Introduzione
5
Non è semplice individuare una corretta ed esauriente
definizione di sociologia della musica: gli spunti che tale disciplina
offre sono molteplici e complessi. Si tratta inoltre di un settore di studi
relativamente recente e nato quasi di nascosto, poiché frutto spesso di
un secondario interesse per la musica nutrito da diversi studiosi. In
Italia, per lungo tempo la sociologia della musica è stata priva di un
vero e proprio riconoscimento in campo accademico ed istituzionale.
Se intendessimo fornire, come punto di partenza, un‟idea di
cosa animi le ricerche di un sociologo della musica, potremmo
semplicisticamente pensare ad un‟analisi sui rapporti tra la musica e la
società. Ma quale musica? Che tipo di società? Di quali rapporti
parliamo? È evidentemente riduttivo limitarsi a questi pochi e fumosi
concetti; pertanto può essere utile predisporre, in via preliminare, una
serie di elementi che possano condurre ad una definizione del tema
che sia più accettabile e stimolante.
Nel momento in cui si considera la musica come fenomeno
artistico o culturale, ma innanzitutto come fenomeno umano, si stanno
implicitamente affermando delle sue caratteristiche ben precise, ossia
quella di essere collocabile in un contesto sociale e, di conseguenza, la
6
capacità di svolgere delle funzioni al suo interno. E altrettanto chiara
emergerà la potenzialità di provocare dei riflessi in chiave sociale.
Tutto ciò si può compiere su vari livelli: ad un livello macro
potremmo, ad esempio, attribuire il ruolo simbolico di un inno
nazionale ad una manifestazione, di una marcia militare, di un canto
della Resistenza; per un livello micro può venire in mente una
canzone cantata da degli amici attorno ad un falò o una ninnananna
cantata da una madre al suo piccolo. L‟eterogeneità di distribuzione e
diffusione sociale della musica è peraltro indiretta conferma delle
straordinarie e peculiari capacità di suggestione emotiva che, nelle sue
variegate forme, possiede questo tipo di espressione artistica.
Stabilito questo punto, è possibile immaginare l‟applicazione
in ambito musicale della ricerca sociologica, la quale, secondo
Theodor W. Adorno, « promette all‟individuo libero da preconcetti
[…] l‟interpretazione sociale dei fenomeni musicali stessi, la
penetrazione nel loro rapporto sostanziale con la società reale, nel loro
interno contenuto sociale e la loro funzione »
1
. Non bisogna certo
ignorare che si tratta di musica, ossia di una forma d‟arte che, come
tale, risponderà a criteri appropriati i quali non possono essere
trascurati. Secondo una certa impostazione, infatti, prosegue Adorno,
1
T. W. Adorno, Introduzione alla sociologia della musica, Einaudi, Torino, 1971, p. 236.
7
« la sociologia avrebbe a che fare con l‟effetto sociale della musica, e
non con questa stessa, che sarebbe invece oggetto della teoria
musicale, della storia dello spirito e dell'estetica »
2
; così come spesso
si intende « delimitare la sociologia della musica più o meno a
inchieste sul consumo sociale della musica
»
3
. Ma in realtà i problemi
estetici e sociologici della musica risultano intrecciati tra loro
indissolubilmente e costitutivamente, al punto che nulla vale
esteticamente in musica che non sia anche vero socialmente, sia pure
come negazione del non vero; perciò nessun contenuto sociale della
musica possiede effettivo valore se non lo si oggettivizza
esteticamente
4
.
Le pagine adorniane - non a caso intitolate Mediazione -
forniscono un‟idea più definita di quale rapporto intercorra tra musica
e società e di quale mediazione vada appunto operata tra di esse per
un‟analisi completa e pertinente dell‟argomento. Di conseguenza, se
riprendessimo quella vaga definizione iniziale di sociologia della
musica, potremmo ora rivederla con più lucidità e consapevolezza,
affermando che si tratta di un ramo di studi che cerca di interpretare il
fenomeno musicale in relazione a quei contesti sociali in cui esso
nasce, si manifesta o svolge la sua funzione.
2
Ivi, p. 239, corsivo mio.
3
Ivi, p. 240.
4
Cfr. Ibid.
8
Quello che ha portato le scienze sociali ad occuparsi di musica
(e più avanti di “musiche”) non è stato un sentiero privo di difficoltà.
Anzi, l‟itinerario che si è di fatto tratteggiato nel tempo è qualcosa di
alquanto anomalo: sostiene Luigi Del Grosso Destreri che « la
sociologia della musica nasce in ambito tedesco, si sviluppa negli Stati
Uniti, e di seguito in molti altri paesi, ad eccezione di alcuni a forte
tradizione culturale cattolica, come l‟Italia »
5
e questi faticosi inizi
sarebbero dovuti al fatto, talvolta sottovalutato, che per trattare
sociologicamente qualunque argomento diventa indispensabile una
“alfabetizzazione” in tema
6
. E non è casuale che, come si vedrà, i
primi contributi davvero rilevanti in materia vengano considerati
quelli di Max Weber.
La scoperta e lo sviluppo di nuove forme musicali rendono
quanto mai chiaro che « lo studio delle musiche richiede sempre più
approcci extra-musicologici tra i quali quello sociologico appare
rilevante
»
7
. In verità elementi simili sono sempre stati utili a una
miglior considerazione delle musiche: se è vero che tali approcci
servirebbero per comprendere alcuni aspetti di una cantata religiosa di
Bach, figuriamoci quanto possano divenire importanti, se non
5
L. Del Grosso Destreri, Sociologia delle musiche. Teorie e modelli di ricerca, Franco Angeli,
Milano, 2002, Introduzione, p. 7.
6
Cfr. Ibid.
7
Ivi, p.13.
9
imprescindibili, per la comprensione dello sviluppo della musica jazz;
o delle musiche pop nate in quegli anni Sessanta che videro Presley, i
Beatles e i Rolling Stones, ma anche la minigonna, i figli dei fiori, la
protesta giovanile, l‟esaltazione delle droghe, il femminismo, la
contro-cultura, e così via
8
.
Non va infine dimenticato che il continuo incremento della
diffusione e delle modalità di fruizione dell‟espressione musicale è
legato ormai indissolubilmente alla tecnologia e alle sue scoperte,
come l‟elettronica, che da fattore squisitamente tecnologico e di per sé
extra-musicale, ha rivoluzionato i modi compositivi e fruitivi,
sconvolgendo i tradizionali modi di apprendimento e di circolazione
della musica
9
.
Per non parlare di Internet: « nata per scopi di comunicazione
militare, ha ribaltato il concetto di mercato della musica, e con questo
ha anche messo in crisi i diritti d‟autore »
10
.
Alla luce di queste considerazioni, sembra davvero appurata
l‟esigenza di analizzare la musica (e le musiche) anche da un punto di
vista sociologico.
8
Cfr. Ivi, p. 14.
9
Cfr. Ibid.
10
Ibid.
Capitolo 1
Dalla filosofia alla sociologia:
i primi tentativi di studio sulla musica
11
1.1 La musica nell’estetica hegeliana
È pressoché scontato affermare che la filosofia si sia occupata
della musica (e dell‟arte in generale) ben prima della sociologia, per
ovvie ragioni temporali: sono oltre due millenni che separano la
rispettiva comparsa di queste discipline. Sappiamo inoltre da Max
Weber
11
di come già personaggi quali Pitagora, Platone, Plutarco,
Aristotele, Aristossene e Archimede parlassero e scrivessero di
musica; e di come costoro si occupassero anche di applicare ad essa le
loro conoscenze e teorie nate perlopiù in ambito matematico.
Uno dei primi filosofi ad occuparsi in maniera più schematica
di musica, sebbene riservandole ancora una posizione collaterale, è
stato George W. F. Hegel (1770-1831), del quale possiamo reperire le
impressioni in proposito all‟interno della sua Estetica
12
. Va
innanzitutto precisato che il riferimento hegeliano alla musica è da
collocare all‟interno di un più vasto discorso sull‟arte e sul “bello
artistico”, di cui, in questo scritto, l‟estetica rappresenta la scienza.
L‟arte costituisce, insieme alla religione e alla filosofia, una
triade dialettica attraverso cui si esprime lo spirito assoluto, il quale è
in grado di superare ogni antitesi tra vita individuale (spirito
11
Cfr. M. Weber, “I fondamenti razionali e sociologici della musica”, vol. V di Economia e
società, Edizioni di Comunità, Milano, 1995, passim.
12
G.W.F. Hegel, Estetica, Feltrinelli, Milano, 1963.
12
soggettivo) e superindividuale (spirito oggettivo, che ha come più alta
forma di espressione lo Stato). L‟arte medesima è dunque espressione
dello spirito assoluto in forme sensibili; spirito che si colloca al di
sopra degli stati politici. Come per Kant, dunque, l‟arte, nella
concezione hegeliana, non ha alcun fine esteriore, didattico o morale
che sia: essa è fine a se stessa
13
. Sono infatti tre le cose che, secondo
Hegel, caratterizzano l‟arte: « essere un prodotto dell‟attività umana,
essere creata essenzialmente per l‟uomo e avere un fine in sé »
14
.
Tralasciando la trattazione hegeliana di singole arti come
scultura e architettura, possiamo volgere lo sguardo alla musica,
considerata dal filosofo un‟arte prettamente romantica, insieme alla
pittura e alla poesia, la quale precede la musica nella gerarchia
hegeliana. Eppure, a differenza delle altre arti, in cui i rispettivi
prodotti vengono contemplati ma restano pur sempre oggetti che
esistono autonomamente, la musica è « una comunicazione la quale,
invece di avere sussistenza per se stessa, deve essere sorretta solo
dall‟interno e dal soggettivo »
15
. Ossia, l‟impressione ricevuta
dall‟orecchio va subito ad interiorizzarsi
16
. La musica, dunque, usa i
suoni come il linguaggio verbale ma non li piega ad un uso verbale:
13
Cfr. L. Del Grosso Destreri, La sociologia, la musica, le musiche, Unicopli, Milano,1988, p. 24.
14
Hegel, Estetica, cit., p. 37.
15
Ivi, p. 1175.
16
Cfr. Del Grosso Destreri, La sociologia, la musica, le musiche, cit., p. 27.
13
« fa suo elemento il suono stesso, cosicché esso è trattato come fine,
nella misura in cui è suono »
17
. I suoni di cui parla Hegel sono
chiaramente quelli intonati con precisione della tradizione occidentale;
il suono ha valore musicale solo se possiede “determinatezza e
purezza”, ma la determinatezza gli viene fornita soltanto dal rapporto
con altri suoni: perciò la combinazione con questi - creata dall‟artista
e non esistente in natura - lo definisce
18
.
Un altro punto degno di nota dell‟analisi hegeliana è la
distinzione tra musica come accompagnamento dei sentimenti e
musica che si rende autonoma: la prima si ha quando il contenuto
spirituale non è colto nell‟interiorità astratta ed è già stato elaborato
nei termini del linguaggio verbale; ove la musica si liberi da tale
contenuto preformato, essa si rende autonoma. La musica autonoma,
insomma, si scioglie da ogni testo e trae puramente da sé stessa il
proprio contenuto
19
. In questo tipo di musica, afferma Hegel, il
compositore può inserire contenuto o significato in essa, come
potrebbe anche disinteressarsene e concentrarsi sulla struttura
puramente musicale del suo lavoro; così facendo la produzione
musicale diverrebbe facilmente qualcosa di molto povero di pensieri e
17
Hegel, Estetica, cit., p. 1184.
18
Cfr. Ivi, pp. 1200-1201.
19
Cfr. Ivi, p. 1257.