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INTRODUZIONE
Forse lo scopo finale a cui l’artista aspira è una confusione o unione
di tutte le arti, così come le cose si confondono nella vita reale.
1
Il Novecento è un secolo ricco di contrasti stilistici e di
iperindividualismi che sterilizzano il terreno, altrimenti fertile, della
creatività e che caratterizzano la storia dell’arte contemporanea come
una storia fatta di antitesi. Avevamo assistito all’esaurirsi progressivo
e sistematico delle potenzialità espressive offerte dai vari campi
dell’arte e del sapere, alla volontà di creare nuovi generi formali e,
quindi, ad una sperimentazione «selvaggia» aperta ad ogni tipo di
contaminazione
2
. Per quanto riguarda la musica, l’antitesi diventa
elemento dialettico, nel senso hegeliano del termine (tesi-antitesi-
sintesi), generando un superamento dei parametri esistenti che
nasceva, seppur nel rispetto delle peculiari differenze dei nuovi
musicisti, dall’interno dell’ambito stesso della tradizione musicale. Si
arriva così alla distruzione del sistema tonale attraverso il
diatonicismo, la politonalità e la poliritmia di Stravinskij, l’atonalità, il
principio seriale e la riorganizzazione dodecafonica di Schönberg e
l’uso di cellule sonore etniche e l’impiego percussivo di strumenti,
normalmente melodici, messo in atto da Bartók.
1
A. Schwarz, Man Ray. Il rigore dell’immagine, tr. it. riv. e ampl., Feltrinelli, Milano, 1977, p.5.
2
Crf., Sergio Miceli, La musica nel film. Arte e artigianato, Discanto, Fiesole, 1982, p. 84.
6
Di questi tre poli individuati quelli che ci interessano, ai fini di questo
studio, sono, senz’altro, quello di Stravinskij e quello di Bartók, in
quanto spiegano le basi di partenza della sperimentazione «fuschiana»
sul linguaggio musicale
3
.
Non è un caso che guida e maestro di Giovanni Fusco, nel campo
della composizione, sia stato Alfredo Casella, importante testimone ed
interprete di tutti i fermenti sperimentali e avanguardistici che hanno
movimentato gli ambienti culturali del primo novecento e colui che ha
saputo e voluto farsi promotore di un autentico rinnovamento della
vita musicale italiana portandovi, in special modo, i frutti degli
incontri, delle esperienze e delle conoscenze fatte nel ventennio
trascorso a Parigi. Qui venne in contatto con Debussy, Ravel,
Stravinskij e Schönberg venendone notevolmente influenzato. «La
necessità di misurarsi con qualsiasi evento, aveva portato il giovane
Casella a confrontarsi anche con il cinema, di cui egli aveva subito
prontamente il fascino. Sono del 1915 quattro suoi quadretti musicali,
Pagine di guerra, che egli sottotitola enigmaticamente Quattro films
musicali per pianoforte a quattro mani, invitando in tal modo ad una
serie di supposizioni sulla loro originaria destinazione. Non è chiaro,
infatti, se queste pagine servissero ad un vero e proprio
accompagnamento pianistico per il cinema muto oppure se siano nate
da semplici suggestioni cinematografiche di presunti documentari
bellici»
4
. Tutto ciò ci porta a credere che Casella tenesse nella dovuta
considerazione la musica per film e che sicuramente non ha impedito
3
Nel corso di questo studio ed in sede di analisi dei film, in particolar modo, mostreremo le
ascendenze e gli influssi di questi due compositori sulla pratica fuschiana.
4
Roberto Calabretto, Giovanni Fusco: musicista per il cinema di Antonioni, in AA.VV., Le
sonorità del visibile. Immagini, suoni e musica nel cinema di Antonioni, Atti del convegno tenutosi
a Ravenna il 21-22 maggio, Longo Editore, Ravenna, 1999, p. 47.
7
ai suoi allievi
5
di praticarla ma, anzi, potrebbe addirittura averli, in
qualche modo, incoraggiati
6
. Era, infatti, solito dichiarare:
L’arte è un mestiere, un artigianato superiore. Così la intendevano i
grandi del Rinascimento. […] Giovani, imparate e, sino all’ultimo
giorno, perfezionate l’arte vostra. Non vi proponete come meta il
bello, né tanto meno il sublime. Ma mirate unicamente alla buona
qualità ed alla perfezione assoluta del vostro lavoro. Il resto, compreso
il bello ed eventualmente il sublime, verrà da sé
7
.
Osservazione che bene si adatta all’iter di lavoro necessario al cinema,
non solo per il compositore ma per tutta l’équipe e che viene a
contraddire quanti sostenevano, come argomento a sfavore della
musica per film, che essendo, il comporre colonne sonore, un lavoro
d’artigianato al «servizio» delle immagini e «subordinato» ad esse
doveva necessariamente essere una musica di serie B. A mio avviso
non esiste una musica di serie A ed una di serie B, come non esistono
graduatorie o «patenti» di serietà e di legittimità, quanto, piuttosto,
esiste buona o cattiva musica. Esiste quella musica che rispetta il suo
carattere universale di «linguaggio» fruibile da popoli e culture
eterogenei in un concetto globale di «musica del mondo».
«La musica è sempre esistita in funzione di qualche cosa: o in
funzione del teatro o con una funzione sociale ben precisa. Le
5
Parecchi dei futuri musicisti del cinema italiano del secondo dopoguerra si sono formati alla sua
«scuola». Un esempio per tutti, oltre a quello di Fusco, è Nino Rota.
6
Un altro elemento che viene a suffragare questa tesi potrebbe essere il racconto che Maselli mi ha
fatto delle frequenti partecipazioni di Casella alle riunioni che si tenevano nel «salotto» dei suoi
genitori. Vedi Intervista a Maselli in Appendice 1. «Potrebbe partire da qui quella sorta di filo
rosso che lega e percorre tutte le esperienze e tutte le sperimentazioni di Fusco e che avrebbe
potuto portarlo ancora chi sa dove se la morte non lo avesse colto così prematuramente?»
7
Alfredo Casella, Della nostra attuale «posizione» musicale e della funzione essenziale dello
spirito italiano nel prossimo avvenire della musica europea, in «21+26», Augustea, Roma, 1931,
pp. 38-9.
8
Passioni di Bach esistono in quanto sono state pensate non in astratto
come «pezzo» da concerto ma in funzione di un certo cerimoniale, per
essere eseguite in chiesa, con un certo rapporto rituale tra esecutore e
fruitore. […] La musica per film – nei casi in cui vale la pena parlarne,
perché negli altri casi si tratta di arredamento sonoro avulso dal resto
del complesso dell’opera – non è affatto una musica di serie B, ma ha
una sua funzione e probabilmente può anche vivere di vita autonoma;
però è una musica riprodotta e quindi espressione tipica della società
industriale, è musica che deriva da un certo gusto, da una certa
sensibilità, da una certa capacità descrittiva di situazioni psicologiche
e perciò è musica che occorre esaminare proprio in funzione
dell’opera con cui fa corpo»
8
.
Casella, forse, prima di altri suoi colleghi, aveva ben capito che il
mondo culturale stava cambiando, che le esigenze di fruizione rispetto
all’arte, nel tempo si erano ampiamente modificate e che «nel giro di
lunghi periodi storici, insieme coi modi complessivi di esistenza delle
collettività umane, si modificano anche i modi e i generi della loro
percezione sensoriale. […] Una ripresa cinematografica e
specialmente sonora offre uno spettacolo che in passato non sarebbe
stato immaginabile »
9
.
Ecco, quindi, che, in tutta questa congerie di sperimentazioni
avanguardiste, che popolano il primo Novecento, il cinema si pone,
per molti, ma non per tutti, come la risposta al malessere generalizzato
che aveva colpito tutti i settori dell’arte, a beneficio sia del mittente
8
Vittorio Gelmetti, Connotazioni plebee della musica per film, in «Cinema nuovo», XXIV, 234,
marzo-aprile 1975, p. 92.
9
Walter Benjamin, L’opera d’arte nellepoca della sua riproducibilità tecnica, Piccola Biblioteca
Einaudi, Torino, 2000, p. 24 e p. 37.
9
del messaggio artistico che del suo destinatario, il nuovo spettatore, la
«massa».
«La riproducibilità tecnica dell’opera d’arte modifica il rapporto delle
masse con l’arte. […] L’umanità, che in Omero era uno spettacolo per
gli dèi dell’Olimpo, ora lo è per se stessa»
10
.
Il cinema diventa il mezzo privilegiato che permette la sintesi delle
arti, quell’«opera d’arte totale», il «Gesamtkunstwerk» articolato
attraverso il «wort-ton-drama»
11
, di wagneriana memoria. Concetto
che troviamo bene esplicato nella «weltanschauung» di Ricciotto
Canudo (1877-1923), il quale, raccogliendo suggestioni diverse che
vanno, appunto, da Wagner ai simbolisti, intende il cinema come «arte
totale», l’arte che realizza la sintesi tra le arti del tempo (musica,
poesia, danza) e le arti dello spazio (architettura, scultura, pittura), la
fusione tra valori ritmici e valori plastici
12
. E che Miceli riprende
nell’introduzione al suo La musica nel film:
Se nella letteratura il concetto di sinestesia riguarda una determinata
metafora in cui vengono associati termini appartenenti a sfere
sensoriali diverse, nel cinema il meccanismo si fa più complesso
poiché l’attuazione del processo sinestetico […] comporta,
contrariamente a quanto avviene nel linguaggio parlato o scritto, una
reale simultaneità di elementi in gioco appartenenti a sfere diverse
della comunicazione. […] Eppure sembra proprio il cinema – fra tutte
la forma più «fragile» ma anche la più recente – capace di potersi
legare agevolmente ad una concezione dello spettacolo che risale alle
10
Ivi, p. 38 e p. 48.
11
Wort-ton-drama, letteralmente «parola, suono, dramma» espressione coniata da Richard Wagner
per indicare un tipo di rappresentazione dell’opera in musica tale da inglobare tutte le forme d’arte.
Vedi voce della Garzantina della Musica.
12
Cfr., Ricciotto Canuto, L’officina delle immagini, in AA. VV., Cinema e film, Armando Curcio
Editore, Roma, 1986-88, p. 448.
10
mitologie e alle cosmogonie. Sinestesia, occorre forse ricordare,
proviene dal greco syn (insieme) e aisthánesthai (percepire), da una
civiltà alla quale dobbiamo, fra le molte cose, il concetto di Choréia
una e trina, una visione estetica che racchiude in sintesi «corale» le
espressioni della danza, della musica e della poesia. […] Il desiderio
di realizzare un rapporto «naturale» fra rappresentazione cinetica ed
evento musicale ricorre spesso nella storia dello spettacolo (non solo
occidentale). […] È d’obbligo richiamarsi a quella che rappresenta
forse una delle ultime grandi innovazioni del teatro in musica, al
principio wagneriano del Gesamtkunstwerk
13
.
Persino Lukács, pur collocando il cinema nella sfera
dell’«inautenticità» del mondo moderno, del puro divertimento,
considerandone la sua fantasticità ancora troppo legata ad artifici
tecnici e quindi accidentale, riesce a coglierne l’essenza ritmica, che
invano il romanticismo aveva chiesto al teatro, e quindi, la tensione
verso la «completezza» dell’arte
14
.
Ed è in questo clima che si viene delineando il carattere e la
personalità artistico-musicale di Giovanni Fusco
15
«uno dei più
interessanti e personali compositori del cinema italiano»
16
. Musicista
d’avanguardia senza essere però un dissacratore, come spesso
accadeva nelle file degli artisti contemporanei, si è distinto anche per
l’umiltà del suo modus operandi e per la sua disponibilità. Sempre
13
Sergio Miceli, La musica nel film. Arte e artigianato, Discanto, Fiesole, 1982, pp. 11-2. Nella
prima nota dell’introduzione Miceli dichiara che avrebbe voluto intitolare la sua opera
L’ambizione sinestetica, per voler suggerire il tentativo della musica nel cinema di realizzare più o
meno consapevolmente l’antico sogno di un’arte totale.
14
Cfr.,György Lukács, Riflessioni per un’estetica del cinema, in AA. VV., Cinema e film,
Armando Curcio Editore, Roma, 1986-88 p. 446.
15
Vedi nota bibliografica a p. 15.
16
Ermanno Comuzio, Filmlexicon degli autori e delle opere, Edizioni Bianco e Nero, 1980, p. 877.
11
propenso e propositivo verso l’esperimento, la ricerca e aperto al
mondo dei giovani
17
. «Ha tenuto a battesimo» diversi tra i registi più
promettenti del panorama cinematografico italiano. Un esempio per
tutti è quello di Michelangelo Antonioni con il quale ha cominciato a
collaborare fin dai primi documentari fino ad arrivare ai
lungometraggi, Cronaca di un amore (1950) (Nastro d’argento per la
miglior musica a Cannes nel 1951), I vinti (1952), La signora senza
camelie (1952-53), Le amiche (1955), Il grido (1956-7), L’avventura
(1959) (Nastro d’argento per la miglior musica a Cannes nel 1960),
L’eclisse (1962), Deserto rosso (1964)
18
.
Molto attivo nel campo del documentario fondò anche una casa di
produzione la Films che, all’inizio, nasceva con l’intento di creare e
produrre «films musicali». Intento che non viene poi realizzato ma,
comunque, la società di produzione resta e frutta, se non altro, come
mecenate, aiutando molti giovani tra cui Francesco Maselli che con la
Films realizza il suo primo documentario, Bagnaia paese italiano,
premiato a Venezia nel 1949. Produrrà, poi, anche L’amorosa
menzogna (1949) di Antonioni
19
.
Cordiale, semplice, quasi una figura d’ombra che rischiava di passare
inosservata se non fosse stato per gli occhi, vividi e spesso taglienti
20
,
che denotavano una intelligenza pronta e acuta che lo rendeva un
musicista raffinato e severo, quasi «aristocratico», sebbene la sua dote,
forse più preziosa, rimanesse la modestia assoluta, nella semplicità e
17
Cfr., Ermanno Comuzio, Ricordo di Giovanni Fusco, in «Bianco e Nero», XXIX, 5-6, maggio-
giugno, 1968, p.77.
18
Vedi Capitolo III.
19
Cfr., Intervista a Maselli, in Appendice 1.
20
Cfr., Marina Magaldi, La «musica per film» si chiama Giovanni Fusco, in «Rivista del
cinematografo», 12, dicembre, 1964, p. 340.
12
nella convinzione di esercitare un «mestiere artigianale»
21
, anche se,
di «un artigianato superiore», come lo definiva il suo maestro Alfredo
Casella
22
. Svolgeva il suo lavoro con massima serietà e
partecipazione, in quanto ben conscio del potere del cinema
nell’evoluzione della cultura. Ed infatti, così dichiarava, nell’intervista
rilasciata a Marina MagAldi:
«Io al cinema ho sempre creduto. A me la colonna sonora piace. Del
resto, anche se il cinema è l’arte dei giovani, io, malgrado i capelli
bianchi, sento di avere uno spirito giovanile»
23
.
Nel cinema ha svolto tutti i tipi di lavoro che un musicista come lui
potesse fare
24
, componendo, arrangiando e rifacendo le colonne
sonore originali di film stranieri, guadagnandosi, così, un’«ottima
educazione cinematografica» che è importante per un compositore di
musica per film tanto quanto quella strettamente musicale.
Inizia a lavorare come autore di colonne sonore originali nel ventennio
fascista firmando film come: Il cammino degli eroi (1936) di Corrado
D’Errico, La contessa di Parma (1937) di Alessandro Blasetti, Il
dottor Antonio (1938) di Enrico Guazzoni, Pazza di gioia (1940) di C.
L. Bragaglia e così via. Fino ad arrivare all’incontro con Antonioni
avvenuto nel 1948 con la composizione della colonna sonora di N. U.
(Nettezza Urbana).
21
Cfr., Ermanno Comuzio, Ricordo di Giovanni Fusco, in «Bianco e Nero», XXIX, 5-6, maggio-
giugno, 1968, p. 77-8.
22
Cfr., vedi nota 7, p. 3.
23
Marina Magaldi, La musica per film si chiama Giovanni Fusco, in «Rivista del cinematografo»,
12, dicembre, 1964, p. 339.
24
Vedi nota bibliografica, p. 15.
13
Grandiosità, severità, robustezza, concisione, sobrietà, semplicità di
linee, pienezza plastica, equilibrio architettonico, vivacità, audacia,
instancabile ricerca di novità
25
.
Con queste parole Casella cerca di delineare i contorni e le caratteriste
salienti di quella fase della sua produzione musicale che è stata
«catalogata» come «terzo stile». Appare curioso come questi aggettivi
bene si adattino anche al «modo» e alla «maniera» del suo allievo
26
.
Nelle analisi dei film, che affronteremo nei capitoli seguenti, si
possono rilevare, come una sorta di filo rosso che percorre tutta la
produzione fuschiana, e non solo quella prettamente cinematografica,
una serie di caratteristiche peculiari, di elementi ricorrenti, che sono la
sua cifra stilistica e che in seguito si sono potuti rilevare nella pratica
«normale e quotidiana» dei compositori di musica per film, per lo
meno di quelli che hanno prestato orecchio al cambiamento ed hanno
deciso di «usare» le altrui esperienze «come trampolino di lancio»
verso un «futuro inevitabile». Possiamo trovare, ad esempio, delle
similitudini in alcuni aspetti del modo di comporre musica per film di
Ennio Morricone tipo, l’uso della voce come strumento e
l’inserimento di elementi musicali intradiegetici quali, il fischio
27
.
«[…] Fusco si esprime per frammenti, con pochi strumenti ed entra
con molta discrezione nel film»
28
partendo da questa affermazione che
Roberto Calbretto fa, nel suo studio, mettendo a confronto Nino Rota
25
Alfredo Casella, La nuova musicalità italiana, in «Ars Nova», II, 2, gennaio 1918, p. 4.
26
Cfr., Roberto Calabretto, Giovanni Fusco: musicista per il cinema di Antonioni, in AA. VV., Le
sonorità del visibile. Immagini, suoni e musica nel cinema di Antonioni, Atti del convegno
tenutosi a Ravenna il 21-22 maggio 1999, Longo Editore, Ravenna, 1999, p. 48.
27
Vedi Intervista a Maselli in Appendice 1.
28
Roberto Calabretto, Giovanni Fusco: musicista per il cinema di Antonioni, in AA. VV., Le
sonorità del visibile. Immagini, suoni emusica nel cinema di Antonioni, Atti del convegno tenutosi
a Ravenna il 21-22 maggio 1999, Longo Editore, Ravenna, 1999, p. 64.
14
e Giovanni Fusco e che mi trova in perfetto accordo, vorrei elencare
quegli aspetti stilistico-formali, tipici e caratteristici, della sintassi
«linguistico-musicale» della poetica del nostro compositore.
1. Eclettismo, riscontrabile nella varietà delle esperienze
compositive, le più diverse tra loro, vissute e portate a
compimento dal nostro compositore che vanno poi a confluire
nella sua occupazione principale, la musica per film. Ha
frequentato gli ambiti della «musica leggera» scrivendo
«canzoni d’autore»
29
come la Ballata del suicidio su testo di
Pier Paolo Pasolini per lo spettacolo di Laura Betti, Giro a
vuoto
30
, in cui poche note frammentarie, sono accompagnate da
un ostinato ritmico del pianoforte alla mano sinistra. Si è
esercitato nella, cosiddetta, «musica di consumo»
31
, quei
ballabili tanto in voga negli anni cinquanta e che ritroviamo
largamente impiegati anche nelle sue colonne sonore, Fox-Trot,
Surf, Twist, Slow. Ha collaborato, inoltre, alla realizzazione di
programmi radiofonici ed alla creazione di spot pubblicitari
32
.
Si è dedicato alla direzione d’orchestra preferendo il repertorio
contemporaneo ma risalendo anche fino ad esperienze
bachiane
33
.
2. Essenzialità, scarnificazione dell’orchestra e strumentazione
varia, sobria, ridotta, appunto, all’essenziale con impasti sonori,
29
Cfr., Roberto Calabretto, Giovanni Fusco: musicista per il cinema di Antonioni, in AA. VV., Le
sonorità del visibile. Immagini, suoni e musica nel cinema di Antonioni, Atti del convegno tenutosi
a Ravenna il 21-22 maggio 1999, Longo Editore, Ravenna, 1999, p. 52-54.
30
Laura Betti, nome d’arte di Laura Trombetti (Bologna 1934), attrice e cantante italiana. Dopo gli
inizi come cantante di jazz, si è rivelata una delle più originali cantanti di cabaret tra il 1950 e il
1960. Si è imposta anche come attrice teatrale esordendo con Enrico Maria Salerno nel Cid di
Corbeille. Nel cinema, il suo primo film è stato La dolce vita (1960) di Fellini in cui interpretava
se stessa.
31
Cfr., Roberto Calabretto, Giovanni Fusco: musicista per il cinema di Antonioni cit. p. 55-57.
32
Cfr., ibidem.
33
Vedi Intervista a Maselli in Appendice 1.
15
a volte inconsueti, di pochi strumenti e con la presenza, spesso,
di strumenti popolari: in Cronaca di un amore usa due
sassofoni e un pianoforte; ne I vinti, assolo di strumenti ad arco;
ne La signora senza camelie, cinque sassofoni e un pianoforte;
ne Le amiche, due chitarre e un pianoforte; ne L’avventura, un
piccolo ensemble di legni; ne L’eclisse, ottoni e un pianoforte;
in Deserto rosso, la voce, il canto e la musica elettronica; ne Gli
sbandati, c’è un uso del tutto moderno degli archi; ne I delfini,
«canzonette», tra cui What a sky, chitarre e pianoforte solo; ne
Gli indifferenti, tromba sola, archi e pianoforte; in Hiroshima,
mon amour, flauto, ottavino, pianoforte, clarinetto, viola, corno
inglese, contrabbasso e chitarra. L’uso che egli fa di questi
strumenti è spesso forzato al di la delle loro predisposizioni
naturali. Si vengono, così, ad alterare il timbro e i registri fino a
renderli quasi dei nuovi strumenti. Esempio tipico di questo
modus operandi è l’uso percussivo di strumenti normalmente
melodici come il pianoforte.
3. «Aforismo musicale», l’impiego del frammento a sfavore del
«tematismo tradizionale hollywoodiano» con l’uso dell’ostinato
in funzione «lietmotivica» (dove il leitmotiv è inteso in senso
strettamente wagneriano come elevazione degli avvenimenti
alla sfera dei significati metafisici
34
) oltre che ritmica. Questa
modalità di composizione gli permette di «atomizzare» gli
interventi senza interrompere il discorso musicale, mantenendo,
così, una sorta di continuità, e gli lascia la possibilità di creare
di volta in volta delle improvvisazioni molto significative e di
34
Cfr., T. W. Adorno e H. Eisler, La musica per film, Newton Compton, Roma, 1975, p. 22-23