PREMESSA
L’industria europea ed italiana dal secondo dopoguerra fino alla fine degli anni settanta ha
conosciuto un periodo di ampia crescita ed espansione, dovuto soprattutto alla
“fordizzazione” della struttura imprenditoriale
1
. Le imprese erano, cioè, caratterizzate da
un’organizzazione integrata verticalmente lungo tutta la catena del valore della produzione,
dando origine ad una forma di “capitalismo pesante” che ha permesso un sistematico
sfruttamento, in chiave strategica, di ogni opportunità lucrativa in termini di economie di scala
(costo marginale decrescente)
2
e di gamma (diversificazione produttiva nella medesima
struttura)
3
.
A partire dagli anni ottanta, a causa di una maggiore integrazione dei mercati internazionali e
di un vigoroso sviluppo della finanza globale oltre i confini di ogni singola nazione, questo
sistema dell’imprenditoria ha subito una profonda ristrutturazione, sia in una direzione
accrescitiva, mediante fusioni, conferimenti, acquisizioni nonchØ tramite l’intensificarsi dei
meccanismi di controllo e di collegamenti, che hanno portato alla formazione di gruppi di
imprese di grandi dimensioni, spesso internazionali, sia in una direzione opposta di
ridimensionamento, attraverso forme di delocalizzazione o decentramento produttivo
4
.
In particolare, in quest’ultima ipotesi le imprese hanno cominciato a darsi una forma
organizzativa più “snella” (lean production), focalizzandosi soltanto su una parte della catena
del valore (core business) e dando così inizio a fenomeni di downsizing (riduzione esasperata
delle dimensioni produttive interne) e di outsourcing (detti anche di contracting out o di
esternalizzazione o, ancora, di terziarizzazione
5
, intesi come affidamento a terzi di intere parti
dell’attività produttiva o di servizi precedentemente svolti in house)
6
.
1
Cfr. U. DE CRESCIENZO, La modifica sulla disciplina del trasferimento d’azienda, in C. RUSSO (a cura di),
Somministrazione, Appalto, Distacco, Trasferimento d’azienda. Nuova disciplina. Profili contrattuali e
previdenziali, Giappichelli, Torino, 2006, p. 174.
2
Il termine “economie di scala” indica la relazione esistente tra l’aumento della scala di produzione, correlata
alle dimensioni di un impianto, e la diminuzione del costo medio unitario di produzione.
3
Con il termine “economie di gamma” si intende, invece, il grado di beneficio, in termine di riduzione dei costi
totali, che l’azienda può ottenere se produce due o più determinati beni insieme, anzichØ separatamente.
4
L. F. R. FERRARA La nozione del trasferimento d’azienda nella giurisprudenza della Corte di Giustizia delle
Comunità europee, in www.studiolegaleferrara.blogspot.com/2008/09/la-nozione-del-trasferimento-
dazienda.html, Bari, 2001, p. 3.
5
Per una possibile distinzione tra le nozioni di esternalizzazione e terziarizzazione, v. R. ROMEI, Cessione di
ramno d’azienda e appalto, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 1999, pp. 329 ss.
6
A. M. PERRINO, Appalto di servizi ed internalizzazione, in G. SANTORO PASSARELLI e R. FOGLIA (a
cura di), La nuova disciplina del trasferimento d’impresa. Commento al D. Lgs. 2 febbraio 2001, n. 18, Ipsoa,
Milano, 2002, pp. 59 ss.; F. SCARPELLI, “Esternalizzazioni” e diritto del lavoro: il lavoratore non è una
merce, in Dir. rel. ind., 1999, n. 3, p. 351. Per la definizione del fenomeno delle esternalizzazioni cfr. anche L. F.
R. FERRARA, op. cit., p. 3; S. NAPPI, Trasferimento d’azienda e trasformazioni del datore di lavoro, in Quad.
Gli strumenti utilizzati dai soggetti imprenditoriali a tal fine sono riconducibili a molteplici
soluzioni offerte nel panorama giuridico-economico europeo ed italiano, quali il trasferimento
di azienda (ed in particolare di una sua frazione autonoma), l’appalto (di servizi o di
processo), la subfornitura e altre modalità di “contractual integration”
7
.
La “frammentazione del ciclo produttivo”
8
che deriva da questo nuovo modus operandi ha
reso il sistema capitalistico “molecolare”
9
, contribuendo in tal modo alla “rarefazione” della
funzione imprenditoriale” e, per questa via, alla formazione di un’“impresa rete”, dove le
conoscenze (Know how) possono essere scambiate e coordinate e la core competence passa
dal “saper fare una certa attività del processo produttivo” al “saper coordinare le attività degli
altri”
10
.
L’economia “post-fordista” si è, dunque, sviluppata intorno ai concetti di “disintegrazione
verticale”
11
e “frantumazione del processo di produzione”
12
, risultando questo ripartito in più
fasi dove ognuna di esse costituisce una diversa impresa in senso giuridico, ma tutte sono
all’unisono riconducibili ad un'unica entità economica e volte alla realizzazione degli output
finali destinati al mercato.
La ratio della segmentazione produttiva è indubbiamente da ricondurre alla volontà di
concentrare le risorse intellettuali e finanziarie sulle attività principali, delegando, invece, a
soggetti esterni dotati di maggiore competenze specialistiche tutte le altre funzioni ritenute
non strategiche al raggiungimento del business aziendale.
Questo approccio consente di raggiungere sia una maggiore flessibilità organizzativa interna
sia una sensibile riduzione dei costi, con conseguente miglioramento della competitività
imprenditoriale in seno ad un mercato che, essendo sempre più globalizzato e concorrenziale,
spinge le imprese verso un decentramento “esasperato” e “patologico”, diretto soltanto
all’elusione delle normative di tutela dei lavoratori
13
. Ed, infatti, in un contesto economico
dir. lav. rel. ind., 2004, n. 28, p. 61, il quale parla di “allocazione all’esterno, in varie forme, della gestione e del
rischio dei segmenti produttivi non ritenuti d’eccellenza o specifici”.
7
F. SCARPELLI, “Esternalizzazioni” e diritto del lavoro: il lavoratore non è una merce, cit., p. 351. Sul punto,
cfr., anche V. SPEZIALE, Appalti e trasferimento d’azienda, in Working Papers del Centro Studi di Diritto del
Lavoro Europeo “Massimo D’Antona”, 2006, n. 84, in http://dirittolavoro. altervista.org/ speziale_ appalti_
trasferimento _ azienda.pdf, consultato il 21-12-2009, p. 4, il quale tra gli strumenti giuridici che consentono le
esternalizzazioni menziona altresì la “somministrazione di mano d’opera”, le “collaborazioni autonome
coordinate e continuative”, la “concessione di vendita”, ed il “franchising”. Per un approfondimento sul punto
cfr. L. CORAZZA, Contractual integration e rapporti di lavoro, Cedam, Padova, 2004.
8
A. M. PERRINO, Appalto di servizi ed internalizzazione, cit., p. 59.
9
F. SCARPELLI, “Esternalizzazioni” e diritto del lavoro: il lavoratore non è una merce, cit., p. 351.
10
Cfr., sul punto, V. SPEZIALE, op. cit., p. 3.
11
Ibidem.
12
L. F. R. FERRARA, op. cit., p. 3.
13
V. SPEZIALE, op. cit., p. 3.
dove ci si deve quotidianamente confrontare con competitors (prevalentemente si tratta dei
paesi emergenti come le quattro tigri dell’Asia: Taiwan, Sud Corea, Singapore, Hong Kong)
caratterizzati da una forza lavoro non sindacalizzata e da salari assai bassi, molte sono le
imprese che tentano di adottare strategie di competizione a loro volta aggressive, seppure
difficilmente sostenibili. Segnatamente, siffatte imprese tendono a distogliere la loro
attenzione dalla concorrenza basata sull’innovazione di prodotto e di processo, che certamente
comporta maggiori costi di investimento e, dunque, l’assunzione di più elevati rischi, per
perseguire un “modello di concorrenza da (bassi) costi”
14
, e ciò anche attraverso forme di
outsourcing.
Orbene, in una tale situazione forte è il rischio di compressione delle discipline garantistiche
di natura individuale e collettiva a tutela del lavoratore.
La segmentazione delle imprese, sostituendo “i rapporti di lavoro con relazioni tra
imprenditori, a cui sono delegate funzioni svolte in precedenza dai propri dipendenti”,
consente infatti di aggirare l’applicazione di importanti norme di tutela, come quelle in
materia di licenziamenti individuali e collettivi, oltre che un drastico abbattimento dei costi
retributivi e contributivi, “che presuppongono, appunto, una relazione giuridica diretta con i
lavoratori”
15
.
Si pensi al caso in cui, in occasione di un trasferimento di ramo di impresa con connesso
contratto di appalto, parte del personale (addetta al ramo stesso) venga trasferita dal
committente, insieme all’attività ceduta, ad un’impresa debole, magari soggetta ad un regime
giuridico meno favorevole al lavoratore. Ciò, ad esempio, avviene quando le maestranze
passano da un’entità economica di grandi dimensioni, tali da garantire la tutela reale in ipotesi
di licenziamento, ad una realtà più modesta soggetta, invece, alla tutela obbligatoria, che non
è, quindi, in grado di offrire loro le medesime garanzie precedentemente godute.
Appare qui evidente come la flessibilità dell’impresa sia spesso raggiunta a discapito degli
stessi lavoratori trasferiti, i quali, in mancanza di un’apposita disciplina garantistica,
rischierebbero di vedere lesi i propri diritti.
Tipica al tal proposito l’ipotesi di successione di due imprenditori nella titolarità di un appalto
di servizi. Infatti, qualora siffatta ipotesi non sia riconducibile alla fattispecie del
trasferimento di impresa, i prestatori in essa coinvolti incorrono nella concreta possibilità di
perdere il proprio posto di lavoro, a meno che specifiche clausole di protezione sociale (di
legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro, o dello stesso contratto di appalto) non
14
V. SPEZIALE, op. cit., p. 4.
15
V. SPEZIALE, op. cit., p. 3.
stabiliscano in capo al nuovo appaltatore un obbligo di assunzione del personale addetto al
servizio appaltato presso l’appaltatore uscente. Peraltro, dal momento che tutte le clausole di
riassunzione prevedono la cessazione del rapporto di lavoro con il vecchio imprenditore e la
stipulazione di un contratto nuovo e distinto con il subentrante, le condizioni di lavoro ben
potranno essere modificate, con la conseguenza che i dipendenti interessati da una tale
operazione, anche se si vedono assicurato il posto di lavoro, potrebbero avere, presso il nuovo
appaltatore, livelli di tutela inferiori, salvo che gli stessi contratti collettivi o capitolati di
appalto non dispongano diversamente, impegnandosi anche nel mantenimento dei loro diritti
acquisiti in precedenza
16
.
Da qui l’interesse della presente tesi ad approfondire la complessa tematica del trasferimento
d’impresa e della protezione accordata ai lavoratori da esso “toccati”.
16
Per un approfondimento sul punto cfr. M. AIMO, Stabilità del lavoro e tutela della concorrenza. Le vicende
circolatorie dell’impresa alla luce del diritto comunitario, in Lav. dir., 2007, pp. 417 ss.
1
CAPITOLO 1
L’EVOLUZIONE LEGISLATIVA COMUNITARIA
1.1.BREVI CENNI SULL’EVOLUZIONE NORMATIVA COMUNITARIA: LA PRIMA DIRETTIVA N.
77/187/CEE
Per poter meglio affrontare lo studio dell’istituto del trasferimento d’impresa nel diritto del
lavoro dell’Unione Europea è dapprima necessario delineare un quadro normativo di
riferimento, che ci consenta di inquadrarlo nei suoi giusti confini temporali, procedendo ad
una disamina cronologica degli interventi comunitari succedutisi nel tempo, a cominciare
dalla primigenia Direttiva n. 77/187/CEE fino ad arrivare all’attuale Direttiva n.
2001/23/CE
17
.
Il legislatore comunitario, partendo dalla considerazione che il trasferimento d’impresa, frutto
dell’incalzante evoluzione economica, comporta importanti modifiche alle strutture
organizzative imprenditoriali
18
, da cui potrebbero derivare conseguenze sfavorevoli per i
lavoratori coinvolti, era intervenuto per la prima volta sul tema con la direttiva n. 77/187/CEE
del 14 febbraio 1977, “concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri
relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di imprese, di
stabilimenti o di parti di stabilimenti”. L’importanza di questa direttiva è facilmente
comprensibile se si considera che la stessa, unitamente ad altre quattro direttive anch’esse
adottate nel decennio dei ’70 (precisamente alle direttive n. 75/175/CEE sui licenziamenti
collettivi, n. 75/117/CEE sulla parità retributiva uomo donna, n. 76/206/CEE sulla parità di
trattamento uomo donna e n. 80/987/CEE sulla protezione dei lavoratori dipendenti in caso di
insolvenza del datore di lavoro), “costituisce il nucleo <<storico>> più significativo di quello
17
L’evoluzione della disciplina comunitaria sul trasferimento di impresa, accompagnata dalle frequenti tensioni
interpretative scaturenti dalla stessa, è ben descritta da F. SCARPELLI, Il mantenimento dei diritti del lavoratore
nel trasferimento d’azienda: problemi vecchi e nuovi, in Quad. dir. lav. rel. ind., 2004, n. 28, pp. 91 ss.
18
Cfr. considerando n. 1, Direttiva 77/187/CEE, che così recita letteralmente: “L’evoluzione economica implica,
sul piano nazionale e comunitario, modifiche delle strutture delle imprese effettuate, tra l'altro, con trasferimenti
di imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti a nuovi imprenditori in seguito a cessioni contrattuali o a
fusioni”.
2
che ormai può definirsi <<il diritto comunitario del lavoro>>, o, per usare una espressione più
comunitaria, <<il sistema di politica sociale europea>>”
19
.
Ed, invero, è proprio sotto l’impulso del primo “Programma di azione sociale” del 1974
20
, con
cui il Consiglio aveva inteso dare una risposta politica ai problemi sociali che, in quel preciso
momento storico, rischiavano di compromettere il progetto di creazione di un mercato unico
europeo, che la direttiva sul mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di
imprese era stata formalmente adottata
21
.
Tuttavia quest’ultima, rectius l’intera legislazione sociale comunitaria adottata nel periodo
1975-1980, pur essendo “ispirata ai canoni di un programma dichiaratamente sociale”, non
era comunque “in grado di mutare radicalmente” la natura sostanzialmente economicistica del
contesto generale di partenza
22
. Gli obiettivi che essa si proponeva di perseguire erano, infatti,
“di duplice natura: uno propriamente sociale, l’altro di tipo economico”
23
.
Quanto al primo, come si legge nel suo secondo considerando, la direttiva 77/187 intendeva
“proteggere i lavoratori in caso di cambiamento di imprenditore”
24
, assicurando loro una serie
di garanzie allorchØ si verificasse un effettivo subentro di un imprenditore ad un altro
nell’esercizio di un’attività economica.
Il suo obiettivo precipuo, ma non esclusivo, era dunque quello di “far sì che la ristrutturazione
delle imprese nell’ambito della Comunità europea non comportasse conseguenze negative sui
loro dipendenti”
25
o quantomeno, qualora queste fossero inevitabili, di attenuarle
26
e quindi,
19
R. FOGLIA, Il trasferimento d’azienda nell’Unione Europea: la normativa comunitaria, in G. SANTORO
PASSARELLI e R. FOGLIA (a cura di), La nuova disciplina del trasferimento d’impresa. Commento al D. Lgs.
2 febbraio 2001, n. 18, Ipsoa, Milano, 2002, p. 27.
20
Pubblicato in G.U.C.E. n. C 13 del 12/02/1974.
21
Nel testo del Social Action Programme gli interventi sui licenziamenti collettivi, sulla parità tra i sessi e sul
trasferimento d’azienda erano, infatti, gli unici ad essere esplicitamente menzionati come oggetto di specifiche
future direttive, mentre per altre tematiche si rinviava a generiche misure, non necessariamente di tipo
legislativo. Sul punto cfr. A. LO FARO A., Le direttive in materia di crisi e ristrutturazioni di imprese, in S.
SCIARRA e B. CARUSO (a cura di), Il lavoro subordinato, in G. AJANI e G. A. BENACCHIO (diretto da),
Trattato di diritto privato dell'Unione Europea, vol. VIII, Giappichelli, Torino, 2009, p. 394.
22
Cfr. sempre A. LO FARO, op. cit., p. 395.
23
M. VICECONTE, Il trasferimento d'azienda: una vicenda in bilico tra ordinamento comunitario ed
ordinamento nazionale, in Lav. prev. oggi, 1999, n. 8/9, p. 1516.
24
Corte di giustizia 11 luglio 1985, causa 105/84, Foreningen af Arbejdsledere i Danmark contro Fallimento
A/S Danmols Inventar, in Racc., 1985, p. 2650 ss. (punto 7 della motivazione).
25
A. PIZZOFERRATO, La nozione “giuslavoristica” di trasferimento di azienda fra diritto comunitario e
diritto interno, in Riv. it. dir. lav., 1998, I, p. 429. Nello stesso senso cfr. anche M. ROCCELLA e T. TREU,
Diritto del lavoro della Comunità Europea, IV ed., Cedam, Padova, 2007, p. 344. In giurisprudenza v. Corte di
giustizia 7 febbraio 1985, causa 135/83, H.B.M. Abels contro Direzione della Bedrijfsvereniging voor de
Metaalindustrie en de Electrotechnische Industrie, in Racc., 1985, pp. 469 ss. (punto 18 della motivazione):
3
per usare le parole della stessa Corte di Lussemburgo, quello di tutelare i lavoratori dagli
effetti sfavorevoli “che avrebbero potuto prodursi in capo ad essi a seguito delle modifiche
delle strutture delle imprese conseguenti all’evoluzione economica sul piano nazionale e
comunitario …”
27
.
Quanto al secondo obiettivo, il Consiglio si proponeva di smorzare, attraverso un progressivo
riavvicinamento delle legislazioni nazionali in materia, ai sensi dell’art. 100 TCEE (divenuto
poi art. 94 TCE, oggi art. 115 TFUE
28
), le differenze che intercorrevano (e tuttora in parte
intercorrono) tra gli Stati membri relativamente all’entità della protezione accordata ai
lavoratori interessati da un trasferimento d’impresa, assunto che tali difformità “possono
ripercuotersi direttamente sul funzionamento del mercato comune”
29
.
La Direttiva de qua voleva, in pratica, evitare che i fenomeni di mobilità e decentramento
delle imprese, sempre più frequenti negli anni Settanta a causa delle crescenti esigenze
competitive proprie di un mercato globalizzato, comportassero, da un lato, un qualche
pregiudizio per i lavoratori (funzione sociale) e, dall’altro lato, una distorsione della leale
concorrenza e del corretto funzionamento del mercato stesso (funzione economica)
30
.
In particolare essa si prefiggeva di impedire che nei ricorrenti processi di esternalizzazione “si
utilizzassero in maniera illegittima strumenti giuridici, come il trasferimento d’azienda,
“[…] l’obiettivo della direttiva è … di impedire che la ristrutturazione nell’ambito del mercato comune si effettui
a danno dei lavoratori delle imprese coinvolte”.
26
M. ROCCELLA e T. TREU, op. cit., p. 341, ove si sottolinea come l’obiettivo di attenuazione delle
conseguenze negative sui lavoratori sia perseguito non solo dalla direttiva del 1977 in materia di trasferimento di
impresa, ma anche da quella del 1975 sui licenziamenti collettivi e da quella del 1980 sull’insolvenza del datore
di lavoro, le cd. direttive “sorelle” adottate in risposta ai rilevanti problemi di crisi e ristrutturazioni di impresa.
27
Corte di giustizia 15 ottobre 1996, causa 298/94, Annette Henke contro Gemeinde Schierke e
Verwaltungsgemeinschaft Brocken, in Racc., 1996, pp. 4989 ss. (punto 13 della motivazione).
28
L’acronimo TFUE sta per “Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea”, così ribattezzato il Trattato che
istituisce la Comunità Europea (TCE) ad opera del Trattato di Lisbona, firmato il 13 dicembre 2007 ed entrato in
vigore il 1° dicembre 2009.
29
Cfr. considerando n. 4, Direttiva 77/187/CEE. V. altresì i considerando nn. 3 e 5 della stessa.
30
Cfr. A. LO FARO, op. cit., pp. 392-393, il quale evidenzia in modo chiaro l’ambivalenza che caratterizza la
legislazione lavoristica comunitaria degli anni ’70 che è appunto “… risultata <<contesa>> tra una funzione
sociale di tutela del lavoro e una non meno rilevante”, anzi a suo avviso preminente, “funzione economica, volta
a scongiurare la possibilità di strategie distorsive della concorrenza tra imprese nella fase di instaurazione del
mercato interno. […] La ratio essenzialmente economica … è del resto confermata dalla stessa base giuridica
utilizzata in occasione dell’adozione delle rispettive direttive” di quel decennio: l’art. 100 del TCEE (art. 94
TCE, attuale art. 115 TFUE). Il citato articolato, infatti, nel riconoscere in capo al Consiglio il potere di emanare
direttive, deliberando all'unanimità su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento
europeo e del Comitato economico e sociale, allude a “direttive volte al ravvicinamento delle disposizioni […]
degli Stati membri che abbiano un’incidenza diretta sull’instaurazione o sul funzionamento del mercato
comune”. Nello stesso senso v. anche A. PIZZOFERRATO, La nozione “giuslavoristica” di trasferimento di
azienda fra diritto comunitario e diritto interno, cit., p. 430.
4
caratterizzati fin dall’origine anche dal loro aspetto di strumenti di garanzia dei prestatori di
lavoro, per consentire all’impresa di alleggerire la propria struttura mediante la dismissione
totale o parziale di attività e di persone”
31
.
Tuttavia essa cercava, al tempo stesso, di non adottare posizioni eccessivamente garantistiche
al fine di agevolare, e non di ostacolare, la cessione dell’impresa e, quindi, attraverso questa,
il salvataggio di quelle realtà produttive in grave difficoltà economica
32
(v. infra, cap. 6),
stimolando il subingresso del nuovo titolare
33
.
Era qui evidente la volontà del legislatore comunitario di contemperare l’interesse dei
lavoratori alla continuità del loro rapporto di lavoro e alla difesa dei diritti da essi stessi
maturati nonchØ l’interesse del mercato a che fosse garantita la libera concorrenza con quello
dell’impresa al rispetto della sua libertà di iniziativa economica
34
.
Da ciò discendeva un regime di garanzie flessibile ed aperto
35
, che tentava appunto di
facilitare le procedure di trasferimento delle imprese, fermo però restando “l’assoluta priorità
dei profili di tutela dei lavoratori”
36
, in ossequio all’arduo, ma nobile, obiettivo ultimo del
31
A. RAFFI, Tutela del lavoratore nel trasferimento di azienda tra normativa nazionale e normativa
comunitaria, GiuffrØ, Milano, 2004, p. 2.
32
Le modifiche di titolarità di impresa sono state, infatti, concepite come soluzioni in grado di consentire il
salvataggio di unità produttive in crisi o troppo piccole.
33
Sulla questione della ratio originaria della disciplina sul trasferimento di impresa si registrano in dottrina
posizioni diverse, anche con riferimento alla normativa interna: per un approfondimento si v. M. NOVELLA e
M. L. VALLAURI, Il nuovo art. 2112 c.c. e i vincoli del diritto comunitario, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 2005, p.
180, nt. 15.
34
La pluralità di interessi, talvolta configgenti tra loro, in gioco nella vicenda del trasferimento di impresa è stata
bene evidenziata da M. VICECONTE, op. cit., p. 1507: “[…]Possiamo ravvisare: a) l’interesse degli
imprenditori volti a raggiungere, attraverso il trasferimento dell’azienda, i loro obiettivi economici; b) l’interesse
dei lavoratori a salvaguardare il loro rapporto di lavoro assicurandone la continuità, il mantenimento delle
condizioni in atto e la salvaguardia dei diritti maturati; c) gli interessi del mercato affinchØ sia garantita la libera
concorrenza, che potrebbe essere compromessa da trattamenti differenziati dei laboratori nei diversi Stati
membri della Comunità”. La volontà di trovare un giusto equilibrio e/o compromesso tra le ragioni
dell’imprenditore e dei lavoratori e le ragioni pubbliche di sviluppo economico è particolarmente tangibile in
caso di trasferimento di imprese in crisi o sottoposte a procedure concorsuali. Sul punto v. A. PIZZOFERRATO,
Il trasferimento d’azienda nelle imprese in crisi, in Quad. dir. lav. rel. ind., 2004, n. 28, p. 156. Contra C.
CESTER, La fattispecie: la nozione di azienda, di ramo d'azienda e di trasferimento tra norme interne e norme
comunitarie, in Quad. dir. lav. rel. ind., 2004, n. 28, p. 36, secondo il quale lo scopo “sociale” di garantire i
lavoratori nel caso in cui si verifichi un effettivo subentro di un imprenditore ad un altro non è affatto limitato
dagli interessi datoriali a diversificare e frammentare il processo produttivo, non risultando questi ultimi neppure
richiamati nella più recente direttiva, nonostante le tangibili esigenze di esternalizzazioni.
35
E. GONZALEZ BIEDMA, Trasferimenti d’azienda, in A. BAYLOS GRAU, B. CARUSO, M. D’ANTONA e
S. SCIARRA (a cura di), Dizionario di Diritto del Lavoro Comunitario, Bologna, Monduzzi, 1996, pp. 320-321.
36
R. FOGLIA, Trasferimenti d’azienda nel diritto comunitario e tutele dei lavoratori, relazione al convegno del
C.S.M., svoltosi a Roma il 5 ottobre 2004, in http://appinter.csm.it/incontri/relaz/10792.pdf, p. 2. Cfr. anche R.
FOGLIA, La giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea sulla nozione di trasferimento d’azienda, in
5
“miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro della mano d’opera nella Comunità”,
delineato dall’art. 117 del Trattato CEE del 25 marzo 1957 (poi art. 136 TCE, attuale art. 151
TFUE)
37
e successivamente ribadito, sia pur debolmente sul piano dell’effettività
38
, dalla
Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori (<<Carta di Delors>> o
<<Carta sociale>>), adottata il 9 dicembre 1989, nell’ambito del vertice di Strasburgo.
La ratio protettiva degli interessi dei lavoratori veniva perseguita dalla direttiva in esame
attraverso la predisposizione di una serie di garanzie, sia individuali che collettive, a favore
degli stessi, risultando ancorata ad un principio generale di conservazione dei diritti e delle
posizioni contrattuali maturati.
In ogni caso, in virtù della clausola di favor contenuta nell’art. 7 della direttiva in parola, le
previsioni della stessa non pregiudicavano “la facoltà degli Stati membri di applicare o di
introdurre disposizioni legislative, regolamentari o amministrative più favorevoli ai
lavoratori”: veniva così sancito il principio della cd. “derogabilità in melius”
39
.
La direttiva 77/187/Cee era stata attuata in Italia, sia pure con notevole ritardo rispetto alla
scadenza del termine che essa stessa fissava dopo due anni a decorrere dalla data di notifica,
con l’art. 47 della legge n. 428 del 29 dicembre 1990, modificativo dell’originario testo
dell’art. 2112 Cod. Civ. Il ritardo nel recepimento (ben tredici anni dopo la sua emanazione)
aveva indotto la Commissione europea ad avviare, in base all’art. 226 TCE, un procedimento
di infrazione nei confronti del nostro Paese per inadempimento degli obblighi derivanti
dall’appartenenza alle Comunità Europee. Tale procedimento era poi sfociato il 10 luglio
1986 in una sentenza di condanna, con cui la Corte, pur non accogliendo in toto le censure
avanzate dalla Commissione, aveva comunque statuito che “la Repubblica italiana, omettendo
di adottare entro il termine prescritto tutti i provvedimenti necessari per conformarsi
AA.VV., Trasferimento di ramo d'azienda e rapporto di lavoro, in Dial. dottr. e giur., in Quad. dir. lav., 2004,
n. 2, Giuffrè, Milano, 2005, p. 391. In questa armonizzazione di interessi tra imprese e lavoratori l’A. riconosce
l’assoluta priorità dei profili di tutela dei rapporti di lavoro di fronte ai fenomeni di trasformazione,
decentramento e mobilità delle imprese, il che trova conferma nella lettura decisamente estensiva delle direttive
comunitarie fornita dalla Corte di Giustizia. Quest’ultima infatti, proprio a partire dalla consapevolezza della
centralità dei suddetti profili, adotterà una nozione di “trasferimento di impresa” decisamente ampia e flessibile,
estendendo di molto l’ambito di operatività della direttiva del 1977. V. infra, cap. 2.
37
Così recita letteralmente l’art. 117 TCE: “Gli Stati membri convengono sulla necessità di promuovere il
miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro della manodopera che consenta la loro parificazione nel
progresso”.
38
A. RAFFI, op. cit., p. 36.
39
M. NOVELLA e M. L. VALLAURI, op. cit., p. 184.
6
integralmente alla … direttiva del Consiglio 14 febbraio 1977, n. 77/187, … era venuta meno
agli obblighi impostile dal Trattato CEE”
40
.
1.2.SEGUE: LE DIRETTIVE NN. 98/50/CE E 2001/23/CE
L’ultradecennale esperienza applicativa della direttiva n. 77/187, la profonda opera di
ricostruzione compiuta dalla Corte di Giustizia e, soprattutto, la presa d’atto di un mercato
sempre più concorrenziale e globalizzato, caratterizzato dalla compresenza di fenomeni di
concentrazione societaria, da un lato, e di decentramento produttivo, dall’altro, che talvolta
possono disvelare, a causa della crescente pressione competitiva, intenti elusivi da parte
dell’imprenditore delle discipline garantistiche a tutela del lavoratore, avevano indotto la
Commissione europea a proporre una revisione del testo originario
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.
Così, nel 1998, dopo ben ventuno anni di inerzia e di silenzio, il Consiglio dell’Unione, su
proposta della Commissione stessa, aveva avvertito l’esigenza di ritornare sul tema del
trasferimento di impresa, al fine di adeguare la tutela dei lavoratori trasferiti alla nuova realtà
economica, sociale e giuridica
42
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Corte di giustizia 10 luglio 1986, causa 235/84, Commissione delle Comunità Europee contro Repubblica
Italiana, in Racc., 1986, pp. 2291 ss. (punto 24 della motivazione).
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E, di conseguenza, il legislatore nazionale a rimodellare la disciplina interna di recepimento in funzione delle
recenti modifiche introdotte a livello europeo. Non a caso il diritto del lavoro, dovendo necessariamente
coordinare la legislazione nazionale con quella dell’Unione Europea, oltre che subire le scelte politiche
determinate dai continui mutamenti degli scenari socio-economici, si è guadagnato l’appellativo di “zona sismica
del diritto civile”. Significative, a tal proposito, le parole di Franco Carinci, citate in R. COSIO, Imprese,
trasferimenti e appalti nella legge sul mercato del lavoro (D.lgs. n. 276/03), relazione al convegno del Centro
Nazionale di Studi del Diritto del Lavoro “D. Napoletano”, svoltosi a Catania il 23/01/2004, in
http://www.csdn.it/images/stories/relazioni/Roberto_Cosio_trasferimento_impresa.doc: “… come ben sa
qualsiasi neofita, è impossibile cominciare a scrivere la classica monografia senza la vivissima preoccupazione
di doverla modificare in corso d’opera per un qualche ius superveniens”. Per una ricostruzione dello scenario
socio-economico in cui si inserisce il nuovo intervento legislativo comunitario cfr. R. FOGLIA, L'evoluzione
normativa e giurisprudenziale comunitaria in materia di trasferimento d'azienda, in Quad. dir. lav. rel. ind,
2004, n. 28, pp. 196-197; S. NAPPI, Trasferimento d’azienda e trasformazioni del datore di lavoro, in Quad.
dir. lav. rel. ind., 2004, n. 28, pp. 61-63; V. SPEZIALE, Appalti e trasferimento d’azienda, in Working Papers
del Centro Studi di Diritto del Lavoro Europeo “Massimo D’Antona”, 2006, n. 84, in
http://dirittolavoro.altervista.org/speziale_appalti_trasferimento_azienda.pdf, pp. 2-4.
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Si legge, infatti, nel terzo considerando della direttiva n. 98/50/CE che obiettivo della stessa “è quello di
rivedere la direttiva 77/187/CEE alle luce dell'impatto del mercato interno, delle tendenze legislative degli Stati
membri per quanto riguarda il salvataggio delle imprese con difficoltà economiche, della giurisprudenza della
Corte di giustizia delle Comunità europee, della direttiva 75/129/CEE del Consiglio, del 17 febbraio 1975,
concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di licenziamenti collettivi, e delle
norme legislative già in vigore nella maggior parte degli Stati membri”.