Serafin/La modernità fra patogenesi ed emancipazione/16 Dicembre 2005
dell’opinione pubblica. Si è pertanto cercato di condurre il ragguaglio
intorno alle loro tesi secondo la metodologia di ricerca della Teoria
Politica, ricostruendone i relativi sistemi argomentativi per scoprirne la
struttura interna e evidenziarne le eventuali comunanze con il pensiero
di altri autori, o piuttosto l’uso improprio che se ne è fatto.
Se da un lato Koselleck propende per una soluzione della crisi, che si
presenta al mondo della modernità, in senso autoritativo, dall’altro
Habermas prefigura un modello degenerativo che prende le mosse dalla
originaria autenticità della separazione della sfera pubblica da quella
privata; se da un lato la critica è ambasciatrice di crisi, di giudizio, ed è
quindi ipocritamente politica poiché nasconde l’intento di sostituirsi
all’autorità vigente (cfr. infra p. 10), dall’altro l’esercizio pubblico di una
razionalità critica è kantianamente segno del progresso, e il suo
impedimento significherebbe un ritorno ad una condizione di minorità
(cfr. infra p. 40). Ma entrambe le opere tradirebbero una concezione
della modernità che muove in modo dialettico dalla medesima fonte,
quella dell’intagibilità del foro interiore delle convinzioni morali che è
lasciata libera dall’intromissione del potere autoritativo - come
tematizzato da Thomas Hobbes, cfr. infra p. 6 - in virtù della sua
costituzione come potere assoluto, come Leviatano che non ammette
altra autorità sopra di sé, ma che per forza di cose non può che
rivolgere il proprio intervento coercitivo su quanto è osservabile
dell’agire individuale – il comportamento esteriore - e invece resta
impotente rispetto alle opinioni.
Cercando di focalizzare le differenze fra il pensiero rousseauiano e il
Fürherprinzip che Koselleck mutua dall’opera di Carl Schmitt, emerge
con chiarezza che la supposta naturalità dell’omogeneità del popolo con
lo Stato, posta da Rousseau a salvaguardia della legittimità delle norme,
e che Koselleck e Schmitt ritengono attuabile solo in seguito all’opera
uniformatrice delle opinioni dei singoli rispetto alla volontà generale per
mano del Capo, si rende necessaria solo se si è orientati a ricercare
l’accordo dei cuori e non invece un accordo sulla base degli argomenti.
E’ il grande salto concettuale che Habermas compie solo dopo aver
formulato la teoria dell’agire comunicativo, appena abbozzato nella
Prefazione alla nuova edizione di Storia e Critica del 1990, e che si
compie in Fatti e Norme (1992), opera nella quale giunge – fra l’altro -
alla rivalutazione del ruolo di un pubblico discutente all’interno di un
quadro di democrazia proceduralista (cfr. infra p. 63).
Di Storia e Critica, pur con tutte le obiezioni che le sono state
apportate nel corso del tempo riguardo al concetto stesso di sfera
pubblica borghese, che resterebbe inficiata della medesima accusa di
ipocrisia di Koselleck che Habermas tenta invano di smentire (cfr. infra
p. 63 e segg.), restano le grandi intuizioni relative ai fenomeni della
mercificazione della cultura e dell’informazione, all’analisi del
comportamento elettorale della popolazione, del ruolo delle
organizzazioni intermedie fra Stato e società e il loro effetto sulla
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formazione di un’opinione pubblica realmente libera, temi di assoluta
attualità nel tempo della videocrazia, in cui il pubblico appare
esattamente come descritto nel 1961 da Habermas, e cioè un
palcoscenico per la rappresentazione dell’opinione attraverso il quale si
crea l’identificazione necessaria a tenere avvinta una platea popolare,
volta per volta acclamante di quel che le è presentato come reale.
Quanto allora la rete discorsiva, in cui gli individui sono inseriti a
prescindere dal sistema politico, resta integra rispetto ai modelli che
vengono veicolati attraverso i media? Tutti chiamano in causa l’opinione
pubblica: è quotidianamente impiegata per dare legittimità ai propri
argomenti. Dire che l’opinione pubblica è dalla nostra parte significa
dire che le nostre dissertazioni sono veritiere, che hanno patente di
validità, poiché su di esse s’è posato come un’ombra il consenso del
pubblico. Ne consegue che, per essere sempre nel giusto e nel vero, ci si
deve in ogni caso orientare sulla lunghezza d’onda dell’opinione
pubblica, la quale deve essere monitorata, misurata costantemente,
attraverso i sondaggi d’opinione. La scienza del sondaggio pare però
quasi mutare in arte creativa: l’opinione determina il sondaggio, o
piuttosto il sondaggio crea l’opinione? Il confine è sottile. Sarà forse
oggetto di una mia prossima discussione.
Vorrei infine ringraziare la Dottoressa Gabriella Silvestrini per il
contributo critico dato a questa relazione.
Davide Serafin.
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La premessa: l’approccio metodologico
"Circa gli intendimenti effettivi di questo saggio sono sorti parecchi
equivoci"
1
.
Questo l’esordio di Koselleck nelle prime righe della prefazione a
Critica Illuminista e crisi della società borghese. Ma non è specificato il
genere di fraintendimenti a cui è andato incontro il suo lavoro. In ogni
modo, esso si collocherebbe ad "un livello relativamente alto di
astrazione"
2
. L’oggetto del saggio è una serie di avvenimenti precedenti
l’età moderna; l’autore chiarisce che i risultati di tale analisi potranno
rendere evidenti ‘strutture esemplari che si perpetuano fino ai giorni
nostri’, in quanto in ogni epoca sono riscontrabili «elementi
permanenti»: la crisi che Koselleck vive al momento in cui scrive - la
guerra fredda della contrapposizione fra i due blocchi che si profila
all'indomani delle efferatezze del secondo conflitto mondiale e
dell'affaciarsi al mondo delle nuove forme politiche totalitarie - ha
origine nel passato. I vizi della contemporaneità non nascono nella
contemporaneità, la realtà dell'oggi è il risultato degli accadimenti di
ieri, come frutto di una sintesi che si produce continuamente dalla
riduzione del conflitto fra antico e moderno.
Nell'introduzione all’edizione italiana, Pierangelo Schiera spiega
l'approccio metodologico di Koselleck sottolineando che la sua analisi si
caratterizza per la "particolare attenzione rivolta alla «funzione politica»
svolta dal pensiero e dalla mentalità illuminista"
3
all’interno del quadro
politico dell’assolutismo. Koselleck intende studiare le idee politiche,
anzi l’idea politica dell’Illuminismo, a partire dalla sua politicità: non
ricostruire la struttura interna alle idee, non intendere le idee politiche
esclusivamente nella loro essenza, ma considerarle insieme al contesto
politico-sociale da cui emergono. In tal modo, esse finiscono per essere
colte nella loro dimensione propriamente «ideologica». Le idee sono
studiate in senso più esaustivo colte in un oggetto globale come "la
struttura di fondo di un sistema politico-sociale"
4
. Più precisamente, il
tema dell’opera di Koselleck è la «genesi dell’utopia da un insieme di
funzioni storiche» del secolo decimottavo:
il metodo impiegato fonde le analisi storico-concettuali con le analisi
sociologiche delle situazioni. Le correnti di pensiero verranno studiate
soltanto per rendere evidente il loro accento politico; verranno chiarite le
situazioni nelle quali le idee furono concepite e sulle quali a loro volta
hanno influito, ma soltanto per ricavare l'evidenza politica delle idee
5
.
1
R. Koselleck, Critica illuminista e crisi della società borghese, Il Mulino, Bologna
1972 [1959], p. 3.
2
Ibidem, p. 4.
3
P. Schiera, Strutture costituzionali e pensiero politico, in Koselleck, op. cit., p. VIII.
4
Ibidem, p. XIII.
5
Koselleck, op. cit., p. 10.
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Richiamandosi esplicitamente all'opera di Koselleck, Jürgen
Habermas volge il proprio sguardo all'emergere del campo di tensione
fra società e Stato e alla sua modificazione nel tempo. Ma
contrariamente, in ‘Storia e critica dell’opinione pubblica’, non si arresta
come Koselleck alla descrizione della «patogenesi» dell’età moderna.
Illustra piuttosto un percorso storico, sociologico, economico, di storia
delle idee, che procede dall'emancipazione di una sfera pubblica di
privati - attraverso l’autointendimento dell’individuo nella sfera pubblica
letteraria e l'uso pubblico della ragione sfociante nel pubblico
argomentare sulla legittimità dell’autorità dominante - alla sua
disgregazione con la compenetrazione di sfera pubblica e privata nella
società mediatizzata e polverizzata odierna, la quale manifesterebbe i
segni di una regressione ad una sfera pubblica rappresentativa di tipo
feudale.
Riguardo tutto ciò, avverte Habermas, la categoria della sfera
pubblica deve essere esplorata non entro i confini di una singola
disciplina delle scienze sociali, poiché se "preso separatamente, il nostro
oggetto si dissolve"
6
. E' necessario, a suo avviso, adottare l'ampia
visuale della «politica tradizionale» e procedere contemporaneamente sia
sul piano sociologico sia sul piano storico, poiché i concetti di sfera
pubblica e opinione pubblica non possono essere separati dalla storia
evolutiva della società borghese del XVIII secolo. Il suo oggetto sono,
pertanto, i lineamenti di una figura storica: il modello liberale di sfera
pubblica borghese.
Reinhart Koselleck: critica come origine della crisi.
Il lascito schmittiano: Stato neutralizzato, foro interno e
guerra civile.
C'è una particolare vicinanza fra Kritik und Krise e il pensiero di Carl
Schmitt, in particolare nel saggio del 1938 intitolato Der Leviathan in
der Staatslehre des Thomas Hobbes. Sinn und Fehlschlag eines
politischen Symbols
7
, che costituisce l'asse portante della tesi di
Koselleck sull'Illuminismo.
Ne sono presupposto le guerre di religione che seguono alla Riforma e
che devastarono l'Europa del XVI secolo, un secolo in cui l'umanità
sembrava non poter che essere dominata dalla fede, dalla passione.
Hobbes è stato uno dei pensatori politici che hanno cercato una via
d'uscita alla guerra civile. La guerra porta con sé la distruzione e la
morte. Gli uomini sono pervasi dalla paura della morte. E' questa paura
6
J. Habermas, Storia e critica dell'opinione pubblica, Editori Laterza, Roma-Bari
1977 [1961], p. 3.
7
C. Schmitt, Il Leviatano nella dottrina dello Stato di Thomas Hobbes. Senso e
fallimento di un simbolo politico, in Scritti su Thomas Hobbes, a cura di Carlo Galli,
Giuffrè Editore, Milano 1986 [edizione originale Hanseatische Verlag, Hamburg 1938].
7