6
Per il passato, questa riluttanza a prendere in esame la
riflessione politica di Huntington, poteva essere imputata, a detta
del professor Leonardo Morlino
2
, al concetto di “sovraccarico
istituzionale” delle democrazie, proposto negli anni Settanta come
cruciale oggetto di indagine da parte del politologo americano, in
parallelo, sia pur con approcci diversi, con altri studiosi, quali
Habermas
3
, Offe
4
e O’Connor
5
.
Una delle conclusioni cui approda la presente tesi di laurea
appare caratterizzata, proprio in connessione al concetto richiamato
da Morlino, da una linea tematica che attraversa tutta l’opera, sino a
giungere alla sua più recente produzione: The Third Wave (1991) e
The Clash of Civilizations.
Il sovraccarico, sotto la spinta delle dinamiche socio-
economiche e della crescita della partecipazione politica che ne
consegue, trasforma il sistema istituzionale in un oggetto del
contendere politico, ponendo in crisi non solo la forma di governo,
ma gli stessi rapporti di dominio che la sottintendono, suggerendo
Mulino, Bologna 1975; R.Rose, Risorse del governo e sovraccarico di domande,
“Rivista Italiana di Scienza politica”, vol. V, n. 2, Il Mulino, Bologna 1975;
A.Valenzuela, Il controllo della democrazia in Cile, “Rivista Italiana di Scienza
politica”, vol. V, n. 1, Il Mulino, Bologna 1975. Ad essi possono aggiungersi, sempre
sulla stessa rivista, i contributi di G. Pasquino, L'opposizione difficile, in “Rivista
Italiana di Scienza politica, vol. IV, n. 2, Il Mulino, Bologna 1974; G.Pasquino,
Interpretazioni del sistema politico italiano, “Rivista Italiana di Scienza politica”, vol.
IV, n. 3, Il Mulino, Bologna 1974; L.Pellicani, Verso il superamento del pluralismo
polarizzato?, “Rivista Italiana di Scienza politica”, vol. IV, n. 3, Il Mulino, Bologna
1974; G.Sartori, Il caso italiano: salvare il pluralismo e superare la polarizzazione,
“Rivista Italiana di Scienza politica”, vol. IV, n. 3, Il Mulino, Bologna 1974
2
“Mentre nella Rivista Italiana di Scienza politica un’eco di Huntington c’è, perché è
ripreso da Rose, nelle altre pubblicazioni sulla crisi non c’é. Al livello poi politico, di
commento politico e di commenti nell’ambiente di studiosi – quindi niente di pubblicato
– la ricezione di Huntington è stata vista negativamente, perché era una ricezione di
destra. La critica maggiore che veniva fatta ad Huntington era di essere di destra, cioè
era di non riconoscere che il discorso non era tanto un discorso di sovraccarico, ma di
diversa distribuzione delle risorse. Quindi metterla in termini di sovraccarico era una
visione ideologica”. Il Professor Leonardo Morlino, intervistato nell’aprile del 2001, è
Docente di Scienza Politica presso l’Università degli Studi di Firenze
3
Cfr. J. Habermas, La crisi della razionalità nel capitalismo maturo, Laterza, Bari 1975
4
Cfr. C. Offe, Ingovernabilità e mutamento nella democrazia, Il Mulino, Bologna 1982
5
Cfr. J.O’Connor, La crisi fiscale dello Stato, Einaudi, Torino 1977
7
percorsi fino ad allora imprevisti, e a volte imprevedibili, per
l’intero sistema politico.
Huntington non elabora una personale definizione del
concetto di sovraccarico. Quella che, comunque, le si avvicina più
di tutte ci è fornita da Richard Rose in un articolo apparso nel 1975
sulla Rivista Italiana di Scienza politica: “Siamo in presenza di
sovraccarichi quando le aspettative popolari sono superiori alle
risorse nazionali, alle capacità di elaborazione del governo,
all’impatto che gli outputs governativi possono realizzare. Un tale
sovraccarico deriva dalla decisione dei cittadini di chiedere al
governo più di quanto esso, nel suo insieme, possa dare”
6
.
È possibile individuare nell’opera di Huntington due diversi
aspetti del sovraccarico: uno quantitativo, dovuto alla distanza
intercorrente tra domande e risorse nazionali, e l’altro qualitativo,
che chiama in causa le capacità di elaborazione del governo, cioè
tutti quei mezzi necessari per neutralizzare le aspettative alle quali il
sistema non può dare un’adeguata risposta senza dover mettere in
discussione le sue stesse fondamenta. La crisi da sovraccarico si
verifica pertanto all’incrocio fra una crescita qualitativa e
quantitativa della domanda e alla sua disposizione a ridosso delle
articolazioni del sistema politico. Maggiore é il quantitativo di
domanda politica, nonché il livello qualitativo che l’accompagna,
più elevata la probabilità che esso coinvolga i punti nevralgici del
sistema, avviando, in presenza di circostanze particolari, quella che
David Held ha definito “crisi di trasformazione potenziale”
7
, i cui
6
R.Rose, Risorse del governo e sovraccarico di domande, “Rivista Italiana di Scienza
politica”, vol. V, n. 2, Il Mulino, Bologna 1975, p. 189
7
“Che cosa è una crisi? È necessario distinguere tra una crisi parziale (o fase di limitata
instabilità) e una crisi che potrebbe condurre alla trasformazione della società. La prima
si riferisce a fenomeni quali il ciclo politico-economico, che implica fasi di boom e
recessioni nell’attività economica, che sono state una caratteristica cronica nelle
moderne economie capitalistiche (e socialiste). La seconda si riferisce all’indebolimento
8
contenuti possono addirittura sovvertire l’insieme dei rapporti di
dominio di un ordinamento politico.
Come impedire che la modernizzazione conduca al sovraccarico
istituzionale? Qualora questo si realizzasse, come ostacolarne il
possibile decorso in una crisi di trasformazione potenziale?
L’obiettivo di Huntington sembra dunque quello di fornire al
sistema politico gli strumenti per gestire e istituzionalizzare la
modernizzazione, impedendole di innescare dinamiche di potenziale
trasformazione dell’intero ordinamento socio-politico.
L’elaborazione teorica dello studioso americano è inoltre
strettamente legata al problema della sovranità politica e al ruolo
che il sovrano è chiamato a giocare all’interno dei singoli contesti
istituzionali.
Huntington tematizza a fondo il nesso intercorrente tra
mutamento socio-economico e sovranità politica. La sovranità
costituisce infatti per Huntington il centro simbolico di uno
specifico contratto sociale, in base al quale gli uomini hanno
concentrato il proprio diritto d’agire, vale a dire il monopolio della
violenza legittima, in un unico punto: lo Stato. È oltretutto presente,
nell’interpretazione del politologo americano, un’impostazione
analitica che sembra avere come punto di riferimento la riflessione
politica di Hobbes. Traendo infatti spunto dal Cristallo di Hobbes di
Carl Schmitt
8
, possiamo sostenere che lo Stato per Huntington si é
sviluppato in una serie di istituzioni, chiamate a loro volta a
preservare i patti nell’ambito di preesistenti rapporti di interazione
del nucleo o principio di organizzazione di una società; cioè all’erosione o distruzione di
quelle relazioni societarie che determinano l’ambito e i limiti di cambiamento delle
attività politiche ed economiche, e non solo di queste. Questo secondo tipo di crisi, che
chiameremo ‘crisi di trasformazione potenziale’, significa che è attaccato il cuore
dell’ordinamento politico e sociale” (D. Held, Modelli di Democrazia, Il Mulino,
Bologna 1997, p. 337)
9
sociale in cui il dominio politico é assicurato soltanto a chi ha quella
potestas in grado di garantire l’obbedienza dei consociati in cambio
della sola protezione, e di impedire al corpo sociale di precipitare
nel precedente stato di natura, da cui aveva tratto origine.
La potestas, permettendo al gruppo dominante di costituirsi in
Stato, cioè auctoritas, garantisce anche l’appropriazione del
monopolio della violenza legittima, legittimata a sua volta dal
rapporto protectio-oboedientia, oltre che dal diritto di interpretare i
fondamenti di valore posti alla base del contratto.
L’azione della potestas non si limita poi alla sola fase di
costituzione dello Stato, ma continua a giocare un ruolo
determinante nel mantenimento dei rapporti di dominio, garantendo
a tal fine l’efficacia del diritto d’agire dell’auctoritas, in vista della
loro riproduzione all’interno del sistema politico e dell’insieme dei
rapporti di interazione sociale.
Huntington presenta un’esplicita concezione della causalità
interna ai rapporti di potere, i quali possono a loro volta incamerare,
col trascorrere del tempo, elementi di novità capaci sia di indurne il
passaggio da una forma di governo all’altra sia, in presenza di
soggetti politici che il sovraccarico istituzionale può porre in
evidenza, di provocare una pressione tale sull’insieme del sistema
politico, fino a minacciarne l’esistenza stessa, lasciando così
scoperti e privi di protezione gli assetti dominanti.
Le preoccupazioni dello studioso di Harvard si concentrano poi
sul sistema democratico, dato che esso si basa su un contratto che,
facendo della piena partecipazione politica uno dei suoi aspetti
principali, può accelerare il decorso della causalità interna ai
8
cfr. C.Schmitt, Il Cristallo di Hobbes, in Scritti su Hobbes. Giuffré Editore, Milano
1986, pp. 153-158
10
rapporti di potere, innescando processi di trasformazione degli
assetti istituzionali.
La democrazia appare infatti a Huntington come un sistema
alimentato da un forte coinvolgimento dei suoi membri nella vita
dello Stato e ispirato a una logica che oltre all’obbedienza, implica
pure una presenza attiva e partecipe dei cittadini. Questa si realizza,
per un verso, nell’ampia diffusione di procedure di selezione della
classe dirigente, legate all’idea di rappresentanza e basate
sull’assioma dell’eguaglianza dei soggetti; per un altro verso, nel
diffuso impegno civico, assunto da una larga parte della
cittadinanza, in funzione del bene comune.
La partecipazione politica democratica si presenta dunque
come la “partecipazione di tutti”, senza che quest’ultima sia poi
differenziata o gerarchizzata in alcun modo.
Contrariamente alle altre forme di governo, la democrazia
non é avvertita soltanto come il luogo del conflitto, in cui la lotta
politica delle forze in campo può generare una mutazione
istituzionale, assicurando al tempo stesso la stabilità dei rapporti di
dominio precedenti, ma diviene anche l’oggetto del conflitto e la
lotta che ne scaturisce può evidenziare di fatto uno scavo in
profondità nelle ragioni stesse del contratto che, una volta svelate,
possono correre il rischio di essere rovesciate.
L’invisibilità della potestas nella democrazia può pertanto
trasformarsi improvvisamente, dinanzi a circostanze favorevoli che
il sovraccarico istituzionale può produrre, in potestas democratica,
cioè sovranità diffusa a tutto il corpo politico che avrebbe in tal
modo la possibilità di imporre il suo “sommo diritto naturale su
11
tutto”
9
, non ultimo quello di sovvertire i precedenti assetti
dominanti.
Per impedire questa evoluzione, che la modernizzazione può
sviluppare, se accompagnata da una crescita della partecipazione
politica, tale da determinare un sovraccarico istituzionale,
Huntington suggerisce di reintrodurre una gerarchizzazione interna
al sistema politico secondo relazioni di dominio e obbedienza,
assicurando così l’unità istituzionale dell’auctoritas.
La concordia sembra essere dunque l’espressione del vivere
civile, al di là della quale c’é solo il caos della società pretoriana.
Evitare questa deriva, significa per Huntington racchiudere il giuoco
democratico all’interno di una sfera esclusivamente procedurale, in
cui la democrazia sia solo un modo per selezionare l’autorità.
Ragione per cui quelle istituzioni, in cui la violenza legittima
dell’auctoritas è visibile, hanno un potere-dovere di intervento e
soccorso nei riguardi del sistema politico e del sovrano, qualora la
crescita della partecipazione politica sviluppasse una dinamica
democratica che si ponesse al di là dei suoi limiti procedurali.
9
Cfr. B.Spinoza, Trattato Teologico-Politico, Einaudi, Torino 1992, p. 383
12
L’istituzionalizzazione della modernizzazione: società civile e
società pretoriana
La democrazia huntingtoniana mostra così i caratteri di una
relazione di comando e obbedienza, da cui viene espunta una
partecipazione politica in grado di interrompere il circuito di
legittimazione dell’auctoritas. Essa deve sì valorizzare e utilizzare
le diversità esistenti nel tessuto sociale, ma le deve saper anche
trasformare, per mezzo di processi di istituzionalizzazione, in un
elemento d’ordine rispondente a una superiore istanza dominativa,
definita appunto dai rapporti di dominio vigenti.
È perciò che lo studioso americano fa coincidere lo sviluppo
politico con la creazione di istituzioni adattabili, complesse,
autonome e coerenti che permettano di concepire la riforma della
struttura politica come se si trattasse di un processo relativamente
indipendente da ogni forma di conflittualità sociale che possa porla
al di fuori di una logica prettamente istituzionale.
I concetti di governabilità e ordine vengono così a imporsi su
qualsiasi altro, dipendendo a loro volta dalla presenza di istituzioni
politiche capaci di riflettere il consenso e il mutuo interesse delle
persone chiamate a legittimarle. L’alternativa all’ordine é difatti
soltanto il disordine che porta alla disgregazione della comunità e
alla guerra di tutti contro tutti.
Il nucleo dell’analisi di Huntington si fonda pertanto sulla
nozione di istituzione e sul concetto di istituzionalizzazione.
L’istituzione è così una forma di comportamento stabile,
condiviso e ricorrente; mentre l’istituzionalizzazione un processo
tramite il quale le organizzazioni assumono validità e stabilità,
13
disponendo un “dominio istituzionalizzato” in grado di regolare
“l’interazione tra i vari gruppi in una società in direzione del
vantaggio sistematico del gruppo dominante”
10
.
Il termine istituzionalizzazione acquista due significati: il
primo fa riferimento alla crescita del grado di istituzionalità da un
dato momento a un altro, il secondo è invece connesso all’ampiezza
e all’efficacia di regolazione dei comportamenti.
Le istituzioni sono la manifestazione comportamentale del
consenso morale e del mutuo interesse che regnano tra i membri di
una collettività e, da un punto di vista storico, scaturiscono
dall’interazione e dalla conflittualità delle forze sociali,
rappresentando il graduale sviluppo di procedure e strumenti
organizzativi atti alla soluzione dei conflitti. Tanto più i gruppi
sociali sono forti, tanto più le istituzioni saranno deboli e viceversa.
Le istituzioni sono inoltre legittime “non in quanto
rappresentano gli interessi del popolo o di un certo gruppo, ma in
quanto esse hanno propri interessi, distinte da quelli di tutti gli altri
gruppi”. Di conseguenza il potere di un governo non deriverebbe
“dal fatto che rappresenti gli interessi di una classe, di un gruppo, di
una regione o del popolo ma piuttosto dal fatto che non rappresenta
nessuno di questi interessi
11
…la sua autorità ha le radici nella sua
unicità”
12
.
10
S.P. Huntington, J.I. Dominguez, Political Development, in “Handbook of political
science”, Reading, Mass., vol. 3., 1975, p. 88, corsivo mio)
11
“L’esistenza di istituzioni politiche (come la presidenza o il comitato centrale) capaci
di incarnare l’interesse pubblico rappresenta l’elemento distintivo tra le società
politicamente sviluppate e quelle non sviluppate, e anche tra le comunità morali e le
società amorali. Un governo con un basso livello di istituzionalizzazione non è solo un
governo debole ma anche un cattivo governo. Se la funzione del governo è quella di
governare un governo debole, un governo che manca di autorità e non è in grado di
ottemperare alle proprie funzioni è tanto immorale quanto un giudice corrotto, un soldato
codardo o un insegnate ignorante. Nelle società complesse la base morale delle
istituzioni politiche si fonda sui bisogni degli uomini” (S.P.Huntington, Ordinamento
politico e mutamento sociale, cit., p. 40)
12
ibidem
14
La forza delle istituzioni dipende poi da due fattori: 1)
dall’ampiezza del sostegno, cioè dal grado in cui le istituzioni
riescono a regolare efficacemente il comportamento dei consociati,
2) dal loro livello di istituzionalizzazione, derivante da alcune
modalità di organizzazione e funzionamento delle procedure.
Il livello di istituzionalizzazione di un intero sistema politico
è connesso infine alla combinazione dei fattori dell’Adattabilità,
della Complessità, dell’Autonomia e della Coerenza.
Il concetto di adattabilità esplica la capacità di un’istituzione
di automodificarsi nei confronti di un cambiamento dell’ambiente,
rimodellandosi rispetto al passato. L’adattabilità è spesso funzionale
all’età dell’organizzazione stessa che può essere misurata in tre
diversi modi: in modo cronologico, richiamando il flusso delle
generazioni che si sono avvicendate al suo interno oppure
analizzando i mutamenti sociali avvenuti nel tempo.
La complessità può indicare sia la moltiplicazione di
settori organizzativi, sia la differenziazione in tipi diversi di
sottounità organizzative. Nel primo caso la differenziazione è
funzionale o gerarchica; nel secondo, equivale invece a una
proliferazione di unità che hanno autonomia di potere. In entrambe
le situazioni, la moltiplicazione delle sottounità assicura e mantiene
la fedeltà dei membri dell’organizzazione. Tanto più
un’organizzazione è complessa, tanto più è altamente
istituzionalizzata.
L’autonomia è il grado in cui le organizzazioni e le
procedure politiche hanno un’esistenza indipendente dalle forze
sociali e dalle altre istituzioni esistenti all’interno dello stesso
sistema politico.
15
L’autonomia, rispetto alle forze sociali, implica che
organizzazioni e procedure non siano la semplice espressione di
interessi particolari, ma tendano ad articolare e aggregare interessi
di molteplici componenti della società. Una forma particolare di
autonomia è rilevabile anche nei rapporti tra Stati, evidenziando le
relazioni che un singolo Stato, o un complesso istituzionale,
intrattiene nei confronti dell’ambiente internazionale. Tanto più le
organizzazioni sono subordinate, cioè penetrabili da forze sociali
provenienti dall’interno della società, tanto più risultano vulnerabili
dall’esterno. L’autonomia di un’istituzione è prodotta da
meccanismi che limitano, moderandolo, l’impatto di nuove forze
sociali, controllandone in tal modo il progressivo inserimento.
La coerenza riguarda infine il grado di coesione e
compattezza interno ad un’organizzazione o ad una procedura.
Dunque, più un’organizzazione è unita e compatta, più il suo livello
di istituzionalizzazione è elevato.
Il principale strumento di istituzionalizzazione in una società
industriale è il partito politico che assume per Huntington un ruolo
chiave nei processi di istituzionalizzazione, presentandosi come uno
strumento di integrazione sia orizzontale, per quel che concerne i
gruppi comunitari, sia verticale, per quanto riguarda invece le classi
economiche e sociali, disciplinando in tal modo la partecipazione
politica e la sua eventuale crescita
13
.
L’approccio istituzionale consente inoltre ad Huntington di
tracciare alcune tipologie di sistemi politici.
13
“I mezzi istituzionali più importanti per l’organizzazione della partecipazione politica
sono i partiti politici e in generale il sistema partitico. Una società che sviluppa partiti
politici abbastanza ben organizzati fin da quando il livello della partecipazione politica è
relativamente basso…ha migliori probabilità di affrontare l’allargamento della
partecipazione politica in modo stabile, rispetto a una società dove i partiti si
organizzano a processo di modernizzazione già avanzato.” (S.P.Huntington,
Ordinamento politico e mutamento sociale, Franco Angeli, Roma 1975, p. 424)
16
Una prima tipologia scaturisce dalla combinazione tra livello
di istituzionalizzazione e livello di partecipazione politica.
Huntington distingue pertanto sistemi che hanno raggiunto un grado
elevato di istituzionalizzazione e sistemi che si trovano a un livello
basso.
Per quel che concerne la partecipazione politica, vengono
individuati invece tre livelli: un livello più basso in cui essa è
circoscritta ad una ristretta élite; un livello intermedio,
corrispondente all’ingresso nella politica di ampi strati della
popolazione, e un livello più elevato, in cui le masse popolari
prendono parte alla vita politica.
Lo studioso americano prende poi le mosse da questa
riflessione per un’ulteriore suddivisione delle società in società di
massa e società a partecipazione totale. Il primo tipo di società è
caratterizzata da istituzioni deboli e presenta una partecipazione
politica non strutturata e disomogenea, il secondo è al contrario
contraddistinto dall’elevato livello di coinvolgimento popolare,
organizzato e disciplinato dall’azione di istituzioni politiche forti; in
questo contesto la partecipazione risulta continuativa, ampia e
solitamente incanalata mediante apposite organizzazioni, la più
importante delle quali è il partito politico di massa.
Una seconda tipologia consente invece di differenziare i
sistemi politici in ordine alla distribuzione e al grado di
accumulazione del potere. Il potere di un ordinamento politico può
essere misurato, per Huntington, secondo due diversi parametri: dal
punto di vista dell’accumulazione, cioè dall’assimilazione di nuovi
gruppi sociali o di nuove risorse, e dal punto di vista della quantità
del potere, vale a dire dal numero e dall’intensità dei rapporti in
grado di vincolare e mobilitare persone e risorse.
17
Sotto il profilo della distribuzione, il potere può essere concentrato
o diffuso, mentre rispetto alla quantità può invece essere più o meno
ristretto.
I sistemi politici differiscono dunque per la loro capacità di
concentrare e diffondere il potere. Da ciò deriva per Huntington
un’ulteriore classificazione, quella cioè tra società civili e società
pretoriane.
Le società civili sono caratterizzate da un elevato grado di
partecipazione politica che convive però con un alto livello di
istituzionalizzazione, dunque di canalizzazione del conflitto
politico. Quindi, disponendo di istituzioni politiche efficaci ed
efficienti, le società civili sono capaci di realizzare sia una
concentrazione di potere necessaria per attuare le riforme, sia una
sua indispensabile diffusione per l’inserimento di nuovi gruppi nel
sistema: il potere può perciò essere tanto concentrato, quanto
diffuso, e tutto questo per un periodo di tempo piuttosto lungo.
Nelle società civili confluiscono, per lo studioso di Harvard,
tanto le democrazie costituzionali quanto le dittature totalitarie.
Al contrario le società pretoriane presentano bassi valori di
istituzionalizzazione, ma elevati livelli di partecipazione politica.
Difettano di istituzioni politiche efficaci ed efficienti, cioè in grado
di canalizzare e mediare il conflitto sociale e sono incapaci di
realizzare una concentrazione del potere necessaria per attuare le
riforme, nonché una diffusione dello stesso indispensabile per
l’inserimento di nuovi gruppi nel sistema. Il potere può essere
concentrato e diffuso solo temporaneamente. La caratteristica
distintiva delle società pretoriane è dunque la rapida oscillazione tra
concentrazione e diffusione, come pure tra concentrazione ed
espansione del potere.
18
La stabilità di un sistema politico dipende pertanto dal rapporto
esistente tra il grado di partecipazione e il livello di
istituzionalizzazione. Per poterla ottenere è necessario che, via via
che aumenta la partecipazione politica, aumentino
corrispondentemente la complessità, l’autonomia, la flessibilità e
l’unità delle istituzioni politiche, trasformando la modernizzazione
socio-economica in una corrispondente modernizzazione politica,
capace di esplicarsi in una istituzionalizzazione delle dinamiche
prodotte dalla prima in funzione dei rapporti di dominio che
sottintendono l’ordinamento politico; prima che quest’ultimi siano
posti in discussione dalle conseguenze derivanti da un sovraccarico
istituzionale.
Disfunzione multipla e crisi di trasformazione potenziale
L’espansione della partecipazione politica dipende, per
Huntington, dal rapporto tra mobilità sociale e sviluppo economico.
La mobilità, accrescendone le aspirazioni, alimenta le aspettative di
fasce sempre più ampie della popolazione, laddove lo sviluppo
economico fornisce le risorse e le condizioni necessarie a
soddisfarle. Se il rapporto tra mobilità e sviluppo evidenzia un
divario, anziché essere a saldo positivo, è probabile che da questo
scostamento sorgano frustrazioni sociali e insoddisfazione diffusa
che finirebbero col riversarsi sul sistema politico. La frustrazione
sociale porterebbe a sua volta ad avanzare ulteriori richieste nei
confronti del governo, mentre l’espansione della partecipazione
politica mirerebbe a rafforzarle.
19
Ragione per cui, qualora le istituzioni politiche esistenti non
siano in grado di canalizzarne l’espressione e disciplinarne le
modalità, si andrebbe incontro a un sovraccarico istituzionale e a un
successivo, probabile, periodo di ingovernabilità politica con il
rischio di deistituzionalizzazione dell’ordine costituito.
È a questo punto che, sotto la spinta del sovraccarico, si
potrebbe aprire per Huntington un vuoto d’autorità da cui potrebbe
scaturire una crisi di trasformazione potenziale del sistema politico
con inevitabili conseguenze per l’intero tessuto dei rapporti di
interazione sociale.
Non ultima la possibilità di una rivoluzione, qualora, una
volta interrotto il circuito di legittimazione del potere, vi siano
gruppi sociali, fino ad allora esclusi dalla sua gestione, in grado di
concludere fra loro un’alleanza politica, centrata su una
ristrutturazione dei rapporti di dominio e sorretta da nuove fonti di
legittimazione, perciò in grado di farsi Stato, disponendo di
un’efficacia organizzativa tale da poter imporre il proprio
monopolio legale sull’uso della forza legittima.
La rivoluzione presenta dunque, agli occhi di Huntington, i
caratteri di una vera e propria disfunzione multipla; da un lato
l’incapacità del sistema istituzionale di governare la
modernizzazione socio-economica, traducendola in
modernizzazione politica, dall’altro l’esistenza di gruppi esclusi
dalla gestione del potere, ma nelle condizioni di proporre un’elevata
capacità di interpretazione dello sviluppo politico, legittimandola
con la tendenza a una generale trasformazione dei rapporti di
dominio.