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INTRODUZIONE
Si è tanto dibattuto sulle istituzioni parlamentari inglesi, madre di tutti i
parlamenti, che ci si è dimenticati che a fianco al modello inglese c’è stato
anche un altro modello: quello francese. La scarsa considerazione di questo
modello deriva dal fatto che esso, a differenza di quello inglese, non si è
sviluppato nella continuità politico – istituzionale. Infatti, mentre in Inghilterra
si ebbe una stabilità istituzionale che ha permesso al regime di evolversi
lentamente e senza rotture, in Francia al contrario si ebbero continue
interruzioni catastrofiche e rivoluzionarie dell’assetto statale con risultati
spesso anche involutivi sulla strada dell’affermazione prima del
costituzionalismo e poi del parlamentarismo.
Dunque è evidente che per tracciare una storia sull’affermazione del regime
parlamentare francese che ne sappia cogliere l’evoluzione occorrerà partire da
lontano. Infatti all’assolutismo regio fecero da contraltare prima gli Stati
Generali come assemblee rappresentative, e poi i Parlamenti di Parigi e
Provinciali quali organi deputati alla registrazione delle ordinanze regie. Per
questo si affronterà brevemente nel primo capitolo l’evoluzione storica di
questi due organi. Nel corso del Settecento infatti il Parlamento acquisì sempre
maggiore consapevolezza del proprio ruolo, iniziando ad elaborare una
dottrina relativa ai poteri e alla natura stessa dell’organo che travalicava le
funzioni originarie del Parlamento, grazie ai preziosi contributi forniti dai suoi
eminenti esponenti. Si teorizzò che le leggi emanate dal re dovevano essere
considerate perfette soltanto in seguito all’avvenuta registrazione del
Parlamento e ciò equivaleva ad affermare la partecipazione attiva dello stesso
all’iter legislativo. In secondo luogo si affermò la teoria delle classi, secondo
cui i vari parlamenti francesi facessero parte di un unico organo politico che
fosse espressione dell’intera nazione, ereditando di fatto il ruolo degli Stati
Generali, che non venivano più convocati dal 1614. In tal modo il Parlamento
si attribuiva una vera e propria funzione rappresentativa e di tutela dei diritti e
degli interessi della nazione.
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Per quanto concerne gli Stati Generali invece, contrariamente a quanto si
potrebbe pensare sulla scorta di quanto accaduto durante la Rivoluzione, non
hanno rappresentato un forte freno al potere del monarca, non avendo avuto
un’influenza propriamente politica, ma hanno indirettamente contribuito a
limitare il potere del re, il quale nella gestione del potere non poteva esimersi
dal tenere conto dell’esistenza di queste antiche assemblee rappresentative.
Si concluderà poi il primo capitolo con la Rivoluzione del 1789 dove si
affermerà il principio della sovranità popolare e della rappresentanza politica e
del suffragio universale che spazzerà via per sempre l’ancien règime.
Avremo così la nascita della monarchia costituzionale pura che però avrà vita
breve, dato che l’evolversi degli eventi porterà alla radicalizzazione delle
rivoluzione che porterà alla I Repubblica con la costituzione del 1793 e poi al
Terrore che favorirà l’affermazione della monocrazia Napoleonica.
Nel secondo capitolo invece si è affrontato in maniera più dettagliata e
approfondita la nascita del regime parlamentare che infatti trova la sua origine
proprio nel periodo della Restaurazione, che in Francia è stata intervallata dal
breve ritorno di Napoleone, il cui governo, passato alla storia con l’appellativo
dei Cento Giorni, fu protagonista dell’affermazione dei principi del
parlamentarismo nonostante la storiografia abbia da sempre prestato uno
scarso interesse e una valutazione negativa della Restaurazione. In particolare
si è affrontato tale periodo distinguendolo in due fasi: la Prima e la Seconda
Restaurazione intervallate dalla breve esperienza dei Cento Giorni napoleonici,
prestando attenzione al costituzionalismo moderato di Luigi XVIII infuso
nella Charte del 1814, ma i cui errori resero possibile il ritorno del Bonaparte.
Quest’ultimo si rese protagonista di un ulteriore sviluppo del parlamentarismo,
per mezzo dell’Atto Addizionale, alla cui stesura ha massicciamente
contribuito il liberale Benjamin Constant. Non a caso, l’Atto si mostrò più
garantista ed avanzato rispetto alla Charte, sulla scorta della tradizione
istituzionale anglosassone, aumentando le prerogative, l’autonomia e i poteri
del Parlamento, le cui sedute furono per la prima volta rese pubbliche.
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Fu introdotta la possibilità per i ministri di partecipare ai lavori delle camere,
rispondere alle interpellanze parlamentari e la possibilità per le camere di
allontanare i ministri politicamente colpevoli, gettando il germe della
responsabilità politica dei ministri di fronte al potere legislativo, che sarà
formalmente introdotta con la Terza Repubblica.
Con la sconfitta di Waterloo, infine, si è passati ad analizzare la Seconda
Restaurazione di Luigi XVIII, durante la quale vennero apportate modifiche
alla Charte, che si adeguò ulteriormente allo sviluppo liberale della società
civile. Come già durante l’esperienza dei Cento Giorni, fondamentale fu
l’atteggiamento risoluto della Camera dei Rappresentanti, che venne
soprannominata dal re “Chambre Introuvable”, la quale contribuì ad una
interpretazione estensiva della Charte. L’inaspettata conversione ai principi
parlamentari della maggioranza ultras era giustificata dalla volontà dei deputati
che applicando le regole del parlamentarismo, sarebbero riusciti come
maggioranza ad imporre all’esecutivo il proprio programma politico. Non a
caso è in questo periodo che si ricorse all’inchiesta parlamentare, al fine di
introdurre nella prassi la responsabilità politica dei ministri. Ben presto però i
moti liberali del 1821 mostrarono come nel resto d’Europa la debolezza del
fronte liberale, incapace di un vero legame con le masse popolare. Le
conseguenze furono la repressione dei moti liberali e il rafforzamento ovunque
del fronte conservatore. In Francia il nuovo sovrano Carlo X inaugurò una
politica reazionaria volta a restringere quanto più possibile l’interpretazione
della Charte determinando lo scontento dell’alta borghesia e degli intellettuali
liberali e moderati. La mancanza del sostegno della borghesia determinò nei
fatti la fine del regime autoritario e della dinastia borbonica. Nel luglio 1830 la
rivoluzione liberale portò al trono Luigi Filippo d’Orleans, che trasformò la
Charte in un patto tra sovrano e nazione, cessava così d’essere una costituzione
ottriata cioè concessa dal re e aumentavano le prerogative parlamentari.
Durante la monarchia di Luglio si assiste inoltre al riconoscimento della
preminenza del Presidente del Consiglio sugli altri ministri del Governo. Ciò
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avrebbe potuto costituire le basi per l’affermazione definitiva del regime
parlamentare, trasformando il sovrano, sull’esempio inglese, in un «re che
regna ma non governa». Ma l’ostilità di Luigi Filippo a un’evoluzione
propriamente parlamentare contribuì a ridurre le basi del consenso al nuovo
regime, la cui debolezza risiedeva proprio nel proprio carattere elitista. La
borghesia deteneva ancora il monopolio della rappresentanza politica, come
testimoniato dal suffragio censitario. Questa esclusione delle forze popolari
portarono a rafforzare i movimenti repubblicani e radicali che rivendicavano
con forza il suffragio universale, dando vita per tutta la durata del regime
orleanista a tentativi insurrezionali che portarono a una netta riduzione delle
libertà civili. E fu proprio questa compressione delle libertà individuali e civili a
scatenare la Rivoluzione del 1848 che pose fine per sempre alla Monarchia e
chiudeva simbolicamente l’epoca delle Rivoluzioni liberali e borghesi e apriva
una nuova fase caratterizzata dall’intervento delle masse nella politica. La
Seconda Repubblica introduceva il suffragio universale maschile, e fu proprio
il ricorso all’appoggio popolare a favorire l’elezione di Luigi Napoleone a
Presidente della Repubblica. Con l’avvento del Bonaparte si chiudeva il breve
ciclo democratico della Seconda Repubblica. Nel dicembre del’ 51 con
l’appoggio dell’esercito Napoleone operò un colpo di stato, sciolse la Camera e
si liberò sia della maggioranza conservatrice che dell’opposizione democratica.
Cancellava la Costituzione del’ 48 e aboliva la forma Repubblicana
ripristinando il Secondo Impero, gettando le basi per un regime autocratico
fondato sulla preminenza dell’esecutivo e sul consenso popolare demagogico.
Il regime paternalistico - napoleonico si fondava nei fatti sulla forza militare,
così quando questa venne meno con la sconfitta di Sedan, l’Impero fu
spazzato via. La Terza Repubblica inaugurò finalmente l’affermazione anche
giuridica della forma di governo parlamentare con la prescrizione normativa
della responsabilità politica dei ministri davanti al Parlamento. Inoltre si
assisterà alla trasformazione della forma di governo parlamentare di tipo
dualista in monista, tramite un’interpretazione estensiva della Costituzione, che
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ridimensionò le prerogative presidenziali, il cui potere di revoca del primo
ministro non verrà più esercitato dopo il 1877, qualora il premier ed il governo
godessero ancora dell’appoggio della maggioranza parlamentare. Questa
evoluzione in senso monista, in Francia, si caratterizza per la prevalenza del
parlamento, a differenza di quanto avvenuto in Inghilterra, dove l’indirizzo
politico è dettato dal governo. La conseguenza di tale assetto istituzionale è
che il parlamento diventa motore dell’indirizzo politico, ma a causa
dell’esasperato multipartitismo si determineranno governi stabili, deboli e
frammentati al loro interno, pertanto di breve durata. L’instabilità governativa
diventerà il grande problema dei governi francesi tra fine Ottocento ed inizio
Novecento, il che spingerà il legislatore d’oltralpe a modificare l’assetto
costituzionale con l’avvento della quarta repubblica e in particolar modo con il
semipresidenzialismo della quinta repubblica.
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PRIMO CAPITOLO
1. Lo Stato assoluto e gli strumenti dell’accentramento
In Francia, agli inizi del XVI secolo, una delle prime manifestazioni esteriori di
quell’accentramento dei poteri nelle mani del monarca è rappresentato dalla
progressiva evoluzione dell’esercizio della funzione legislativa, infatti il sovrano
avoca a sé il diritto – dovere di porre in essere la legge. Essa cessa di essere
unicamente il prodotto di antiche consuetudini vigenti nel regno, acquisendo i
requisiti di generalità e astrattezza. La prima autoritaria e formale assunzione
da parte del re del potere di legiferare si trova in una dichiarazione del 1521 di
Francesco I in cui si afferma esplicitamente che «spetta solo al sovrano la
potestà di emanare statuti, editti quali appaiono conveniente al bene del re e
del regno». La legge promana dal re, ma egli è al di sopra della legge stessa.
Jean Bodin nei Six livres de la République ritiene che il potere di fare le leggi sia la
prima e tipica manifestazione della sovranità ed è da ciò che deriva anche il
diritto di concedere la grazia.
A partire dalla fine del XV secolo le leggi assunsero due forme differenti:
- Le ordonnances (ordinanze) prive del nome del destinatario, di premessa
esplicativa e di sigilli. Esse consistevano in ordini secchi e perentori
diretti perlopiù a comandi militari o uffici amministrativi. A partire dal
1539, sotto il regno di Francesco I, le ordinanze iniziano ad essere
scritte in francese e non in latino, al fine di consentire a tutti di
comprenderne il contenuto, per il loro carattere di generalità.
- Le cosiddette lettere patenti, scritte rigorosamente su pergamena, le quali
recavano il nome del destinatario o dei destinatari e vi era apposto il
sigillo reale, nonché la firma del Re e la controfirma di un segretario o
ministro.
Per realizzare l’accentramento dei poteri nelle mani della Corona il Sovrano era
coadiuvato da numerose istituzioni e strutture Amministrative.