4
avendo come punto di riferimento essenzialmente l’ordinamento
italiano. L’idea sottesa all’art. 65 dell’ordinamento giudiziario è che la
Corte di Cassazione, nell’interpretare la legge per applicarla alla
fattispecie concreta che le è sottoposta, deve mirare prima di tutto a
stabilire, a livello generale, qual è il significato giusto da attribuire alla
norma, mentre la giustizia della soluzione nel caso concreto è un effetto
secondario della prima operazione.
Inoltre, si esaminerà in linea generale la riforma sul giudizio di
cassazione introdotta dal D.Lgs. 40/2006, per soffermarsi, in particolare,
sull’introduzione di due nuove norme, ossia l’art 366-bis c.p.c., rubricato
«quesito di diritto» e l’art. 420-bis c.p.c. rubricato «accertamento
pregiudiziale sull’efficacia, validità, ed interpretazione dei contratti e
accordi collettivi» e, sulla modifica di una norma già esistente, ossia l’art.
363 c.p.c., rubricato «principio di diritto nell’interesse della legge».
L’art. 366-bis, al fine di una drastica diminuzione dei ricorsi, annuncia che
«nei casi previsti dall’articolo 360 c.p.c comma 1 numeri 1, 2, 3 e 4 c.p.c.»
l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere a pena di
inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto che consenta
alla Corte di enunciare un corrispondente principio di diritto
«vincolante» per i casi futuri e simili, e nel caso di cui al n. 5, con la chiara
indicazione del fatto controverso oggetto di motivazione omessa o
contraddittoria, ovvero, delle ragioni dell’insufficienza della motivazione,
insieme alla specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e
5
dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda. La nuova
previsione è dovuta al fatto che spesso in passato il ricorso era proposto
per ottenere, semplicemente un riesame della causa, come una sorta di
terzo giudizio di merito che in linea di principio dovrebbe essere
assolutamente estraneo al procedimento di legittimità.
Nell’intento di ridurre la durata del processo del lavoro, la riforma ha
introdotto l’art 420-bis ampliando così la portata della disposizione
dell’art. 360 n. 3 c.p.c., consentendo il ricorso per cassazione non più
solo per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ma anche per
violazione o falsa applicazione delle norme contenute nei contratti e
accordi collettivi nazionali.
Infine, nel nuovo art. 363 si ammette ora la possibilità che, se il
provvedimento non è ricorribile in Cassazione e non è altrimenti
impugnabile, il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione possa
chiedere alla Corte di enunciare «nell’interesse della legge» il principio di
diritto al quale il giudice di merito avrebbe dovuto attenersi e, al
medesimo risultato si può pervenire anche quando il ricorso proposto
dalle parti sia stato dichiarato inammissibile. In tal caso la Corte, se
ritiene che la questione sia di particolare importanza, può pronunciare il
principio di diritto, anche d’ufficio. Trattasi dunque, di un istituto in
passato desueto, che la riforma sul giudizio di cassazione ha rinvigorito
nella sua funzionalità, rendendolo il punto di partenza di una
nomofilachia attraverso il precedente. Nell’originaria formulazione
6
infatti, il ricorso nell’interesse della legge era finalizzato alla cassazione
della sentenza viziata da illegittimità, ossia all’eliminazione di una
decisione non conforme a diritto. Ora, invece, la sentenza non viene più
cassata, poiché la Corte si limita ad enunciare il principio di diritto.
E’ essenziale, inoltre, indicare quali siano le posizioni della
dottrina ante e post riforma sulla funzione nomofilattica e sulle nuove
disposizioni, per poi comprendere le soluzioni proposte per
l’applicazione pratica delle nuove norme e per la loro probabile attitudine
ad introdurre il precedente vincolante (stare decisis), già presente nel
sistema della Common law. Per tale ragione si farà un breve excursus sulle
differenze tra ordinamenti di Civil law e ordinamenti di Common law,
mettendo in luce le peculiarità di ciascun sistema, valutando i vantaggi e
gli svantaggi di un’eventuale introduzione dello stare decisis anche
nell’ambito del nostro sistema, in cui vige un diritto di fonte scritta, cui il
giudice deve far riferimento per le sue decisioni. Lo stare decisis anglo-
americano tipico della Common law, prevede invece, che sia il giudice
creatore del diritto, attraverso le sue sentenze, che dovranno poi valere
per tutte le successive controversie aventi lo stesso ambito oggettivo
anche se con soggetti diversi. In pratica, gli ordinamenti di Common law,
non sono basati (a differenza di quelli di Civil law) su un sistema di
norme raccolte in codici, bensì sul principio giurisprudenziale dello stare
decisis, vale a dire sulla vincolatività del precedente giudiziario.
7
Conviene altresì effettuare una comparazione tra la Corte di
Cassazione italiana e la Cour de Cassation francese, per comprenderne le
differenze relative alla nomofilachia preventiva che, nel nostro
ordinamento è affidata all’istituto del ricorso nell’interesse della legge da
parte del Procuratore Generale della Corte di Cassazione, e
nell’ordinamento francese è disciplinato dall’istituto della saisine pour avis,
che consiste in una domanda rivolta alla Corte da parte di un giudice di
merito, relativa ad una questione pregiudiziale di diritto, su materie
nuove, che presenti una notevole difficoltà e possa riguardare numerose
controversie. L’avis consiste in un parere non vincolante né per il giudice
che l’ha richiesto né per la stessa Cassazione che l’ha formulato.
Conviene infine, analizzare la riforma introdotta dal disegno di legge n.
1441-bis, che intenderebbe inserire un’ulteriore disposizione nel codice di
rito, ossia l’art 360-bis, considerata una nuova norma filtra - ricorsi, che
abroga l’art. 366-bis.
L’art. 360-bis, primo comma, nel detto disegno di legge prevede
infatti, che il ricorso per cassazione possa ritenersi ammissibile, solo se
ricorra una delle quattro ipotesi previste dalla norma stessa, ossia:
quando il provvedimento impugnato abbia deciso le questioni di diritto
«in modo difforme da precedenti decisioni della Corte»; quando ha ad
oggetto una «questione nuova»; quando in relazione alla questione
dedotta, la Cassazione ritiene di doversi pronunciare «per confermare o
8
mutare il proprio orientamento»; quando sulla questione esistono
«contrastanti orientamenti» nella giurisprudenza della Corte.
9
CAPITOLO I
NOMOFILACHIA
SOMMARIO: 1. 1. Origine del termine e interpretazioni dottrinali. - 1. 2.
Dibattito dottrinario in relazione alla funzione nomofilattica e critiche all’art.
65 dell’Ordinamento giudiziario. - 1. 3. Nomofilachia e valori costituzionali.
1. 1. Origine del termine e interpretazioni dottrinali.
Il termine nomofilachìa o nomofilacìa è composto dalle parole greche
nòmos, ovvero legge, e da phylax, ovvero guardiano. Nell’antica Grecia la
nomofilacìa era la magistratura incaricata di custodire il testo delle leggi e di
assicurare una certa stabilità nella legislazione. I primi documenti che
danno sicure notizie dell’esistenza della nomofilacìa risalgono al 317 a.C.
Alcune costituzioni cittadine prescrivevano che i progetti di legge
dovevano essere preventivamente sottoposti ai nomofilaci che avevano
facoltà di vietarne la presentazione alle assemblee nel caso
d’incostituzionalità o palese inopportunità1.
L’art. 65 dell’ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto
del 30 gennaio 1941, n. 122 (nell’ampliare la formula dell’art. 61 dell’ord.
1
Nozioni tratte da M. Taruffo, Il vertice ambiguo- saggi sulla Cassazione, Bologna, Il Mulino,
1991, p. 10.
2
La formulazione del vigente art. 65 dell Ordinamento Giudiziario Ł espressione diretta del
pensiero di P. Calamandrei, La Cassazione civile, Opere Giuridiche , VII, p. 33 ss., il quale ritiene
10
giud. previgente3), dispone testualmente che “la Corte Suprema di
Cassazione, quale organo supremo della giustizia, assicura l’esatta osservanza e
l’uniforme interpretazione della legge, l’unità del diritto obiettivo nazionale, il rispetto
dei limiti delle diverse giurisdizioni, regola i conflitti di competenza e adempie gli altri
compiti ad essa conferiti dalla legge”.
La norma in esame, rappresenta uno dei luoghi comuni più noti del
nostro ordinamento. In proposito, un Autore4 asserisce letteralmente :
“lo studioso della Cassazione è abituato a scrivere di nomofilachia e di funzione
nomofilattica da quando nome e aggettivo sono stati introdotti nelle stanze degli
studiosi grazie al fondamentale lavoro di Piero Calamandrei sulla nostra Corte
suprema...anche se il loro significato, è sconosciuto alla stragrande maggioranza degli
studenti di giurisprudenza e, anche a molti avvocati e magistrati”. Secondo l’A.,
non è chiaro, infatti, che cosa si possa oggi effettivamente voler dire con
il termine nomofilachia. Quando si cerca di definire il significato di tale
nozione e quello di «uniformità della giurisprudenza» sorgono
confusioni, in quanto si guarda, da un lato, all’effettività della funzione
che la Corte svolge e, dall’altro, a come tale funzione possa collocarsi nel
contesto dell’ordinamento attuale, percorso da problemi della natura più
diversa che non esistevano o non venivano adeguatamente percepiti, nel
che la funzione di nomofilachia sia tipica della Corte di cassazione. Sul punto v. M. Taruffo, La
Corte di Cassazione e la legge, Riv. trim. di dir. e proc. civ., 1990, p. 351 ss., il quale sottolinea
come il principio di nomofilachia fosse centrale nel pensiero di Calamandrei, che, per tale motivo,
si pose sempre in modo critico nei confronti del testo delle norme contenute nei precedenti
ordinamenti giudiziari.
3
L art. 61 dell ordinamento giudiziario approvato co n r.d. 30 dicembre 1923, n. 2786, infatti,
indicava, quale funzione della Corte di cassazione soltanto quello di mantenere la esatta
osservanza delle leggi .
4
S. Chiarloni, I compiti fondamentali della corte suprema di cassazione, l eterogenesi dei fini
nascente dalla garanzia costituzionale del diritto al ricorso e le recenti riforme, www.Judicium.it.
11
momento in cui la norma fu scritta. Inoltre, secondo il citato Autore5,
dagli usi correnti del termine nomofilachia non emerge la funzione che le
è propria, cioè cura della legge e sua protezione da attentati esterni, al
contrario, sembra venire in rilievo una funzione che non le appartiene,
ovvero cura e considerazione del caso particolare nel quale, e per il quale
viene in discorso la concreta interpretazione e applicazione della legge.
“In questo senso, la nozione richiama la contrapposizione tra ius litigatoris e ius
constitutionis che, viene estrapolata per contrapporre l’interesse del privato litigante
all’interesse pubblico, cioè, di tutti, alla svolgimento della funzione della Cassazione; il
primo concepito come interesse alla ablazione comunque dell’avversa sentenza, il
secondo, come interesse all’esatta osservanza della legge e alla certezza del diritto pei
casi futuri…così intesa, la nomofilachia rischia di uscire fuori dall’area della
giurisdizione, nonostante venga pur sempre perseguita dalla Cassazione, quale giudice
supremo della giustizia” 6.
Si registra in proposito il parere concorde di altro Autore,7 che ravvisa
nella nomofilachia una funzione a sé, che non può farsi rientrare
nell’area giurisdizionale.
Per un’analisi più approfondita sulla nozione di nomofilachia,
prenderemo le mosse da un altro Autore 8 ancora, che nell’ambito
dell’idea generale di nomofilachia, pone in rilievo una distinzione a
seconda di come si definisce l’oggetto della tutela della legalità che si
5
Ancora S. Chiarloni, op. ult. cit.
6
In questi termini, S. Chiarloni, ivi.
7
E. Fazzalari, Il processo ordinario di cognizione ,2, Torino, 1992, p. 20 ss., ove piø ampi spunti.
8
M. Taruffo, Il vertice ambiguo, loc. cit., p. 12.
12
ritiene affidata alla Corte di Cassazione. Per un verso è possibile
intendere la nomofilachia come orientata essenzialmente
all’individuazione del significato proprio della norma in sé considerata.
“Nessuna norma può avere in sé un solo significato o un solo significato esatto, al
contrario l’interpretazione consiste in un’opera essenzialmente creativa nella quale il
prodotto dipende dalle scelte dell’interprete” 9. Ciò porta, dunque, a centrare
l’attenzione sull’interprete e sui metodi che questi impiega per compiere
l’interpretazione. Nel caso della Cassazione, può appunto accadere che
l’attività interpretativa sia orientata nel senso di indicare quella che in
termini generali la Corte ritiene essere l’interpretazione propria della
norma. “L’analisi del caso singolo può essere utile per mettere alla prova
l’interpretazione ma l’opera di nomofilachia consisterebbe pur sempre nella
formulazione in termini generali del significato della norma sottoposta a giudizio”.10
Il citato Autore11 osserva che, in tal modo, l’interpretazione compiuta
dalla Cassazione verrebbe ad avere analogie con l’interpretazione
dottrinale per proporre ipotesi interpretative generali, con la differenza
che “la dottrina può non scegliere, mentre la Cassazione deve comunque scegliere una
interpretazione che ritiene corretta e preferibile alle altre. In questa prospettiva la
nomofilachia viene a configurarsi come attività di tutela del significato proprio della
9
Testualmente, M. Taruffo, ivi, p. 12.
10
Cos M. Taruffo, op. ult. cit., p. 13.
11
Ancora M. Taruffo, ivi, p. 13 ss.
13
norma, benché essa implichi una continua riformulazione creativa di tale significato”
12
.
La nomofilachia, può essere però intesa anche in modi diversi. L’Autore
suggerisce che è possibile definirla come tutela della legalità della
decisione nel singolo caso concreto, ossia nella specifica sentenza
impugnata e in questa prospettiva l’interpretazione della norma diventa
uno strumento, piuttosto che il fine dell’attività della Cassazione, in
quanto essa è il mezzo che serve a verificare se la decisione impugnata,
sia, o meno, legittima. “In tal caso il nucleo essenziale del controllo posto in essere
dalla Cassazione non è l’interpretazione della norma, ma la sua applicazione al caso
di specie” 13. Nella prima concezione della nomofilachia, è la Cassazione a
scegliere e a proporre un’interpretazione, indicandola come regola
generale e individuandola tra diverse interpretazioni possibili; nella
seconda concezione, è in realtà il giudice di merito a compiere le scelte
decisive nel caso concreto, mentre “la Cassazione si limita a verificare ex post
che non siano violate le condizioni minime di compatibilità della singola decisione col
sistema” 14.
1. 2. Dibattito dottrinario in relazione alla funzione nomofilattica e
critiche all’art. 65 dell’Ordinamento giudiziario.
12
In questi termini si esprime, M. Taruffo, ivi, p. 14.
13
Ancora M. Taruffo, ivi, p. 16.
14
Per approfondimenti, M. Taruffo, op. ult. cit., p. 16 ss.
14
La «questione nomofilachìa» è da molti anni iscritta nella eterna
«questione Cassazione». Nel dibattito dottrinario si distinguono
essenzialmente due tesi sulla nomofilachìa.
La prima tesi è propensa a declinare la funzione in senso
«tendenziale» e «dialettico»,15 destinata cioè ad esprimersi in un continuo
dialogo tra Corte Suprema e giudici di merito, in un processo
d’interpretazione delle norme di legge che “non può più concepirsi come
proveniente solo dall’alto verso il basso, ma anche dal basso verso l’alto, ed in cui
oscillazioni e divergenze giurisprudenziali esprimono la positiva vocazione ad
adeguarsi ad una società caratterizzata dal pluralismo e dal movimento” 16.
L’altra tesi17 è invece più tradizionale, e pone in primo piano la
necessità della certezza giuridica e dell’uguaglianza di trattamento nei casi
analoghi, mentre guarda con diffidenza all’eccessivo pluralismo
interpretativo. Non bisogna poi, dimenticare le critiche mosse allo stesso
art. 65 dell’ordinamento giudiziario. Un Autore18 ha asserito
letteralmente: “L’assicurare l’esatta osservanza della legge da parte della Corte di
cassazione come disposto dall’articolo 65 è una visione formalistica tipica della
versione classica del positivismo giuridico, più precisamente definito «formalismo
interpretativo»”. Secondo l’A., il valore dominante enunciato dalla norma
15
In questo senso, M. Franceschelli, Nomofilachia e Corte di cassazione, Giust. e cost., 1986, p.
39 ss.; S. Senese, Funzioni di legittimit e ruolo di nomofilachia, Foro It., 1987, V, p. 264; E.
Carbone, Quattro tesi sulla nomofilach a, Politica del diritto, 2004, p. 599 ss.
16
Cos , M. Franceschelli, ivi, p. 40.
17
In questo senso, A. Bonsignori, L art. 65 dell ordinamento giudiziario e l efficaci a persuasiva
del precedente, Contr. e impr.,1988, p. 512 ss.
18
M. Taruffo, Il vertice, loc. cit., p. 17 ss.
15
sembrerebbe essere l’esattezza, ossia la corrispondenza della soluzione
accolta dalla sentenza impugnata con l’interpretazione della norma, che
appare appunto esatta: “L’accezione d’interpretazione esatta è da intendersi come
l’unico risultato possibile di un calcolo interpretativo da intendersi come oggettivo e
logico deduttivo che esclude scelte discrezionali dell’interprete” 19.
L’A., pensa che si potrebbe fondare una sorta di “nouvelle nomofilachia” 20
attraverso due teorie, che non accolgono i postulati del formalismo
interpretativo:
(a) La teoria analitica dell’interpretazione, che parte dalla premessa
per cui interpretare un enunciato normativo non significa «descrivere»
ciò che esso rivela ma «ascrivere» ad esso un significato, e ciò, vuol dire
che esso non è mai dato dalla norma, ma è creato dall’interprete che lo
sceglie tra i più significati possibili. Ciò vale anche per il giudice che
determina il significato della norma in funzione della decisione da
applicare al caso concreto;
(b) La teoria ermeneutica dell’interpretazione, secondo cui la
soluzione del caso non si trova già nella norma, ma deriva, invece, da un
procedimento dialettico in cui norma, fattispecie astratta, fattispecie
concreta e fatto interagiscono. L’applicazione della norma è sempre
innovativa.
Le due teorie appena esposte, negano radicalmente le tesi del
formalismo interpretativo tradizionale, ed in particolare l’idea per cui,
19
Ancora, M. Taruffo, ivi, p. 18 ss.
20
L espressione e le distinzioni sono di M. Taruffo, ivi, p. 18 ss.
16
dato un enunciato normativo, ne esisterebbe un significato vero e dato a
priori che attende solo di essere trovato e dichiarato dall’interprete.
Secondo il citato Autore21, la versione rigorosa del formalismo
interpretativo, incentrata sull’ipotesi che esista un significato esatto della
legge, che l’art 65 presuppone per definire le funzioni della Cassazione,
appare discutibile sul piano teorico e “l’ipotesi che la Cassazione stabilisca un
significato esatto delle norme, che ne mantenga una visione unitaria ed oggettiva, e che
ne assicuri l’uniformità è clamorosamente smentita da una serie di fenomeni
riscontrabili sol che si esamini la giurisprudenza della Corte nei diversi settori” 22.
L’A. ritiene da un lato, che il disposto dell’ art. 65 sia
valido come ideologia della Corte di Cassazione, in quanto, se
considerato in tal senso, propone un modello di Cassazione che,
individuato il significato di una norma, lo enunci come esatto e lo faccia
diventare il canone fisso, uniforme, unitario e oggettivo per
l’interpretazione di quella norma; dall’atro, critica la tendenza ad
accreditare l’idea per cui la Corte avrebbe una sorta di monopolio della
verità nell’interpretazione della legge, e che tale verità sia conseguita in
modo oggettivo e neutrale. “L’idea che la nomofilachia s’incardini
esclusivamente su di una interpretazione formalistica della legge, che le interpretazioni
fornite dalla Corte siano per definizione esatte, oltre ad essere priva di fondamento,
delinea una Corte statica ed omogeneizzante al vertice del sistema” 23. Il citato
21
Ulteriormente, M. Taruffo, op. ult. cit., p. 18 ss.
22
Cfr., M. Taruffo, op. ult. cit., p. 19 ss.
23
Il pensiero critico Ł ancora di M. Taruffo, ivi, p. 20 ss., ove ulteriori approfondimenti.
17
Autore24 inoltre, evidenzia che la funzione nomofilattica della Cassazione
non è quella di assicurare l’esattezza formale dell’interpretazione (il che
equivarrebbe a far prevalere l’interpretazione formalistica), bensì quella
di stabilire qual’ è l’interpretazione più giusta della norma in base alle
scelte interpretative più corrette. “Non più, quindi, in nome di una
interpretazione autoritaria, come sarebbe quella che pretendesse di identificare l’esatto
significato della legge, ma in nome di una ragionevole e ragionata scelta tra i plurimi
possibili significati, operata, in base a preformulati e condividibili criteri” 25. In tal
modo, si avrebbe l’interpretazione più giusta, cioè più giustificabile in
base alle migliori ragioni, ma il centro del problema consiste nel capire
quale debba essere il criterio attraverso cui la Cassazione debba operare
le sue scelte interpretative; criterio, dice l’Autore26, che deve essere
vincolante anche per la Corte, tanto da poter sostituire il vincolo
(ideologico) all’esatto e unico significato della legge della vecchia
concezione. La Corte dovrebbe privilegiare la considerazione dello ius
constitutionis, rispetto a quella dello ius litigatoris; dovrebbe fare attenzione
non alla legalità del caso singolo, sottoposto al suo esame in quel dato
momento, ma a tutti i possibili casi che potrebbero presentarsi.
24
Ancora M. Taruffo, ivi, p. 20 ss.
25
Cfr. M. Taruffo, Il vertice, loc. cit., p. 21 ss.
26
Si tratta sempre di M. Taruffo, ivi, p. 21 ss.