8
le pratiche discorsive si costruisce e si ricostruisce costantemente grazie
all’incessante apporto degli attori.
La metodologia seguita per lo svolgimento della ricerca è stata prevalentemente
microsociologica, anche se i risultati ottenuti sono stati in seguito studiati alla luce di
teorie sociali di più ampio raggio. In modo particolare si sono utilizzate tecniche di
ricerca qualitative: l’etnografia e l’intervista non strutturata. Il campo di ricerca, in
quanto situato nel mio stesso ambiente sociale, non ha implicato un processo di
familiarizzazione con il contesto in cui mi immergevo; al contrario, ciò che ho
tentato di fare è stato estraniarmi, ovvero pormi, nei limiti del possibile, con un
atteggiamento “da straniero” nei confronti della stessa realtà sociale a cui
appartengo. La ricerca si focalizza quindi su una particolare narrazione messa in atto
da studenti universitari fuorisede e non da autoctoni, poiché, stando a quanto emerso
dalle loro affermazioni, questi ultimi hanno mostrato di avere una percezione
differente e sostengono di possedere risorse quasi sempre sufficienti per soddisfare le
loro esigenze di divertimento.
In un’ottica più ampia, che esuli dall’ambito locale e situato e prenda in
considerazione la cultura giovanile, dire che ci si annoia significa affermare che ci si
vorrebbe divertire. Un raccordo fra la prospettiva microsociologica ed un ordine
culturale di maggiore ampiezza si rende necessario tenendo conto di come nella
contemporaneità sia ormai difficile credere che un atteggiamento, una volontà o un
desiderio, venga determinato unicamente da variabili sociali locali. In altri termini, se
i “fuorisede” dichiarano di volersi divertire, ciò non è soltanto causato da una scarsità
locale, ma da una mancanza “cronica” rispetto ad un ideale, a degli stili di vita,
veicolati dai moderni media elettronici e dalla possibilità di reciproco contatto che
essi offrono.
In conclusione, l’elaborato rappresenta il mio personale tentativo di mettere alla
prova delle idee maturate durante la mia permanenza nella città di Siena, animato
dall’intenzione di comprendere e spiegare un piccolo microcosmo fatto di persone
desideranti, di attori coinvolti in una rappresentazione collettiva, di ragazzi che
attuano tattiche particolari per farsi gruppo, di fuorisede che sentono l’esigenza di
distinguersi, di giovani che sentono il bisogno di affermare la propria volontà di
trascendere l’ordinarietà cui il quotidiano sembra destinarli.
9
CAPITOLO I
PREMESSE ALLA RICERCA
1.1 L’interesse della ricerca sociologica verso il quotidiano.
Il presente lavoro ha per oggetto, come già anticipato, una narrazione. Più
precisamente, si tratta della “narrazione della noia”, ove la noia è tematizzata in
modo tale da divenire testimone dell’esiguità della proposta di divertimento notturno
avvertita dagli attori sociali oggetto della ricerca
1
, oltre che, strumento di distinzione.
Per cogliere degli aspetti che sono in grado di renderla più significativa, si è preferito
inserirla in un quadro di riferimento
2
: quello della “vita quotidiana”. Questa cornice,
naturalmente, rappresenta una scelta all’interno di una moltitudine di cornici
alternative e complementari che sarebbero state in ogni caso rilevanti. Tuttavia, la
scelta di inserire la “narrazione della noia” all’interno del quadro “vita quotidiana”
permetterà di coglierne alcuni importanti aspetti. Il quotidiano, inteso come
dimensione dell’esistenza, è l’ambito probabilmente più esteso – in termini sia di
quantità che qualità di esperienze
3
– in cui le nostre vite si forgiano. Inoltre, il
quotidiano, nel corso dei decenni ‘60 e ‘70, è diventata una sfera centrale al cui
interno sono confluiti spazi sociali che prima gravitavano al suo esterno. Mi riferisco
in particolare alla dimensione politica, sociale e pubblica. Oggi, queste dimensioni
sono contenute dalla sfera quotidiana, che, a stretto contatto con la vita “vissuta”
dell’attore sociale, è allo stesso tempo
4
deputata al soddisfacimento dei bisogni
personali. È nello spazio compreso dalla tensione dialettica tra istanze “pubblico-
sociali” e “privato-personalistiche”, che coabitano la sfera quotidiana, che mi è
parso più indicato inserire la pratica del “narrare la noia”: è quotidiano l’atto di
1
Questo sentimento è condiviso in modo particolare fra studenti universitari fuorisede.
2
Questo paragrafo riprende e rielabora la suddivisione concettuale dei diversi “orizzonti di senso”
della vita quotidiana operata da P. Jedlowski in P. Jedlowski C. Leccardi, Sociologia della vita
quotidiana, Il Mulino, Bologna, 2003, Cap. I.
3
Sotto questo aspetto, Jedlowski riferisce di come il quotidiano si presenti come problematico, in
quanto esso è il luogo della tensione tra senso comune ed esperienza, come ambito determinato ed
indeterminato allo stesso tempo.
4
Ma soprattutto a partire dagli anni ’70, dopo che le roventi proteste dei movimenti del ’68 si erano
oramai affievolite.
10
metterla in discorso ed è anche umanamente quotidiana la preoccupazione di non
vedere soddisfatta la propria volontà, di certo almeno in parola, di sopprimere il
senso di noia.
Il primo passo di questa parte introduttiva è costituita da una breve ricognizione delle
caratteristiche della quotidianità, al fine di cogliere quali siano le motivazioni che
hanno spinto la comunità sociologica ad interessarsene in maniera così approfondita.
Anzitutto proponendo una definizione di cosa sia il “mondo quotidiano”, che
nell’ottica di chi vi agisce è costituito dal
[…] tessuto di abitudini familiari – affermano Peter e Brigitte Berger
5
– all’interno
delle quali noi agiamo e alle quali noi pensiamo per la maggior parte del nostro tempo.
Questo settore dell’esperienza è per noi il più reale: è il nostro habitat usuale e
ordinario.
In questa ottica, come lo stesso Jedlowski rileva, il quotidiano diviene un concetto,
una idea che fa sì che il “quotidiano-astratto” raccolga in sé una serie di concetti
collegati che si riferiscono alla familiarità, alla istituzionalizzazione e alla
socializzazione. Tali concetti rappresentano il fondamento delle teorie che
configurano la realtà come costruzione sociale
6
.
Tuttavia, parlare di “vita quotidiana” significa anche inserirsi in un orizzonte di
senso che si dispiega su differenti fronti. In primo luogo essa si riferisce ad un tempo,
o più precisamente, come afferma Jedlowski, ad una «forma della temporalità
vissuta». In questi termini, il quotidiano si costituisce come tempo della ripetizione,
della routine, delle abitudini; tutti fattori che contribuiscono a generare un’«aura di
familiarità
7
». Va considerato, tra l’altro, come nell’Ottocento alla quotidianità siano
5
P. Berger e B. Berger, La dimensione sociale della vita quotidiana, Il Mulino, Bologna, 1977 in P.
Jedlowski C. Leccardi, Sociologia della vita quotidiana, Il Mulino, Bologna, 2003.
6
I cui massimi esponenti sono lo stesso P. Berger e T. Luckmann. Cfr. P. Berger T. Luckmann, La
realtà come costruzione sociale, Il Mulino, Bologna, 1974.
7
Sotto un certo aspetto è la stessa familiarità ad essere problematica. Essa infatti non permette di
cogliere, a prima vista, cosa si celi “realmente” sotto il velo del «senso comune». Ad esso Garfinkel e
l’etnometodologia hanno pensato come ad un tessuto che attraverso i cosiddetti breaching experiments
poteva essere squarciato per mostrare e comprendere la natura convenzionale di buona parte dei nostri
comportamenti nella vita quotidiana.
11
stati attribuiti disvalori che, nel corso della seconda metà del Novecento, si sono
attenuati fino al punto di essere addirittura ribaltati in valori
8
.
Un simile processo di transizione e ribaltamento valoriale, passando ora al
secondo fronte su cui si staglia la “vita quotidiana”, ha investito la quotidianità anche
nella sua accezione di prospettiva di ricerca sociologica. Su tale fronte l’attenzione
verso il quotidiano, il “micro”, sembra ormai aver sopravanzato le pretese
organicistiche e funzionaliste del “macro”, che hanno contraddistinto una parte della
teoria e della ricerca sociale. A questo proposito, seppur con piglio critico e poetico
allo stesso tempo, De Certeau
9
ne osserva retrospettivamente la transizione:
Questo saggio è dedicato all’uomo comune […] Questo eroe anonimo viene da molto
lontano. È il mormorio della società. In ogni epoca previene i testi. […] Ma nelle
rappresentazioni scritturali, s’avanza gradualmente e a poco a poco occupa il centro delle
nostre ricerche scientifiche. I riflettori hanno abbandonato gli attori che possiedono nomi
propri e prestigio sociale per volgersi verso il coro dei figuranti ammassati sui due lati, e
fissarsi infine sulla folla degli spettatori. Sociologizzazione e antropologizzazione della
ricerca privilegiano l’anonimo e il quotidiano puntando l’obiettivo sui dettagli
metonimici – parti prese per il tutto.
Ed è proprio all’atteggiamento metonimico che bisogna rifarsi per scorgere le ragioni
che hanno portato a una così vasta produzione di ricerche sul tema della quotidianità.
Una parte per il tutto, atteggiamento teorico che tenta di superare la dualità tra
«azione» e «struttura». Affrontare la realtà da questo punto di
vista significa rigettare, in primo luogo, l’ipotesi che si possa spiegare la società
attraverso l’analisi dei valori e norme sociali che vengono “calati” sugli attori i quali
si limitano ad “agirli”, e, in secondo luogo, che l’ordine sociale sia garantito da poteri
di coercizione
10
. Differente è invece l’intento teorico a cui si sono ispirate le ricerche
8
Si pensi a come, a partire dal ’68, per le generazioni giovanili e per le donne che hanno costituito il
movimento femminista, il quotidiano (inteso come l’aspetto più concreto, reale e vicino della vita) sia
diventato assieme il terreno sul quale combattere e il “nemico” a cui contrapporsi. Negli atteggiamenti
e nei comportamenti quotidiani delle vecchie generazioni, i giovani del ’68 e le femministe più tardi,
hanno trovato le ingiustizie, i pregiudizi, gli stili di vita che volevano combattere.
9
M. De Certeau, L’invention du quotidien, Gallimard, Parigi, 1990 trad. it. L’invenzione del
quotidiano, Ed. Lavoro, Roma, 2001, p. 25.
10
È questa l’idea delle teorie marxiste e conflittualiste, dove il potere coercitivo esercitato dalla classe
dominante si fonda sulla loro proprietà dei modi di produzione storicamente prevalenti e,
conseguentemente, sulla possibilità di legittimarsi come culturalmente egemoni.
12
sulla vita quotidiana. Esse, abbracciando la “teoria dell’azione” e contribuendo ad
arricchirla, si caratterizzano anzitutto nella loro portata “a medio raggio”: escludono
pretese universalistiche ma permettono un efficace raffronto tra dati empirici
eterogenei raccolti – soprattutto ma non solo – qualitativamente. L’idea cardine del
quotidiano come superamento del “micro” e del “macro”, Jedlowski la descrive così:
Nella vita quotidiana ciò che è vincolo è anche risorsa: le istituzioni forniscono un quadro
entro cui le azioni individuali hanno modo di dispiegarsi, ma è la soggettività che riproduce
questo quadro e lo può trasformare, in una dialettica da cui la creatività e la responsabilità
dei singoli sono tutt’altro che assenti.
A queste condizioni il quotidiano si impone come ambito privilegiato di osservazione
da parte degli analisti sociali, in quanto è all’interno di esso che si svolge il processo
di creazione e rielaborazione degli orientamenti di senso degli attori. Inoltre, la “vita
di tutti i giorni” ha permesso alla sociologia della vita quotidiana di indagare un
“campo” particolarmente ricco per la trasversalità degli argomenti che può arrivare
ad analizzare e, allo stesso tempo, permettere un approccio teorico diversificato che
ha prodotto notevoli innovazioni ed evoluzioni sia teoriche che metodologiche. In
particolare, secondo Jedlowski, vedere la realtà sociale sotto questa angolatura è:
Capace di portare alla luce ciò che le teorie consolidate lasciano in ombra: l’implicito, i
presupposti degli ordinamenti, tutto ciò che appare troppo banale per essere detto e che
tuttavia sorregge l’impalcatura della vita sociale.
Adottare la vita quotidiana come prospettiva di ricerca, eventualmente, può essere
considerato un segno di valore politico. Come De Certeau notava, nel tempo la
ricerca si è orientata all’uomo comune, ha puntato «i suoi riflettori» su persone
“anonime” nel loro contesto quotidiano. Ma non solo in queste scelte vi è valenza
politica, tale valenza si rileva più profondamente quando si indirizza il proprio
sguardo analitico a ricercare ipotesi di senso nello stesso habitat quotidiano
11
; a non
ricercarle quindi nella struttura sociale che appare come già data.
11
In particolare se si tiene conto che tale prospettiva ha trattato in modo esteso di casi e spazi sociali
caratterizzati da marginalità e devianza. Ne è un chiaro esempio la ricerca di E. Goffman presso il
National Institute of MentalHealth a Bethesda, Maryland presentato nel suo famoso volume
13
Vi è tuttavia un’ulteriore accezione in cui la vita quotidiana può essere intesa,
considerata ovvero come area di ricerca. Essa include, grossomodo, «l’insieme degli
ambienti, delle pratiche, delle relazioni e degli universi di senso al cui interno i
soggetti trascorrono la maggior parte del proprio tempo»
12
. In questi termini la vita
quotidiana corrisponde, usando una felice sintesi terminologica invalsa tra gli storici
degli “Annales”, alla «cultura materiale». Si tratta quindi della vita fatta di incontri,
conversazioni, relazioni, amicizie, famiglia, scuola, università, azienda, lavoro,
spostamenti in città, acquisti di beni materiali, consumo di media, viaggi, libri,
proteste, manifestazioni ecc. Queste attività, pur in una materialità che sembra
svilirle in quanto oggetto d’analisi, nel pensiero di Crespi
13
permettono una feconda
attività di ricerca sociale. Egli
[…] individua heideggerianamente nella vita quotidiana il luogo dell’«esserci»
immediato, luogo in cui il soggetto è immerso innanzitutto preriflessivamente con il
corpo, gli affetti, l’agire.
Si può quindi considerare la “vita quotidiana” come termine “contenitore”, al cui
interno si possono scorgere distinti fronti, alcuni dei quali concettuali, altri più
immediati, materici e tangibili, ma ad ogni modo significativi per l’analisi
sociologica. La sfera della quotidianità è in prima istanza considerevole in quanto al
suo interno si trova il concreto agire dei soggetti, le loro strategie di vita, il lasciarsi
andare al «senso comune» così come al tentativo di destrutturarlo, metterlo in crisi,
farlo mutare e ricomporlo. Quindi, se la sociologia è una scienza che si propone di
indagare il senso dell’agire umano, il quotidiano si presta a campo d’indagine di
assoluta rilevanza.
Asylums: le istituzioni totali. La condizione sociale dei malati di mente e di altri internati, Einaudi,
Torino, 1968.
12
P. Jedlowski C. Leccardi, Sociologia della vita quotidiana, Il Mulino, Bologna, 2003.
13
F. Crespi, Teoria dell’agire sociale, Il Mulino, Bologna, 1999 Citato in P. Jedlowski C. Leccardi,
Sociologia della vita quotidiana, Il Mulino, Bologna, 2003, p. 45
14
1.2 Noia e divertimento
Nelle parole degli intervistati, degli “osservati”, e più diffusamente nella comunità in
cui essi sono inseriti, la narrazione della noia, la noia stessa che ne è l’oggetto, viene
declinata, tematizzata in modo particolare. In un certo modo, la noia è sottoposta ad
un operazione di selezione dei suoi contenuti semantici abbastanza precisa.
Utilizzando un approccio «micro», ritenendo quindi che il senso generale del termine
stesso “noia” sia generato localmente, si potrebbe inferire che la “noia”, in quanto
tematizzata, sia l’espressione, in primo luogo, della noia intesa dagli attori che si
relazionano in un certo modo in un dato contesto. Come si preciserà meglio nel
capitolo successivo, la noia, strettamente intesa nel contesto oggetto della ricerca,
appare come conseguenza di due fattori: la città nella sua concretezza urbanistica, la
cittadinanza nella sua percepita “alterità” e “ostilità”. La “narrazione”, nel suo senso
locale, è funzionale ad una volontà di distinzione da parte del gruppo dei “giovani
fuorisede” rispetto all’immagine della cittadinanza da essi costruita e, al contempo,
essa è utile nell’agevolare il reciproco riconoscimento all’interno del gruppo stesso.
Per quanto si è potuto riscontrare, la noia a cui gli attori si riferiscono, più che
essere la manifestazione del «disgusto che viene dalla ripetizione d’impressioni non
piacevoli o dalla durata di uno stato increscevolmente uniforme»
14
è perlopiù
inquadrabile, per opposizione, come una sensazione provocata della assenza di
divertimento. Lo stesso divertimento è inteso in una particolare accezione restrittiva,
che si riferisce perlopiù al solo svago notturno, come se non esistessero altri tempi
per divertirsi, altre modalità. In queste operazioni selettive e restrittive dei significati
di noia e divertimento bisogna ricercare l’origine delle pulsioni che hanno portato la
comunità oggetto di indagine, ad un sentire così diffuso e consolidato che porta a dire
“Qui non c’è niente da fare, mi annoio”
15
. E proprio sul “niente” bisogna riflettere
per intuire che quello che il termine vuole significare è, più precisamente: non c’è
niente di ciò che i “giovani fuorisede” desiderano, non c’è niente che soddisfi le loro
aspettative.
14
P.O. Pianigiani, Vocabolario etimologico della lingua italiana, Polaris, Varese, 1991.
15
Tale frase rappresenta un’occorrenza idealtipica della narrazione della noia, ed è qui utilizzata a
scopo esemplificativo.