IV
di Peggioramento, che si delineano rispetto alle aspettative e ai desideri individuali. Dopo di
esse, si deve affrontare il discorso dei Ruoli attanziali, che si presentano come le persone o gli
oggetti investiti attivamente o passivamente dall’azione indicata dal verbo, i personaggi o le
cose che risultino coinvolti dall’azione principale espressa nella vicenda. Non sarebbe
sufficiente tale lettura dell’universo umano espresso dai testi, se alla categoria precedente non
sia associasse lo studio delle Tipologie dei personaggi, ovvero, delle persone intese come
individualità caratterizzate da elementi psico-comportamentali ricorrenti nella narrazione.
L’analisi dell’intreccio porta a rilevare ulteriori categorie grazie all’apporto delle quali è possibile
fornire un’immagine complessa degli scritti, alla base del nostro studio. Poiché l’intreccio non
è altro che la successione dei nuclei d’azione nell’ordine, in cui l’autrice li ha organizzati del
testo, primo aspetto da affrontare è il rapporto tra Tempo della narrazione e tempo della storia,
nell’intento di riscontrare il grado di deformazione impressa sull’ipotetica successione logico-
causale degli eventi. Nostro interesse è porre l’accento sulle anacronie e le modifiche del ritmo
del racconto, operate attraverso accelerazioni e rallentamenti della velocità narrativa, così da
riuscire a sottolineare il valore assunto dagli informanti all’interno dei testi. Secondo aspetto da
affrontare è il Punto di vista, il grado di focalizzazione che pertiene l’emittente del racconto, il
quale può disporre di una comprensione variabile delle vicende e può essere o meno
individualizzato, a seconda che ci si riferisca ad una narrazione in prima o in terza persona.
Inoltre, all’interno di questo ambito, bisogna rilevare il rapporto tra il grado di agentività del
narratore- in che misura egli può intervenire nella vicenda – e di narratività dei personaggi –
quale capacità essi hanno di farsi portatori di racconti secondari rispetto al principale. Dopo di
esso, è necessario rivolgersi all’analisi degli Enigmi, del sistema di aspettative che l’autrice
sviluppa all’interno delle narrazioni, al fine sia di sostenere l’attenzione nel corso della lettura
sia di suscitare interrogativi riguardo il significato e il messaggio, che intende esprimere. Da
ultimo si è studiata l’organizzazione degli spazi nei testi, poiché essi svolgono una duplice
funzione, da un lato delineano il contesto di riferimento teatro delle vicende, così da sostenere
il particolare realismo morantiano, dall’altro assumono una valenza significante, poiché i
personaggi hanno la capacità di modellare gli aspetti del reale in relazione ai propri desideri e
alle proprie passioni. L’analisi delle tipologie dei luoghi prelude alla trattazione delle Tematiche
ricorrenti e della Weltanschauung, all’affrontare l’aspetto in cui più chiaramente trova espressione
l’elaborazione del significato e dell’ideologia dell’autrice.
Al di là del riassunto delle categorie, che si è scelto di applicare, necessario è chiarire quali
motivazioni ci abbiano spinto ad affrontare lo studio dell’autrice e un tale metodo di analisi
per le sue opere. Elsa Morante diede alle stampe Menzogna e Sortilegio nel 1948, in un’Italia
disastrata dalla Seconda Guerra Mondiale ma che già covava il desiderio di rivalsa ed
V
affermazione in tutti coloro, che si sentivano figli del movimento partigiano di liberazione
dalla barbarie nazifascista. Gli intellettuali del tempo s’interrogavano sul senso della cultura
prebellica e primo novecentesca, che si era rivelata incapace di impedire ai cannoni di
bombardare i civili e che era rimasta inerme di fronte allo scempio dei principi di umanità, e
progettavano una letteratura dell’impegno, che fosse in grado di dare espressione e mettere a
frutto le forze rivelatesi dopo il 1943. Di fronte ai loro manifesti, alle riviste e alle dichiarazioni
d’intenti la pubblicazione del primo romanzo dell’autrice fu letta come un frutto fuori
stagione, poiché sostenevano il testo soffrisse dei retaggi di una società tramontata, di cui
adottava ancora il linguaggio aulico e ridondante. Solo pochi critici – Emilio Cecchi e Italo
Calvino tra tutti – cercarono di confrontarsi con l’eccezionalità della narrazione, i più
giudicarono negativamente la mole del romanzo fiume, indicando per esso antecedenti
improbabili nella produzione inglese tra settecento ed ottocento o stroncandolo senza prove
d’appello. Il romanzo sarà destinato a trovare un posto di preminenza nella letteratura del
secolo scorso solo molti anni dopo la sua uscita, a seguito dei continui successi editoriali, di cui
l’autrice si mostrava capace ad ogni nuova opera, e grazie ai giudizi illuminati di alcuni critici,
come Lukàcs, che riconobbero la grandezza e la centralità del romanzo. Negli ultimi anni gli
studi sull’autrice hanno visto un forte incremento, essi si sono concentrati sull’analisi
contenutistica dei grandi romanzi, tranne poche eccezioni – si vedano il saggio di Bardini sulle
gerarchie spaziali e l’analisi linguistica effettuata da Mengaldo - le trattazioni si sono per lo più
appuntate sull’ideologia espressa nelle opere e su alcuni concetti chiave in esse elaborati, quale
quelli di menzogna, di storia e di fantastico. A nostro avviso, però, due aspetti fondamentali
sono rimasti in ombra, tanto che si è cercato di porli al centro della presente tesi. Innanzi
tutto, la grandezza del primo romanzo della Morante s’esprime non solo nel messaggio
lanciato ai lettori, ma anche nell’alto grado di strutturazione dell’opera, dotata di un’ingente
estensione, ma organizzata in modo tale da non cadere mai nella monotonia né da sviare il
lettore. L’analisi delle categorie precedentemente illustrate dà modo di rilevare la varietà e la
gestione degli strumenti narrativi, la cui comprensione è inevitabilmente sacrificata in uno
studio, che abbia quale punto focale il significato e non le sue modalità di resa. Dalla
trattazione dei singoli aspetti pertinenti la fabula e l’intreccio, da associare all’esame delle
tematiche ricorrenti, emerge la sviluppata perizia tecnica dell’autrice, la quale mette in atto le
più diverse strategie espressive senza cadere per questo in un vuoto tecnicismo. Grazie
all’organizzazione delle strutture e delle dinamiche del racconto la Morante ottiene sia il
raggiungimento di linee guida di lettura, per chi affronta il testo, sia un arco di canali per la
comunicazione del significato assolutamente inaspettato. Errato sarebbe allora ridurre la
struttura narrativa di Menzogna e Sortilegio ad un vuoto epigono dei grandi romanzi
VI
dell’ottocento, poiché l’autrice rivela – nei limiti di uno scritto che intende seguire le orme di
una tradizione, che fa della misura e dell’armonia i propri cardini – una capacità di
sperimentare tale da non piegare il racconto ai propri bisogni ma da valorizzarlo nelle sue
peculiarità. Un altro aspetto è stato a nostro avviso gravemente trascurato dalla critica, del
passato come del presente, tanto da dare la possibilità a chi lo intenda affrontare di riferirsi ad
un unico testo – si tratta de Analisi strutturale dei racconti di Elsa Morante di Perpetua – ovvero, lo
studio del legame che intercorre tra la preistoria morantiana e il primo romanzo. All’epoca
della pubblicazione di Menzogna e Sortilegio non fu posto in alcun modo l’accento sulla
produzione dell’autrice precedente il 1948, tanto che, leggendo i giudizi critici di quegli anni, ci
si accorge che il solo Alberto Savinio sembra avervi fatto attenzione. Negli studi più recenti
tuttalpiù è stata condotta un’analisi di carattere monografico sulle raccolte Il gioco segreto e Lo
scialle Andaluso, rispettivamente del 1941 e del 1963, collazioni operate dall’autrice, che lasciano
in ombra la maggior parte del corpus nato dalla collaborazione alle riviste d’anteguerra. A
merito dei recenti studi morantiani è la pubblicazione presso la casa editrice Einaudi dei
Racconti perduti (2002) a cura di Irene Babboni e Carlo Cecchi, grazie ai quali almeno un gruppo
dei testi brevi mai raccolti è stato salvato dall’oblio dei periodici. Fino a questo momento non
è stata sottolineata la continuità tra la totalità di quei testi e il romanzo della rivelazione, tratto
necessariamente da analizzare con attenzione, qualora si vogliano comprendere le radici della
grandezza morantiana. Non s’intende qui asserire che uno scritto quale Menzogna e Sortilegio
possa essere paragonato a racconti brevi, soggetti dall’ambito di pubblicazione a limitazioni di
estensione ed argomento, ma è impossibile non cogliere nel periodo delle saltuarie
collaborazioni ad “Oggi” e a “I Diritti della scuola” una palestra, in cui la giovane autrice
affina e mette alla prova mezzi espressivi, situazioni e tematiche destinate ad avere quale
scenario deputato il romanzo. Nella varietà delle narrazioni brevi, edite prima del 1948, non è
quindi solo possibile rintracciare tipologie di personaggi e vicende destinate ad avere spazio in
seguito, ma anche strutture di gestione del ritmo narrativo, della materia e dell’emissione del
racconto, che rimarrebbero altrimenti incomprensibili, se si considerasse il romanzo come
un’opera prima in senso assoluto. Proprio al fine di cogliere continuità e divergenze tra i
racconti e il romanzo, si è deciso svolgere un’analisi di carattere narratologico e strutturalista,
poiché a nostro avviso si rivela la più adatta e completa, qualora l’intento proposto sia la
comprensione profonda delle dinamiche e degli strumenti, che l’autrice adotta per modellare la
propria materia. Naturalmente, vista la vastità dell’argomento, si è stati costretti a limitare gli
ambiti d’analisi, non si vuole però sostenere l’esaurimento del tema, che meriterebbe una
trattazione ben più ampia di quella condotta
1
1. PRESUPPOSTI TEORICI
1.1. Criteri di riferimento per uno studio narratologico
Preliminarmente all’inizio dell’analisi testuale si darà illustrazione ai criteri scelti per uno studio
di carattere narratologico, al fine di giustificare non solo la particolare prospettiva dello stesso,
ma anche per distinguerlo da una critica interpretativa della produzione dell’autrice. Infatti la
narratologia si rapporta alle opere letterarie con intenti e problematiche diverse rispetto alla
critica, in quanto consta dei metodi e delle tecniche, aventi per oggetto l’analisi dell’insieme
delle forme narrative, nell’ottica di una descrizione sistematica dei moduli e delle dinamiche,
che informano e governano le strutture del racconto. Condurre un’analisi narratologica
significherà per lo studioso soffermarsi in prima istanza sui meccanismi che regolano la
narrazione, quasi si trovasse di fronte ad una serie di ingranaggi, dei quali deve essere messo in
chiaro o in rilievo il funzionamento. Tale prospettiva risulterebbe però oltremodo sterile, se
ad essa non si associasse, in un secondo momento, una lettura dei motivi e delle tematiche,
come a dire, condurre anche un’analisi dello scopo e delle finalità della macchina, oltre a quella
del suo funzionamento.
Per chiarire i criteri scelti bisognerà fare riferimento agli studi di alcuni letterati, che o hanno
legato il loro nome ad una o più delle nostre categorie o hanno contribuito in modo
determinante all’elaborazione delle stesse.
Innanzitutto si partirà dalla distinzione tra fabula e intreccio, la codificazione di tali termini si
deve alla scuola dei formalisti russi, i quali, per primi operarono una distinzione tra il
complesso degli avvenimenti legati da processi logico-temporali e gli avvenimenti stessi “nella
successione e nel rapporto in cui sono presentati nell’opera”
1
. Ciò vuol dire essenzialmente
rilevare la divergenza tra la successione degli eventi e lo specifico modo in cui il narratore li
dispone sulla pagina, ammettendo un racconto che non rispecchi l’ipotetico svolgimento
lineare e sequenziale della vicenda. La fabula deriva da un processo di astrazione dei lettori, i
quali desumono dal racconto i punti salienti e li dispongono in ordine cronologico e causale,
mentre l’intreccio nasce dalla “deformazione”, che l’autore opera su di essa, anticipando o
posticipando eventi, soffermandosi su particolari non determinanti, offrendo la stessa scena da
più punti di vista. Tomasevskij sostiene infatti che “per la fabula hanno importanza solo i
motivi legati; nell’intreccio, invece, sono a volte proprio i motivi liberi a svolgere una funzione
1
Tomasevskij, Teoria della letteratura (1925), Milano, p. 178
2
dominante, che determina la struttura dell’opera”
2
, intendendo con i primi quelli non passibili
in alcun modo di eliminazione, se non a discapito della comprensione, e con i secondi quelli la
cui mancanza non implicherebbe lacune di senso.
Proprio in relazione alla duplice lettura, cui ogni narrazione è soggetta, sarà possibile
individuare due gruppi di categorie parallele, a seconda che il racconto sia analizzato come
successione di eventi o come particolare presentazione degli stessi.
Per l’analisi della fabula sanno presi in considerazione i seguenti aspetti: il rapporto tra l’inizio e
la fine della vicenda, le sequenze funzionali, i ruoli attanziali e le tipologie di personaggi.
A concentrarsi sul confronto tra la situazione di apertura e quella di chiusura furono Ouellet e
Buorneuf ne L’universo del romanzo, che sostengono che l’inizio di un romanzo possa riassumere
l’intera opera che introduce, mentre la fine dia la chiave d’interpretazione del suo universo. Il
raffronto tra i due consentirebbe di mettere in luce la visione del mondo dell’autore. Ad essi
s’affianca Barthes il quale suggerisce di stabilire due insiemi (es. “situazione iniziale” e
“situazione finale”) e di studiare secondo quali trasformazioni il secondo si ricongiunga o si
differenzi dal primo. L’ottica a cui noi sentiamo di associarsi è quella dello studioso francese,
infatti dal confronto tra i due insiemi giungeremo alla distinzione tra racconti statici – le
narrazioni nelle quali nulla risulta essere la differenza- e racconti dinamici – le narrazioni in cui
si assiste ad uno sviluppo da un insieme di elementi A in un insieme B non sovrapponibile al
primo. Ricollegandoci nuovamente agli studi dei formalisti russi, si potrebbe anche affermare
come le opere, nelle quali la situazione iniziale e la finale coincidono, siano narrazioni senza
fabula, poiché quasi unicamente descrittive (anche qualora si tratti di una trance de vite); mentre
gli scritti in cui ciò non avviene saranno chiamati narrazioni con fabula.
A elaborare i concetti di sequenze funzionali ed enigmi fu Barthes, studioso francese, il quale
applicò in S/Z le teorizzazioni di opere precedenti, al racconto di Balzac Sarrasine, fornendo
così non solo un’interessante chiarificazione ai suoi studi, ma anche una vera e propria griglia
d’analisi testuale, sempre attuale e valida.
L’impostazione che egli sposa è tipicamente funzionale, come illustra ne L’introduzione all’analisi
strutturale dei racconti
3
, dove afferma che ogni testo letterario sia leggibile come una
stratificazione di tre livelli, quello delle funzioni, quello delle azioni e quello della narrazione.
Per ciò che ci riguarda, sarà necessario tenere in considerazione la sua teoria sulle unità
narrative e sulle loro specifiche attribuzioni, che vengono a delinearsi non in relazione
all’intreccio ma al contenuto che esprimono. Con funzioni Barthes intende le unità narrative
inserite in una correlazione, distinguendo poi le funzioni propriamente dette dagli indizi: le
2
Ibid., p.186
3
AA.VV., L’analisi del racconto, Milano, 1969, p.7 sgg-
3
prime hanno carattere distribuzionale e rinviano ad un atto complementare, i secondi hanno
carattere integrativo, poiché un gruppo di essi rimanda ad un medesimo significato, che per
essere compreso richiede il riferimento ad un livello superiore. Egli sostiene che gli indizi
rinviino ad un significato, alla funzionalità dell’essere, mentre le funzioni ad un’operazione, alla
funzionalità del fare.
Nell’ambito delle funzioni differenzia i nuclei dalle catalisi, i primi sono detti anche cardinali e
sono le azioni che aprono un’alternativa conseguente all’interno della storia, le altre invece
sono collegate ad un nucleo, aventi utilità solo cronologica. Rispetto agli indizi attua un’analoga
classificazione, tra indizi propriamente detti e informazioni, il primo gruppo “ rinvia ad un
carattere, ad un sentimento, ad un’atmosfera, ad una filosofia”
4
, al contrario il secondo
riguarda “dati puri immediatamente significanti”.
5
Al fine dell’analisi che intendiamo condurre,
bisognerà rivolgersi non solo alla definizione delle unità narrative, ma soprattutto al modo in
cui esse si collegano al livello del racconto. Una serie logica di funzioni cardinali legate da une
relazione di necessità (presenza di A implica l’accadere di B o il suo non accadere per una serie
di cause opposte) verrà chiamata sequenza, che “si apre quando uno dei suoi termini non ha
antecedenti solidali e si chiude quando un altro dei suoi termini non ha più susseguenti”.
6
Le
sequenze funzionali strutturano il testo in base ad una serie di legami, che possono essere
ravvicinati quanto distanti. È possibile poi che una serie di nuclei non sia altro che una micro-
macrosequenza rispetto al livello superiore od inferiore. Barthes nel suo studio sul primo
episodio di Goldfinger ne dà un esempi
Ricerca
Incontro Sollecitazione Contatto
Accostamento Richiesta Saluto Sistemazione
Dare la mano Stringerla Lasciarla
4
Barthes, op. cit., p.21
5
Ibid., p.21
6
Ibid., p. 25-26
4
Sarebbe però non sincero da parte nostra, se non chiarissimo di aver fatto riferimento per la
definizione, da noi assunta, per questa categoria anche agli studi di Bremond, esposti nella
Logica del racconto, in cui egli riprende in senso critico gli schemi proppiani, cercando si
smussarne l’eccessiva rigidità. Egli elabora un concetto diverso di sequenza rispetto a Barthes,
ognuna di esse – nel suo schema di base – è costituita da un insieme ternario di funzioni così
organizzate
7
- funzione che apre la possibilità del processo
- funzione che realizza questa virtualità in evento od azione
- funzione che chiude il processo con il risultato raggiunto o il fallimento del processo
stesso.
Nessuna delle funzioni facenti parte di una sequenza pone come necessaria la successiva, è
nella possibilità discrezionale del narratore non attualizzare il passaggio dall’una all’altra, inoltre
le sequenze elementari possono poi organizzarsi in sequenze complesse. Interessante per il punto di
vista da noi scelto non sarà tanto il modo in cui le sequenze elementari si articolano in complesse,
quanto più osservare il ciclo narrativo, che esse vengono a fondare, in base al loro succedersi e
collegarsi. Secondo Bremond “ogni racconto consiste in un discorso che integra una
successione di eventi, d’interesse umano nell’unità di una stessa azione”, la mancanza
d’interessi umani implica – a suo giudizio – l’impossibilità del racconto. A seconda che tali
progetti vengano favoriti o avversati si avranno due generi di sequenze
Miglioramento
Processo ottenuto
di miglioramento
Miglioramento Miglioramento
da ottenere Nessun processo non ottenuto
di miglioramento
Peggioramento
Processo prodotto
Peggioramento di peggioramento
Prevedibile Peggioramento
Nessun processo evitato
di peggioramento
7
Bremond, Logica del racconto (1973), Milano 1977, p30 sgg
5
tali da delineare, tra l’altro, non solo un’infinita possibilità dello schema di base, ma anche un
inserimento del personaggio in un contesto funzionale, dal momento che la funzione di una
qualsiasi azione non è definibile se non partendo dalla prospettiva del personaggio che la
agisce o la subisce, elemento che rimane in ombra negli studi di Barthes.
Rispetto poi al processo di miglioramento elabora un ulteriore schema, applicabile a romanzi e
racconti
Miglioramento
da ottenere
Ostacolo da eliminare Mezzi possibili
Processo
di miglioramento
Processo di eliminazione Utilizzazione dei mezzi
Miglioramento Ostacolo eliminato Successo dei mezzi
ottenuto
Superfluo sarà affermare che stesso sistema – solo oppositivo – potrà delinearsi per il processo
di peggioramento.
Ogni narrazione partirebbe – secondo Bremond – o da una situazione di mancanza, a cui si
cerca di sopperire, o da una situazione di possesso minacciata, i due momenti possono
susseguirsi o collegarsi logicamente, dando una prospettiva nuova alla definizione barthesiana
di funzione fin qui assunta. Nella tesi che si vuole dimostrare, si terranno presenti entrambe le
ipotesi, cercando da un lato di distinguere i nuclei della narrazione, il modo in cui si
organizzano e la loro ricorrenza rispetto agli indizi, dall’altro di cogliere i processi di cui sono
parte, valorizzando così una lettura funzionale nel senso più ampio del termine. Ultimo
aspetto da mettere a fuoco nel contesto della fabula sono i personaggi, interpretati sia sotto la
veste di ruoli sia sotto quella di persone, il che vorrà dire prendere in considerazione non solo la
funzione che assumono rispetto all’azione, ma anche le caratteristiche, che li denotano come
individualità
Gli studi sugli attanti o ruoli attanziali sono stati condotti principalmente da Greimas, il quale
parte dall’affermazione di base che, in ogni racconto complesso, s’incrocino almeno due storie,
6
l’una dell’eroe (soggetto) e l’altra dell’antagonista (antieroe), i quali si scontrano per un oggetto di
valore, che dall’uno si trasferisce all’altro. Il racconto non sarebbe altro che una successione di
queste transizioni, le quali possono esser favorite od avversate da altri soggetti all’interno della
vicenda, secondo lo schema
Destinatore Destinatario
Aiutante Oppositore
Gli attanti secondo una formulazione generale non sarebbero altro che persone o oggetti
investiti attivamente o passivamente dall’azione indicata dal verbo, restringendo il campo alla
narratologia, saranno i personaggi che risultino coinvolti dall’azione principale espressa dalla
vicenda. Greimas struttura un sistema attanziale a coppie, individuando così sei ruoli
fondamentali
8
a) Soggetto/Oggetto: la coppia può presentarsi congiunta o disgiunta, nel caso in cui
abbiano una relazione essa si realizza in un enunciato, il quale può riguardare valori
oggettivi (categoria dell’avere) o soggettivi (categoria dell’essere). I primi s’incarnano in
attori o personaggi autonomi, i secondi sia in soggetti sia in oggetti.
b) Destinatore/Destinatario: L’Oggetto è legato al Soggetto tramite il “desiderio”, ma
comunica contemporaneamente con la seconda coppia, il Destinatore è colui che pone
l’Oggetto come tale rispetto ad un secondo ruolo detto Destinatario.
c) Aiutante/oppositore: la coppia si colloca rispetto al Soggetto sul piano del Potere dal
momento che può contribuire al raggiungimento o alla perdita dell’Oggetto del
desiderio.
Ad integrare le teorie di Gremas si è deciso di prendere anche come riferimento le riflessioni
sui ruoli attanziali elaborate in un primo momento da Propp rispetto alle fiabe russe di magia,
che hanno avuto uno sviluppo da parte di Bremond nello studio dei processi di Miglioramento
e Peggioramento. Si darà qui di seguito non una descrizione puntuale delle ipotesi dei due
8
Greimas, Les Actants, les Acteurs et les Figures, in AA.VV., Semiotique narrative et textuelle, Parigi, 1973,
p162 sgg.
Soggetto
Oggetto
7
studiosi, quanto un sistema sintetico, che comprenda gli elementi che, nati dalla mente
dell’uno, siano poi stati sviluppati da quella dell’altro.
a) Soggetto-eroe: è colui che è vittima o agente dei due processi, che porteranno
all’acquisizione o alla perdita dell’oggetto desiderato o posseduto.
b) Antagonista: è colui che avversa l’azione del Soggetto-eroe, è anch’egli un soggetto
agente, i cui atti abbiano la funzione di porre un ostacolo o frustrare il raggiungimento
dall’oggetto desiderato o il progetto di miglioramento dell’eroe
c) L’aiutante: è colui che contribuisce alla realizzazione del progetto del Soggetto-eroe,
proteggendolo dall’Antagonista, neutralizzando l’ostacolo e favorendo le sue iniziative.
d) Beneficiario: è colui che, terzo Soggetto rispetto al Soggetto-eroe e all’Anagonista,
gode del buon esito dell’azione intrapresa dal primo, esso si può delineare anche come
un beneficiario in “negativo”, qualora sia vittima delle conseguenze del progetto
dell’eroe.
Oltre a tale tipo d’analisi, è poi nostro intento cercare di individuare all’interno della
narrazione tipologie ricorrenti di personaggi, ovvero, partendo dalla distinzione dei ruoli
attanziali, riconoscere situazioni ricorrenti, che pertengano a persone – intese come individualità
caratterizzate da elementi psico-comportamentali - ricorrenti nella narrazione. Per chiarire
quale sia la nostra idea rispetto a tale categoria d’analisi si potrà fare riferimento agli studi di
Propp, il quale, tra i ruoli pose anche quello del re e della principessa, al di là delle specificità
che di volta in volta differenziavano un personaggio dall’altro. L’ipotesi di base che assumiamo
scegliendo d’inserire la categoria Tipologia dei personaggi all’interno dell’esame della fabula è che i
narratori tendano a ripresentare personaggi e situazioni, modificandone le caratteristiche più
strettamente personali.
Le categorie d’analisi adottate in relazione allo studio dell’intreccio saranno: il rapporto tra il
tempo della storia e il tempo della narrazione, il punto di vista, gli enigmi e l’inventario dei
luoghi .
Già i formalisti russi posero il problema della differenza tra l’accadere ipotetico degli eventi e
la loro narrazione, Todorov infatti sostiene,spiegando la loro posizione, che “Il problema della
presentazione del tempo nel racconto si pone a causa di una diversità tra la temporalità della
storia e quella del discorso. Il tempo del discorso è, in un certo senso, un tempo lineare,
mentre il tempo della storia è pluridimensionale. Nella storia più avvenimenti possono
svolgersi contemporaneamente; ma il discorso deve obbligatoriamente metterli l’uno di seguito
all’altro; una figura complessa si trova proiettata su una linea diretta. Di qui la necessità di
8
rompere la successione ‘naturale’ degli avvenimenti, anche nel caso in cui l’autore volesse
seguirla il più fedelmente possibile.”
9
Inoltre egli aggiunge come l’attenzione di questa scuola
fosse rivolta esclusivamente alla narrazione come discorso (intreccio), ignorando ciò che
riguarda la storia (fabula), in un periodo storico in cui grandissimo interesse riscuoteva il
montaggio cinematografico. L’intuizione di base che ebbero questi studiosi è da integrare con i
risultati cui giunse Gérard Genette in Figure III. Discorso del racconto, egli concentrò il suo
interesse non tanto sull’aspetto funzionale della narrazione, quanto sul suo articolarsi come
discorso, che sia prodotto da un emittente e sia soggetto ad una determinata prospettiva, che
abbia particolari relazioni tra l’accadere e il racconto, che di esso se ne dà.
In un primo momento considerò l’ordine nella temporalità del racconto, associando alla
linearità artificiale della fabula – frutto dell’astrazione dei lettori – l’idea di svolgimento naturale
e, confrontando ad esso la disposizione “spontanea” dell’intreccio - poiché originata
dall’invenzione dell’autore – sottolineò le anacronie a cui ogni narrazione è soggetta. Con il
termine anacronia sarà da intendersi qualsiasi tipo di distorsione temporale, derivante dalla non
sovrapponibilità di storia e racconto. Egli individua due tipi principali di anacronia, offrendo
poi anche delle sottoclassificazioni interessanti
ξ Analessi: evocazione di un evento che si colloca in un periodo precedente quello della
narrazione principale. L’a. sarà esterna quando i fatti da essa narrati non raggiungano il
momento del racconto principale, sarà interna quando la narrazione secondaria
raggiunga la principale causando, tra l’altro, un’interferenza tra il racconto primo e il
secondo. Saranno chiamate miste quelle che con la loro narrazione vadano oltre il
punto d’inizio del racconto primo. Le a. interne si diranno omodiegetiche quando
l’evocazione riguardi lo stesso tema del racconto primo, extradiegetiche quando il tema
sarà diverso. In relazioni ai passi evocati si avranno a. completive – capaci di fornire
informazioni carenti nel testo – e a. ripetitive - evocano eventi già narrati.
ξ Prolessi: anticipazione di eventi che avverranno in un momento successivo rispetto al
tempo del racconto principale. Anche a loro riguardo è possibile parlare di dati
completivi – qualora anticipino una mancanza successiva - e ripetitivi - quando ci siano
cenni ad un evento che sarà narrato distesamente in seguito.
Genette parla poi di ampiezza dell’anacronia ad indicare lo spazio che essa occupa nel testo e di
portata, riguardo la distanza temporale che intercorre tra il racconto primo e l’evocazione o
anticipazione. Il suo interesse per il rapporto tra il tempo della storia e quello del racconto
9
Todorov, Il racconto letterario, in AA.VV L’analisi del racconto, 1966, p.251
9
non si esaurisce all’analisi dell’ordine della narrazione e alle possibili distorsioni temporali, ma
si rivolge anche a ciò che egli definisce il ritmo del racconto, cioè, la possibilità di aumentare o
diminuire la velocità della narrazione, dilatando o comprimendo le vicende.
Egli schematizzò
10
matematicamente i movimenti narrativi cui un testo può essere soggetto da
parte dell’autore
ξ Pausa: all’avanzare del racconto non corrisponde un avanzamento della diegesi, spesso
si ha in corrispondenza di una descrizione.
TR=n, TS=O
ξ Scena: il tempo del racconto e quello della storia coincidono, si ha di norma in
corrispondenza di un dialogo
TR=TS
ξ Sommario: Il tempo della storia è più esteso di quello del racconto, si ha ad esempio
quando in poche frasi si sintetizzino gli eventi di periodi di media o elevata lunghezza.
TR<TS
ξ Ellissi: il tempo della storia non è rispecchiato nel tempo del racconto, poiché una
parte di essa non trova spazio nella narrazione, neanche come enunciato breve, così
come succede invece nel sommario.
TR=O, TS=n
Da rilevare sarà poi come a tali tipologie ne fu aggiunta da Chatman
11
un’altra ancora
ξ Estensione -analisi: il tempo del racconto si dilata rispetto a quello della storia, offendo
così in dettaglio ciò che nella realtà potrebbe occupare uno spazio temporale ridotto o
minore.
TR>TS
Parte della teoria di Genette in relazione al tempo è stata da noi volutamente tralasciata, dal
momento che l’analisi che intendiamo condurre si concentrerà, rispetto a tale categoria-
principalmente sul tipo di anacronie ricorrenti e, solo marginalmente, sul rapporto di
ricorrenza tra i vari tipi di movimenti narrativi. Parte di tale sezione sarà anche uno studio sui
tempi narrativi al fine di stabilire dei raggruppamenti tra racconti statici e racconti dinamici –
tra racconti al tempo imperfettivo e perfettivo.
10
Genette, Figure III, Discorso del racconto (1972), Torino, 1977 in L’officina del racconto, Marchese,
Milano, 1983
11
Chatman, Storia e discorso. La struttura narrativa nel romanzo e del film (1978), Parma, 1981, p.73 sgg
10
Utile ci è però ancora il riferimento a questo studioso per ciò che pertiene il problema del
racconto come discorso prodotto da un emittente. Prima di chiarire i suoi contributi
sull’argomento, sarà necessario rileggere alcuni passi di Todorov, il quale, concentratosi sugli
aspetti del racconto, offre anche una casistica del rapporto tra narratore e personaggio. Egli
riferendosi a J. Pouillon, ripropone la classificazione da lui elaborata
“La percezione interna conosce tre tipi principali
ξ Narratore > personaggio (visione “dal di dentro”). In tal caso, il narratore ne sa di più del suo
personaggio. Egli non si preoccupa di spiegarci in che modo egli abbia acquisito tale
conoscenza: vede attraverso i muri delle case allo stesso modo in cui legge nel pensiero
del suo eroe. I suoi personaggi non hanno segreti per lui[…]. La superiorità del
narratore può manifestarsi sia nella conoscenza dei desideri segreti di qualcuno, sia
nella conoscenza simultanea dei pensieri di più personaggi, sia semplicemente nella
narrazione degli avvenimenti che non sono percepiti da un unico personaggio[…].
ξ Narratore = personaggio (la visione “con”). In questo caso il narratore ne sa quanto i
personaggi, non può fornirci una spiegazione degli avvenimenti prima che i personaggi
stessi non l’abbiano trovata. Anche qui si possono stabilire più distinzioni. Da una
parte, il racconto può essere svolto in prima persona o in terza persona, ma sempre
secondo la visione che degli avvenimenti ha uno stesso personaggio[… ]. D’altra parte
il narratore può seguire un personaggio solo o più personaggi […].
ξ Narratore < personaggio (la visione “dal di fuori”). In questo terzo caso, il narratore ne sa
meno di qualunque personaggio. Può descriverci unicamente ciò ce vede, sente, ecc.
ma non ha accesso alla coscienza di alcuno […]”.
12
Genette adotta un’altra terminologia, distinguendo inizialmente tra racconto focalizzato e
racconto non focalizzato, cioè, tra le narrazioni dove si assista ad una restrizione del campo di
visuale, secondo la prospettiva di uno o più personaggi, e quelle in cui ciò non si verifichi,
poiché il punto di focalizzazione è un narratore onnisciente. Rilevante al fine della nostra analisi
è anche la sua riflessione sul grado di agentività del narratore e di narratività del personaggio,
ovvero, sulla possibilità che il narratore ha d’intervenire nella vicenda e su quella del
personaggio di poterla raccontare.
A partire da ciò si delineeranno narratori a scarso o nullo grado di agentività, i cosiddetti
narratori extradiegetici (al di fuori della storia) o ad alto, gli intradiegetici (dentro la storia);
12
Todorov, Le categorie del racconto letterario, in AAVV., L’analisi del racconto, Milano, 1966, p.254 sgg.