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INTRODUZIONE
Il presente lavoro ha come oggetto di analisi il comunitarismo politico britannico,
corrente di pensiero nata nella prima metà degli anni Novanta del secolo scorso, con
l’avvento di Tony Blair a segretario del partito laburista, e consolidatasi con i suoi
tre mandati governativi successivi (1997-2007), assumendo sempre piø un carattere
egemonico nel paese. Tale filosofia è incentrata sul concetto di community, che pur
affondando le radici nel mondo antico, si sviluppa in età moderna grazie al
contributo della sociologia, della filosofia politica e morale e del pensiero religioso
cristiano. Tali ambiti determinano i primi strumenti base per una corretta
comprensione della nozione di comunità che vedrà, agli inizi degli anni Ottanta del
Novecento, negli Stati Uniti, diffondersi un vero e proprio movimento filosofico e
politico, volto alla trasformazione del concetto da oggetto di dibattito accademico a
strumento di lotta politica. La filosofia comunitaria “americana”, che annovera tra i
suoi intellettuali, di prima generazione, Michael Sandel, Charles Taylor, Alasdair
McIntyre e Michael Walzer, è uno dei tre pilastri del british political
communitarianism o per molti studiosi, semplicemente, british communitarianism.
Nasce come opposizione al liberalismo e individua in John Rawls il principale
bersaglio della sua polemica. Il filosofo americano, da buon liberale, considera
l’individuo impermeabile all’esperienza, capace di formare la propria opinione
come soggetto razionale in modo aprioristico. I communitarians, al contrario,
credono che questa concezione individualistica del soggetto non lo faccia maturare
razionalmente e, nelle decisioni, lo isoli rispetto ad altri soggetti. La neutralità
dell’individuo liberale è trasposta, secondo la filosofia comunitaria americana,
anche nelle stesse istituzioni che hanno il compito di fondare le proprie attività su
basi etiche. Quest’ultimo principio rappresenta un punto di contatto cruciale con la
storia del socialismo britannico, a testimonianza del flusso continuo di idee e
pensieri tra le due sponde dell’Atlantico.
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Tale sodalizio intellettuale è stato suggellato anche dalla special relantionship che i
New Labour hanno instaurato con i New Democrats di Bill Clinton il quale, durante
il suo primo mandato da presidente degli Stati Uniti, si è avvalso della
collaborazione di Amitai Etzioni, sociologo di primo piano del pensiero
comunitario americano di seconda generazione o neocommunitarian.
Gli esponenti di questo secondo filone filosofico saranno al centro delle analisi
politiche della sinistra inglese, perchØ meno radicali nei confronti della filosofia
liberale e piø rivolti allo studio di politiche concrete, volte a superare
l’individualismo sociale, che rappresenta il vero centro delle critiche del pensiero
comunitario. La storia del socialismo britannico presenta delle peculiarità
ideologiche che l’ex premier fa proprie, realizzando un mosaico ideologico di
difficile composizione: la lotta contro il centralismo statale per la difesa delle
autonomie locali, mediante il progetto di devoluzione dei poteri alle assemblee
parlamentari di Scozia, Galles e Nord Irlanda; la centralità rappresentata dal tema
della responsabilità individuale per la sicurezza della nazione e il rinnovamento
della società, interpretato come rinnovamento morale, sono alcuni temi che
verranno sviscerati nel corso del decennio preso in esame. Il terzo elemento
costitutivo del comunitarismo neolaburista è Tony Blair.
Il politico scozzese, dopo diciotto anni di governi conservatori, sale al potere con
l’intento di trasformare culturalmente il paese, dopo aver ridisegnato, attraverso il
cambiamento della Clausola Quattro dello statuto del partito che poneva come
obiettivo la proprietà comune dei mezzi di produzione, l’orizzonte politico del
socialismo inglese. In un epoca all’interno della quale si riduce sempre piø la
distanza tra sfera pubblica e sfera privata, la figura del leader e la sua formazione
culturale assumono maggiore centralità nel dibattito politico. Le vicissitudini
personali e dolorose, quali la morte e la malattia di persone a lui care, e la
conoscenza del pensiero del filosofo scozzese John MacMurray, durante il periodo
universitario, mediante l’insegnamento del prete australiano Peter Thompson,
hanno rappresentato elementi di estrema importanza per lo sviluppo della nozione
di community nel paese. Dalla mescolanza di questi tre elementi costitutivi
prendono forma le politiche governative laburiste su cui ci soffermeremo nel
presente lavoro. Infine, non possiamo sottrarre alla nostra analisi le ragioni che
hanno portato la Gran Bretagna ad adottare una ideologia comunitaria.
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La nazione era culturalmente pronta ad affrontare tale cambiamento a causa di
fattori sia esterni che interni. Tra le cause esterne possiamo, sicuramente, citare la
globalizzazione che, snaturando la struttura sociale della nazione, ha creato
insicurezza nei cittadini, portandoli a rifugiarsi nella propria realtà nazionale o
locale. Quelle interne sono legate al periodo thatcheriano.
La Iron Lady, attraverso una serie di misure economiche, volte alla privatizzazione
di molte imprese pubbliche, deregulation e tagli netti al Welfare State, ha prodotto
nel paese un cambiamento sociale radicale, erigendo l’individuo sopra qualsiasi
concezione di common good. La scelta euroscettica in politica estera ha, inoltre,
penalizzato la risoluzione della crisi dello status internazionale che viveva il paese.
La posizione internazionale della Gran Bretagna, dopo la caduta del muro di
Berlino, era cambiata rispetto al passato e la scelta rigidamente filo atlantica della
Thatcher comprometteva, ulteriormente, il ruolo della nazione che rischiava di
rimanere progressivamente isolata nel contesto europeo. Pur modificando
parzialmente, con il premierato di John Major, il proprio atteggiamento verso
l’Europa, il paese non riusciva a scrollarsi di dosso l’avversione nei confronti
dell’organizzazione di Bruxelles. La situazione di incertezza e caos identitario, nel
quale era caduto il paese della monarchia dei Windsor, porterà i nuovi laburisti di
Tony Blair all’elaborazione di un progetto ideologico di lungo periodo per il
superamento di tali difficoltà. La tesi consta di quattro capitoli ed è strutturata come
segue.
Nel primo capitolo scandaglieremo le origini del termine comunità nel pensiero
contemporaneo, analizzando le tre aree che hanno, maggiormente, contribuito alla
formazione di tale idea: quello sociologica, filosofica e religiosa. Dal secondo
ambito, infine, estrapoleremo il significato del concetto di comunità per il
movimento comunitario internazionale contemporaneo.
Nel secondo capitolo proseguiremo nello studio della filosofia comunitaria
internazionale, sviluppatasi negli Stati Uniti, negli anni Ottanta del XX secolo,
focalizzando la nostra attenzione sullo scontro filosofico tra liberalismo e
comunitarismo.
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Nel terzo capitolo entreremo, invece, nel contesto britannico, attraverso una
disamina delle principali cause, durante il periodo di Margareth Thatcher e John
Major, che hanno favorito l’introduzione e lo sviluppo della nozione di community
nel Regno Unito.
Il quarto capitolo rappresenterà il cuore della tesi, sviluppato sulla base di un attento
esame delle principali politiche blairiane, plasmate sulla base dell’ideologia
comunitaria, mettendo in evidenza l’intreccio tra i tre elementi principali del
comunitarismo britannico. Infine, ci appresteremo ad affrontare le conclusioni del
nostro lavoro.
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CAPITOLO 1 IL RITORNO AL CONCETTO DI COMUNITA’
Par 1.1 LE RAGIONI DEL RITORNO ALLA NOZIONE DI COMUNITA’
Il termine comunità ha calamitato su di sØ, nel corso dei secoli, l’attenzione di
molteplici scienze umane: dall’antropologia all’economia, dalla filosofia alla storia,
dal diritto alla scienza politica. L’insoddisfazione, nelle società occidentali, in
particolare in quelle anglofone, verso un modello sociale fortemente orientato
all’esaltazione dell’individualismo e del liberalismo politico, ha contribuito alla
nascita, nei diversi ambiti scientifici, di un dibattito che ha rimesso al centro
dell’agenda sociale la comunità come “luogo caldo”, centro di interazione tra
individui che cercano di comunicare gli uni con gli altri per realizzare quel common
good che segna, nel profondo, le fondamenta della riflessione comunitaria. Tuttavia,
tale rifiuto dell’egoismo sociale, che ha scatenato il dibattito, negli anni Ottanta, tra
liberals e communitarians, non ha rappresentato l’unico fattore del ritorno al
concetto di comunità. La globalizzazione e la recente crisi socio-economica, che
alimenta l’insicurezza sociale, sono due elementi che non possono essere trascurati,
poichØ hanno superato i confini nazionali e stravolto le identità sia degli stati
nazionali sia degli stessi enti locali che ne fanno parte. Il recupero dell’identità della
propria comunità locale, molto spesso, è stata preferita a quella della propria
comunità nazionale.
Molti cittadini occidentali, di fronte allo snaturamento della propria struttura
sociale, prodotto dalla globalizzazione, si sono rifugiati nelle realtà piø vicine a
loro, testimonianza del fatto che il ritorno a forme comunitarie non ha presupposto,
nel corso della storia, un ritorno a un centralismo statale che, anzi, come vedremo in
seguito, verrà combattuto, ma un recupero dei pouvoirs intermØdiaires rispetto alla
struttura burocratica istituzionale.
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La comunità locale si presenta, come sostiene Robert Redfield, secondo tali
caratteristiche:
I put forward, first, the quality of distinctiveness: where the community begins and where it
ends is apparent. The distinctiveness is apparent to the outside observer and is expressed in
the group-consciuosness of the people of the community. Second, the community we are
here concerned what is small, so small that either it itself is the unit of personal observation
or else, being somewhat larger and yet homogeneous, it provides in some part of it a unit of
personal observation fully representative of the whole. Third, the community to which we
are to look is homogeneous. […] As a fourth defining quality it may be said that the
community we have here in mind is self-sufficient and provides for all or most of the
activities and needs of the people in it.
1
L’autosufficienza, di cui parla l’antropologo americano nel passo, si lega, invece,
come giustamente sottolineato da Geoff Dench, a quell’’obbligo di confraternita’’,
che ripartisce i benefici della realtà locale tra tutti i propri membri
indipendentemente dal proprio status o capacità. Questo elemento rende la comunità
un luogo capace di rappresentare la parte debole della società, ovvero, tutti quei
soggetti che finirebbero irrimediabilmente emarginati, qualora fosse egemone una
filosofia improntata all’individualismo. Su questo punto concorda anche Roberto
Esposito. Il filosofo italiano vede la communitas
come ciò che non è privato ma pubblico, come qualcosa che non si può possedere ma che
anzi rimanda all’idea di dovere e obbligo di reciprocità: la communitas è l’insieme di
persone unite […] non da una proprietà, ma da un debito, da una mancanza che deve essere
reciprocamente compensata.
2
La recente crisi socio-economica ha acuito il divario tra ricchi e poveri ed è stata
fattore cruciale nello sviluppo di una mobilità verso il basso, trasformando un lento
processo di borghesizzazione del proletariato urbano in nuovo processo di
proletarizzazione della piccola borghesia. Questa reale perdita di ricchezza
contribuisce ad alimentare insicurezza nella società. Tale insicurezza sociale ed
economica alimenta la “voglia di comunità” descritta da Zygmunt Bauman.
1
Robert Redfield, The Little Community and Peasant Society and Culture, The University of Chicago
Press, Chicago(USA), 1989, p. 4.
2
Enrico Caniglia e Andrea Spreafico, Multiculturalismo o Comunitarismo?, Luiss University Press,
Roma, 2004, p. 225.
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Come sostiene il sociologo e filosofo polacco, la mancanza di comunità è
direttamente legata alla mancanza di sicurezza,
elemento fondamentale per una vita felice, ma che il mondo di oggi è sempre meno in
grado di offrirci e sempre piø riluttante a promettere […] e così continuiamo a sognare, a
tentare e a fallire.
3
L’insicurezza, frutto di un mondo globalizzato, segnato dalle leggi del mercato e
dalla competizione, alimenta il senso di ansia che, spesso, si cerca di curare
ripiegando sulle proprie capacità individuali. Tali capacità, considerate
fondamentali da Bauman, devono essere completate da una visione del bene
generale volta a superare particolarismi e divisioni che appaiono come corollari del
senso di ansia da cui si rifuge. L’idea di comunità, al di là di fattori, quali la
globalizzazione, la crisi socio-economica e l’avversione a una filosofia
individualista che ne hanno segnato il recupero negli ultimi decenni, rimane
difficile da definire, a causa della sua presenza nelle diverse scienze sociali. Il
sociologo Ivo Colozzi ha cercato, tuttavia, di identificare alcune definizioni del
concetto:
1) Comunità come luogo simbolico, in cui prevale una cultura della reciprocità
omogenea. E’ l’ipotesi di Tönnies e di buona parte delle interpretazioni
sociologiche classiche. E’ il prevalere di una interpretazione sostantiva del termine,
inteso come una totalità prevalentemente di natura organica e integrata.
2) Comunità come dimensione territoriale e geografica, in cui il concetto perde
la sua ampiezza semantica e si riduce alla dimensione di vicinato, quartiere e città.
Protagonista di questa seconda accezione del termine è la comunità locale, in
particolare quella urbana.
3
Zygmunt Bauman, Voglia di comunità, Editori Laterza, Bari, 2001, Prefazione, pag. v.
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3) Comunità come idea morale e costitutiva, in cui prevale l’attenzione sulla
produzione di senso, di appartenenza e di significato. E’ l’opzione teorica delineata
nella teoria “neo-comunitaria”( anche se con diverse sfumature tra i suoi maggiori
interpreti).
4) Comunità post-moderna pensata come “non-luogo” simbolico caratterizzato
prevalentemente dalla ricerca di un immaginario culturale comune, ma altamente
frammentata. L’assenza di un riferimento fisico-territoriale produce un’identità
debole come nel caso delle comunità virtuali.
Il tentativo di suddivisione in quattro definizioni del concetto di comunità, da parte
di Colozzi, attraverso i contributi delle diverse scienze umane, non deve distogliere
l’attenzione, però, dalla storia del termine comunità fortemente intrecciata a quella
della sociologia e della filosofia morale, politica e religiosa.
1.2 LA COMMUNITAS NELL’AMBITO SOCIOLOGICO: F.TÖNNIES, E.
DURKHEIM E M. WEBER
L’ambito sociologico rimane, sicuramente, il primo tentativo di formalizzare con
maggior rigore la parola comunità. Tale nozione ha avuto un ruolo rilevantissimo in
questa scienza sociale grazie a Gemeinschaft und Gesellschaft (“Comunità e
Società”) di Ferdinand Tönnies. L’opera, scritta dal sociologo tedesco nel 1887,
farà da battistrada nel dibattito tra questi due concetti. Il pensatore comunitario
inizia la sua analisi dal significato del termine nel linguaggio comune.