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CAPITOLO PRIMO
L’INTERVENTO NATO IN AFGHANISTAN
1.1 L’arte della guerra: dai protagonisti del passato ai cyberwarriors, del
futuro, la guerra asimmetrica.
L‟arte della guerra è sempre stata nel corso dei secoli, argomento d‟interesse non solo
per gli addetti ai lavori, ma anche per quegli studiosi che non fanno parte del mondo
militare e che applicano i concetti e le dottrine strategiche in altri campi, come ad
esempio in economia. Tuttavia, trattando l‟argomento, filosofi, storici, politici e militari
hanno sempre cercato di affrontare la complessità della guerra e di semplificarla per
renderla comprensibile e governabile. La via normalmente seguita per raggiungere
questo obiettivo è stata quella di consolidare i risultati delle loro riflessioni in una serie
di massime e aforismi, che occorrerebbe seguire per l‟elaborazione delle decisioni
strategiche.
Da Oriente ad Occidente il panorama degli studi strategici è costellato di studi, teorie e
approcci alla strategia e al suo uso sul campo. Da Sun-tzu
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a Machiavelli
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, da
Napoleone
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a Carl von Clausewitz, fino ad arrivare agli strateghi del XXI secolo, la
guerra è stata affrontata in tutta la sua complessità e le sue trasformazioni, tanto da
elaborare nuove decisioni strategiche per nuovi scenari di guerra.
La guerra
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(dal tedesco antico gwarra, che significa mischia) è un fenomeno multiforme
che ha assunto connotazioni differenti in tempi e contesti storici diversi, a seconda delle
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Stratega del IV secolo a.C. (722-481), vissuto nel periodo delle primavere e degli autunni. Considerato il
più grande esponente del pensiero militare cinese,
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Niccolò Machiavelli, scrittore, politico, letterato e storico (1469-1527), ebbe un ruolo importante nella
rinascita del pensiero strategico del Rinascimento. Fra le sue opere più importanti “Il Principe” e
“Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio”, “Dell‟arte della Guerra”.
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Napoleone Bonaparte, imperatore francese, generale. Definito da Carl von Clausewitz « il
rappresentante in terra del Dio della guerra».
R. G. Grant, Commanders, History’s Greatest Military Leaders, Dk publishing, New York, 2010 First
American Edition, 194-206.
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C. JEAN, Manuale di Studi Strategici, Centro Studi di Geopolitica Economica-CSGE, Roma, anno, pp.
65-79.
B. C Liddell Hart, Strategy, the classic book on military strategy, Meridian books, London, 1991 pp 94-
122.
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strutture del sistema internazionale, della cultura etico-politica, dell‟organizzazione
sociale e delle tecnologie disponibili.
In generale la guerra è l‟espressione armata di un conflitto che avviene quando due
attori politici, non solo Stati ma anche movimenti rivoluzionari, minoranze etniche
secessioniste etc, impiegano la forza per raggiungere i propri obiettivi politici. La guerra
implica l‟impiego effettivo della forza anche se tale termine è utilizzato per indicare
fenomeni, come la guerra fredda, in cui la forza stessa è stata usata solo allo stato
potenziale. Durante la guerra la politica non cessa, contrariamente a quanto si poteva
pensare nel passato, secondo l‟affermazione di un grande autore quale fu Clausewitz
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.
Egli affermava infatti che la guerra non è la «continuazione della politica con altri
mezzi», bensì la «continuazione della politica con l‟aggiunta anche di altri mezzi» quali,
ad es. il ricorso effettivo alla forza militare.
Nel corso del conflitto non cessa neppure il dialogo fra i contendenti: anzi, ognuno di
essi cerca di imporre la propria volontà all‟avversario, costringendolo ad accettare le
proprie condizioni di pace o di resa.
L‟unica eccezione è nel caso in cui l‟avversario si ponga obiettivi assoluti, quali
l‟annientamento del nemico, l‟occupazione di un territorio e la sua distruzione come
entità politica organizzata, se non addirittura quella fisica; il secondo conflitto mondiale
ne è un esempio.
Generalmente le guerre sono limitate, poiché limitati sono gli obiettivi politici
perseguiti a causa della ragione strategica, basata sull‟equilibrio fra benefici, cioè i fini
politici, e costi ovvero i rischi connessi all‟iniziativa di far ricorso alle armi rispetto ai
benefici.
Il termine conflitto viene spesso impiegato come sinonimo di guerra. Generalmente esso
è preferito al termine guerra dagli istituti di peace research come il Sipri (Istituto di
Stoccolma per le ricerche per la pace) e viene specificatamente riferito agli scontri
armati che hanno luogo all‟interno degli Stati. Vi è conflitto quando esistono interessi
contrapposti che le entità politiche non possono risolvere pacificamente ma solo con il
ricorso reale o virtuale all‟uso della forza.
Il Sipri definisce “conflitto armato maggiore” quello che provoca almeno mille morti
nel corso della sua intera durata.
Il conflitto può spingersi verso gli estremi della violenza, così come può regredire ad
una semplice opposizione di interessi negoziabili. La crescita di tensioni, lo scoppio di
una crisi e un suo peggioramento fino allo scontro armato, più o meno limitato, sono un
continuum su cui può agire la comunità internazionale con iniziative volte alla
prevenzione e gestione delle crisi e alla risoluzione dei conflitti.
L‟uso del termine guerra era più comune per gli scontri armati fra Stati in quanto si
presupponeva che solo gli Stati fossero legittimati a farsi la guerra, mentre l‟uso della
forza de facto attualmente non viene più subordinato a una formale dichiarazione di
guerra.
Dalla dichiarazione di guerra, infatti, dipende l‟entrata in vigore di un particolare stato
giuridico, quello di belligeranza, che è valido erga omnes, cioè nei confronti del
nemico, dei propri cittadini, soldati e dei paesi terzi neutrali.
La prassi di far precedere le ostilità da una dichiarazione di guerra, venne applicato dal
diritto internazionale fino alla seconda guerra mondiale. Oggi,invece, il ricorso all‟uso
della forza è limitato dalla Carta delle Nazioni Unite, nei casi di autodifesa individuale e
collettiva.
Attualmente esiste al riguardo grande confusione generata, in primo luogo,
dall‟impraticabilità dell‟uso della parola guerra. Questo induce ad impiegare termini
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Carl von Clausewitz, Della guerra, Pillole Bur, Milano, Rizzoli, 2009.
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come “operazioni umanitarie”, “soldati di pace”, etc., come se in passato fosse usanza
fare la guerra per la guerra. Questo termine risulta politicamente corretto, ma può
apparire anche un po‟ strano visto ciò che è accaduto nel 1995 in Kosovo con il
bombardamento effettuato dalla Nato; in questo caso la situazione che si venne a creare
fu alquanto paradossale e complessa, perché di fatto si introdussero nel linguaggio
bellico termini quali ad esempio «guerra giusta», in competizione con quello di” guerra
legittima”
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.
L‟atto di guerra consiste nell‟impiego della forza a scopo di intimidazione, rappresaglia
o ritorsione ed è indipendente da qualsiasi categorizzazione giuridica anche se resta
soggetta allo jus in bello, cioè al diritto dei conflitti armati, pattizio e consuetudinario
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.
Detto ciò, vediamo dunque con quale criterio i conflitti vengono classificati, qual è la
loro distribuzione temporale e geografica e la tipologia, così da farci un‟idea della loro
diffusione cercando di capire in che modo, oggi, questi conflitti hanno cambiato natura,
per avventurarci nel terzo millennio e analizzare il nuovo contesto bellico.
Esistono diversi criteri per la classificazione delle guerre importanti per analizzare le
tendenze del fenomeno anche se ciascuna guerra è unica e irripetibile.
Abbiamo in precedenza detto che il Sipri considera un conflitto armato guerra se
provoca più di mille morti l‟anno tra civili e militari. Questa definizione
«necrometrica»
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della guerra è l‟unica oggettivamente praticabile per effettuare
qualsiasi analisi diacromica e valutare le tendenze evolutive del fenomeno.
Altri criteri di valutazione sono basati sugli effetti sociali, politici, economici,
demografici e antropologici delle guerre.
La definizione necrometrica consente d‟individuare la frequenza e la distribuzione
geografica delle guerre e può essere comunque collegata e completata da altri criteri di
classificazione
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quali:
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All‟indomani del fallimento del trattato di Rambouillet, senza mandato delle Consiglio di Sicurezza
delle Nazioni unite, le forze aeree Nato effettuarono un massiccio bombardamento sulla regione del
Kosovo, un intervento considerato lecito sotto il profilo morale, ma certamente non altrettanto sotto
quello internazionale.
Con il Trattato di Rambouillet (6 aprile 1999) venivano perseguiti fondamentalmente tre obiettivi:
riportare la pace in Kosovo, ristabilire l‟autogoverno della provincia e garantire ad ognuno il ritorno alla
propria terra. Inoltre i firmatari (Italia, Francia, Russia, Germania, Gran Bretagna, Stati Uniti), si
impegnavano ad imporre un immediato cessate il fuoco non appena l‟accorso fosse diventato esecutivo.
Entro nove mesi, il Kosovo sarebbe dovuto andare ad elezioni per dare ala provincia proprie ed autonome
istituzioni nel quadro della permanenza della medesima all‟interno della Jugoslavia.Tutto ciò combinato
dal rispetto dell‟accodo sul disarmo delle milizie serbe dell‟Uck e contemporaneamente dalla presenza
delle truppe militari KFOR, inviate sotto mandato Nato, con il compito di pattugliare i confini meridionali
della provincia.
www.studiperlapace.it, Intervento alla conferenza Onu e Nato negli interventi armati; profili
internazionali e profili interni, a cura di Avv.Nicola Canestrini. Documento aggiornato al 1999.
Operazione Joint Guardian (Kosovo). A seguito della Risoluzione Onu 1244 del giugno 1999, la Kosovo
Force (Kfor) a guida Nato è stata schierata in territorio kosovaro, consistente inizialmente in 36.000
uomini, ridotta gradualmente a 18.000 unità, con il compito di garantire un ambiente sicuro di
raggiungimento di una soluzione pacifica della crisi del Kosovo e favorire la ricostruzione della
Provincia. L‟Italia ha fornito sin dall‟origine un contributo significativo a Kfor, oggi consistente in 2.800
unità, secondo contingente militare dopo quello tedesco. Oltre al contingente dell‟Esercito, Aeronautica,
si aggiunge l‟Unità Msu dei Carabinieri e il Roa (Aeronautica militare) che gestisce l'aeroporto di
Dakovica. Andrea Nativi, Esercito italiano e le nuove frontiere del peacekeeping, Mondadori, Milano,
2004 p.70.
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N. RONZITTI, Diritto Internazionale dei conflitti armati, Giappichelli, Torino, 2001
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Definizione necrometrica, secondo il vocabolario della lingua italiana è la scienza che permette il
conteggio delle vittime all‟interno di un conflitto.
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a) locale, regionale mondiale