso specifico,
nell'ambito del quale la questione di costituzionalità è stata sollevata;
attraverso l'opera interpretativa del giudice (sollecitata dalla Corte) si limitano
gli effetti al caso deciso, mentre una dichiarazione di incostituzionalità della
norma avrebbe inevitabilmente un effetto demolitorio definitivo e valido erga
omnes.
Alla luce del giudizio positivo dato fino ad ora all' operato della Corte
costituzionale quale unico organo inserito nel sistema per fare da contrappeso
al potere politico, può dirsi consolidata e ben riposta la fiducia nutrita nei
confronti del giudice come "portiere" della Corte e dunque vinta la scommessa
relativa alla scelta di fare di questo soggetto l'unico detentore della sensibilità
necessaria per smuovere i macchinosi ingranaggi del processo in via
incidentale
6
.
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Cade definitivamente il principio del carattere programmatico delle disposizioni costituzionali, il
quale, in difesa del formalismo giuridico, tendeva ad escludere l'applicazione giurisprudenziale di
disposizioni costituzionali non del tutto determinate e ad evitare che il contenuto fosse stabilito caso
per caso dal giudice.
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Un primo gruppo di decisioni attraverso le quali la Corte ha operato l'apertura alla applicazione
diretta della Costituzione da parte del giudice è costituita dalle pronunce additive di principio, v. in
proposito la sent. n. 11/1998 relativa alla sanzione penale prevista per coloro che rifiutano il
servizio militare di leva.
La Corte ha ottenuto analogo risultato anche attraverso decisioni di infondatezza o di carattere
processuale, v. sent. n. 347/1998. In entrambe i casi, di fronte all' accertata assenza di una disciplina
da applicarsi al caso specifico, la Corte ha invitato il giudice a trovare una soluzione attraverso
l'applicazione diretta dei principi costituzionali da essa indicati.
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DOGLIANI ha in proposito rilevato che "la Corte ha effettivamente riprodotto il ruolo della
iurisdictio, come potere politico in forma giurisprudenziale, solo stabilendo un legame virtuoso con
i giudici, nella tutela e nell'approfondimento dei diritti costituzionali tanto di libertà che sociali".
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Se in un primo momento l'utilizzo dell'eccezione di costituzionalità da parte
del giudice ha consentito di svecchiare e depurare il corpus legislativo italiano
da leggi contrarie allo spirito e ai principi cui si ispira la Costituzione, in
seguito ha dato voce alle istanze innovatrici che prendevano le mosse dal
profondo radicamento dei nuovi valori nella società civile. La coraggiosa
impostazione del nostro modello di giustizia costituzionale ha quindi
soddisfatto le aspettative dei suoi ideatori e ha contribuito alla definizione in
senso più democratico e garantista del rapporto che lega la Corte all'autorità
giudiziaria.