Considerazioni introduttive
Alla luce di tali considerazioni, allora, le parole con cui, nel lontano 1953,
lo studioso Di Nardi riportava il pensiero di Rueff si caricano perfino di una certa
suggestione: <<i fenomeni della moneta e del credito sono fenomeni di massa,
assimilabili al comportamento delle molecole di un gas e perciò suscettibili di
esprimersi in regolarità statistiche, che lo studioso quantitativo ha il compito di
mettere in luce. Questa visione suggestiva delle possibilità della teoria monetaria
non tiene però conto che, alle forze molecolari che si sprigionano sul mercato dei
prestiti bancari, un “demone di Maxwell” imprime di frequente un orientamento.
Questo demone è il legislatore, che da tempo ha ritenuto suo inalienabile diritto
circoscrivere in un “regolamento” la materia e il campo di attività delle
banche>>.
6
La citazione riportata, inoltre, ben rende l’idea di come, in determinati
momenti storici, gli ordinamenti monetari e creditizi, che si presentano come tali
in virtù di leggi e consuetudini, attuino l’esercizio della politica monetaria.
All’interno di tali ordinamenti, infatti, operano differenti istituzioni che, in
conformità ad una continua interazione tra determinanti di fatto ed elementi
giuridici, plasmano ed adattano l’indirizzo monetario alle concrete esigenze della
vita economica.
Potremmo dire cioè, <<che l’attività legislativa, esercitata con riferimento
al potere della moneta, tende a convogliare il modus operandi della politica
monetaria, mediante le evoluzioni giuridiche prodotte nella struttura delle
istituzioni monetarie stesse>>. In questo senso, <<sul piano operativo, cioè
funzionale, sarebbe possibile considerare come politica monetaria l’attività
legislativa…>>.
7
D’altro canto, va anche considerato che l’originaria rilevanza della banca
di emissione, in termini di politica monetaria, è strettamente connaturata alla sua
tendenza a divenire <<centrale>>. La considerazione interessante è che tale
sviluppo è perfettamente in linea con la tradizione storica della semplice banca,
della banca ordinaria. Si tratta, cioè, di un processo che inizia con l’emissione di
titoli rappresentativi di depositi, circolanti prevalentemente con finalità di
sostegno del funzionamento e dell’efficienza del sistema dei pagamenti.
Tuttavia, a questo originario ruolo, fortemente incentrato sull’essenzialità
operativa del meccanismo dei pagamenti, si affianca, successivamente, con la
considerazione del ruolo del deposito irregolare rispetto al deposito vero e
proprio, una funzione tipicamente e profondamente creditizia. Tale elemento
rappresenta, quindi, il primo, significativo passo per l’attribuzione, all’istituto di
emissione, di specifiche responsabilità monetarie in senso stretto.
Storicamente, infatti, la considerevole responsabilità monetaria assegnata
all’istituto di emissione, scaturì proprio da tale nuova concezione: all’incombenza
6
G. Di Nardi, Le banche di emissione in Italia nel secolo XIX, Unione Tipografico-editrice
torinese, 1953, pag. 2.
7
Cfr. A. Ferrari, Politica monetaria, evoluzione e aspetti odierni, Giuffrè, Milano, 1959, pag. 16.
Considerazioni introduttive
iniziale di provvedere al supporto del circuito dei pagamenti - con la diffusione di
strumenti appropriati quali i biglietti di banca, solo rappresentativi dell’unica
<<vera moneta>>, l’oro coniato - si sostituì la missione inviolabile di garantire e
assicurare la convertibilità della moneta rappresentativa.
In tale contesto, però, l’istituto di emissione si trovò, comunque, a svolgere
una mansione di secondo grado
sul piano delle responsabilità monetarie stricto
sensu. L’influenza primaria, infatti, era ancora rappresentata dalla moneta aurea
emessa dallo Stato o dalla banca per sua concessione. Di fatto, rispetto a
quest’ultimo, la banca interveniva ad un livello sussidiario, emettendo biglietti
solo rappresentativi della <<vera moneta>>, come soleva esprimersi Pareto.
Tuttavia, proprio l’esperienza maturata nell’esercizio di questo ruolo secondario,
consentirà <<l’elisione del fondamentale conflitto>>
tra la politica bancaria e il
sistema aureo puro, in cui non circolano che pezzi coniati e che, <<teoricamente e
concretamente>>, rendeva impossibile la politica monetaria della banca centrale,
arrivando perfino a precludere le possibilità di una sua concezione.
8
In tale regimi monetari, infatti, bastava attenersi alle <<regole del gioco>>
di un meccanismo automatico in cui l’oro (ma lo stesso discorso potrebbe
estendersi anche nel caso di monometallismo argenteo o bimetallismo), si <<
prende[va] cura di se stesso: travalica[va] liberamente - come pezzo coniato - le
frontiere e con ciò materialmente restringe[va] o allarga[va] la circolazione
monetaria di cui [era] l’unico componente>>,
9
potendo essere tramutato, da
moneta a merce e viceversa, con grande facilità.
L’emissione dei biglietti e, in particolare, la concezione creditizia degli
stessi, farà in modo che alla originaria rappresentatività del biglietto, si
accompagni una <<rappresentatività creditizia del biglietto>>,
10
corrispondente
solo in parte, per l’ammontare della cosiddetta <<riserva frazionale>>, alla
moneta metallica. Il criterio tradizionale della frazionalità delle riserve, troverà
immediatamente l’assenso e, soprattutto, il sostegno normativo dello Stato –
soggetto del diritto di regalia monetaria – poiché consente allo stesso, in cambio
della concessioni di privilegi sull’emissione, di poter richiedere alla banca, anche
senza l’effettivo ed immediato deposito del metallo corrispondente, l’emissione di
biglietti convertibili in oro.
Lo Stato, inoltre, per sua natura distante dalla concezione tipicamente
“bancaria” della funzione creditizia della riserva monetaria, non avrebbe avuto
alcuna convenienza ad attuare autonomamente tale meccanismo, né tanto meno a
rinunciare al fin troppo facile ricorso all’aiuto finanziario delle banche di
emissione.
8
Cfr. J. H. Williams, Monetary Stability and the Gold Standard, ristampato in Postwar Monetary
Plans and other Essays, New York, 1945, pag. 183.
9
A. Ferrari , op. cit., pag. 21.
10
Ibid., pag. 22.
Considerazioni introduttive
La medesima considerazione spiega perché il potere monetario si presenta,
originariamente, come un potere che, pur derivando da una concessione dello
Stato, tende naturalmente alla banca centrale. A tal punto si chiarisce anche la
ragione per cui, storicamente, lo Stato rinuncerà, senza grandi preoccupazioni, al
monopolio dell’emissione di mezzi di pagamento aventi valore legali.
Si tratta, comunque, di una concessione che, specie nella fase iniziale dello
sviluppo della banca centrale, costituirà la base per una coesistenza, più o meno
rilevante, di una politica monetaria di pertinenza dello Stato accanto ad una
propria della banca centrale che, almeno in principio, non si presentarono mai
come qualcosa d’organico e completo, soprattutto perché, e quanto fin qui detto lo
testimonia, la <<materia prima della sua attività – la moneta, come mezzo di
pagamento – si è andata continuamente trasformando nella sua funzionalità,
nell’estensione e nella varietà delle sue manifestazioni>>.
11
Mentre però, la banca
ebbe, per necessità storiche, sempre un ruolo attivo in tali cambiamenti, lo Stato vi
partecipò in via mediata e marginale, per effetto della sua natura non
esclusivamente economica o monetaria.
D’altra parte, il ricorso all’istituto di emissione, da parte delle autorità
statali, si giustificava anche con l’incapacità dello Stato, debitore della banca per
esigenze di bilancio, di generare autonomamente quel clima di fiducia
propedeutico alla realizzazione di proprie, dirette emissioni fiduciarie. Una
testimonianza concreta, quest’ultima, storicamente avvalorata, che la moneta non
è solo <<creatura della legge>>, ma anche un’istituzione sociale, <<un fenomeno
di massa>>, per dirla alla Rueff.
12
Rimane, infine, un’ultima considerazione relativa alla scelta del momento
iniziale dell’analisi: gli anni immediatamente successivi all’Unità nazionale.
È, infatti, solo in seguito alla politica bancaria post-unitaria del Governo
del Regno che si registra la presenza, nel sistema bancario del tempo, di un primo,
anche se embrionale, nucleo della moderna banca centrale. Di fatto, prima del
1861,
13
non sembra potersi ritenere neppure esistente l’elementare concetto di
banca centrale, né tanto meno quello di sistema bancario.
14
La locuzione “banca centrale” compare, per la prima volta, nello scritto
Risposta ad uno opuscolo del sig. Francesco Scoti dell’economista genovese
Boccardo.
15
In tale occasione essa viene adoperata per indicare il vertice
dell’assetto, teoricamente piramidale, che avrebbe dovuto assumere il sistema
11
Ibid., pag. 24. Corsivo dell’Autore.
12
Vedi nota 6.
13
Il 18 febbraio 1861 si inaugurava, a Torino, la prima legislatura italiana.
14
Cfr. S. Cardarelli, La questione bancaria in Italia dal 1860 al 1918 in Ricerche per la storia
della Banca d’Italia, vol. 1, Laterza, 1990. Un’eccezione è rappresentata, in tal senso, dall’idea di
Cavour dell’importanza di un sistema bancario basato su di un unico istituto di emissione, come
testimoniato dall’intervento parlamentare in discussione del progetto di legge del 19 marzo 1956.
Ved. anche: AP, CD, Legislatura IV, sess. 3°, tornata del 23.6.1852, pp. 584-86 e 589.
15
Cfr. A. Gigliobianco, Tra concorrenza e collaborazione: considerazioni sulla natura dei
rapporti fra “Banca centrale” e sistema bancario nell’esperienza italiana (1844-1918). In Ibid.
Considerazioni introduttive
creditizio. Un assetto che, nella sostanza, finiva per attribuire alla “banca
centrale”, la moderna e caratterizzante funzione di “banca delle banche”, cioè di
prestatore di ultima istanza, tramite il risconto, per le banche minori. La stessa
tendenza linguistica a sostituire la dizione di <<istituto di emissione>>,
predominante nel secolo scorso, con quella di <<banca centrale>>, è
rappresentativa della vastità dei nuovi compiti monetari affidati all’istituto.
16
Dal punto di vista storico, le tappe di natura istituzionale più rilevanti,
possono evidenziarsi considerando le guidelines fondamentali dell’intero processo
evolutivo. Queste ultime, in linea con la communis opinio doctorum, risultano
analiticamente identificabili nelle vicende riguardanti il monopolio delle
emissioni, le relazioni intercorrenti tra istituto centrale e banche ordinarie, nei
rapporti instaurati tra banca centrale e autorità governative.
17
In particolare, per quanto attiene al ruolo del monopolio (il cui dibattito ha
investito l’intera seconda metà del XIX secolo), occorre chiarirne
immediatamente la rilevanza. Infatti, solo quando ad una sola banca (o anche ad
un unico sistema di banche, come nell’esperienza statunitense) viene riconosciuto
il monopolio dell’emissione, si assiste alla definitiva realizzazione del concetto di
banca centrale. La funzione qualificante del monopolio nei confronti della banca
centrale è, del resto, ampiamente supportata dalla importanza dottrinale della
cosiddetta teoria del <<central banking>>. Una ulteriore prova è fornita dal
riconoscimento, in tal ottica, della rilevanza del cosiddetto monopolio incompleto
o di <<residuo>>, teorizzato da Vera Smith
18
. Con simile espressione, infatti,
l’economista indicava la facoltà, per altre banche, di emettere biglietti al portatore
in concorrenza con la banca che ha già il più ampio monopolio e un ruolo guida
nella circolazione monetaria. La rilevanza dottrinale di tale punto consente,
inoltre, di trattare le vicende post unitarie delle banche di emissione italiane con
maggiore interesse e più solido supporto teorico.
Le precedenti considerazioni consentono, infine, di avvalorare e
giustificare la scelta del termine finale dell’analisi in oggetto. La fase storica in
cui viene attribuito, alla Banca d’Italia, il monopolio delle emissioni costituisce,
infatti, il punto di arrivo della presente analisi. Le ragioni di tale scelta, oltre ad
essere connaturate ai limiti del presente lavoro, discendono anche dalla
considerazione che tale evento rappresenta, nella storia dell’evoluzione
dell’Istituto, un punto di svolta considerevole. Esso costituisce, infatti, il momento
in cui viene ufficialmente riconosciuto, sia sul piano normativo che – come si
vedrà – sul piano dottrinale, il prestigio della propria funzione. È il momento in
cui la Banca acquista la <<fiera coscienza>> della propria autorità che le
16
Cfr. M. H. De Kock, Central Banking, Londra 1954, pp. 26 e ss.
17
Cfr. A. Fazio, La banca centrale e la politica monetaria, in Finanza, moneta e cambi: il sistema
internazionale tra nuova integrazione e neoprotezionimo, Roma, ISIPI, 1994, pag.165 e ss.; ed
anche C. Goodhart, L’evoluzioni delle banche centrali, Editori Laterza, Bari, 1991.
18
V. Smith, The rationale of Central Banking, Londra, 1936, pag.148.
consentirà, nel prosieguo del suo cammino, di affermarsi come una delle più
prestigiose ed autorevoli istituzioni della storia italiana.
I prodromi delle funzioni monetarie: dalla pluralità delle emissioni alla banca centrale.
Capitolo primo
I PRODROMI DELLE FUNZIONI MONETARIE: DALLA
PLURALITA’ DELLE EMISSIONI ALLA BANCA CENTRALE.
1.1 LA RILEVANZA MONETARIA DELLA PLURALITÀ DELLE EMISSIONI.
All’indomani della sostanziale unificazione nazionale, operavano nel
Regno, ben sei istituti di emissione, profondamente diversi per dimensioni, per
storia e per costituzione giuridica: la Banca Nazionale degli Stati Sardi (in
Piemonte, Liguria, Lombardia, e Sardegna), la Banca Parmense, la Banca per le
Quattro Legazioni (Bologna e Romagna), la Banca Nazionale Toscana, il Banco
di Napoli e il Banco di Sicilia.
La Banca Nazionale sorse dall’unione - avvenuta con Regio decreto n. 969
del 14 dicembre 1849 convertito nella legge 9 luglio 1850 n. 1050 - della
<<Banca di sconti, depositi e conti correnti, sedente in Genova>> con la Banca di
Torino. Entrambe le banche furono autorizzate a compiere operazioni bancarie e
ad emettere biglietti pagabili a vista e al portatore, fino al triplo dell’ammontare
della moneta metallica esistente in cassa. Lo stesso privilegio fu riconosciuto,
inizialmente per una durata di trent’anni, alla Banca Nazionale degli Stati Sardi.
Successivamente, in occasione della relazione agli azionisti, tenutasi a
Firenze il 29 febbraio 1870, la banca assunse il nome di Banca Nazionale nel
Regno d’Italia. Il primo testo legislativo che reca tale denominazione è, però, il
R.D. 1 maggio 1866 n. 2873, sul corso forzoso.
1
La Banca Parmense, operativa nel Ducato di Parma, fu istituita con decreto
13 marzo 1858, n. 82, con capitale di un milione di lire, privilegio di emissione di
biglietti e obbligo per le Casse dello Stato di riceverli in pagamento. Fu
incorporata alla Banca Nazionale nel 1861.
2
La Banca per le Quattro Legazioni fu autorizzata all’emissione, dal
governo pontificio, con notificazione del 29 giugno 1855 del ministro delle
Finanze, col nome ufficiale di Banca Pontificia per le Quattro Legazioni
(Bologna, Ferrara, Ravenna e Forlì). Le difficoltà di sviluppo legate al limite
legislativo del 6% d’interesse sui prestiti monetari e le difficoltà di cambio dei
suoi biglietti, spinsero la stessa banca ad accettare la proposta di unione della
Banca Nazionale, unione che si ebbe nel 1861.
3
1
Cfr. T. Canovai, Le banche di emissione in Italia, CEI, Roma, 1912, pp. 18-23.
2
Cfr. ASBI, Segretariato, cart.120 (Atto di cessione della Banca Parmense, 14 febbraio 1861).
3
Per le vicende della Banca per le Quattro Legazioni, cfr. G. Di Nardi, op. cit., pp. 108-112.
I prodromi delle funzioni monetarie: dalla pluralità delle emissioni alla banca centrale.
La Banca Nazionale Toscana nacque in seguito alla fusione, con decreto 8
luglio 1857, delle due maggiori banche di circolazione toscane: la Banca di
Firenze (1816) e la Banca di Livorno (1836). Con decreto 23 gennaio 1860 furono
approvate le convenzioni per l’assorbimento delle banche di Siena, Pisa, Lucca e,
con decreto 18 marzo 1860, della banca di Arezzo; divenendo l’unica banca di
emissione toscana. In realtà, in Toscana, nel 1860, fu creata anche la Banca
Toscana di Credito per il commercio e le industrie d’Italia. Essa però, <<non sorse
come istituto di emissione propriamente detto, giacché fu autorizzata soltanto ad
emettere buoni di cassa>> (art. 22 dello statuto) ed, in base all’art. 26, <<niuno
[poteva] essere tenuto a ricevere i buoni della società>>.
4
Il Banco di Napoli, il più antico istituto di emissione italiano, fu creato nel
1794 con la fusione di sette Banchi Pii o Monti di pegno, fondati a fine
cinquecento per combattere l’usura. Con ordinanza regia del 29 settembre 1794,
fu disposta la riunione dei sette Banchi di Pietà in un solo Banco che fu
autorizzato ad emettere fedi inconvertibili. Con decreto 12 dicembre 1816, il
banco assunse il nome di Banco delle Due Sicilie. Fu diviso in due sezioni: la
Cassa di Corte, per il servizio di Tesoreria dello Stato, delle opere pubbliche e
municipali e la Cassa dei privati, per il servizio bancario ai privati.
Il Banco di Sicilia sorse dall’unione delle Casse di Corte di Palermo e di
Messina, divenute indipendenti dal Banco di Napoli. Assunse il nome di Banco
Regio dei Reali domini al di là del Faro e, con Decreto Ministeriale, fu
autorizzato, nel 1872, ad emettere titoli fino al triplo della riserva. I Banchi erano
enti morali e non avevano, quindi, un capitale proprio, ma solo un patrimonio che
veniva incrementato grazie agli utili annuali non distribuiti.
5
<<Le condizioni degli istituti di emissione e della circolazione cartacea
erano pertanto in Italia quanto mai anormali ed inorganiche, giacché v’era una
mescolanza di istituti di indole e di forze diverse, e vi era una circolazione ibrida,
privata e di Stato, che non poteva davvero giovare alle condizioni economiche e
monetarie del paese>>.
6
Un’eterogeneità che faceva del sistema creditizio “un
mostro a sei teste”. Ognuna di queste banche rappresentò, infatti, <<un sistema
chiuso rispetto alle altre>>, ristretto all’ambito territoriale originario.
Una situazione, quindi, che non aveva generato alcuna concorrenza, né
motivi di rivalità tra gli istituti che, con ordinamenti differenti, operavano in veri e
propri monopoli locali.
7
Interessi inconciliabili si contrapporranno inevitabilmente, invece, con le
prime leggi che cercarono di riportare ordine nella <<babele monetaria>>
4
Cfr. G. Di Nardi, op. cit., pag. 99.
5
Cfr. T. Canovai, Le banche di emissione in Italia, CEI, Roma, 1912, pp. 26-31.
6
T. Canovai, op. cit., pag. 30.
7
G. Di Nardi, op. cit., pag. 119. Si noti al riguardo che l’unico stato preunitario in cui operarono
due istituti di emissione, e vi continuarono ad operare anche dopo l’unificazione, era il Regno
delle due Sicilie. Gli ambiti territoriali erano, però, geograficamente differenti: Sicilia (Banco di
Sicilia) e Meridione peninsulare per il Banco di Napoli.
I prodromi delle funzioni monetarie: dalla pluralità delle emissioni alla banca centrale.
italiana,
8
con l’unificazione del sistema monetario mediante la legge Pepoli del
1862 e, precedentemente, col regio decreto del 17 luglio 1861 n. 123.
9
Non
esisteva, quindi, in seno al sistema creditizio, l’idea della centralità di un istituto
di emissione, anche se <<era nelle viste del governo che una sola banca di
circolazione [cioè di emissione] dovesse funzionare in Italia>>.
10
Dunque, la prima moderna funzione della banca centrale, quella prevalente
di banca delle banche, che storicamente sarà assegnata alla maggiore delle banche
di emissione, la Banca Nazionale nel Regno, scaturirà, stranamente, proprio dalla
posizione “ordinaria” di <<banca fra le banche>>.
11
La qualità di banca di circolazione, cioè di emissione, non poneva alcun
istituto su un piano differente rispetto ad altre banche commerciali. Essi erano
chiamati a svolgere una funzione creditizia, insieme a quella di emissione, molto
spesso con attenzione particolare al profitto aziendale; essendo, come nel caso
della Banca Nazionale, società per azioni e dovendo tutelare l’interesse degli
azionisti. Ecco perché, tanto tra gli economisti che tra gli uomini di governo
fautori della creazione di un monopolio dell’emissione, era fondato il
convincimento che, qualora si fosse realizzata, <<l’unità della banca [di
emissione] non avesse a recare nocumento allo svolgimento di speciali istituti di
credito nelle diverse provincie del Regno. Quello solo che distingue la Banca di
circolazione dalle altre sta nella facoltà di emettere biglietti al latore in luogo di
pagare moneta. Ma le sue operazioni di scambio, di anticipazioni e di deposito
sono comuni a tutte le Banche>>.
12
<<A quei tempi non si aveva ancora una diffusa ad esatta nozione della
preminenza che la funzione regolatrice del mercato monetario ha su tutte le altre
funzioni di una banca di emissione>>.
13
Né più lungimirante era il pensiero degli assertori della teorica liberale del
“laissez faire”. Per Francesco Ferrara le banche di emissione dovevano godere
8
A proposito della babele monetaria, vera fortuna dei cambiavalute, <<nel 1859 si contavano 92
specie [di unità monetarie] effettive appartenenti ai sistemi ufficiali: 23 auree, 34 argentee, 4 di
bilione e 31 di rame e di bronzo. Altre 15 si aggiunsero nel 1866 ed altre 17 nel 1870 […]. Ben più
numerose e diversificate erano le specie metalliche effettive non conformi ai sistemi di
monetizzazione legali, seppure escludendo quelle di conio straniero non conformi, ma tollerate
[…] ne sono state individuate ben 144, di cui 33 auree, 75 argentee, 23 di bilione e 13 di rame>>.
Un totale di 268 valute! Cfr. R. De Mattia (a cura di), Gli istituti di emissione in Italia. I tentativi
di unificazione 1843-1892, Editori Laterza, Roma-Bari, 1990, pag. 14.
9
Il regio decreto 17 luglio 1861 n. 123, conferì valore legale alla <<lira nuova di Piemonte>> (lira
italiana) nelle nuove “province” italiane, riconoscendo però il corso alle valute degli Stati
preunitari secondo un valore di ragguaglio. La legge Pepoli (24 agosto 1862 n. 788) elevò la lira
italiana a unità legale per i pagamenti e unità di conto per la contabilità pubblica e privata,
stabilendone la parità ufficiale. Cfr. P. Pecori, La fabbrica dei soldi. Gli istituti di emissione e
questione bancaria in Italia 1861-1913, Patron editore, Bologna, 1994.
10
Relazione dell’assemblea degli azionisti della Banca Nazionale del 7 ottobre 1863.
11
A. Gigliobianco, op. cit., pag. 296.
12
Progetto di legge Manna del 3 agosto 1863 sulla fusione tra la Banca Nazionale e la Banca
Nazionale Toscana. AP, SR, Legislatura VIII, sess. 2°, Documenti, n. 62.
13
G. Di Nardi, op. cit., pag. 34.
I prodromi delle funzioni monetarie: dalla pluralità delle emissioni alla banca centrale.
della libertà necessaria per sostenere il commercio, a meno di <<voler imbrigliare
l’iniziativa bancaria per affidarla alla Banca - mangia - tutto, la Banca Egemone,
dominante mercato, prezzi, risparmiatore, governo>>.
14
Sicuramente <<il timore del monopolio, nell’epoca in cui i principi liberali
dominavano, non soltanto in politica, ma molto di più in economia, esercitò un
influsso decisivo sul Governo e sul Parlamento>>,
15
ma non va sopravvalutato.
16
Il neonato Stato italiano fu costretto, dall’evolversi degli eventi storici, a scegliere,
malgrado la vivacità dei dibattici teorici, una soluzione pratica: conservare,
almeno nelle fasi iniziali, lo status quo vigente. La scelta empirica del Governo,
17
era volta ad appianare i contrasti, più che ad accentuarli, <<proprio quando la
vampata di entusiasmo delle prime giornate svaniva, per cedere il posto alla
formazione sorda del malcontento di tutti coloro i cui interessi erano stati colpiti
dal fatto stesso dell’unificazione>>.
18
Nonostante lo Stato sostenesse l’espansione della Banca Nazionale (che
inizialmente operava negli ex Stati Sardi, poi, col nome di Banca Nazionale nel
Regno, sull’intero territorio), occorreranno ancora più di sessant’anni per
addivenire ad una sola banca di emissione. A partire dal 1861 infatti, la Banca
Nazionale ebbe l’autorizzazione, mediante decreto, ad aprire nuove filiali al
Centro e nel Meridione. Nonostante ciò, occorrerà, comunque, attendere che si
crei l’humus culturale per la nascita di una banca centrale e di un unico istituto di
emissione. Ecco perché, l’unificazione del settore bancario–creditizio, avvenne
molto più lentamente di quanto non accadde per altri settori vitali per lo Stato
(amministrazione, fisco et alia), a cui pur si applicò il metodo della
<<piemontesizzazione>>.
Nel corso dei decenni successivi, dalle scelte politiche governative,
sorsero, con un processo inverso che poche volte si realizza nella storia, nuove
esigenze economiche che spinsero i diversi istituti a confrontarsi con i propri
limiti (spesso statuari); fino ad arrivare a prendere coscienza del proprio specifico
ruolo come parte integrante di un <<sistema>>. Così, la logica del reddito, della
14
A. Macchioro, Studi di storia del pensiero economico ed altri saggi, Milano, 1970, pag. 364.
15
A. Monzilli, Note e documenti per la storia delle banche di emissione in Italia, Tip. Lapi, Città
di Castello, 1896, pag. 76.
16
Molta dell’influenza delle dottrine liberali (per lo più “importate” dalla cultura economica
inglese) fu dovuta alla mancanza di originalità del pensiero economico italiano: <<la vecchia
economia politica, quella del settecento, sopravviveva nel nostro paese al di là di quanto i tempi
avrebbero tollerato>>.
P. Roggi, Introduzione a Le cattedre di economia politica in Italia. La diffusione di una disciplina
<<sospetta>> (1750–1900) a cura di M. Augello, M. Bianchini, G. Gioli, P. Roggi, F. Angeli,
Milano 1988, pag. 23.
17
Significativo è, al riguardo, che il 31 marzo 1863 il ministro dell’Agricoltura, Industria e
Commercio, Manna, in una circolare alle Camere di Commercio ed Arti, affermasse che
<<qualunque possano essere le opinioni sulla opportunità di aversi più banche che si facciano
concorrenza, oppure un solo grande istituto […] nelle presenti condizioni economiche dell’Italia,
una banca unica con grandi capitali e sedi e succursali sparse in tutta la superficie del Regno,
offrirebbe immensi vantaggi>>. Corsivo mio.
18
E. Corbino, Annali dell’economia italiana, Città di Castello, 1931, vol. 1, pag. 1.
I prodromi delle funzioni monetarie: dalla pluralità delle emissioni alla banca centrale.
massimizzazione del profitto, che aveva caratterizzato l’adesione della Banca
Nazionale al programma di espansione territoriale per essa previsto dal primo
governo unitario - nel quadro, tra l’altro, di una complessa politica di do ut des -
sarà rivoluzionata.
Dalla preoccupazione del Bombrini
19
di distribuire ai propri azionisti un
dividendo almeno uguale ai precedenti esercizi, si passerà a quella più “nobile”
del suo successore, Giacomo Grillo, che, pur essendo <<mosso dal sentimento
della prosperità della Banca>>,
20
non mancherà di riconoscere la giusta
considerazione a quei <<speciali doveri>> imposti alla Banca dalla sua posizione
di <<primo Istituto di emissione>>.
21
Si cominciò, quindi, a gettare le fondamenta
per una concezione dottrinale nuova dell’opera degli istituti di emissione, basata
sulla necessità di una reale <<rispondenza>> ai bisogni dell’economia.
22
L’acquisizione piena, dell’importanza di questo più ambizioso modus
operandi, si avrà solo al termine di una lenta ma inesorabile contrapposizione dei
“dogmi” della dottrina ufficiale su gli istituti di emissione, con i profondi
turbamenti - causati dagli <<attriti di assestamento della nuova struttura
unitaria>>
23
e dalla prospettiva di nuove guerre - che caratterizzarono le vicende
italiane di quegli anni.
L’emblema più significativo, di questa faticosa nuova coscienza, si può
riconoscere in una dichiarazione, quasi uno slogan, del 1890 di Bernardo
Tanlongo: <<lo sviluppo economico della Nazione, meta degli istituti di
emissione>>.
24
Un’affermazione rappresentativa non tanto, o non solo, perché
costituisce l’unico riferimento in una fonte ufficiale di questa nuova tendenza
culturale, ma soprattutto perché a pronunciarla fu un personaggio, il Tanlongo,
implicato nelle oscure vicende della Banca Romana.
Infatti, se da un lato, tale dichiarazione, come riconosce il Confalonieri,
potrebbe prestarsi a facili ironie proprio in considerazione delle vicende
processuali dell’autore, dall’altro dimostra come, per poter anche solo fungere,
qualora lo fosse stato, da convincente paravento di meno nobili interessi
particolari, il concetto in essa espresso, dovesse essere già stato accolto
definitivamente nell’olimpo della scienza ufficiale.
Tuttavia, gli effetti concreti di queste nuove concezioni furono assai
limitati. Di fatto, la varietà della regolamentazione bancaria per l’emissione,
l’assenza colpevole di una univoca politica di indirizzo, portarono inevitabilmente
a discordanti e molteplici modi di intendere lo sviluppo economico della Nazione.
19
Carlo Bombrini (1804-1882) ricoprì la carica di direttore della Banca di Genova dalla
fondazione (1844) fino al 1849, anno in cui fu nominato direttore generale della Banca Nazionale;
carica che esercitò fino al 1882, anno della sua morte. Nel 1871 fu anche nominato senatore.
20
Banca Nazionale nel Regno, CONS. SUP., 22 marzo 1882, vol. 2°, pag. 167.
21
Banca Nazionale nel Regno, CONS. SUP., 16 gennaio 1884, vol. 1°, pag. 33.
22
Cfr. A. Confalonieri, Banca e industria in Italia 1894-1906, , vol. 2°, Milano, 1982, pag. 89 e ss.
23
G. Di Nardi, op. cit., pag. 59.
24
La citazione è riportata in A. Confalonieri, op.cit., pag. 19. Corsivo mio.
I prodromi delle funzioni monetarie: dalla pluralità delle emissioni alla banca centrale.
Lo Stato, convinto dell’efficacia azione lenitiva del tempo per il
superamento delle divergenze, non intervenne decisamente fino al 1874. L’unico
tentativo di convergenza attuato, consisté nell’allineare le norme degli atti
costitutivi preunitari a quelle della Banca Nazionale; soprattutto per ciò che
riguardava il rapporto di liquidità fra scorta metallica e ammontare dei biglietti e i
limiti alla circolazione degli stessi. Ad esempio, l’art. 20 del Regio Decreto n.
3622, sull’approvazione del nuovo statuto della Banca Nazionale, stabiliva che
<<la Banca emetterà biglietti pagabili in contanti, al portatore, a vista […].
L’ammontare dei biglietti in circolazione, cumulato con quello dei conti correnti
pagabili a semplice richiesta non potrà eccedere il triplo del fondo disponibile in
specie metalliche esistenti materialmente in cassa. L’ammontare dei biglietti da
lire venti in circolazione non potrà eccedere la somma di otto milioni di lire>>.
25
L’emissioni di banconote continuava ad essere, per la dottrina ufficiale,
una ordinaria operazione di banca, di natura creditizia, reggentesi sul rapporto
fiduciario che la banca stessa riusciva ad instaurare col pubblico. Da tale influenza
culturale, derivava la tendenza persistente, soprattutto nei primi provvedimenti
monetari del Regno unitario, ad adottare il criterio della localizzazione della
circolazione cartacea con il mantenimento di diversi istituti di emissione a
carattere regionalistico. Si trattava, cioè, di una scelta che doveva
automaticamente garantire al prenditore del biglietto l’attitudine a controllare
l’autenticità dello stesso e la solvenza dell’istituto emittente.
Inoltre, lo stesso limite alla circolazione dei biglietti da venti lire, si
inquadrava in una semplice logica cautelativa, al di fuori di qualsiasi altra logica
monetaria stricto sensu. La testimonianza più diretta sono le parole di
introduzione al Decreto citato, dello stesso ministro delle Finanze Oytana:
<<[solo] per temperare gli effetti che nell’opinione di molti potrebbe avere
l’eccessiva circolazione di biglietti di minuto valore [più diffusi], si è stabilito, che
la loro somma non potrà mai oltrepassare gli otto milioni>>.
26
Un dogma
monetario del tempo, era, infatti, che i provvedimenti legislativi contro
l’emissione di biglietti di piccolo taglio fossero degli “atti dovuti” a tutela della
vera natura del biglietto; cioè di uno <<strumento di pagamento tra commercianti
per transazioni commerciali e non come surrogato della moneta, la quale, nei
pezzi di piccolo formato, doveva invece limitarsi a conservare la forma coniata,
anche per facilitare un continuo controllo merceologico (cioè metallico) del valore
dell’unità monetaria>>.
27
Tuttavia, l’interesse circoscritto dello Stato per le vicende degli istituti di
emissione (almeno per i primi quattordici anni dall’unificazione), potrebbe
interpretarsi, secondo alcuni, come una scelta ponderata di politica monetaria; un
25
Raccolta degli Atti di Governo di Sua Maestà il Re di Sardegna, vol. 28, pp. 1219-60, Stamperia
Reale, Torino 1859. Riprodotto in R. De Mattia (a cura di), op.cit., pp. 202-231.
26
R. De Mattia (a cura di), op.cit., pag. 200.
27
Cfr. A. Ferrari, op. cit., pag. 52.
I prodromi delle funzioni monetarie: dalla pluralità delle emissioni alla banca centrale.
intendo di favorire un modicum di specializzazione creditizia, in relazione proprio
alle esigenze economiche locali. In ogni caso, la consapevolezza degli effetti in
ambito monetario di tale scelta non fu completa. Lo Stato aveva palesemente
limitato il proprio compito a garantire l’osservanza delle norme degli statuti e
delle leggi istitutive per la salvaguardia del cardine dell’intero sistema: la
convertibilità aurea della moneta.
Un principio, quello dell’astensionismo, che pur ebbe un importante ruolo
nel definire, anche se a contrario, i contorni del nascituro potere monetario;
ponendo dei limiti istituzionali ad eventuali condotte antieconomiche e illiberali
delle pubbliche autorità e delle banche in genere. Non a caso, infatti, lo Stato
recuperò una minima funzione, nell’espletamento della politica monetaria, solo in
fasi di sospensione del meccanismo della convertibilità, soprattutto quando il
sistema sarà ripudiato e appellato come <<baratto relitto>>.
Alla base della <<carta bancaria>> vi era, di fatto, un rapporto, tra
emittente e prestatore, di natura privatistico, che si sostanziava nel diritto ad
ottenere a vista il baratto della carta in moneta sonante. L’importanza attribuita
all’emissione cartacea, quale riaffermazione della sovranità statale, non era certo
quella propria del battere moneta in senso stretto. L’economia monetaria italiana
era prevalentemente, in alcune zone perfino esclusivamente, a circolazione di
specie metalliche, <<ben diversa nei principi e nel funzionamento>>,
28
dalle
circolazioni cartacee attualmente prevalenti nei paesi evoluti. Solo
successivamente quando, con l’imposizione del corso forzoso, l’interesse pubblico
si legò inscindibilmente agli eventi economici e finanziari, l’attenzione delle
Autorità governative si fece più puntuale. Si pensi, ad esempio, che dopo l’unità
fu ritenuta valida, anche se la certezza definitiva si ebbe solo col parere del 12
novembre 1866 del Consiglio di Stato,
29
una legge approvata nel Regno di
Sardegna, che, di fatto, non fu mai abrogata. Si trattava della legge n. 1050 del
1850 che si limitava ad affermare all’art. 1 che <<niuna banca di circolazione
potrà d’ora innanzi attivarsi nello Stato, né quelle che esistono confondersi con
altre, se non in forza di una legge>>.
Del resto anche una scelta di specializzazione degli istituti, comportava
un’individuazione del problema della politica monetaria non solo nell’ottica degli
impieghi, del credito, ma anche della provvista, della raccolta, che, inizialmente,
non si ebbe. Queste mancanze, insieme ai limiti legislativi evidenziati,
determinarono l’inizio del processo di scissione della funzione creditizia degli
28
Cfr. R. De Mattia (a cura di), op. cit., pag. 22, in cui si osserva che <<al momento
dell’annessione, circolavano negli stati italiani poco meno di 1.5 milioni di lire di cui l’87% sotto
forma di specie metallica […] circa un quinto del reddito nazionale lordo stimato dall’ISTAT per
lo stesso anno nei confini dell’epoca>>.
29
Il Consiglio di Stato fu istituito nel 1831 col Regio Editto n. 2417. Con le sezioni Interno,
Finanze e Giustizia esaminava gli <<affari ordinari e meno gravi>> e aveva la funzione di
<<distendere le informazioni occorrenti per quelli di ordine pubblico>>. A sezione riunite e con la
presenza del sovrano si trattavano <<gli affari di generale interesse>>.
I prodromi delle funzioni monetarie: dalla pluralità delle emissioni alla banca centrale.
istituti, da quella coesistente di emissione. Naturalmente, tale cambiamento, non
avvenne ex abrupto; ma occorsero almeno i primi vent’anni della storia unitaria.
Si può affermare, infatti, che la Banca Nazionale cominciò a riconsiderare
la propria funzione creditizia, assegnandole un ruolo più defilato rispetto agli
originari propositi, nel tentativo di espansione nel Meridione e combattendo
l’ostracismo del Banco di Napoli.
L’operatività della Nazionale nel Settentrione, specie in regioni come la
Lombardia e il Veneto, dove non operavano banche di circolazione locali, aveva
incentivato l’emissione dei propri mezzi cartacei – prima quasi del tutto assenti –
senza assottigliare la funzione creditizia. Al Sud, invece, il sistema dei pagamenti
cartacei era più avanzato, grazie ai privilegi goduti dai certificati di deposito del
Banco di Napoli, che erano accolti dalle Casse pubbliche al posto del contante;
sostituiti in metallo dai cassieri statali e perfino impiegati nella compravendita di
beni immobili senza oneri di bolli o iscrizioni in registri.
D’altra parte, non avrebbe avuto senso impedire l’emissione dei certificati
di deposito dei banchi meridionali, come di fatto propose la Banca Nazionale nel
1862,
30
nel tentativo di acquisire de facto una posizione di riferimento, per lo
Stato, anche in quel mercato. Il motivo è assai evidente: una simile richiesta
avrebbe comportato uno stravolgimento della natura dei banchi meridionali;
obbligandoli a divenire banche per il commercio, dopo una consolidata esperienza
come banche dello Stato.
31
A conferma di ciò basti considerare che, ancora prima, la Banca
Nazionale, presentò al ministro della Agricoltura, Industria e Commercio una
richiesta datata 14 maggio 1861, in cui si proponeva un aumento di capitale da 40
a 100 milioni e la messa in liquidazione delle Casse di sconto con cui i Banchi
operavano nel credito e nel settore commerciale. La risposte del Governo si ebbe
con il Regio Decreto n. 173 del 18 agosto 1861 con cui si impose alla Nazionale
di <<aprire subito le sedi di Napoli e di Palermo>>, senza concessione alcuna dei
privilegi richiesti. Una testimonianza chiara che le politiche governative si
indirizzavano verso la diffusione nel Regno dei servizi bancari della Nazionale e
non verso <<l’affermazione ad ogni costo del monopolio dei suoi biglietti>>.
32
La Banca Nazionale, allora, doveva necessariamente competere sul terreno
dell’emissione per estendere le sue ramificazioni, riproponendosi con un ruolo
nuovo. Le riserve, infatti, cominciavano ad avere un costo non solo effettivo – in
termini di trasferimento di metallo in zone lontane e mal collegate oltre che a
rischio brigantaggio – ma, soprattutto, in termini di politica creditizia: il diffuso
uso dei titoli apodissari rendevano poco appetibili i biglietti della Banca
Nazionale. Inoltre, dovendo esaurire richieste di baratto assai frequenti, era
30
Cfr. ASBI, Segretariato, cart. 309.
31
Cfr. V. Sannucci, Molteplicità delle banche di emissione, in Ricerche per la storia della Banca
d’Italia, vol. 1, Laterza, 1990, pag. 204.
32
Cfr. S. Cardarelli, op. cit., pag. 144.
I prodromi delle funzioni monetarie: dalla pluralità delle emissioni alla banca centrale.
costretta a detenere una riserva (difficile da reperire), di molto superiore a quella
prevista dallo Statuto. La conseguenza immediata era la riduzione dei margini di
redditualità operativa: <<il costo dei prestiti bancari veniva perciò ad essere più
alto del saggio corrisposto alla banca>>.
33
La citata norma dell’art. 20 dello
statuto della Nazionale, venne considerata, allora, da una nuova prospettiva.
Non è più la codificazione di una politica tradizionalista e liberale di
passività sul mercato, o almeno di neutralità, per cui la <<carta bancaria>>
doveva essere <<sempre rispondente e proporzionata alle condizioni variabili del
mercato […] né maggiore né minore del bisogno che si manifesta nel dato
momento e nel dato luogo>>.
34
Diviene il punto di partenza per una politica da <<banca centrale>>, di
intervento sul mercato bancario, finalizzato ad un’opera di indirizzo, mediante
l’utilizzo di uno strumento intermedio, per pervenire ad un <<obiettivo finale>>
di più ampia portata. La Banca Nazionale partendo dall’acquisizione di tale
consapevolezza e, ritenendo <<che dal momento che l’emissione era fissata al
triplo delle riserve, [e che] meno riserve avrebbe avuto il Banco [di Napoli] meno
carta esso avrebbe potuto mettere in circolazione>>,
35
realizzò una prima forma di
operazione di mercato aperto. Acquistò, infatti, rilevanti quantità di titoli di
rendita pubblica nelle piazze di Milano, Torino e Genova, con i propri biglietti,
per poi rivenderle sulla piazza napoletana contro fedi di credito, da presentare
successivamente al Banco di Napoli per il baratto in numerario, riducendo la
circolazione del Banco e attingendo alle sue riserve.
36
Il grado di accentramento delle riserve metalliche insieme all’obiettivo di
controllare e proteggere la riserva metallica del paese, era, a giudizio di Goodhart,
una delle ragioni fondamentali per cui era emersa l’esigenza di una banca
centrale.
37
Segni premonitori dell’evolversi della concezione che la Nazionale aveva
della natura di un istituto di emissione, si ritrovano anche nell’analisi dei dissidi
che sorsero, tra Banca Nazionale e Banca Nazionale Toscana, sullo statuto da
conferire all’auspicata Banca d’Italia.
38
Ulteriori conferme si hanno anche
nell’esame delle divergenze, generatesi in seguito al progetto di fusione tra i due
33
Cfr. G. Di Nardi, op. cit., pag. 69.
34
Cfr. A. De Viti De Marco, Il riordino della circolazione monetaria, <<Il Giornale degli
Economisti>>, maggio 1892.
35
L. De Rosa, Da sei a tre, le banche di emissione in Italia (1861-1893) in La formazione della
Banca Centrale in Italia, atti della giornata di studi in onore di A. Confalonieri, Giappichelli,
Torino 1994, pag. 91.
36
Ibid.
37
C. Goodhart, Discussion, in De Cecco, Giovanni (a cura di), A European Central Bank ?
Perspectives on Monetary Unification after ten years of the EMS, Cambridge University Press,
Cambridge 1989.
38
<<L’arbitrato, giova ripeterlo anche una volta, non cade, né può cadere sul principio della
unione delle due Banche per formare insieme la Banca d’Italia, ma unicamente sullo Statuto, con
che dovrà reggersi la nuova istituzione >>. Banca Nazionale Toscana, Rapporto del Consiglio
superiore agli azionisti, 20 luglio 1863, pag. 25.
I prodromi delle funzioni monetarie: dalla pluralità delle emissioni alla banca centrale.
istituti, presentato dal ministro dell’Agricoltura, Industria e Commercio Manna il
3 agosto 1863
39
e il successivo progetto del 21 novembre 1865
40
presentato dal
Sella, ministro delle Finanze.
Nella relazione ministeriale al progetto, si legge che sarebbe stata
<<esclusa per ora la facoltà di fare sconti sopra cambiali a due firme, come la
Banca toscana avrebbe voluto; e permesso ciò in Toscana per un altro
quinquennio>>.
41
L’opposizione della Banca Nazionale sul punto, tutelando
ovviamente la propria prassi operativa delle tre firme e i privilegi acquisiti,
evidenziava la riluttanza ad accentuare la propria funzione di erogatrice di credito
all’economia, tendendo quasi a prefigurare un <<sistema bancario piramidale,
all’interno del quale svolgere prevalentemente un’attività di rifinanziamento>>.
42
La visione toscana dell’operatività bancaria (che era stata accolta nel progetto) era
antitetica all’idea di banca centrale che andava maturando la Banca Nazionale. Si
trattava di una posizione ancora fortemente tradizionalista, ancorata al piccolo
commercio e difesa <<non col dare i suoi denari ai pochi in grandi
somministrazioni, ma ai molti, o al maggior numero sia pure in piccole
somme>>.
43
La mancanza di un coordinamento legislativo tra gli istituti di emissione e
le difficoltà incontrate nell’espansione al Sud, avevano portato la <<Banca
Nazionale, divenuta di fatto Banca italiana>>,
44
ad intuire l’esigenza di un
indirizzo dell’attività bancaria che, <<per ragioni dei tempi>> e per il permanere
dell’attività “al dettaglio” degli altri istituti, non poteva realizzarsi che
interloquendo con intermediari specializzati o con clienti importanti.
Inoltre, l’apparente maggiore arrendevolezza che la Nazionale mostrava di
avere, in dati momenti, sulla questione delle firme, si spigava con il
convincimento, dello stesso Bombrini, che <<la prescrizione delle tre firme
[fosse] utile per una grande Banca>>.
45
La terza firma costituiva, indubbiamente,
un impedimento per lo sviluppo degli affari nelle piazze non ancora conquistate
dalla Nazionale con il risconto; ma poteva anche rappresentare una spinta per
l’evoluzione del sistema bancario verso la meta prospettata.
Lo sconto con due firme avrebbe stimolato il naturale inserimento, tra la
clientela minuta e la banca maggiore, delle banche locali. Si creavano, in tal
modo, proprio quei soggetti che, operativamente, necessitavano alla Nazionale.
Ben si comprende, quindi, il perché dell’apparente contraddizione tra l’idea del
39
AP, SR, Legislatura VIII, sess. 2°, Documenti, n. 62. Riportato in De Mattia (a cura di), op. cit.,
pp. 232-72.
40
AP, SR, Legislatura IX, sess. 1°, Documenti, n. 5. Riportato in De Mattia (a cura di), op. cit., pp.
313-332.
41
R. De Mattia, op. cit., pag. 241.
42
V. Sannucci, op. cit., pag. 203.
43
Banca Nazionale Toscana, Rapporto del Consiglio superiore agli azionisti, 20 luglio 1863, pag.
12.
44
Banca Nazionale, Adunanza generale straordinaria degli azionisti del 7 ottobre 1863, pag. 8.
45
Banca Nazionale nel Regno d’Italia, Adunanza generale degli azionisti, Roma 28 febbraio 1881.