La moda italiana nel cinema: dal ventennio fascista alla dolce vita 4
Durante il mio percorso di studi mi sono trovata a studiare il linguaggio e l‟importanza della moda
nella nostra società.
Il cinema, come altri mezzi di comunicazione, ha sempre creato ed enfatizzato i fatti di costume,
modificando il clima culturale di ogni epoca e conseguendo un enorme successo di pubblico. Il
cinema, infatti, è un potente strumento di suggestione, disponendo di memorie e fascinazioni
appartenute ad altri settori, ad altre gesta, ad altre epoche. Il cinematografo è, proprio per questo,
fortemente legato al mondo della moda.
Moda e cinema, dunque. Due istituzioni, due sistemi di segni, due linguaggi che interagiscono nella
produzione di un senso, appropriandosi di discorsi di diversa provenienza, adattandoli al mezzo in
un processo di trasformazione continua. Di qui nasce l‟idea di questa tesi di laurea che si propone di
cogliere il rapporto tra i due linguaggi.
Affrontare per intero il vasto panorama che circonda la Moda ed il Cinema si sarebbe rivelata
impresa ardua, tradotta poi in qualcosa di troppo approssimativo. Per questo si è deciso di stringere
il campo d‟analisi alla relazione tra i due linguaggi nell‟Italia fascista, giungendo di seguito sino ai
primi anni ‟60.
Questa tesi è sviluppata in tre capitoli. Si è diviso il lavoro per epoche storiche, analizzando di
seguito il cinema, la moda e l‟interazione contigua tra loro.
La prima parte dell‟elaborato è dedicata al ventennio fascista: i primi film apparsi sotto la dittatura,
convergendo poi verso un breve riassunto dell‟industria tessile italiana e della moda negli anni Venti
e Trenta. Si passano inoltre in rassegna i titoli dei cosiddetti “Telefoni bianchi”, genere di
narrazione sentimentale avente per protagoniste segretarie spensierate e giovani rampanti, in cui
l‟idea di sfarzo e lusso viene esplicitata, appunto, dagli immancabili apparecchi bianchi utilizzati
come sfondo delle trame. Il capitolo si chiude con la rassegna delle giovani celebrità dello schermo
e con il germe del divismo oramai radicato anche in Italia, sino all‟exploit degli anni Trenta, periodo
in assoluto di maggiore influsso cinematografico sulla moda.
La seconda parte dell‟elaborato è centrata sul dopoguerra, la nascita del Neorealismo ed il miracolo
economico italiano degli anni Cinquanta e Sessanta. Il cinema ha spesso raccontato la storia in film
che hanno superato le epoche.
Gli anni Cinquanta costituirono il decennio più importante per la trasformazione del paese, del
cinema e della moda. Le più famose star di Hollywood giunsero a Roma durante il ribattezzato
periodo della „Hollywood sul Tevere‟, trasformando la città non solo nella capitale del cinema, ma
soprattutto della moda. I grandi sarti aprirono i loro atelier nella città eterna, legando i loro nomi alle
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dive italiane e straniere. Tra i maggiori creatori spiccarono le Sorelle Fontana che, con l‟abito
nuziale di Linda Christian, modello che più di ogni altro ebbe risonanza nel mondo della moda,
diedero inizio al connubio moda - cinema.
L‟elaborato si conclude agli albori degli anni ‟60 con il film che più di ogni altro ha raccontato il
cambiamento dell‟Italia durante il Boom: La dolce vita di Federico Fellini.
In omaggio al grande regista si è voluto qui dedicargli una piccola biografia.
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CAPITOLO PRIMO
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1.1 Brevi cenni al cinema del Ventennio
Come tutti i regimi totalitari, anche il Fascismo comprese e sfruttò fin dagli esordi il potere del
cinema e dei media. Ma l‟Italia, che fin dagli Anni Dieci1 poteva vantarsi del titolo di “patria del
cinema”, rese l‟obiettivo ancora più facile da raggiungere. Le prime colonne portanti dell‟industria
cinematografica, che nei decenni successivi si svilupperà affermandosi anche a livello internazionale,
fornendo spunti e indicazioni a produttori ed a registi stranieri, sorsero a Torino, Roma, Napoli e
Milano. Generi fortunati come il kolossal storico-mitologico, ed anche nuovi fenomeni di costume
come quello dello star system2, furono infatti invenzioni italiane: innovazioni che tuttavia, a causa
della divisione industriale nazionale dell‟epoca, non risultarono sufficienti, almeno fino alla metà
degli anni ‟20, a garantire la necessaria solidità ad un sistema insidiato dal cinema americano e russo.
Durante la prima fase di sviluppo del cinema muto italiano, iniziò a farsi strada un altro filone, dopo
quello mitologico-storico e dei „forzuti‟, destinato al successo: il dramma passionale. Caratterizzato
da una nuova ricerca psicologica nelle vicende e nei personaggi, questa tipologia, che attinse molto
dalla letteratura verista e dalla narrativa meridionale italiana, venne spesso incontrata da diverse dive
dell‟epoca, tra cui Lyda Borelli, Francesca Bertini ed Eleonora Duse.
Tra le opere principali di quel filone, si possono annoverare: Ma l‟amor mio non muore (1913),
diretto da Mario Caserini con Lyda Borelli3; Assunta Spina (1915), tratto dalla tragedia di Salvatore
di Giacomo per la regia di Gustavo Serena con Francesca Bertini.4 Infine, Cenere (1916) di Arturo
Ambrosio, tratto dall‟omonimo romanzo di Grazia Deledda ed interpretato da Eleonora Duse, alla sua
prima ed unica apparizione sul grande schermo.
Al momento dell‟entrata in guerra l‟industria cinematografica nazionale potè considerarsi
competitiva, avvalendosi del contributo di 46 ditte (distribuite equamente tra Roma e Torino).
Nonostante le ripercussioni economiche, il periodo tra il 1915 e il 1918 vide un aumento della
produttività: tendenza questa che stimolò anche la concorrenza interna tra le case di produzione,
Cesar e Tiber su tutte.5
La crisi economica e finanziaria post bellica danneggiò gravemente il sistema economico dell‟intero
paese e dell‟industria cinematografica. Il 30 gennaio 1919 il governo, nel tentativo di arginare la crisi,
istituì l‟U.C.I., (Unione Cinematografica Italiana), finanziata dalla Banca Italiana di Sconto e dalla
Banca Commerciale Italiana. Di lì a pochi mesi, l‟U.C.I. assorbì numerose aziende cinematografiche
italiane in difficoltà, Tiber compresa. Nonostante i provvedimenti, la crisi economica e la crescente
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invadenza straniera portarono il cinema italiano al collasso, decretato, nel 1921, dal clamoroso
fallimento della Banca Italiana di Sconto. Il fallimento, seguito nel 1923 da quello dell‟UCI6,
costrinse il governo fascista a tentare alcune manovre per la tutela dell‟industria cinematografica e
dell‟impresa in generale. Uno spiraglio di ripresa si vide nel 1926. Il regime decise infatti di
intervenire emanando decreti che obbligarono le banche all‟iscrizione forzata ad un albo, nonché
all‟accumulazione a riserva del 10% degli utili ed alla verifica dei bilanci presso la banca d‟Italia.7
Nel 1926 si produssero, a causa dell‟interesse popolare nei confronti delle pellicole straniere,
americane e francesi soprattutto, solo venti lungometraggi. Il peso e l‟interesse sempre maggiori
manifestato dal regime nei confronti del cinema ebbero come conseguenza la sottomissione dell‟arte
nei confronti dello Stato.8 Il primo film fascista, Sole di Alessandro Blasetti, uscì nel 1929. Incentrata
su temi riguardanti la bonifica delle paludi pontine, la pellicola mostrò grandi scenari naturali. Lodato
dai critici, Sole fu però completamente ignorato dal pubblico. All‟interno dello stesso filone
contadino, con il chiaro intento di incitare la produzione agricola a scapito del capitalismo, si
collocarono altri film come Quattro passi fra le nuvole, Selvaggio e Strapaese. La vita contadina
uscirà vincente dal confronto con quella cittadina.
Per quanto riguarda, invece, la produzione cinematografica indipendente tra il 1923 ed il 1929, prima
dell‟avvento del sonoro, i produttori italiani cercarono di riprendere le fila interrotte dalla prima
guerra mondiale, realizzando una serie di film in costume. E‟ del 1923 il già citato Quo Vadis?9, del
1924 Cirano de Bergerac, del 1926 Maciste all‟inferno di Mario Camerini. La storia passata fu vista
come preparazione all‟avvento del fascismo, e i grandi avvenimenti storici furono mostrati come
precursori dei fasti dell‟Italia mussoliniana. Alla fine del 1929 aumentò il pubblico nelle sale: nel
1930 nel totale degli incassi cinematografici si registrò un aumento di quattro volte superiore a quelli
di teatro e lirica.10
L‟avvento del sonoro aprì una nuova era nella cinematografia italiana. In questa fase, un ruolo
fondamentale venne ricoperto da Stefano Pittalunga che nel 1931 produsse, da solo, addirittura il 90%
dei film italiani col marchio Pittalunga Cines.11 Stroncato da morte improvvisa, non godrà i benefici
della prima legge protezionistica, promossa in prima persona, a sostegno del settore (ne seguirà una
seconda nel 1933). La legge sul cinema accolse i consigli di Pittalunga. Impose, da un lato, una tassa
ad importatori e doppiatori di film stranieri, e dall‟altro, accordò premi in denaro calcolati sugli
incassi.
La Cines continuò comunque, sotto la direzione di Emilio Cecchi, fino al 1933, anno in cui venne
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acquistata da Carlo Roncoroni, per poi esser distrutta nel 1935 da un incendio, la produzione di film
con registi di valore come Alessandro Blasetti, Mario Camerini, Carlo Ludovico Bragaglia, assieme
ad autori come Luigi Pirandello e Corrado Alvaro, ponendosi come punto d‟incontro tra cinema e
cultura.
Grazie ai consigli di responsabili politici, in primis Luigi Freddi, Mussolini lasciò al cinema italiano
la possibilità di realizzare pellicole con sufficiente autonomia, limitandosi a controllarne i
documentari didattici ed i cinegiornali educativi. Freddi12 fu chiamato nel 1923 da Mussolini a
dirigere l‟Ufficio di Propaganda del partito, salvo poi ottenere l‟incarico di organizzatore della
Direzione Generale della Cinematografia. Studiò a lungo il sistema cinematografico americano, tanto
che, dopo un soggiorno di due mesi a Hollywood, rievocando quell‟esperienza disse: «il cinema mi
era entrato nel sangue», intuendo da subito l‟importanza del marketing.
Circondandosi di validi collaboratori, Luigi Chiarini e Jacopo Comin su tutti, Freddi creò un‟agenzia
di stampa dedita a fornire notizie ai giornali su film in preparazione ed in lavorazione. Collocò
prontamente in Germania, Inghilterra e Francia agenzie per la promozione e la vendita dei prodotti
italiani. Freddi mischiò l‟intervento statale a quello privato, coinvolgendo nell‟operazione nuovi
investitori. Il fascismo sperimentò quindi un‟industria cinematografica efficiente, ma, nonostante
tutto, molto lontana da quell‟aspirazione liberista di stampo puramente americano. Sugli schermi
dominavano i film hollywoodiani. In questo periodo Freddi elaborò con i suoi collaboratori il
cosiddetto “progetto imperiale”. Ritenne infatti che, per promuovere il cinema italiano all‟estero,
fosse necessario puntare su “trame e soggetti esclusivamente italiani”, senza inseguire i competitori
su improbabili vicende straniere, puntando bensì sulla specificità della propria storia.
Tra il 1936 e il 1938 il progetto raggiunse, almeno in parte, i suoi obiettivi. Tra le pellicole
fondamentali: Sentinelle di bronzo (1937), Il grande appello (1936) e Luciano Serra pilota (1938).
Tre opere nate in conseguenza della vittoria fascista in Etiopia.
Sia Il grande appello che Luciano Serra pilota narrarono le peripezie di due mascalzoni buoni: il
Pilotto de Il grande Appello e l‟Amedeo Nazzari di Luciano Serra pilota. Quest‟ultimo, sceneggiato
da Roberto Rossellini e supervisionato da Vittorio Mussolini, rappresentò una esaltazione della
guerra d‟Africa. Vincitore della Coppa Mussolini al Festival di Venezia13, il film ottenne un notevole
successo di pubblico, soprattutto tra i giovani dell‟epoca.
In seguito, Freddi favorì il sorgere di riviste specializzate, alcune con intenti di ricerca: „Lo Schermo‟,
„Cinema‟, „Bianco e nero‟; altre, come „Film‟, con l‟unico scopo di creare aspettativa attorno alle
future produzioni.
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Quando, nel 1935, gli studi della Cines vennero distrutti dal già accennato incendio, Freddi colse
l‟occasione per realizzare il suo sogno, condiviso dallo stesso Mussolini: una Hollywood tutta
italiana. Il 29 gennaio 1936, alla periferia della Capitale, il duce depositò la prima pietra di Cinecittà,
che verrà ultimata dopo 457 giorni, il 28 aprile del 1937.
La nascita di Cinecittà, insieme al successivo decreto legge del 16 giugno del 1938, in vigore dal 9
aprile 1939 come “Legge Alfieri”, che affidò l‟acquisto delle pellicole straniere all‟E.N.I.C. (Ente
Nazionale Industrie Cinematografiche)14, modificò il „sistema‟ cinematografico. La nuova legge non
cancellò la legislazione precedente (gli aiuti finanziari, con Freddi, si concedevano prima
dell‟ultimazione del film, in modo da poter anche esercitare una forma di controllo preventivo sul
risultato finale), ma sostituì gli anticipi finanziari, deliberati da un‟apposita commissione ministeriale,
con premi attribuiti in proporzione sugli incassi raccolti.
Decadde definitivamente il controllo preventivo esercitato prima ancora della realizzazione. I film
furono allora premiati solo dopo l‟uscita in sala, sulla base degli incassi, con il chiaro intento di
stimolare una produzione il più possibile commerciale.