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INTRODUZIONE
La musica e l’educazione sono elementi che caratterizzano e arricchiscono
la vita dell’essere umano, permettendogli di conoscere e conoscersi, di
esprimersi, di comprendere e di creare.
Lo scopo di questo elaborato è quello di prendere in analisi tali elementi
attraverso due figure professionali, il musicoterapeuta e l’educatore
professionale, con l’obiettivo di proporre un modello di cura, prevenzione
e riabilitazione rivolto a un target eterogeneo e significativo composto da:
disabili, soggetti con patologie, minoranze, anziani, e, più in generale, da
tutte quelle persone che necessitano di supporto per avviare un processo
di miglioramento del personale benessere.
L’intento è, quindi, quello di portare avanti l’ipotesi che un’equipe
medico-psicologica, che includa Musicoterapeuta ed Educatore
Professionale, possa essere più completa ed efficace, in quanto
l’introduzione della collaborazione di queste due figure potrebbe
apportare una velocizzazione dei risultati positivi, nonché un maggiore e
significativo supporto agli altri operatori coinvolti nel percorso.
Ciò avverrebbe sia per le forti analogie tra Musicoterapeuta ed Educatore
Professionale, sia per l’importanza che entrambi i professionisti possono
attribuire alla relazione di cura con il cliente grazie ad uno scambio
intenso basato sulla reciproca fiducia, sull’empatia, sull’accettazione non
giudicante e sull’ascolto, tutte caratteristiche essenziali per il target di
pazienti a cui ci si rivolge. In particolar modo si sostiene l’ipotesi secondo
cui la Musicoterapia possa avere degli effetti positivi sul percorso
educativo individualizzato, ad esempio svolgendone le sessioni prima di
quelle con l’educatore in modo da “aprire” i canali comunicativi dei
pazienti e facilitare il setting successivo (quello con l’educatore
professionale), oppure pianificando un percorso educativo comprendente
l’utilizzo di tecniche musicoterapeutiche, sia come attività preparatorie
che come attività comprese nel percorso da svolgere con l’educatore.
II
Si ritiene che il coworking di questi due operatori possa essere di grande
aiuto soprattutto per i soggetti autistici, i quali, come viene osservato nei
criteri diagnostici del DSM 5, tra i vari deficit riportano quelli relativi alla
comunicazione, alla relazione e al linguaggio. Utilizzare un linguaggio
alternativo come la musica potrebbe, quindi, supportare i soggetti con
disturbo dello spettro autistico nel trovare una nuova forma di
espressione, agevolando e orientando la strutturazione della relazione con
altre figure professionali di riferimento, che sia queste l’Educatore
Professionale, lo psicologo, il medico e così via.
L’elaborato si ramifica in più capitoli che andranno a spiegare le varie
componenti da conoscere affinché si possa comprendere l’ipotesi appena
esposta.
In prima istanza si presenterà la musicoterapia, la sua nascita, la sua
storia, la sua diffusione, nonché i modelli principali e i problemi relativi
alla professione.
Nel secondo capitolo si approfondirà l’analisi del soggetto autistico e
verranno esposte le modalità di trattamento musicoterapeutiche e gli
effetti positivi su tali soggetti.
Successivamente, nel terzo capitolo, si entrerà nel dettaglio circa i ruoli,
le competenze e il riconoscimento legislativo dell’Educatore
professionale, figura che verrà messa in analogia con quella del
musicoterapeuta al fine di avvalorare l’idea che tali professionisti
debbano collaborare nella progettazione e nell’attuazione di programmi
di aiuto e supporto.
Il quarto capitolo conterrà, invece, una serie di ricerche scientifiche
accuratamente selezionate e semplificate in modo da valorizzare ed
evidenziare il principale ed i molteplici benefici della musica sull’essere
umano, prendendone in considerazione differenti aspetti, tra cui quello
neuroscientifico e quello comportamentale.
Ciò porterà direttamente nel cuore di questa tesi, cioè al capitolo relativo
all’osservazione di un caso clinico molto particolare, che vedrà come
protagonisti un allievo di pianoforte con diagnosi di autismo e la sua
III
insegnante di musica. Tale osservazione avrà il fine di comprendere le
dinamiche relazionali tra i due soggetti (allievo-insegnante), di osservare
gli effetti immediati sia della relazione stessa che della didattica
musicale, nonché del suonare uno strumento (come appare l’allievo
mentre suona? Che succede durante la lezione? Come si comporta con
l’insegnante? e così via) e di trovare degli elementi da introdurre nel
lavoro dell’Educatore Professionale.
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1. LA MUSICOTERAPIA
In questo capitolo verrà presentato un breve excursus storico riguardante
lo sviluppo della musicoterapia, partendo dai tentativi più antichi fino ad
arrivare alle teorie moderne, quindi alla graduale scientifizzazione di tale
disciplina. Si introdurranno le principali tecniche musicoterapeutiche e ne
verranno descritti il setting, i tempi e le attività. Inoltre, verrà delineata
la figura dell’operatore in musicoterapia e i problemi ad essa annessi in
quanto professione ancora non riconosciuta pienamente dallo Stato
italiano, seppur determinante all’interno di un’equipe di prevenzione,
riabilitazione e cura.
1.1. Storia della musicoterapia
La musica come terapia nell’antichità
La storia della musicoterapia è notevolmente estesa: affonda le radici
nell’antichità e si dirama fino ad oggi. Essa non solo ha a che fare con la
musica, bensì anche con il linguaggio non-verbale e consente di esprimere
le emozioni attraverso i suoni e il corpo.
Sin dai tempi più remoti, alla musica sono state attribuite caratteristiche
curative in grado di liberare l’uomo dal malessere.
Il concetto di malattia si è modificato nel tempo: difatti, a differenza
della mentalità attuale in cui viene rappresentata come un agente esterno
che causa un’anomalia nell’organismo, nel mondo antico la malattia
proveniva dall’individuo stesso e veniva interpretata come uno squilibrio
dello spirito legato ad una punizione divina che si manifestava nel corpo
e/o nella mente del soggetto. Si riteneva, quindi, che fosse necessario un
rito di riconciliazione, celebrato dalla stessa persona interessata, da un
prete o da uno sciamano, per ristabilire l’armonia perduta.
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Ad esempio, tra alcuni geroglifici dell’antico Egitto appaiono formule per
guarire dal morso degli scorpioni e dei serpenti scritte per un uso cantato.
Inoltre, alcuni cenni su un uso terapeutico della musica vengono
direttamente dall’Odissea: <<subito i figlio d’Autolico curavano Odisseo,
la piaga d’Odisseo glorioso, divino, fasciarono sapientemente col canto
magico il sangue nero fermarono (…)>> (Omero, Odissea, versione di R.
Calzecchi Onesti, Einaudi, Torino 1963).
Anche i grandi filosofi greci hanno dato notevole importanza alla musica
intesa come elemento educatore e di cura delle anime.
Tra questi si ricorda Pitagora, il quale ritiene che la musica comprenda tre
orientamenti:
• Di adattamento: la musica deve adattarsi alla personalità
dell’individuo, il quale deve, a sua volta, sapersi adattare a
musiche diverse e lontane dalla sua personalità
• Di cambiamento: la musica può modificare lo stato d’animo,
consentendo all’individuo di accettarsi e usare al meglio le proprie
capacità
• Di purificazione: la musica può essere medicina in grado di liberare
l’anima e il corpo dalle tensioni
Invece, nella Repubblica e nelle Leggi, Platone sostiene una prospettiva
differente in cui la musica diventa un vero e proprio modello educativo
del cittadino poiché gli insegna ad apprezzare il bello e a disprezzare il
brutto già dall’età infantile costruendo, così, un graduale senso morale ed
estetico. Secondo l’illustre pensatore ellenico: <<la musica riesce a
mettere in relazione due anime, facendole vibrare in maniera identica. È
un ponte che getta l’uomo di là da un abisso per raggiungere un altro
uomo>> (Leggi 2° 653d e 654°).
Infine, Aristotele, allievo di Platone, evidenzia le potenzialità catartiche
della musica nella Politica, nella Poetica e nei Problemi.
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Egli, diversamente dal suo maestro, ammette l’utilità di ogni tipo di
musica anche quella in grado di perturbare gli animi fino a scatenare
violente reazioni, purché capace di purificare delle emozioni.
Secondo l’etnomusicologo Alan P. Merriam: <<la musica ha sempre
accompagnato ogni profonda esperienza umana, dal lutto ai
festeggiamenti. I popoli se ne sono sempre serviti per esprimere quello
che non avrebbero saputo comunicare a parole, ogni tipo di musica serve
infatti a suscitare, esprimere e manifestare emozioni>> (A. Merriam,
Antropologia della musica, Sellerio, Palermo 2000).
Tale prospettiva ben si sposa con quella veicolata dalla Bibbia. Infatti, le
musiche dei primi cristiani, come salmi, inni e canti spirituali, non solo
venivano eseguite per lodare Dio, bensì per esprimere e lenire i dolori
derivati dalle persecuzioni. Anche il popolo ebraico, di natura nomade,
era solito cantare nel deserto durante i lunghi ed estenuanti viaggi,
inoltre, successivamente, il Tempio di Gerusalemme divenne centro della
vita religiosa e musicale.
Sia in passato che in alcune società di oggi è presente un’attività dai
connotati esoterici e mistici, che si può considerare come precursore di
quella che oggi definiamo come “Musicoterapia”: lo sciamanismo, un noto
tipo di pratica religiosa e magico-ritualistica che opera utilizzando la
musica. Secondo molti musicoterapeuti esistono diverse somiglianze
all’interno del setting in cui opera lo sciamano. Tale figura sarebbe in
grado di collegare due livelli di realtà (uno visibile e uno invisibile)
attraverso suoni, parole e danza esattamente come il musicoterapeuta, il
quale utilizza gli stessi strumenti per creare un canale comunicativo non-
verbale per i propri pazienti che presentano vari tipi di patologie e quadri
clinici (come psicosi e demenza) in cui i piani della realtà sono
compromessi e/o alterati.
Le analogie tra sciamanismo e musicoterapia possono riassumersi nei
seguenti punti: tra i vari riti sciamanici conosciuti è interessante
evidenziarne uno tipicamente italiano, il Tarantismo, uno dei pochi culti
di possessione ben documentati in Europa. Tra gli autori che hanno
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trattato tale argomento si ricordano Ernesto De Martino e Gilbert Rouget.
In “Sud e Magia” (1959), infatti, Ernesto De Martino descrive tale
fenomeno come un’ipocondria e un’isteria condivise dal gruppo sociale di
riferimento e di tradizione popolare, secondo cui il morso della tarantola,
un ragno diffusissimo nelle zone mediterranee (che, infatti, prende il
nome dalla città di Taranto) causerebbe una serie di sintomi - osservati
nei trattati del Dott. Martino Kähler - quali deperimento, stanchezza,
avversione al mondo, tendenza alla malinconia, battito cardiaco
irregolare, ecc.
Secondo la secolare tradizione pugliese, l’unico modo per curare il malato
dal morso era quello di attivare i membri della comunità per inscenare
una singolare coreografia nella quale il ritmo delle musiche (tarantella o
pizzica) dava vita alla danza frenetica volta a espellere il veleno derivato
dal morso.
Il rituale prevedeva la presenza di più suonatori e del malato, il quale
doveva danzare e urlare per un tempo proporzionale alla gravità della
malattia.
Ancora oggi, il Tarantismo viene simbolicamente celebrato tra il 29 e il 30
giugno presso la chiesa di San Paolo di Galatina.
Un ultimo riferimento storico riguardante le idee e le pratiche che hanno
anticipato la moderna musicoterapia è il De institutione musica di
Severino Boezio (480-524). Egli divide la musica in tre parti distinte:
1. Musica instrumentalis, ovvero teoria o pratica musicale
2. Musica Humana, cioè l’influenza del suono sull’anima e sul corpo
3. Musica mundana, che riguarda la musica che collega gli elementi
dell’universo (musica delle sfere)
Da tale prospettiva emerge ancora una volta l’importanza che veniva data
alla musica nei contesti di cura nel corso dei secoli fino ad oggi.