3
che alcune zone hanno problemi di accessibilità, ma è anche vero che
in tali casi il digital divide riguarda la difficoltà di accesso alle
nuovissime tecnologie Internet, in particolare la Banda Larga. Questo
significa che, mentre in alcune zone del globo la gente ha enormi
difficoltà di comunicazione, in altre zone si pensa invece ad andare
sempre più veloci, spinti dalla frenesia del processo di innovazione.
Secondo la Legge di Metcalfe, l’utilità di una Rete è pari al quadrato
del numero dei suoi utilizzatori. Vale a dire che le tecnologie si
sviluppano in modo esponenziale: pertanto, laddove presenti,
cresceranno ad una velocità sempre maggiore, mentre laddove il loro
valore è pressoché vicino a zero, esse si svilupperanno in modo
infinitesimale. Il punto di massa critica è stimato nella diffusione
d’uso del computer nel 25-30% dei nuclei familiari. Orbene, mentre
l’Italia (che resta comunque leggermente al di sotto della media degli
altri Paesi Europei) ha superato questa massa critica assestandosi
intorno al 33% a fine 2001 (stima Eurobarometer, ma negli ultimi anni
questo dato è cresciuto ulteriormente), assai meno rosea è la
situazione nei Paesi in Via di Sviluppo. Vediamo, in concreto, cosa è
accaduto, cosa accade, e quali sono le prospettive.
4
CAPITOLO 1
IL DIGITAL DIVIDE GLOBALE
1.1 Cosa significa digital divide?
La diffusione delle tecnologie dell’informazione e della
comunicazione (ICT) ha accelerato il processo di globalizzazione, ed
ha favorito la nascita di un sistema in cui le attività economiche sono
sempre meno legate al territorio e sempre più vincolate
all’integrazione telematica dei vari attori; tale processo, tuttavia, è
stato tanto rapido quanto diseguale tra le diverse regioni del mondo,
determinando così l’inasprirsi delle disparità socio-economiche tra le
diverse nazioni e tra i diversi gruppi sociali. Col passare del tempo, ci
si è quindi liberati dalla visione romantica e salvifica della tecnologia
come automatica portatrice di benessere diffuso, e ci si è trovati di
fronte ad un problema di enorme portata: il digital divide.
Digital Divide è il termine tecnico utilizzato per esprimere le
disuguaglianze nell’accesso e nell’utilizzo delle tecnologie della
cosiddetta “Società dell’informazione”
1
(Internet in particolare),
disparità che si ripercuotono sulla qualità della vita e sulle
1
Il termine può essere analizzato nell’accezione del professor Negroponte; il quale distingue,
fondamentalmente, tra entità basate su atomi ed entità basate su bit. Una società dell’informazione
è centrata essenzialmente su entità immateriali e quindi sui bit. Ci si arriva sostanzialmente
attraverso quattro ondate, che brevemente sintetizzano la rivoluzione dell’”information
technology” dagli anni ‘60 ad oggi. Il primo periodo è quello degli elaboratori centrali, dei
mainframe, il cui paradigma di riferimento sono le istituzioni e le organizzazioni. La seconda
ondata, negli anni ’80, è caratterizzata dal personal computer; il paradigma di riferimento a questo
punto diventano gli individui, sia all’interno delle aziende, progressivamente vengono collegati da
ponti quali le reti locali, sia all’interno delle loro case, alla fine del decennio. Il periodo attuale è
segnato dall’ascesa delle autostrade digitali, ovvero dalla connessione, in un’unica infrastruttura a
livello mondiale, di tante “isole”. Questa condizione favorirà il passaggio alla quarta ondata, cioè
al periodo della costruzione della vera e propria “società dell’informazione”, caratterizzata dalla
centralità di un contenuto completamente digitalizzato e totalmente convergente.
5
opportunità professionali e culturali e che vanno ad amplificare sul
piano tecnologico i tradizionali meccanismi di stratificazione sociale.
Internet
2
è divenuto col passare del tempo un mezzo di lavoro e di
business, oltre che di informazione e di comunicazione; per cui, non
essere connessi alla Rete (o non avere gli strumenti per farlo)
significa essere relegati ai margini della società.
Generalmente, con la locuzione “digital divide” ci si riferisce al gap
che separa la minoranza dei privilegiati connessi a Internet dalla
grande maggioranza della popolazione mondiale che non può ancora
accedere alle infrastrutture di comunicazione basilari
3
. La grande
disparità nell’accesso alla Rete determina una distribuzione non
uniforme dei benefici economici e sociali derivanti dalla tecnologia,
consolidando le disparità già esistenti. Nella new economy chi non
può accedere ad Internet si trova nella stessa posizione di chi non era
in grado di leggere e scrivere in quella tradizionale. In realtà i
ricercatori hanno riscontrato, anche tra i connessi, delle sostanziali
disparità determinate dal differente grado di padronanza del mezzo e
dalla libertà d’azione che caratterizzano utilizzatori o gruppi sociali
di diversa provenienza. Così, tra i connessi, accanto all’esiguo
gruppo di coloro che possono permettersi i servizi a pagamento, la
2
Internet è definibile come una Rete di reti; è una complessa ragnatela formata da più reti
regionali. Le principali linee di trasmissione sono le cosiddette dorsali (Backbone) che trasmettono
dati ad alta velocità, da 2 Mbit/sec fino a 45 Mbit/sec. Connessi a queste dorsali vi sono computer
che fanno da porta d’ingresso a reti più piccole, che servono zone geografiche circoscritte; queste
possono muovere i dati a velocità che arrivano in genere fino ad un massimo di 2 Mbit/sec. A
queste reti regionali sono connessi i provider, cioè i fornitori di accesso all’utenza privata.
L’utenza privata, infine, si connette a Internet tramite i providers, sfruttando in genere i normali
cavi telefonici con modem che arrivano fino a 56600 bit/sec. Senza considerare la nuova
tecnologia ADSL, che consente velocità di trasferimento dati superiore a 1 Mbit/sec sul normale
doppino telefonico. L’intera struttura di Internet si presenta così come una grande Rete formata da
sottoreti sempre più piccole e geograficamente sempre più limitate, fino a giungere al telefono di
casa.
3
Meno del 6% della popolazione mondiale è connesso alla Rete, quasi esclusivamente dai Paesi
industrializzati dove si trova l’88% degli accessi.
6
maggioranza deve accontentarsi di usare le risorse gratuite, risorse
che tra l’altro diventa sempre più difficile reperire e controllare.
Differenze permangono poi tra chi già utilizza il cyberspazio per
effettuare transazioni commerciali e chi non è ancora in grado di
approfittare dei vantaggi dell’e-commerce
4
. Infine, l’élite dei
cybernauti si divide tra la minoranza di coloro che ha a disposizione
una connessione veloce e quelli che devono ancora fare i conti con la
proverbiale lentezza della Rete.
Tali differenze si snodano lungo i consueti assi di potere, e vanno ad
incrementare i privilegi di una élite transnazionale connotata da
precise caratteristiche sociali, culturali ed etniche, oltre che sessuali.
Lungi dall’essere di secondaria importanza, l’uso ed il controllo
esercitato sulle ICT sono determinanti per stabilire il grado di
partecipazione alla cybercultura
5
ed il tipo e la quantità di benefici
che questa partecipazione può significare per individui e Paesi.
La particolarità del digital divide risiede nel fatto che opera a diversi
livelli, dal globale al locale. Ciò significa che, se la maggiore
drammaticità del tema risiede soprattutto nelle aree dei Paesi in via di
4
Commercio elettronico. Vi sono due grandi categorie di applicativi di commercio elettronico:
business to business e business to consumer. Il primo si rivolge alle aziende che intendono
migliorare la gestione dei flussi di lavoro, ottimizzando i rapporti con clienti e fornitori, con
l’obiettivo di ridurre i costi semplificando e razionalizzando la gestione degli ordini. Nel secondo
caso l’azienda crea un negozio on line dove i consumatori finali possono acquistare direttamente
beni o servizi.
5
Occorre chiarire il significato di due termini importanti: cyberspazio e cybercultura. Secondo
Pierre Lévy, per cyberspazio si intende il nuovo ambiente di comunicazione emergente
dall’interconnessione mondiale dei computer. Il termine non solo designa l’infrastruttura materiale
della comunicazione digitale, ma anche l’oceanico universo di trasformazioni che ospita insieme
agli esseri umani che vi navigano e lo alimentano. Cybercultura designa l’insieme delle tecniche
(materiali ed intellettuali), delle pratiche, delle attitudini, delle modalità di pensiero e dei valori
che si sviluppano in concomitanza con la crescita del cyberspazio.
7
sviluppo
6
(PVS), senz’altro il gap tecnologico può caratterizzare
anche i margini dei Paesi più avanzati dal punto di vista delle ICT.
Si tratta quindi di una “patata bollente” assai difficile da gestire,
perché la sua multidimensionalità impone ai Governi dei Paesi più
sviluppati una molteplicità di interventi: sia a livello interno, per
cercare di mantenere degli standard uniformi tra le diverse regioni,
sia a livello internazionale, in un’ottica di una cooperazione sempre
più diffusa con i PVS.
In effetti le ICT sono anche strumenti molto potenti, in grado di
aprire nuove opportunità di sviluppo e mettere in discussione alcune
delle direttrici lungo le quali si sono sviluppati i rapporti di dominio e
sfruttamento che hanno caratterizzato la società dell’epoca moderna.
Per questo, si è ormai consolidata la convinzione che il digital divide
rappresenti in realtà un’opportunità da sfruttare per consentire ai
Paesi più poveri di saltare alcune delle tappe che portano allo
sviluppo.
Nel seguito della trattazione cercherò di analizzare a fondo il
problema, mettendo in evidenza le sue origini, le varie sfaccettature e
le discriminanti che ne determinano il trend nelle diverse aree del
mondo.
6
Il 57% degli utenti Internet risiede nelle aree metropolitane di Stati Uniti e Canada, mentre meno
dell’1% si connette dall’Africa e dal Medio Oriente.
8
1.2 Le origini: il digital divide negli USA
Il digital divide non è nato come fenomeno globale ma è emerso,
principalmente, come circoscritto alla realtà americana. Si sta ancora
discutendo sull’origine precisa del termine, tuttavia sembra che la si
debba far risalire al 1995. E’ in quell’anno che la NTIA (National
Telecommunications and Information Administration), agenzia
facente capo al Dipartimento Americano per il Commercio e organo
consultivo della Presidenza USA in materia di telecomunicazioni,
pubblica il primo di quattro
7
rapporti governativi: A Survey of the
“Have Nots” in Rural and Urban America. Si tratta, come il titolo
stesso suggerisce, di una panoramica dell’utilizzo di Internet nella
realtà rurale americana, che mette in luce profonde differenze in
rapporto con la situazione delle grandi metropoli.
E’ all’incirca in questo periodo che la Presidenza Clinton utilizza per
la prima volta in modo ufficiale il termine digital divide
8
, dopo che
l’anno prima il vice presidente Gore aveva lanciato quello di
“autostrade dell’informazione”
9
, nell’ottica di un programma di
potenziamento dell’infrastruttura di Internet sul territorio.
Di fronte a questa situazione di squilibrio, l’amministrazione Clinton
predispone diversi progetti per colmare il divario digitale americano,
ma le promesse stentano a trovare conferma sul campo. Tra i flop
più clamorosi vanno segnalati i National Net Day, giornate di
mobilitazione a livello locale per il cablaggio dei 140.000 istituti
scolastici presenti sul territorio (Università escluse).
7
I rapporti Falling Through the Net sono stati pubblicati negli anni: 1995, 1998, 1999, 2000.
8
Definito testualmente: The gap between “information haves and have-nots”.
9
Information Highways.
9
L’ultima giornata si è svolta nel silenzio quasi generale di media,
pubblico e scuole, e l’intera operazione, dopo le iniziali promesse di
supporti economici da parte governativa, è sempre più scivolata sulle
spalle delle comunità e dell’imprenditoria locale. Mentre i successi
ottenuti, e in particolare l’elevata penetrazione di Internet, va quasi
interamente imputata all’industria privata, che da sette-otto anni ne
tiene saldamente in pugno le redini (AOL
10
in primis).
Complessivamente, quindi, la situazione interna si rivela assai poco
rosea. Dall’indagine del 1999 della NTIA emerge che il 40% delle
famiglie USA possiede un computer. Ma tra coloro che guadagnano
meno di 10.000 dollari l’anno, un misero 8% ha il PC ed appena il
3% ha l’accesso ad Internet. Inoltre, secondo un’indagine condotta lo
stesso anno, gli studenti che hanno a casa un PC con accesso ad
Internet traggono maggior giovamento rispetto a quanti devono
invece accontentarsi di usare soltanto le postazioni dei campus
11
.
Un gap socio-economico che, quindi, si propone con sempre
maggiore urgenza. Tanto più che, nella fase iniziale, sono
puntualmente privati e comunità locali ad accollarsi l’impegno
quotidiano; un esempio tra i tanti è fornito dall’attività di Computers
For Youth
12
, struttura non-profit con base a New York.
10
America OnLine
11
Analizzando il cosiddetto WebCT (Worldwide Web Course Tools), che offre a tutti gli studenti
di college la possibilità di migliorare lo spagnolo scritto tramite corsi on-line, due ricercatori
hanno rilevato che almeno il 20% dei partecipanti ha dimostrato evidenti problemi nel portare a
termine i compiti assegnati. Ciò perché si trattava di studenti che ricorrevano soltanto ai computer
lab degli istituti, ovvero privi di accesso alle macchine, a Internet, ed alle ultime versioni dei
browser da casa propria.
12
L’organizzazione offre corsi intensivi e gratuiti di tre ore a persone e famiglie meno abbienti, al
termine dei quali i partecipanti si portano a casa un PC con accesso ad Internet. Il tutto grazie a
donazioni e altre forme di partecipazione di varie aziende informatiche in loco. Tra queste, C3i e
Lotus Development hanno fornito la tecnologia “help desk”, per avviare il training di volontari
provenienti dalle scuole medie. Uno dei maggiori provider di New York, Panix, offre accesso ad
10
La Casa Bianca, dal canto suo, ha sponsorizzato il Digital Divide
Summit (dicembre 1999), ed altre entità private
13
hanno promesso
interventi per avvicinare “haves” ed “have-nots”. Come pure non va
taciuta la creazione di un apposito sito governativo
14
esplicitamente
indirizzato a “closing the digital divide”.
Si fa però fatica ad implementare un programma nazionale su larga
scala, ed ha ragione il mensile Atlantic Monthly quando, in un
editoriale a firma di Wen Stephenson, si chiede, a proposito della
mancanza di reale attenzione da parte dei politici:
“E’ possibile che ogni intervento sulle disparità di classe e di razza all’interno
della new economy non riesca a catturare l’immaginazione di un pubblico ormai
abbagliato dal mercato azionario?”.
Nella classifica che ordina i Paesi in base alla loro capacità di
assorbire l’informazione e l’Information Technology, gli USA sono
passati dal secondo al quarto posto, preceduti ora da Svezia,
Norvegia e Finlandia.
Pertanto, pur essendo la nazione nel mondo con la maggior
diffusione di computer, negli Stati Uniti Internet continua ad essere
un servizio non fruibile dalla totalità della popolazione. In proposito,
John Gantz, responsabile del centro che ha realizzato la ricerca, ha
dichiarato:
Internet a costi assai ridotti, mentre la web community iVillage provvede a offrire spazi ove
pubblicare contenuti specificamente realizzati per Computers For Youth.
13
Soprattutto Benton Foundation e National Urban League.
14
www.digitaldivide.gov.
11
“The Internet had almost 100 million new users in 2000. Because of its
importance and growth, we had to increase the weighting of the Internet-related
ISI component for this year’s rankings. The ISI credited Sweden, Singapore and
Australia with the highest Internet infrastructure scores. Many people in the
United States still don’t have Internet access, and this is dragging down the
Country’s total ISI rating”
15
.
15
Nel 2000 i nuovi utenti di Internet sono stati circa 100 milioni. Proprio in considerazione di
questa crescita esponenziale e dell’importanza che sta assumendo la Rete a livello globale,
abbiamo deciso di incrementare il peso che le infrastrutture legate ad Internet hanno nella
determinazione dei punteggi ISI. I nostri dati accreditano a Svezia, Singapore ed Australia i
punteggi più alti per le infrastrutture di Rete. Molte persone degli Stati Uniti ancora non possono
accedere ad Internet, e questo ha fatto retrocedere la loro posizione nella classifica ISI.
12
1.3 Oltre i confini: l’egemonia USA
La situazione di squilibrio descritta nel paragrafo precedente stride
con l’egemonia economica e culturale che gli USA hanno
consolidato a livello globale, traendo il massimo vantaggio
dall’esplosione della Net Economy. Secondo l’indicatore del divario
digitale incluso nel Globalization Index, il Nord America
padroneggia Internet cinque volte più dell’Europa occidentale. Con
oltre il 60% dei cittadini connessi alla Rete, gli USA sono superati
solo dalla Scandinavia; si tratta di un dato che tiene conto non solo
della popolazione che ha occasione di navigare, ma anche del numero
di siti, di server e di Internet Service Provider, quindi del grado di
padronanza attiva di un Paese in questi settori. Oltre la metà degli
utenti Internet del pianeta vive negli USA, anche se la popolazione
del Paese rappresenta solo il 5% di quella mondiale.
Internet è diventata col passare degli anni la parte integrante
dell’economia statunitense. La New Economy impiega oltre 3 milioni
di lavoratori, ed ha un tasso di crescita maggiore rispetto
all’economia nel suo complesso. Diverse imprese americane attive
nei settori strategici delle nuove tecnologie hanno rinforzato
sistematicamente la loro posizione dominante
16
, contribuendo così
anche a rinvigorire il processo di “colonizzazione culturale” che gli
USA hanno iniziato negli anni ’50. Il dominio statunitense non si
esplica solo a livello economico, tale supremazia si manifesta anche
16
Intel e Sun Microsystems nei microprocessori, Cisco nelle infrastrutture di telecomunicazioni in
fibre ottiche, il trio HP-Dell-Compaq nei computer, Microsoft nel software (con il 90% del
mercato mondiale dei programmi per PC) America OnLine-Time Warner come Internet service
provider e leader nella convergenza multimediale.
13
con la diffusione dell’inglese, in assoluto la lingua più utilizzata nel
cyberspazio
17
. Questo monismo linguistico ha immediate
ripercussioni in termini di omogeneità culturale, di esclusione e di
qualità del servizio fruibile anche da chi non comprende l’inglese.
Il potere culturale degli USA nel cyberspazio si concretizza nella
totale predominanza dei siti americani, nella diffusione dell’inglese e
delle icone della cultura americana.
Inoltre, come ha acutamente osservato Hawthorne
18
, il dominio
americano viene tradito anche dal sistema di indirizzamento del web:
mentre i siti facenti capo a tutti gli altri Paesi del mondo hanno un
identificativo, corrispondente ad un dominio geografico di primo
livello
19
, i siti statunitensi non sono marcati; in tal modo acquistano
una globalità sempre più spinta, essendo di gran lunga più diffusi e
facilmente raggiungibili da ogni postazione Internet del mondo.
17
Più dell’80% delle pagine web sono in inglese, contro il solo 57% degli utenti aventi l’inglese
come madrelingua e il 10% o meno della popolazione globale che parla l’inglese come lingua
madre. Oggi, tuttavia, l’egemonia dell’inglese in Internet appare insidiata dalla prorompente
crescita di un gigante demografico come la Cina che, nonostante l’arretratezza delle infrastrutture,
sembra destinato a svolgere un ruolo chiave nel mercato mondiale delle telecomunicazioni. Il
cinese è già la terza lingua della Rete, ed anche lo spagnolo sta progressivamente erodendo il
vantaggio dell’inglese. Nel 2002 gli utenti di lingua inglese costituiscono il 39,5% della
popolazione totale on-line, mentre nel 1996, quasi agli albori della Rete, erano l’80%.
18
S. Hawthorne, Cyberfeminism: Connectivity, Critique and Creativity, edito da S. Hawthorne e
Renate Klein, Spinifex, pp. 119-121.
19
I domini di primo livello costituiscono parte integrante dell’infrastruttura di Internet, e svolgono
un ruolo di primo piano ai fini dell’interoperabilità del WWW (World Wide Web) su scala
mondiale; è infatti grazie all’assegnazione di nomi a dominio, che gli utenti di Internet collegati in
Rete, possono ivi operare, rintracciando gli elaborati ed i siti web già presenti in Rete, ovvero
divenire essi stessi rintracciabili, attraverso il loro sito o il loro indirizzo di posta elettronica. A
seguito della sua pubblicazione in GUCE n.L113 del 30/4/2002, è entrato in vigore il regolamento
n.73/2002/CE, riportante le regole per la creazione e l’uso del nuovo dominio di primo livello eu;
si è trattato di un atto normativo comunitario di primaria importanza, destinato ad avere notevoli
ripercussioni sullo sviluppo generale di Internet e di tutte le operazioni da questo rese possibili, in
Europa. Il nuovo dominio di primo livello, che si va affiancando a quelli già esistenti a livello
nazionale come i domini geografici .it, .fr, .de, “non soltanto costituirà una pietra miliare per
l’evoluzione del commercio elettronico in Europa, ma favorirà anche la realizzazione degli
obiettivi dell’art.14 (i.e. instaurazione del Mercato Unico ed affermazione della libera circolazione
di merci, persone, servizi e capitali nell’UE) del Trattato”.
14
La contraddizione risiede nel fatto che il digital divide, partito come
problema limitato agli Stati Uniti, abbia poi raggiunto una
dimensione globale, dimensione in cui, paradossalmente, gli Stati
Uniti la fanno da padroni.
Ma cosa ha contribuito all’”esportazione” del digital divide oltre i
confini nazionali? Si è trattato, inizialmente, di un classico problema
di sviluppo regionale, che in parte è rimasto tale, ed in parte, sia pur
in forme diverse, si è riproposto all’interno dei Paesi via via
interessati dall’espansione della Rete. Le analisi sullo sviluppo di
Internet sono state diffuse proprio via Internet, e questo, oltre ad
amplificare gli intenti della ricerca, l’ha proposta sulla scena globale,
dal momento che questo mezzo per sua natura non tiene conto dei
confini nazionali.
L’autorevolezza della fonte ha fatto il resto: il Dipartimento del
Commercio USA stava negli stessi anni promuovendo iniziative per
far corrispondere al carattere globale di Internet un quadro di
regolazione sovranazionale adeguato
20
.
Proprio la dinamica espansiva oltre i confini nazionali spiega il quasi
immediato trasferimento del termine (e con esso degli schemi di
analisi e dei primi bozzi di strategie di intervento) nel contesto
internazionale, molto più complesso, dove pure erano già in atto
iniziative specifiche di cooperazione internazionale a favore dei Paesi
svantaggiati, come il Sustainable Development Network Program
promosso dalle Nazioni Unite
21
.
20
Ad esempio, con la creazione di un organismo indipendente e autoregolato che assumesse le
funzioni di amministrazione tecnica rimaste in capo al Dipartimento stesso, e la rimozione di
vincoli all’export di software per crittografia, che è fondamentale per transazioni sicure.
21
www.sdnp.undp.org.
15
Nel momento in cui la dinamica è diventata globale (tra il 1999 e il
2000), il dibattito è entrato nelle agende dei lavori collettive dei
Governi dei Paesi più industrializzati. OCSE e Banca Mondiale
hanno sponsorizzato e prodotto ricerche, convegni e programmi,
mentre i Governi del G8 ne hanno fatto l’oggetto di impegnative
dichiarazioni:
“Gettare un ponte sulla divisione digitale interna agli Stati e tra gli Stati, è
divenuto un fatto di importanza critica nelle nostre rispettive priorità nazionali.
Chiunque dovrebbe essere in grado di beneficiare dell’accesso all’informazione
e alle reti di comunicazione. Riaffermiamo il nostro coinvolgimento negli sforzi
in corso per formulare e mettere in atto una strategia coerente su questo
argomento. Inoltre salutiamo con soddisfazione la crescente consapevolezza da
parte dell’industria e della società civile della necessità di ridurre il divario”
22
.
Delle iniziative internazionali si parlerà più approfonditamente nella
terza parte; ora ci limitiamo a constatare come il digital divide sia un
problema assi difficile da gestire, proprio perché caratterizzato da una
multidimensionalità che presenta situazioni e impone interventi
diversificati a vari livelli.
22
Carta di Okinawa, approvata al vertice G8 del luglio 2000.
16
1.4 Internet nel mondo: un quadro statistico
Può rivelarsi di grande aiuto, per meglio comprendere la portata del
problema, analizzare le statistiche riguardanti la diffusione di Internet
nel mondo.
Ho anticipato come negli ultimi anni tale strumento abbia
notevolmente accresciuto la propria importanza, nell’ambito della
vita economica e sociale di tutti i Paesi, soprattutto i Paesi “ricchi”.
In tal senso una statistica esauriente, oltre che di estrema attualità
(dati aggiornati al 5 marzo 2003), è quella pubblicata da Internet
Software Consortium
23
(Network Wizards),che riporta dati di
hostcount
24
su scala mondiale.
Una prima analisi molto interessante è quella che riguarda la crescita
del numero di host dal 1986 al 2002 (Tab.1.1).
23
www.isc.org.
24
Per hostcount si intende un calcolo del numero di host Internet, cioè di indirizzi IP permanenti e
attivi, cioè di nodi connessi alla Rete, suddivisi per Paese. Non c’è una correlazione diretta tra il
numero di host e il numero di persone collegate alla Rete in ciascun Paese; il dato di hostcount è
un indice rilevante del livello di attività nell’uso di Internet. Naturalmente l’appartenenza al Paese
dipende da dove è registrata la proprietà del domain e non dalla collocazione fisica del server.
Alcuni operatori, anche in Italia, usano domain americani (classificati come .com o .org o .net),
ma questo fenomeno non ha dimensioni tali da modificare in modo rilevante il significato dei dati
e i termini di confronto tra i diversi Paesi. Tuttavia nell’analisi dei dati sono stati introdotti alcuni
correttivi per neutralizzare l’effetto di questo fattore.