2
presenti in Terra Santa abbiano una logica spiegazione nel comportamento e nelle 
decisioni prese alla fine della guerra dalle potenze vincitrici. 
Ciò è anche molto importante per capire e comprendere fino in fondo il punto 
di vista sulla questione israelo-palestinese del giornale “l’Unità”, il quale 
rappresentava la voce di un forza politica che, nell’ottica di allineamento di tutti i 
partiti comunisti, rispecchiava fedelmente la posizione dell’Urss. 
Sarà  interessante constatare come l’iniziale atteggiamento della superpotenza 
sovietica nei confronti del nascituro stato d’Israele sia stato assolutamente 
decisivo per la sua comparsa e la sua sopravvivenza e anche come la strategia 
russa fosse totalmente differente rispetto a quella assunta nei decenni successivi 
(in particolare dopo la guerra dei sei giorni nel ’67): l’Unione Sovietica era 
dunque favorevole alla nascita di questo piccolo Stato nel cuore del medioriente, 
per ragioni politico-economiche che si inserivano nel contesto della nascente 
guerra fredda e della lotta sovietica all’imperialismo occidentale rappresentato 
dalla Gran Bretagna e dagli Stati Uniti, e per questo impiegò tutte le sue forze a 
livello politico e diplomatico affinchè la nazione ebraica potesse avere finalmente 
il “focolare nazionale” al quale ambiva da duemila anni. 
 3
CAPITOLO 1. La nascita dello Stato di Israele: dal 
secondo conflitto mondiale alla prima guerra arabo-
israeliana  
 
 
 
1.1   Gli anni della guerra 
 
 
 
Lo scoppio della seconda guerra mondiale portò con sè in dote una brusca 
interruzione del conflitto che in terra palestinese aveva coinvolto i britannici, gli 
ebrei e gli arabi, e che era culminato con la “Rivolta araba” del 1936-1939; la 
Rivolta in questione era finita con la decapitazione, da parte della potenza 
mandataria, di gran parte dell’establishment politico-militare palestinese che 
aveva prima fomentato e poi guidato i tumulti; nonostante ciò, i successivi 
sviluppi politici avrebbero potuto avvantaggiare gli arabi palestinesi. 
La Gran Bretagna, infatti, alla luce anche del possibile delinearsi di un conflitto 
con il Terzo Reich, finì inevitabilmente per riconsiderare i problemi palestinesi 
nell’ottica di una futura e non troppo lontana situazione di guerra; da questo punto 
di vista, la tranquillità nella regione mediorientale era troppo importante per 
Londra, e dunque i britannici avevano la necessità di rendere meno incandescente 
possibile la situazione in Palestina cercando di ingraziarsi gli arabi. 
Fu così che nel maggio del 1939 il governo Chamberlain promulgò un Libro 
Bianco pieno di restrizioni nei confronti degli ebrei: vi si stabiliva,in particolare, 
che gli abitanti della Palestina avrebbero avuto un loro stato indipendente entro un 
periodo di dieci anni; si andava poi a ridurre in maniera drastica l’immigrazione 
ebraica in Palestina, ponendo un massimo di 75000 visti d’ingresso nel successivo 
quinquennio, oltre a limitare in maniera particolarmente sensibile la possibilità per 
gli ebrei di acquistare terre. 
L’yishuv (la comunità ebraica residente in palestina) reagì veementemente 
contro questi provvedimenti discriminatori che, in qualche modo, andavano a 
smentire le precedenti promesse e rassicurazioni britanniche risalenti alla  
 4
“Dichiarazione di Balfour” del 2 Novembre 1917, nella quale si parlava 
chiaramente di un impegno inglese per la “creazione in Palestina di una sede 
nazionale per il popolo ebraico”
1
; gli ebrei tacciarono dunque di “illegalità” il 
documento, andando ad inscenare enormi manifestazioni di protesta
2
. 
Nonostante dei provvedimenti chiaramente favorevoli agli arabi, l’Alto 
Comitato arabo finì per rigettare il documento (sotto la pressione dei ribelli), 
chiedendo l’immediata indipendenza per la Palestina, l’altrettanto immediato 
ritiro britannico e la completa cessazione dell’immigrazione ebraica: quello che 
poteva essere un enorme successo politico, si tramutò per i palestinesi in una 
pesante sconfitta. 
 
 
1.1.1 Ebrei ed arabi di fronte alla guerra 
 
 
“Come può immaginare, eravamo sconcertati di fronte all’avanzata folgorante delle armate 
tedesche un pò dovunque in Europa. La sconfitta rapidissima della Polonia ci era sembrata 
incredibile [.....]. Naturalmente, temevamo soprattutto l’arrivo dei nazisti in Medio Oriente. 
Questo spiega la nostra ambiguità nei confronti delle truppe britanniche: le consideravamo 
delle armate nemiche che occupavano il nostro paese, ma nello stesso tempo speravamo,e con 
tutto il cuore, che riuscissero a frenare l’avanzata delle colonne e dei carri armati tedeschi.”
3
  
 
 
Queste parole di Shimon Peres, attuale Presidente della Repubblica dello Stato 
di Israele, spiegano forse meglio di ogni altra possibile riflessione la situazione 
dell’yishuv nel momento in cui scoppia il secondo conflitto mondiale: una unità 
divisa tra la volontà di combattere la Gran Bretagna ed il Libro Bianco da una 
                                                 
1
 Codovini Giovanni, Storia del conflitto arabo israeliano palestinese. Tra dialoghi di pace e 
monologhi di guerra, Mondadori Bruno, 2007, p.248 
2
 Morris, Benny, La prima guerra di Israele. Dalla fondazione al conflitto con gli Stati arabi 
1947-1949, Rizzoli, p.41 
3
 Ghali Boutrous-Boutros, Peres Shimon, La guerra più lunga, la pace più difficile. Sessant'anni 
di storia arabo – israeliana, Corbaccio, p.23 
 
 5
parte, e la condizione di doversi schierare comunque a sostegno degli alleati e 
della democrazia nella lotta contro il comune nemico nazista dall’altra. 
Fu per questo che, comunque, l’entrata in guerra della Gran Bretagna il 3 
settembre del 1939 fu accolta con dichiarazioni di grande solidarietà dai vertici 
sionisti: l’incubo di una vittoria nazista in quel momento prese il sopravvento e, 
dunque, i sionisti speravano anche che il loro schierarsi fermamente a fianco degli 
alleati portasse la Gran Bretagna a rivedere le disposizioni del Libro Bianco. Fu 
così che addirittura 136000 ebrei palestinesi si offrirono volontari per arruolarsi 
nell’esercito britannico, il quale però ne accetterà solo poco più di 26000.  
Persino la milizia dell’Irgun Zvai Leumi (Organizzazione militare nazionale), 
la quale rappresentava le istanze del partito revisionista (che si faceva promotore 
di uno stato ebraico che comprendesse anche i territori ad est del fiume Giordano), 
decise di interrompere l’offensiva antibritannica cominciata dopo la pubblicazione 
del Libro Bianco, proponendosi di fornire un aiuto militare attivo; l’ipotesi di una 
tregua con la potenza mandataria venne invece rifiutata in tronco da Abraham 
Stern, un esponente dell’Irgun fuoriuscito dalla suddetta milizia proprio a seguito 
di questa tregua: con la sua milizia, la “Banda di Stern”, moltiplicò addirittura gli 
attentati a postazioni e soldati britannici, nonchè i furti di armi, le estorsioni di 
fondi e capitali. Il gruppo di Stern arriverà addirittura ad immaginare un possibile 
accordo con la Germania nazista, allo scopo di “creare uno stato ebraico su base 
nazionale e totalitaria, legato da un trattato col Reich tedesco”, il quale 
consoliderebbe anche la futura potenza tedesca nell’area mediorientale
4
.  
La seconda guerra mondiale per gli ebrei significò principalmente l’Olocausto, 
lo sterminio pianificato degli ebrei da parte nazista. La “soluzione finale” 
perpetrata dai nazisti privò senza dubbio il sionismo della principale riserva di 
manodopera, rappresentata dalla comunità ebraica dell’Europa orientale, ma dall’ 
altra parte esso rafforzò ancor di più il movimento sionista, accreditandolo anche 
delle simpatie della stragrande maggioranza della Comunità internazionale. 
Bisogna osservare come David Ben Gurion, allora presidente dell’Agenzia 
ebraica, valutasse la portata dell’Olocausto principalmente attraverso quelli che 
                                                 
4
 Gresh Alain, Vidal Dominique, Palestina 1947: una spartizione mai nata, Soveria Mannelli,  
Rubbettino, 1990, p.95 
 
 6
erano i suoi effetti sull’ yishuv, arrivando anche a dichiarare che lo sterminio al 
quale stavano andando incontro gli ebrei europei non lo riguardasse direttamente, 
e affermando anche : “La distruzione degli ebrei europei è la campana a morto del 
sionismo”
5
.  
Emerse in Ben Gurion e in tutto il vertice dell’Agenzia ebraica la necessità di 
trasferire in Palestina addirittura tre milioni di ebrei nel decennio seguente; fu così 
che già a partire dal 1939 vecchie navi cariche di profughi ebrei salparono 
principalmente dai Balcani alla volta del Medio Oriente, anche se a causa di vari 
fattori (l’interferenza britannica, gli inizialmente scarsi mezzi dei sionisti e la 
difficoltà degli spostamenti in Europa) meno di 16000 ebrei riuscirono a giungere 
in Palestina nel periodo 1939-1945
6
.  
La Gran Bretagna, da parte sua, considerava l’immigrazione illegale 
organizzata dai sionisti come un vero e proprio affronto verso il Libro Bianco e la 
politica in Palestina, dunque anche una possibile minaccia nei confronti del ruolo 
britannico in  Medio Oriente. Fu così che la potenza mandataria decise di 
combattere duramente questo fenomeno, ricorrendo spesso a misure drastiche; 
inizialmente si cercò di far tornare gli immigrati illegali al proprio paese 
d’origine, ma si trattò di una misura di difficile attuazione, poi per un periodo di 
tempo si sottrasse il numero noto degli immigrati illegali dalla quota “legale” di 
quindici mila immigrati l’anno, infine la Gran Bretagna decise di trasferire i 
profughi in campi di internamento alle isole Mauritius e a Cipro. 
Per i vertici sionisti l’operazione illegale ebbe dei risvolti al tempo stesso 
positivi e negativi: infatti, come già detto prima, a causa principalmente 
dell’Olocausto il numero di immigrati non fu elevato; d’altra parte, i britannici si 
trovarono in una posizione di grave imbarazzo, in quanto agli occhi dell’opinione 
pubblica mondiale essi stavano ostacolando la via dei profughi verso la salvezza 
proprio nel momento in cui la necessità di un rifugio per gli ebrei perseguitati era 
più stringente. Senza dubbio dunque, la sempre più difficile situazione politica 
creata dalla strategia britannica fu uno dei fattori più importanti che spinsero 
Londra ad abbandonare la regione al termine del conflitto mondiale. 
                                                 
5
 Morris, Benny, Vittime.  Storia del conflitto arabo-sionista 1881-2001,Rizzoli, 2001, pp.209 
 
6
 Ibidem, p.209 
 7
La società arabo – palestinese era stata pesantemente danneggiata dalla Rivolta 
araba del 1936-1939, in particolare il movimento nazionale palestinese si trovò 
privato dei suoi elementi più combattivi e di gran parte della sua capacità 
d’azione. Per il mondo arabo nel suo insieme, la scelta di chi appoggiare nel 
nascente conflitto mondiale fu senza dubbio molto più controversa; gli stati 
mediorientali non avevano certo le tradizioni democratiche del mondo 
occidentale, ed inoltre la Germania nazista sembrò subito in grado di vincere il 
conflitto, ma al tempo stesso la Gran Bretagna controllava materialmente il Medio 
Oriente e disponeva di significativi contingenti armati in Egitto, Iraq e 
Transgiordania: dunque, entrambe le scelte presentavano svantaggi e vantaggi. 
La Gran Bretagna però era anche considerata la protettrice del sionismo e colei 
che aveva soffocato nel sangue la rivolta araba, e questi due elementi portarono 
nei paesi mediorientali alla nascita di vari movimenti politici filotedeschi. Come 
afferma Boutros- Boutros Ghali, egiziano, già segretario generale dell’Onu : 
 
 
“...il fatto di essere dalla parte dei tedeschi non implicava necessariamente una qualsivoglia 
simpatia per l’ideologia nazista [.....] si trattava sostanzialmente di appoggiare la potenza che 
poteva permetterci di sbarazzarci degli inglesi. Non c’era nessuna affinità ideologica, ma solo 
il desiderio di affrancarsi dall’occupazine britannica e, più in generale, dall’occupazione 
straniera. Erano movimenti antisemiti? Non necessariamente, diciamo che erano xenofobi in 
senso globale e soprattutto anticolonialisti [...]”
7
.  
 
 
La guerra, dunque, veniva vista dagli arabi come la possibilità di conseguire 
una totale indipendenza, smarcandosi dal giogo imperialista. Le sconfitte degli 
alleati nel periodo 1939 – 1940, poi, sortirono il duplice effetto di portare la Gran 
Bretagna ad aumentare le concessioni agli arabi palestinesi da una parte e di 
avvicinare ancor più gli arabi alla Germania. Addirittura, l’ex –muftì Haj Amin al 
–Husayni, dopo una fallita rivolta organizzata a Baghdad nell’Aprile del 1941 si 
                                                 
7
 Ghali Boutros-Boutros, Peres Shimon, La guerra più lunga, la pace più difficile. Sessant'anni di 
storia arabo – israeliana, Corbaccio, p.25 
 
 8
rifugiò a Berlino collaborando di fatto col Terzo Reich e diventando uno dei 
direttori di un nuovo ufficio arabo incaricato di fare propaganda per l’Asse nei 
paesi musulmani. Il 28 novembre del 1941 l’ex muftì incontrò Hitler e promise al 
Reich di organizzare una rivolta panaraba simile a quella da lui organizzata contro 
i turchi nel primo conflitto mondiale, ottenendo da Hitler la promessa 
dell’indipendenza in caso di vittoria. In quegli anni, ovviamente, l’operato di 
Husayni non contribuì ad un miglioramento della situazione in Palestina. Il primo 
ministro britannico Winston Churchill, subentrato a Chamberlain il 10 maggio del 
1940 affermò infatti che alla fine della guerra la Gran Bretagna non avrebbe 
dovuto nulla agli arabi, e considerarò il Libro Bianco come un “umiliante 
tentativo di ingraziarseli, fra l’altro dall’effetto controproducente”
8
. 
Nonostante tutto,bisogna precisare che la Gran Bretagna non perse mai di vista 
la necessità di evitare di compromettere del tutto i rapporti con il mondo arabo, 
cosciente del fatto che il Medio Oriente rivestiva un’importanza strategica vitale 
sia per i collegamentei con il resto dell’Asia, sia per le sue risorse petrolifere. 
 
 
1.1.2 Il programma di Biltmore 
 
I drammatici sviluppi del secondo conflitto mondiale finirono, come già 
accennato, per aumentare la consapevolezza e la maturazione del movimento 
sionista, portandolo, nella prima metà del 1942, ad una svolta storica. 
E’ doveroso dire che, con Winston Churchill a capo di un governo di unità 
nazionale, la situazione per i sionisti sembrava cambiata; Churchill era infatti un 
convinto assertore delle buone ragioni del movimento sionista, come afferma 
Shimon Peres: 
 
 
“Churchill aveva condiviso le idee di quegli inglesi che, sulle orme di Lord Balfour, ritenevano 
che il popolo ebreo avesse diritto ad un focolare nazionale [...]. In seguito, la persecuzione nazista 
l’ aveva convinto della necessità di quello Stato, anche solo come rifugio. Infine, le relazioni con 
                                                 
8
 Morris, Benny, Vittime.  Storia del conflitto arabo-sionista 1881-2001,Rizzoli, 2001, p.213 
 
 9
le èlite politiche americane, all’interno delle quali gli ebrei avevano un peso non trascurabile, 
devono aver rafforzato quella convinzione”
9
. 
 
 
Churchill aveva affermato in più occasioni, e con grande chiarezza, che se la 
Gran Bretagna e gli Stati Uniti fossero usciti vincitori dalla guerra, la nascita di 
uno Stato ebraico in Palestina era una assoluta priorità. 
Ovviamente, nelle tragiche circostanze dell’Olocausto, i sionisti ritenevano che 
la nascita di un loro Stato fosse oramai una questione di vita e di morte. Fu così 
che si assistette all’interno del movimento alla svolta precedentemente citata; in 
precedenza, solo il movimento revisionista si era pronunciato a favore di uno 
“Stato ebraico”, mentre i “moderati”, socialisti compresi, si attenevano ancora alla 
formula del “Focolare nazionale ebraico” che avrebbe dovuto espandersi 
all’ombra della potenza mandataria. Le circostanze storiche, però, erano 
drammaticamente mutate, rendendo anacronistica una formula del genere. 
Chaim Weizmann per primo (il presidente dell’Organizzazione mondiale 
sionista) affermò in un articolo su “Foreign Affairs” che gli ebrei avevano la 
missione di “pervenire alla propria libertà e al proprio autogoverno, cessando così 
di essere una minoranza dipendente dalla volontà e dal buon grado di altre 
nazioni”
10
; anche David Ben Gurion si allineò su quest’obiettivo, ribadendo che 
non doveva però essere visto come “un obiettivo finale, ma come un mezzo per 
trasferire, dopo la guerra, al ritmo più rapido possibile, milioni di ebrei in 
Palestina”
11
. 
Così, una conferenza straordinaria sionista, con la partecipazione di dirigenti 
europei ed americani, nonchè con la partecipazione di tre membri dell’esecutivo 
dell’Agenzia ebraica palestinese, venne convocata per il 6 Maggio 1942 
all’albergo Biltmore di New York. La scelta del luogo fu altamente significativa 
                                                 
9
 Ghali Boutros-Boutros, Peres Shimon, La guerra più lunga, la pace più difficile. Sessant'anni di 
storia arabo – israeliana, Corbaccio, p.27 
 
10
 Gresh Alain, Vidal Dominique, Palestina 1947: una spartizione mai nata, Soveria Mannelli,  
Rubbettino, 1990 , p.84 
 
11
  Ibidem, p.84 
 10
per due motivi precisi: primo, perchè l’alleanza strategica con gli Stati Uniti 
diveniva per l’Agenzia ebraica più importante dei rapporti con Londra; secondo 
perchè le organizzazioni sioniste americane venivano così investite della 
responsabilità di decidere in merito al nuovo programma sionista. Assistiamo, 
dunque, ad un vero e proprio spostamento del centro di gravità del movimento 
sionista, un cambio di rotta che fu anche drammaticamente accentuato dal 
genocidio attuato in Europa dalla Germania nazista. 
La conferenza straordinaria sionista, votò dunque a favore di quello che passerà 
alla storia come il “Programma di Biltmore”. In esso si dichiarava che : 
 
 
“il nuovo ordine mondiale non potrà essere stabilito su fondamenta di pace, di giustizia e di 
eguaglianza se non in quanto il problema di una patria per gli ebrei non sia finalmente risolto. 
La conferenza domanda che [...] l’Agenzia sia incaricata di dirigere l’immigrazione in 
Palestina e che sia investita dell’autorità di dirigere il paese [...] che la Palestina sia costituita in 
un Commonwealth ebraico integrato nell’organizzazione del nuovo mondo democratico”
12
. 
 
 
Giovandosi del sostegno dei sionisti americani, Ben Gurion riuscì a trasformare 
questo programma nella politica ufficiale dell’yishuv, facendolo approvare anche 
dal Consiglio generale sionista nell’Agosto del 1942. Fu così che l’obiettivo 
principale del sionismo, la nascita di uno Stato ebraico nel cuore del Medio 
Oriente, era ormai chiaro anche all’opinione pubblica. La svolta era ormai 
compiuta.  
Ma l’unità all’interno del movimento sionista in relazione al programma di 
Biltmore era solamente superficiale: infatti, il gruppo chiamato “Fazione B” (o 
Ahdut Haavoda, Movimento per l’Unità del lavoratori), ruppe con la maggioranza 
del Mapai (il partito socialista di Ben Gurion), in quanto non disposto ad accettare 
il compromesso insito nel Programma di Biltmore: che il futuro Stato ebraico 
potesse non ricoprire l’intero suolo della Palestina, ma solo una parte di esso.  
Lo stesso Chaim Weizmann avrebbe preferito un approccio più sfumato e 
meno diretto in relazione alla questione dello Stato ebraico, ma anch’egli fu 
                                                 
12
 Ibidem, p.85 
 11
costretto ad allinearsi alla linea imposta da Ben Gurion, il quale proprio negli anni 
della guerra finì per rafforzare definitivamente la sua leadership all’interno del 
movimento sionista. Weizmann rappresentava infatti la “quintessenza del 
sionismo europeo”
13
, ma il genocidio aveva fatto sì che ormai gli Stati Uniti e la 
Palestina fossero la base principale del sionismo, a dispetto di un’Europa travolta 
dalla furia nazista. 
 
1.1.3 Sviluppi negli Stati Uniti e nel mondo arabo 
 
Durante i due anni e mezzo intercorrenti tra la fine della seconda guerra 
mondiale e l’inizio del primo conflitto arabo-israeliano, gli sviluppi politici a 
Washington, in Palestina e nel mondo arabo si dimostrarono determinanti 
nell’indirizzare il destino degli arabi e degli ebrei di Palestina. 
Cominciando dagli Stati Uniti, è doveroso dire che la battaglia per ottenere il 
sostegno americano fu nettamente vinta dai sionisti per numerosi motivi, tra i 
quali l’impatto emotivo dell’Olocausto sull’opinione pubblica e la pressante 
azione di lobby svolta dalla potente comunità ebraica d’oltre oceano. 
Andando per gradi, però, è interessante appurare come fino al 1944 
l’Amministrazione Roosevelt evitò di impegnarsi e di prendere una decisa 
posizione a favore dello Stato ebraico. All’inizio di quell’anno vennero depositati 
alla Camera dei Rappresentanti e al Senato dei progetti di risoluzione, nei quali si 
stabilisce che gli Stati Uniti avrebbero dovuto incentivare l’ingresso degli ebrei in 
Palestina per permettere una “piena colonizzazione”. Le risoluzioni vengono però 
ritirate, anche se Roosevelt continuò ad assicurare agli ebrei che “dopo la guerra 
sarà garantita pace e giustizia a coloro che cercano una casa nazionale 
ebraica....”
14
. 
Durante la seconda metà del 1944, sia i repubblicani che i democratici, in vista 
delle elezioni di novembre che avrebbero opposto Roosevelt a Dewey, inclusero 
                                                 
13
 Morris, Benny, Vittime.  Storia del conflitto arabo-sionista 1881-2001,Rizzoli, 2001, p.217 
14
  Morris, Benny, La prima guerra di Israele. Dalla fondazione al conflitto con gli Stati arabi 
1947-1949, Rizzoli, p.46 
 
 12
nelle loro rispetive piattaforme elettorali numerose disposizioni a favore dei 
sionisti; i democratici arrivano ad affermare: “siamo favorevoli all’apertura della 
Palestina ad un’immigrazione e ad una colonizzazione ebraiche senza restrizioni, 
e tale politica deve avere il suo sbocco in un commonwealth libero e 
democratico”
15
. 
Franklin Delano Roosevelt verrà rieletto, ma dimenticherà le sue promesse; 
infatti, le due risoluzioni nuovamente presentate al Senato e alla Camera dei 
Deputati verranno nuovamente bocciate ed inoltre, in un incontro col re saudita 
Ibn ‘Saud nel marzo del ’45, affermò che non avrebbe appoggiato “nessuna azione 
che si sarebbe dimostrata ostile al popolo arabo”
16
. 
Roosevelt morì il 12 aprile del 1945; il passaggio di consegne col 
vicepresidente Harry S. Truman segnò la vittoria sionista a Washington. 
Truman, in realtà, non era un militante filosionista, come spesso fu dipinto dai 
propagandisti arabi: rimase molto spesso infastidito dalla pressante e continua 
azione di lobbying svolta dai sionisti nel periodo 1945-1948 e, anche una volta 
convintosi della necessità della spartizione, ebbe sempre delle remore riguardo il 
suo possibile buon esito: “Ho il forte timore che gli ebrei siamo come tutti gli altri 
popoli oppressi. Quando arrivano al potere, mettono in atto quella stessa 
intolleranza e quella crudeltà che prima avevano subito dagli altri”
17
. 
Tuttavia, nel corso della conferenza alleata che si riunisce a Potsdam nel 
luglio-agosto del 1945, Truman si schierò apertamente a favore della causa 
sionista, sostenendo la necessità del reinsediamento in Palestina dei superstiti 
dell’Olocausto e chiedendo apertamente al primo ministro britannico Clement 
Attlee la rimozione dei vincoli all’immigrazione posti in essere dal Libro Bianco 
del 1939. 
                                                 
15
 Gresh Alain, Vidal Dominique, Palestina 1947: una spartizione mai nata, Soveria Mannelli,  
Rubbettino, 1990. 
 
16
 Morris, Benny, La prima guerra di Israele. Dalla fondazione al conflitto con gli Stati arabi 
1947-1949, Rizzoli , p.46 
 
17
 Ibidem, p.47 
 13
Nell’agosto di quell’anno, poi, la posizione americana si irrigidì maggiormente 
dopo la ricezione del rapporto di Hearl Harrison sui profughi che ancora vivevano 
nei campi d’internamento. Il presidente Truman rimase fortemente impressionato 
e scosso, tanto da dichiarare: “Vogliamo fare entrare in Palestina quanti più ebrei 
è possibile fare entrare in quel paese...”
18
. Il 31 di agosto dello stesso anno si 
rivolse direttemente ad Attlee proponendo di rilasciare a 100000 profughi un visto 
per la Palestina. 
Per gli arabi palestinesi, invece, gli anni della guerra portarono un maggiore 
benessere economico, grazie alle spese e agli investimenti degli Alleati, ma in 
compenso la situazione politico-militare rimase invariata. Furono pochi i 
palestinesi che decisero di prestare servizio nelle forze armate alleate (forse 5000-
6000); inoltre, i membri della leadeship politica e militare che era stata sconfitta 
nel 1939 erano o in esilio, o si erano chiamati fuori dalla lotta, o erano in 
prigionia. 
A partire dalla seconda metà del 1943 era ormai chiaro che la guerra sarebbe 
stata vinta dagli Alleati. Gli arabo-palestinesi, se avessero voluto trarre vantaggio 
dalla vittoria alleata e dagli accordi post-bellici, avevano la necessità di 
riorganizzare una leadership credibile; fu così che, durante il 1943, gli ex capi del 
partito palestinese Istiqlal tentarono la riunificazione del movimento nazionalista 
palestinese, chiedendo la rigorosa implementazione dei punti previsti dal Libro 
Bianco del 1939. Questo processo andò a rilento a causa dell’opposizione della 
famiglia Husayni, la quale inizio anch’essa ad organizzarsi; nonostante l’assenza 
degli esponenti di spicco della famiglia (Haj Amin era, come già detto, a Berlino 
al servizio del Reich, suo fratello Jamal era internato nella Rhodesia del Sud), 
nell’aprile del 1944 i rimanenti leader locali diedero formalmente vita al Partito 
arabo palestinese, i cui principali obiettivi erano: l’immediata indipendenza della 
Palestina araba e la cessazione totale dell’immigrazione ebraica. A settembre di 
quell’anno, dunque, la famiglia Husayni ritornò ad essere la fazione politica senza 
dubbio più attiva. 
                                                 
18
 Gresh Alain, Vidal Dominique, Palestina 1947: una spartizione mai nata, Soveria Mannelli,  
Rubbettino, 1990, p.131 
 
 14
Il lento ma significativo risveglio politico in Palestina si lega a doppio filo agli 
sforzi (benevolmente sostenuti dai britannici) di dar vita ad una unità panaraba. Fu 
così che i delegati di sette paesi arabi si riunirono ad Alessandria d’Egitto, dal 25 
settembre al 7 di Ottobre, per dar vita ad una “Lega [...] di Stati arabi 
indipendenti”
19
; il 22 marzo dell’anno successivo questi paesi firmarono gli atti 
costitutivi di quella che fu chiamata Lega Araba. Una sezione dei “Protocolli di 
Alessandria”, che rappresentavano l’esito della conferenza, così dichiaravano: 
 
 
“Qualunque lesione degli Arabi di Palestina pregiudicherebbe la stabilità e la pace nell’intero 
mondo arabo; [gli Stati Arabi non erano] secondi a nessuno nel biasimare le terribili sofferenze 
inflitte agli ebrei europei [...]. Ma il problema di quegli ebrei non dovrebbe essere confuso con 
il sionismo perchè non potrebbe esserci ingiustizia e violenza peggiore che risolvere il 
problema degli ebrei europei [...] commettendo un’altra ingiustizia verso gli arabi della 
Palestina”
20
. 
 
 
La costituzione della Lega araba, se da un lato rafforzò inevitabilmente la 
causa palestinese, dall’altra parte finì anche per indebolire la voce del suo 
nazionalismo; infatti, ora le richieste degli arabi di Palestina potevano godere di 
una cassa di risonanza maggiore costituita proprio dalla Lega, ma allo stesso 
tempo questo patto dava agli Stati arabi la possibilità di decidere chi avrebbe 
rappresentato gli arabi palestinesi nei loro consigli, fino al momento in cui la 
Plaestina non avesse raggiunto l’indipendenza. 
Ciò, unito all’impasse della lotta tra fazioni in Terra Santa, fece sì che “da 
allora le principali decisioni politiche sulla resistenza al sionismo sarebbero state 
prese non a Gerusalemme, bensì al Cairo”
21
. 
 
                                                 
19
 Morris, Benny, La prima guerra di Israele. Dalla fondazione al conflitto con gli Stati arabi 
1947-1949, Rizzoli, p.49 
 
20
 Morris, Benny, Vittime.  Storia del conflitto arabo-sionista 1881-2001,Rizzoli, 2001, p.220 
  
21
 Ibidem, p.222 
 15
 
1.1.4 La comunità ebraica negli anni della guerra 
 
Rispetto alla comunità arabo-palestinese, gli sviluppi della comunità ebraica 
negli anni della guerra furono senza dubbio più significativi. 
Per l’yishuv gli anni del secondo conflitto mondiale furono particolarmente 
fruttuosi; infatti, decine di migliaia di ebrei si erano arruolati negli eserciti alleati 
(furono, come già detto, 26000 gli uomini e le donne ebree che si arruolarono 
nell’esercito britannico) acquisendo familiarità con l’uso delle armi e delle 
tecniche di combattimento, inoltre una discreta quantità di materiale bellico venne 
trafugata dall’Haganah (letteralmente “Difesa”, fu la più importante formazione 
militare precedente la creazione dello Stato d’Israele ); poi, nel maggio-giugno del 
1941, l’Haganah con l’aiuto britannico creò una forza d’èlite permanente, le 
Palmah (abbreviativo dell’ebraico pelugot machaz, ovvero compagnie d’assalto), 
le quali avevano per la leadership sionista la doppia valenza di forze scelte a 
rapido schieramento per respingere attacchi arabi, nonchè di unità di commando 
da utilizzare nella malaugurata ipotesi di un’invasione nazista in Palestina
22
. Le 
Palmah, soprattutto a partire dal 1942, costituirono un piccolo esercito 
permanente le cui forze venivano spesso dislocate per difendere i villaggi ebraici 
maggiormente isolati e quindi più facili da attaccare nel caso di rappresaglie 
arabe. 
Nel corso della guerra, sia la Haganah sia le Palmah non parteciparono ad 
alcuna azione terroristica nei confronti della Gran Bretagna. La situazione, invece, 
si fece più difficile per la potenza mandataria quando, il 1° febbraio del 1944 
Menachem Begin, da pochi giorni diventato comandante dell’Irgun Zvai Leumi, 
annunciò la ripresa della lotta armata contro la Gran Bretagna; la guerra, per 
Begin, era ormai vinta, dunque il vero nemico ritornava ad essere Londra, che 
ancora continuava a bloccare l’accesso agli ebrei in Palestina. 
                                                 
22
 Morris, Benny, La prima guerra di Israele. Dalla fondazione al conflitto con gli Stati arabi 
1947-1949, Rizzoli, p.51