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risposte degli insegnanti c’erano sempre contraddizioni, risposte
inventate o mezze verità. Il giudizio universale raccontatomi dalla
suora con cui facevo catechismo, mi terrorizzava. La visione che tutti i
morti si risvegliassero e fossero sottoposti al giudizio divino, mi
ricordava quel vecchio film di Romero “L’alba dei morti viventi” che
in quel periodo fu il mio peggiore incubo.
Con chiunque parlassi nella speranza di un conforto, laici o preti che
fossero, non solo mi confondevano, ma mettevano in dubbio il mio
sentire, che prima d’allora davo per scontato. La mia verità, era la
verità. La certezza di essere nata infinite volte prima del 1974, era una
sensazione che non lasciava adito per essere discussa o essere messa in
dubbio. Quando poi dissi alla maestra, durante la lezione di scienze,
che secondo me le sedie erano vive e anche loro pensavano perché
formate da molecole di atomi viventi, l’ insegnante chiamò mia madre
per congratularsi della mia fervida immaginazione; ma le disse anche
di rimproverarmi se fossi volata troppo in alto con la fantasia.
Quella che i “grandi” definivano fantasia, però, non era uguale al mio
concetto di fantasia. I concetti che discutevamo, ma che chiamavamo
con le stesse parole, erano diversi. Per me “fantasia” era sapere,
ricordare, intuire. Per loro era inventare. Inventare dal nulla.
Ero soltanto una bambina vivace, intelligente e spesso esuberante. Che
inventa storie e soffre le regole scolastiche.
La mia armonia col resto del mondo e dentro di me cominciò a
traballare e ad essere mescolata con le bugie di un mondo che vive al
buio del proprio sentire, che si indottrina di una sapere costruito dalle
istituzioni.
Cominciai ad assimilare per forza di cose, quei concetti che ritenevo
sbagliati, perché pensavo di essere l’unica al mondo a pensarla in quel
modo strampalato. O almeno credevo. La morte cominciò a farmi
paura. Prima di allora non mi era mai successo. Anzi. Avevo curiosità
di raggiungere la vecchiaia, per varcare questa dimensione e per
riscoprire quanto spettacolare fosse l’eterno fluire. Non avevo paura di
niente. Volevo vivere, e la morte mi incuriosiva.
Dopo il catechismo, la prima confessione, i dieci comandamenti a
memoria, o “il credo” o il “mea culpa”, tutto cominciò ad apparirmi
talmente innaturale e forzato che la mia vita perse quella originale
armonia con cui ero nata.
Ma venire al mondo in armonia non credo fu solamente una mia
esclusiva. Non ero una bambina speciale, né particolarmente dotata.
L’armonia di cui ricordo ancora oggi la sensazione, è in origine a tutte
le specie viventi, e oggi so che lo è anche per le “non viventi” o cose
inanimate. La meraviglia e la gioia di esistere che accompagna l’uomo
nei primi anni di vita è una realtà esperibile sotto gli occhi di tutti.
L’armonia che muove ogni cosa, dal cosmo ai più piccoli nucleoni che
compongono la materia, è oggi una realtà della fisica quantistica che in
pochi hanno il privilegio di studiare e di sapere.
Gli anni più “bui” della mia vita, furono quando mia madre mi
prendeva per mano e mi portava in chiesa, quando mi costrinsero alla
prima comunione e alla cresima. Quando ero ossessionata dal peccato
che la chiesa cattolica continuava a usare come arma su di me e su tutti
i fedeli per il suoi ‘retti’ scopi a me ignoti.
5
Quando confessavo al prete di turno i miei primi istinti, mi faceva
inginocchiare per venti minuti a recitare dieci “Padre nostro” e dieci
“Ave Maria”. Avevo perso la fede. Quella fede verso la mia armonia.
Quella fede che naturalmente possediamo tutti.
In pali (la lingua originaria dei testi buddisti) la parola tradotta con
FEDE, o fiducia, è saddha che letteralmente significa: “porre il cuore
su”. Avere fede è offrire e affidare il proprio cuore. Io avevo perso
quella cosa su cui riporre il mio cuore. Fede è la volontà di fare il
passo successivo in armonia col nostro sentire. Avere fiducia nella
propria vita.
Ma se il percorso personale ci viene imposto, si è costretti a percorrere
il viaggio della nostra vita su binari a noi sconosciuti e senza una vera
e propria meta, se non quella inculcataci dalla società occidentale;
studio, lavoro, famiglia, pensione. Se non crediamo alla meta, il
viaggio stesso sarà inutile, noioso e privo di insegnamenti. Avere fede
è il viaggio stesso, oltre che la meta o la missione, il nostro viaggio
personale, sorretto dalla volontà della propria verità.
Quando studiai L’Eneide capolavoro dell’età latina, scritto da Virgilio,
vissuto oltre duemila anni fa, mi appassionò fervidamente la figura
dell’eroe, il pio Enea, come spesso era aggettivato dall’autore.
Quando Enea, sconfitto, fugge dalla battaglia di Troia, è guidato
solamente dal senso della sua missione, dalla sua fede. Affronta
ripetutamente l’ignoto, non ha idea di che cosa lo aspetti. Le sue navi,
il suo equipaggio, vengono travolti dalla tempesta, attaccati, colpiti,
saccheggiati. Solo quando troverà il coraggio di inoltrarsi nell’oscurità,
gli si rivelerà la luce che lo guida verso il passo successivo.
Grazie ad Enea capii che brancolavo nel buio da troppo tempo, con
nessuna luce che mi apparisse in fondo alla via, con nessuna missione
da portare a termine.
Non ero io il condottiero della nave, e non ero neanche un marinaio,
non avevo un capitano né una rotta da seguire.
6
2. Il rapporto con la realtà: la fede è un’ invenzione?
Delle cose invisibili e delle cose visibili soltanto gli dèi hanno conoscenza
certa; gli uomini possono soltanto congetturare.
(Alcmeone)
1
Al primo anno di università capitai in un libro che tentò
definitivamente di sradicare quel barlume di fede, quel credo, che
nonostante tutto continuavo ad avere verso la vita. Il libro in questione
è La realtà inventata, a cura di Paul Watzlawick.
Questo libro è una raccolta di saggi di esperti
2
in vari campi e in varie
discipline (raccolti e dibattuti da Watzlawick) che spiegano come le
realtà scientifiche, sociali, individuali e ideologiche vengono inventate
o costruite a causa dell’inevitabile bisogno che ha l’uomo di accostare
la realtà ‘esterna’ a quella interna, partendo da alcune premesse che si
credono, tendenzialmente, vere e indiscutibili. L’intero testo vuole
dimostrare che, queste premesse fondamentali, non sono altro che la
conseguenza del nostro tentare una conoscenza che mai potrà essere
soddisfatta, perché l’uomo non ha in sé la verità, ma solo la fantasia
per inventare tali premesse.
Per esempio, attraverso un breve racconto di vita quotidiana, viene
messa in dubbio la legge di causa ed effetto, (cioè che ad ogni azione
compiuta corrisponde un effetto manifesto), con la conclusione che il
pensiero causale potrebbe non esistere. Esisterebbe, quindi, soltanto
un pensiero adattato alla nostra tendenza di interpretare dei fatti
apparentemente inspiegabili:
A Vienna delle persone salgono su un tram. Tra i
passeggeri una donna di umili condizioni con suo figlio.
Il ragazzino porta intorno alla testa una fasciatura
enorme (Terribile! Cosa può essergli accaduto?) Alcune
persone offrono il posto a sedere ai due poveretti. La
fasciatura non è applicata a regola d’arte, è stata fatta
visibilmente in casa e in fretta; stanno andando
all’ospedale (i passeggeri scrutano di nascosto il viso del
bambino per capire cosa gli è successo, e la fasciatura
per scoprire eventuali tracce di sangue). Il bambino
piagnucola e si agita (espressione di simpatia su tutti i
volti). La madre non si mostra preoccupata
(atteggiamento poco consono alla situazione), addirittura
dà segni di cattivo umore (sorprendente!). Il piccolo
comincia a dimenarsi; la madre lo spinge giù a sedere.
L’atteggiamento degli astanti muta da osservazione
discreta a vigilanza aperta. Il bambino vorrebbe
arrampicarsi sui sedili e la madre continua a strattonarlo
(povero bambino! Che cosa terribile!).
1
Alcmeone, De Natura
2
Rolf Breur, Jon Elster, Heinz von Foerster, Ernst von Glasersfeld, Rupert Riedl, David L. Rosenhan, Gabriel
Stolzenberg, Francisco J. Varela, Paul Watzlawick.
7
I passeggeri cominciano a prendere apertamente
posizione. La madre viene rimproverata ma respinge
qualunque interferenza. Le critiche vengono ribadite in
modo più aperto. Allora lei dice che ognuno farebbe
meglio a badare agli affari suoi. Le emozioni si fanno più
forti, e la scena diventa rumorosa e turbolenta. Il ragazzo
urla, la madre arrabbiatissima e rossa in viso, dichiara
che adesso mostrerà a tutti, qual era il problema, e
comincia (tra l’orrore generale), a strappare via la
fasciatura. Ciò che alla fine viene alla luce è un vaso da
notte di latta, che il piccolo Don Chisciotte si è calcato in
testa con tale forza da non riuscire più a toglierselo;
stanno andando a chiedere aiuto a un fabbro. I
passeggeri scendono da un tram molto imbarazzati.
Come potevano poche bende intorno alla testa del
ragazzino portare alla spontanea supposizione di un
incidente serio quando tutte le altre indicazioni erano
contrarie a tale ipotesi?
Noi, motiviamo la nostra tendenza, anche quando
brancoliamo nel buio più completo e pronostichiamo
cause e fini, nonostante spesso cadiamo in errore,
fraintendendo lo scopo e leggiamo le sequenze di causa
ed effetto alla rovescia
3
.
Oppure:
Che cosa significa l’ipotesi che l’orbita della luna sia
all’origine delle maree, l’acquirente all’origine
dell’andamento del mercato e lo sperimentatore
all’origine del comportamento della cavia? Perché in
realtà risulta che le maree terrestri rallentano la
traiettoria della luna, e che il mercato e l’industria
manipolano gli acquirenti e che la varietà dei
comportamenti del topo determina il modo di procedere
dello sperimentatore. (…) Il ‘perché’ (avviene una cosa)
non è verificabile, ma lo è soltanto il ‘se-allora’ . Perciò
non sarebbe possibile dire ‘la pietra si riscalda perché il
sole splende’, ma solo ‘ogni volta che splende il sole la
pietra di riscalda’. La causalità, potrebbe non essere
affatto presente nella natura umana, e potrebbe quindi
non essere altro che un bisogno della mente.
4
Partendo da questi esempi quotidiani, si giunge poi a mettere in
discussione la vita dell’uomo che potrebbe risultare senza alcun senso:
Noi uomini, siamo incapaci di sopravvivere a un
universo privo di senso. Da ciò risulta la necessità di
colmare quel vuoto, la cui esperienza, nella forma più
3
Paul Watzlawick, La realtà inventata, Feltrinelli, 1988, p. 66
4
Idem, p.67
8
blanda può spingere alla noia, nella forma più acuta alla
psicosi o al suicidio. Quindi se è in gioco una cosa così
importante, la spiegazione del mondo deve essere
incontestabile, non può lasciare nessuna questione in
sospeso. (…) La vita è come una lotta contro il nulla.
5
Quindi, per Watzlawick, la realtà non può essere scoperta, ma bensì
adattata; quello che noi chiamiamo realtà, altro non è che una
interpretazione di un ‘reale’ che in nessun modo possiamo
comprendere, dalle cose che ci circondano, alle cose che ci
‘riempiono’.
Quello che crediamo sia una nostra verità, non è altro che una via più
agibile, più comoda, per l’interpretazione di un’esistenza di cui non
riusciremo mai a cogliere il senso.
L’uomo non potrà mai comprendere il mistero della sua esistenza,
potrà soltanto opinare, adattare, inventare.
Ciò che viene ipoteticamente scoperto è un’invenzione, il
cui inventore è inconsapevole del proprio inventare e
considera la realtà come qualcosa che esista
indipendentemente da sé: l’invenzione quindi diventa la
base della propria visione del mondo e delle proprie
azioni.
6
Questa filosofia prende il nome di ‘costruttivismo radicale’ :
La costruzione della realtà universalmente più accettata
si fonda sul presupposto che il mondo non può essere
caotico-non perché esista una qualche prova di questa
idea, ma perché il caos sarebbe semplicemente
intollerabile.
7
E non esiste nessuna verità assoluta perché:
anche la più eminente delle dottrine contiene
un’imperfezione fatale: non può dimostrare la propria
compiutezza né la propria contraddittorietà servendosi di
argomenti interni alla propria logica.
8
Si confutano gli assiomi della matematica
9
, ma anche ogni certezza e
ogni credo.
Accettare o non accettare può portare a percorsi molto
diversi. Accettando una cosa in quanto tale e integrando
questa credenza nella visione del mondo, si può alla fine,
5
Idem, p. 179
6
Idem, p. 9
7
Idem, p. 59
8
Idem, p. 184
9
Idem
9
in alcuni casi, perdere la capacità di tornare indietro e
metterla in discussione. Non accettarla e scegliere di
metterla in discussione può all’opposto portare a
riconoscere che essa e alcune delle sue conseguenze sono
in realtà inesatte.
10
Tutto questo cominciò ad offuscare la mia verità, quella stessa verità
che ritenevo indiscutibilmente vera, concreta, e allo stesso tempo
ineffabile ed eterna. E, a poco a poco, mi convinsi che la mia fede non
era altro che una invenzione del mio esperire.
Ma in seguito, assimilato e digerito il contenuto dell’intero testo, mi
resi conto di quanto fossi stata limitata nel limitare il mio intuito
dentro le parole di un libro.
Il fatto che Watzlawick potesse rivelarmi la verità sulla mia esistenza,
sul mio sentire, e il mio più intimo credere, mi sembrò come ridurre e
contenere un ‘qualcosa’ che invece non può essere né contenuto, né
ridotto. Perché questo ‘qualcosa’ è incontenibile e illimitato.
Congetturare una realtà che non può essere oggettiva, se non per
comodità di un vivere ordinato, è comunque formulare una tesi, e
quindi oggettivarla all’interno dello stesso pensiero. E’ comunque
un’altra forma di conoscenza razionale e pertanto un sistema di
concetti, caratterizzata dalla struttura lineare e resa esplicita dal nostro
linguaggio che nasce da un pensiero lineare e infine con la scrittura.
Nella maggior parte dei linguaggi questa struttura lineare è resa
esplicita dall’uso di alfabeti che servono a comunicare esperienze e
riflessioni con lunghe file di lettere.
Quando lessi Il Tao della fisica, di Capra tirai un sospiro di sollievo.
Capra è un fisico americano che nei suoi testi dimostra come e quanto
sia riduttivo per la conoscenza delle cose naturali attenersi alla nostra
razionale logica. E di come il nostro linguaggio ordinario sia inadatto e
incompleto per spiegare l’apparente insondabilità dell’essere umano e
dell’intero cosmo:
Il mondo naturale, è un mondo di varietà e complessità
infinite, un mondo multidimensionale che non contiene né
linee rette, né forme perfettamente regolari, nel quale le
cose non avvengono in successione ma tutte
contemporaneamente (…). E’ chiaro che il nostro sistema
astratto di pensiero concettuale non potrà mai descrivere
questa realtà nella sua complessità. Cercando di
comprendere il mondo, ci troviamo di fronte alle stesse
difficoltà che incontra un cartografo che cerchi di
rappresentare la superficie della terra con una serie di
mappe piane. Da un procedimento di questo tipo
possiamo attenderci solo a una rappresentazione
approssimata della realtà, e di conseguenza tutta la
conoscenza razionale è necessariamente limitata.
11
10
Idem, p. 225
11
Fritjof Capra, Il tao della Fisica, Adelphi, 1989, p. 31
10
L’ampia divergenza che vi è tra conoscenza e realtà, è ampiamente
affrontato e dipanato ma senza alcuna soluzione nel testo di
Watzlawick.
Un siffatto scenario apre la via allo scetticismo:
L’idea dell’apparenza è inscindibile da ogni conoscenza
umana,e se e in che misura l’immagine fornita dai nostri
sensi corrispondi alla realtà oggettiva, costituisce un
punto dolente nella storia della conoscenza. Sesto
Empirico, faceva l’esempio della mela: ai nostri sensi
appare liscia, profumata, dolce e gialla- ma non è per
niente ovvio che la mela possieda realmente queste
caratteristiche ed è altrettanto poco ovvio che essa non
possieda anche altre caratteristiche che sfuggono ai
nostri sensi.
Non è possibile colmare questo dubbio,
poiché qualsiasi cosa facciamo, possiamo paragonare la
nostra percezione della mela solo con altre percezioni,
ma mai con la mela stessa come era prima della nostra
percezione.
12
Questo è il problema fondamentale al quale il costruttivismo radicale
cerca di rispondere, ma senza un metodo di indagine per superare i
limiti dei nostri cinque sensi, e nemmeno propone una possibile via
d’uscita, attenendosi sempre alla logica della logica, rimanendo così
intrappolati alla struttura razionale della realtà da noi costruita. Per
dimostrare la compiutezza di un sistema e una non contraddittorietà , è
indispensabile che il sistema in questione esca dai propri limiti
concettuali, e si serva di principi interpretativi che non può produrre al
suo interno.
Da Whitehead e Russell apprendiamo che qualsiasi cosa
si riferisca ad una totalità non può essere essa stessa
parte di questa totalità, vale a dire non può riferirsi a se
stessa senza cadere nei paradossi dell’autoreferenzialità.
Il bugiardo che dice di se stesso: “Io mento”,
rappresenta la forma più semplice di un tale paradosso.
Se mente davvero allora la sua affermazione è vera; se
però è vera, allora non è vero che egli menta, e perciò
mentiva quando diceva di mentire.
13
Ma qual è la strada che possa portarci al superamento dei nostri limiti
concettuali? Watzlawick non risponde.
Credo sia indispensabile quindi chiedersi quale sia il modo più adatto
per abbracciare la realtà che ci circonda (senza cadere nei paradossi
della logica) e la verità contenuta in essa, che, a mio avviso,
meravigliosamente aderisce alla forma di ogni fenomeno manifesto.
12
Paul Watzlawick, La realtà inventata, Feltrinelli, 1988, p. 24
13
Fritjof Capra, Il tao della Fisica, Adelphi, 1989, p. 18