Approfondirò particolarmente quest’ultimo poiché rappresenta uno dei campi
di maggior applicazione della musicoterapia ed è proprio con i soggetti autistici
che la musica sembra dare buoni risultati.
Nel terzo capitolo affronterò alcuni casi particolari quali la sindrome di Down,
i disturbi del linguaggio, il morbo di Parkinson e l’alcoolismo. In tutte queste
situazione l’uso della terapia musicale può portare benefici al soggetto affetto
da una di queste patologie, sia a livello terapeutico che educativo.
Prenderò in considerazione anche una condizione non patologica: la
gravidanza. La musica, durante la gestazione, può essere utile alla madre, al
nascituro e alla relazione che i due instaureranno dopo la nascita.
Il quarto capitolo sarà invece dedicato a una breve ricerca.
In questa sezione analizzerò i questionari che ho sottoposto ad alcuni
musicoterapeuti che svolgono la loro attività in Italia. Cercherò di evidenziare i
loro punti in comune, le loro difficoltà, i risultati che hanno ottenuto sui
soggetti con l’uso della musica. In questo modo potrò verificare a quali esiti
può portare realmente l’impiego di questa tecnica terapeutica.
In conclusione del mio lavoro esaminerò i vantaggi e gli svantaggi di questa
disciplina eventualmente emersi nel corso della trattazione. Cercherò di
individuare quali siano i campi d’applicazione in cui la musicoterapia può
avere maggior successo e con quali tecniche si possono ottenere i migliori
risultati.
CAPITOLO 1
LA MUSICA COME TERAPIA
1.1 Storia della musicoterapia
1.1.1 Definire la musicoterapia
Il termine musicoterapia è stato coniato dai greci e deriva dai concetti di
musikè e therapeia. Per musikè s’intende una rappresentazione dell’uomo in
parola, suono e movimento; per therapeia l’assistenza, la cura, la guarigione.
Oggi con il termine musica intendiamo solamente ciò che è inerente al suono
mentre il termine musicoterapia viene utilizzato per indicare la cura di malattie
che possono giovare degli effetti terapeutici delle audizioni musicali
1
.
Secondo R. Mc Clellan
2
l’utilizzo della musica a scopi curativi si fonda sul
fatto che la musica influisce sul nostro corpo fisico per effetto della risonanza.
Ciò avviene sia a livello personale (emotivo) che transpersonale (spirituale) e si
basa sul presupposto che è nello stress emotivo e in un atteggiamento mentale
negativo, causa di squilibri e blocchi energetici, che possiamo trovare la causa
primaria della malattia. Nella misura in cui il disturbo viene considerato un
sintomo di un malessere la cui ragione va ricercata nella vita emozionale,
mentale e spirituale dell’individuo sofferente, la musica può aiutare a ritrovare
lo stato originario di benessere, ciò in quanto faciliterebbe l’espressione delle
emozioni e potrebbe essere consciamente usata per un vivere migliore.
1
G. Orff, Musicoterapia Orff: un’attiva stimolazione allo sviluppo del bambino, Cittadella,
Assisi 1993.
2
R. Mc Clellan, Musica per guarire: storia, teoria e pratica degli usi terapeutici del suono e
della musica, Muzzio, Padova 1993.
1.1.2 Cenni storici
La musicoterapia è una terapia antica, se non forse la più antica.
L’uso della musica a scopi curativi risale a più di trentamila anni fa
3
. A
quell’epoca la malattia era attribuita a spiriti maligni che dovevano venire
scacciati dal corpo e dalla mente della persona malata. Per fare ciò si cercava di
allettare o spaventare gli spiriti grazie all’uso di canzoni ritmiche che, al posto
delle parole, utilizzavano lamenti monodici e venivano accompagnate dal
suono di zucche vuote e tamburi percossi. Questo metodo fu poi utilizzato
anche in altri riti e cerimonie. La musica divenne così il mezzo dello sciamano
per ottenere la massima concentrazione della mente e del corpo e per
intensificare la volontà di ritrovare e di conservare il benessere fisico. La
tradizione sciamatica sopravvive ancora oggi in alcune popolazioni che hanno
conservato questi canti a intonazione monodica e a ritmo lento.
Dell’uso della musica nel mondo antico propriamente detto, ossia del periodo
che va dalla fondazione delle prime città permanenti dei Sumeri (8000 a.c.)
fino alla caduta dell’Impero romano (V secolo d.c.), sappiamo molto poco
poiché non veniva ancora utilizzato alcun sistema di notazione e i pochi
esistenti, che risalgono però solo al terzo millennio a.c., non sono ancora stati
decifrati. Ciò che sappiamo è che anche i Sumeri, analogamente agli sciamani,
celebravano uffici religiosi in onore di numerosi dei e dee. Tra questi ce n’era
almeno uno che presiedeva la musica e, in alcuni casi, la stessa divinità
tutelava sia la musica sia la salute
4
.
La musica dell’antico Egitto rimane tutt’oggi un mistero poiché le notizie
giunte fino a noi sono veramente scarse. In base al ritrovamento di un esiguo
numero di strumenti rinvenuti nelle tombe e grazie alle rappresentazioni di
attività musicali dipinte sulle pareti dei templi e dei luoghi di sepoltura,
sembrerebbe che lo strumento musicale più usato nelle celebrazioni sacre fosse
l’arpa; venivano però utilizzati anche liuti, flauti e oboi doppi. Secondo Platone
3
Ibidem.
4
Ibidem.
gli Egizi attribuivano alla dea Iside la creazione delle melodie ed era a questa
stessa dea che affidavano il governo delle emozioni e la purificazione
dell’anima. Non si hanno invece notizie sull’uso della musica a scopi
terapeutici.
E’ solo con gli Ebrei che nel mondo occidentale la musica non venne più
utilizzata per propiziarsi le divinità ma assunse una funzione curativa
5
. Essi
infatti ritenevano che la musica avesse poteri stimolanti e sedativi, capaci di
intensificare le emozioni negative fino a liberarne la mente.
Anche i Greci davano molta importanza alla forza guaritrice della musica. Una
delle divinità greche più importanti era appunto Apollo, dio del sole, della
medicina e della musica; ed era proprio Apollo che conservava l’armonia della
vita con la divinazione, la musica e la medicina. Furono però soprattutto
filosofi e musicisti che, con i loro scritti, diedero rilievo al potere curativo della
musica.
Da Omero a Platone a Aristotele tutti sottolinearono la funzione positiva della
musica
6
. Molto importante fu la figura di Pitagora di Samo, nella cui filosofia
le leggi della musica influenzavano l’interiorità dell’uomo attraverso
l’armonia. L’armonia dell’universo corrispondeva, per Pitagora, a quella
dell’anima o universo interiore dell’umanità. Era appunto grazie alla melodia e
al ritmo che si poteva recuperare l’ordine dell’anima e conseguentemente la
salute del corpo.
Quando l’impero romano si estese all’Europa e all’Asia occidentale la sua
cultura assimilò la musica e le pratiche risanatrici dei Greci e, poiché i Romani
consideravano l’organismo umano come una totalità, la musica aveva una
funzione psicoterapica, sia di cura che di prevenzione. Era per questa ragione
che, dopo la cena, venivano eseguiti brani musicali durante i quali lo strumento
più usato era l’arpa o la lira.
5
Ibidem.
6
Ibidem.
In seguito al crollo dell’impero romano emersero nuove filosofie e si verificò la
separazione tra scienza e religione che portò in un certo modo a trascurare
l’anima nel corso del processo diagnostico
7
. La musica venne così assimilata
dalla liturgia ecclesiastica, anche se si sviluppò un genere profano di
trattenimento, popolare e colto.
Nel rinascimento la musica divenne un prodotto artigianale di una
corporazione. Solo nel periodo romantico riuscì a riacquistare la qualifica di
arte. I residui delle pratiche esoteriche, però, decaddero gradualmente nel
folklore e nella superstizione; i medici occidentali, che continuarono ad avere
un interesse per la musica, lo facevano solo come un passatempo estraneo alla
loro professione.
Fu nel 1748 che Louis Roger, un medico di Montpellier, tornò ad occuparsi
degli effetti della musica sulla mente umana e s’interrogò sul perché ciò
potesse accadere. I suoi studi, però, suscitarono scarso interesse e si dovette
attendere fino al XX secolo inoltrato per veder nascere un vero interesse per l’
uso terapeutico della musica.
Il primo corso di musicoterapia si tenne nel 1919 presso la Columbia
University e nel 1944, al Michigan State College, venne inaugurato il primo
corso quadriennale per specialisti in quella disciplina
8
.
Poco dopo furono fondate tre delle più importanti organizzazioni di
musicoterapia: la National Association for Music Therapy, l’American
Association for Music Therapy e, nel 1970, l’American Association of Music
Therapists. Si sviluppò così un movimento crescente di individui e piccoli
gruppi che riuscirono a far filtrare il loro punto di vista e le loro attività nella
medicina ufficiale e nella cultura dominante.
A partire da questo momento l’interesse per la musicoterapia divenne sempre
più cospicuo e numerosi sono oggi i corsi, anche universitari, dedicati a questa
disciplina.
7
Ibidem.
8
Ibidem.
1.1.3 Uno sguardo alla situazione italiana
L’Italia è un paese dove mancano scuole specialistiche. Il moltiplicarsi di
iniziative in tal senso ha percorsi non lineari, che richiedono analisi più
approfondite e soluzioni univoche di programmi, a sostegno delle reali capacità
professionali del musicoterapeuta che non può formarsi senza una valida
preparazione scientifica e senza un’adeguata conoscenza e padronanza delle
tecniche.
Secondo Giovanna Mutti
9
, l’Associazione Italiana Studi di Musicoterapia ha
dato un considerevole contributo alla formazione di studi ed esperienze nel
nostro Paese. L’A.I.S.Mt. sta affrontando con impegno il problema della
formazione e qualificazione del musicoterapeuta e ha segnalato una marcata
carenza tecnico-didattica di questi operatori.
L’autrice ritiene che
10
, in Italia, finora si è vissuto soprattutto dello spirito di
sacrificio, del volontariato di studiosi che, con meritoria dedizione, operano nel
campo della musicoterapia. Devono, perciò, sorgere scuole professionali che
preparino il musicoterapeuta quale operatore di sintesi interdisciplinare, in
possesso delle nozioni fondamentali di quelle discipline che gli consentano di
lavorare in chiave riabilitativa e di recupero di chi può trarre giovamento da
questa terapia.
Nel suo contributo
11
la Mutti spiega che, per affrontare questo problema,
l’A.I.S.Mt. si propone di realizzare al più presto, anche nel nostro paese, un
Corso di Formazione Professionale centrato principalmente su settori specifici:
- settore pedagogico, preventivo-educativo: in quest’ambito l’obiettivo è
lo sviluppo di potenzialità mentali, psico-fisiche, in cui si possa
migliorare l’organizzazione del comportamento, dell’ambiente, del
linguaggio, come conoscenza di pensiero e di comunicazione;
9
G. Mutti, Musicoterapia realtà & futuro: atti del 5° congresso mondiale di musicoterapia,
Omega, Torino 1985.
10
Ibidem.
11
Ibidem.
- settore riabilitativo-terapeutico, in cui viene distinto un intervento di
riabilitazione e un intervento terapeutico;
- settore socio-assistenziale, nel cui ambito bambini e adulti possano, con
l’uso della musicoterapia, migliorare le proprie modalità relazionali e
cognitive ed arricchire, altresì, le potenzialità d’integrazione e di
socializzazione.
Scopo del corso di formazione è appunto quello di formare una figura
professionale composita soprattutto a livello interdisciplinare.
1.2 Aspetti tecnici
1.2.1 Il setting
In musicoterapia il setting costituisce un aspetto molto importante della seduta
in quanto fa parte della consegna di un contesto non-verbale. E’ stato
dimostrato che le sue modificazioni provocano cambiamenti nella condotta e
nel comportamento del paziente. Normalmente il setting è costituito da uno
studio, anche se, in alcuni casi, può essere stabilito all’aperto nella natura e
nell’acqua.
In un suo contributo, Rolando Benenzon
12
descrive alcune caratteristiche
fondamentali dello studio. Deve essere isolato acusticamente da rumori esterni
poiché ogni intromissione di suoni interferirebbe con il processo di
comunicazione; deve avere una grandezza approssimativamente di cinque
metri per cinque; il pavimento deve essere in legno al fine di permettere la
trasmissione delle vibrazioni di un ritmo e anche le pareti devono essere
ricoperte fino a metà dello stesso materiale. L’arredamento può essere
costituito da alcuni armadi che, però, devono essere incassati alla parete al fine
di evitare che siano di ostacolo al movimento. Per quanto riguarda
l’illuminazione non vi sono particolari differenze tra luce naturale o artificiale,
bisogna solo far attenzione che un colpo degli strumenti non rompa i dispositivi
di illuminazione artificiale o le finestre e, per questo motivo, è utile trovare il
modo per proteggerli.
Anche i setting naturali hanno però dei lati positivi nonostante non rispettino le
caratteristiche dello studio. La terra, con le sue imperfezioni, fornisce degli
stimoli grazie alla sua conformazione, al suo colore, alla sua temperatura, alla
sua stessa energia; inoltre, lo spazio non ha limiti. Per quanto riguarda l’acqua,
invece, Benenzon ritiene che sia l’ambiente naturale più stimolante al fine della
comunicazione in quanto riesce a trasformare il corpo in un vero e proprio
12
R. Benenzon – V. Hemsey de Gainza – G. Wagner, La nuova musicoterapia, Phoenix, Roma
1997.
veicolo di movimenti, modificandone la forza di gravità e creando una
condizione che ricorda quella fetale. E’ solo nell’acqua che alcuni soggetti, in
particolare gli autistici, riescono a guardare fisso negli occhi le altre persone,
ad accettare il contatto corporeo e ad eseguire le consegne
13
.
Anche per Alejandro Baron Guinazu
14
l’acqua è uno strumento che permette
facilmente di mettere a fuoco la comunicazione. Offre numerose possibilità di
esplorare ed aprire canali di comunicazione pre-verbali e rinforza le spontanee
esperienze motorie che il paziente vive a contatto con essa. L’acqua possiede
già in sé una multiformità di suoni e, di conseguenza, la terapia svolta in
quest’ambiente non necessita dell’uso di altri strumenti.
L’autore afferma
15
che il nuovo contesto nel quale il soggetto viene a trovarsi
porta quest’ultimo ad abbandonare comportamenti rigidi e stereotipati ed
emerge una maggiore disponibilità: è in questo momento che il
musicoterapeuta può e deve applicare i suoni.
Dopo l’intervento idroterapeutico appaiono nei pazienti segnali di sblocco,
insoliti atteggiamenti che lasciano intravedere una lieve ma precisa possibilità
di comunicazione, che costituiscono un primo segnale di benessere.
L’esperienza piacevole dell’acqua dà al malato la sensazione di star bene col
mondo
16
.
1.2.2 Il Gruppo Operativo Strumentale (GOS)
Un elemento fondamentale della musicoterapia è costituito dall’insieme di
strumenti corporeo-sonoro-musicali da utilizzare durante le sedute.
Questi strumenti devono possedere specifiche caratteristiche: devono essere
costruiti con materiali naturali di facile utilizzazione, permettere diversi tipi di
suoni che evochino quelli animali e umani, consentire spostamenti liberi,
13
Ibidem.
14
A. Baron Guinazu, Tecniche musicoterapeutiche in acqua per soggetti handicappati fisici e
mentali, in G. Mutti, Musicoterapia realtà & futuro: atti del 5° congresso mondiale di
musicoterapia, Omega, Torino 1985.
15
Ibidem.
16
Ibidem.
favorire lo stabilirsi di relazioni con altri strumenti, far si che il loro uso stimoli
la comunicazione
17
.
Ogni parte dello strumento in musicoterapia ha importanza ai fini della
comunicazione: la conformazione, la temperatura, la forma, il colore, la
sonorità, la qualità degli elementi e dei materiali di cui è costituito. Gli
strumenti utilizzati possono essere naturali (che si trovano spontaneamente
nella natura), quotidiani (oggetti di uso giornaliero), creati (creati o
improvvisati dal paziente o dal musicoterapeuta al fine di stabilire un vincolo
con il loro uso), musicali. Questi strumenti vengono poi suddivisi in idrofoni (il
suono è prodotto dal materiale di costruzione), aerofoni (l’elemento vibratorio
è l’aria), membranofoni (il suono è prodotto da una membrana stesa su
un’apertura), cordofoni (una o più corde sono tese fra due punti fissi),
elettrofoni (elettromeccanici, radioelettrici) e corporali. Il corpo umano è lo
strumento più importante a disposizione del musicoterapeuta. Si può affermare
che tutti gli strumenti siano un suo prolungamento e abbiamo origine proprio
da questo. Infatti, è proprio il corpo il primo strumento usato nel vincolo
esistente tra madre e feto e tra madre e neonato. Il musicoterapeuta, afferma
Benenzon
18
, deve perciò conoscere bene il proprio corpo e sfruttarne tutte le
potenzialità sonoro-vibrazionali. Per potersi esprimere liberamente deve
“allenarsi” al fine di eliminare blocchi psicologici, pregiudizi e inibizioni.
Ogni musicoterapeuta, quindi, ha un proprio GOS formato dall’insieme di
strumenti che sceglie di utilizzare per stabilire o migliorare la relazione con il
paziente. Deve conoscere bene tutti gli strumenti e per questo motivo,
generalmente, il GOS resta sempre lo stesso, anche se a volte possono venire
inseriti nuovi strumenti tra cui anche quelli costruiti dai pazienti.
17
R. Benenzon – V. Hemsey de Gainza – G. Wagner, La nuova musicoterapia, Phoenix, Roma
1997.
18
Ibidem.
1.2.3 Il ruolo della coppia terapeutica: musicoterapeuta e co-terapeuta
Il musicoterapeuta è colui che è in grado di gestire l’ascolto e l’espressione dei
codici della comunicazione non-verbale. Di conseguenza deve sviluppare al
massimo le proprie possibilità analogiche
19
e, per fare ciò, deve intraprendere
un cammino di riconoscimento personale in questo campo.
Rolando Benenzon reputa necessario che il musicoterapeuta abbia accesso a
un’esperienza di psicoterapia personale per poter elaborare i propri conflitti
20
.
Il musicoterapeuta sviluppa, autorizza e delimita uno spazio che permetterà al
paziente di “scaricare” le sue energie di comunicazione e ricreare un sistema di
relazione che lo possa riportare indietro nel tempo ad esperienze infantili, egli
inoltre ascolta, osserva e percepisce lo svilupparsi del transfert
21
nel paziente.
I due ostacoli principali al lavoro del musicoterapeuta, secondo lo stesso
autore
22
, sono rappresentati dalla frustrazione e dalla sofferenza narcisistica,
che vengono entrambi resi percepibili dal non-verbale; quest’ultimo è
caratterizzato dal ripetersi delle relazioni infantili e questo crea sollecitazioni
nel musicoterapeuta che deve affrontare il proprio modo di reagire.
Il coterapeuta, invece, può essere o un altro musicoterapeuta o un terapeuta
della salute con capacità clinica terapeutica, come ad esempio uno psicologo,
uno psicoterapeuta, un paramedico, uno psicomotricista. Il suo ruolo è quello di
appoggiare ciascuna delle scelte del musicoterapeuta e favorirne il compito
23
.
19
Viene definita analogica quel tipo di comunicazione che si basa su una similitudine tra
l’oggetto e ciò che si usa per rappresentarlo. Si può inferire che la comunicazione analogica è
tutto ciò che è comunicazione non-verbale. All’opposto, invece, troviamo la comunicazione
digitale che usa una serie di segni convenzionali, non esiste nessuna relazione fra la parola e la
cosa rappresentata. Ibidem.
20
Ibidem.
21
Freud definisce con il termine transfert il processo attraverso il quale un soggetto riflette
sull’analista atteggiamenti emozionali stabiliti dall’infanzia nei confronti dei genitori. Queste
attitudini possono essere positive e affettuose (transfert positivo) oppure negative e ostili
(transfert negativo). (Freud, 1895).
22
R. Benenzon – V. Hemsey de Gainza – G. Wagner, La nuova musicoterapia, Phoenix, Roma
1997.
23
Ibidem.
1.2.4 La supervisione
Postacchini, Ricciotti e Borghesi si riferiscono, col termine supervisione, alla
revisione del materiale emerso durante le sedute con il soggetto. Questa
elaborazione viene effettuata nell’incontro tra l’operatore e un maestro
dell’arte. I supervisori sono, generalmente, psicoterapeuti medici con
specifiche competenze in ambito musicoterapico
24
.
La supervisione in musicoterapia ha principalmente due funzioni: permettere
uno studio della struttura funzionale del tipo di handicap con il quale si sta
lavorando e progettare e correggere, momento per momento, valutandone
l’attuazione, il progetto d’integrazione spaziale, temporale e sociale che si è
costruito su un determinato soggetto o gruppo
25
.
Rolando Benenzon ritiene inoltre che il supervisore possa aiutare anche il
terapeuta a scoprire il proprio controtransfer e ad affrontare le sofferenze
narcisistiche sorte durante la relazione col paziente
26
.
Secondo alcuni autori
27
il lavoro di supervisione consentirebbe di chiarire in
che modo si possa facilitare il passaggio dalla comunicazione spontanea a
quella simbolica.
La supervisione deve infine essere intesa come momento indispensabile della
formazione in musicoterapia. Per le persone che stanno ultimando la propria
formazione è fondamentale prevedere che l’inizio dell’attività musicoterapica
avvenga sotto la sorveglianza di un supervisore
28
.
24
P.L. Postacchini - A. Ricciotti - M. Borghesi, Lineamenti di musicoterapia, Nis, Roma 1997.
25
Ibidem.
26
R. Benenzon – V. Hemsey de Gainza – G. Wagner, La nuova musicoterapia, Phoenix, Roma
1997.
27
P.L. Postacchini - A. Ricciotti - M. Borghesi, Lineamenti di musicoterapia, Nis, Roma 1997.
28
Ibidem.
1.3 Le Scuole di pensiero
Fin dalla sua nascita come disciplina, la musicoterapia ha visto due posizioni
differenti
29
: in genere, medici e psichiatri la fanno rientrare all’interno delle
terapie psicanalitiche e si rifanno alle teorie di Rolando Benenzon e Edith
Lecourt; i musicisti, per la maggior parte, invece, si avvicinano alla terapia
includendo nei loro studi formativi elementi di psicologia e di pedagogia
musicale avendo come punto di riferimento le esperienze di Juliette Alvin, Paul
Nordoff, Clive Robbins e di Giulia Cremaschi Trovesi in Italia.
La linea Benenzon-Lacourt promuove la figura del musicoterapeuta grazie
all’istituzione di corsi appositi in cui è richiesta una conoscenza musicale di
base e un diploma di scuola media secondaria. I concetti base sono quelli della
psicoanalisi. Si parla di “somministrazione” di brani musicali preregistrati e/o
si usano strumenti quali quelli a percussione e qualche idiofono
30
.
Il secondo filone si serve invece del suono come strumento per contattare il
mondo interiore dell’altro, che viene portato a scoprire le proprie potenzialità
onde poter operare i cambiamenti necessari. Il paziente è parte attiva della
terapia; il musicoterapeuta il facilitatore del processo di crescita. I principi base
di questa linea di pensiero sono: l’improvvisazione clinica; l’uso del pianoforte
e di strumenti musicali a corde, percussione e fiato; il dialogo sonoro; la
visione dell’uomo secondo una concezione umanistico-esistenziale. La
formazione del musicoterapeuta richiede una cultura di base unita a
competenze musicali forti (diploma di studi musicali)
31
.
29
http:www.musicoterapia.it
30
Ibidem.
31
Ibidem.