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Da una rapida analisi dell’evoluzione dell’agricoltura italiana a
partire dal secondo dopoguerra, si può riscontrare come nonostante il
forte incremento produttivo avvenuto nel corso degli anni ‘60 e ’70, il
suo sviluppo non sia stato uniforme su tutto il territorio. Alle tradizionali
differenze fra Nord e Sud, si sono aggiunte quelle derivanti dalla
concentrazione della produzione agricola nelle zone pianeggianti ed
intensive, con un progressivo abbandono di vaste aree collinari e
montane. Oggi la produzione dei principali prodotti agricoli si
concentra in aree specifiche e zone limitate, che assumono una posizione
dominante a livello nazionale e che determinano differenze locali e
zonali sempre più marcate.
La concentrazione territoriale è stata accompagnata da vistosi
processi di specializzazione che hanno interessato sia le aziende
agricole, sia le principali aree produttive del Paese, generando un
intreccio profondo fra la produzione agricola e la trasformazione dei
prodotti da essa derivanti attraverso imprese agroindustriali. Ciò ha
determinato l’affermazione di sistemi locali e distretti agroalimentari
sempre più numerosi, ciascuno caratterizzato da produzioni tipiche e di
qualità, che esaltano le specificità dei territori di provenienza.
L’azienda agricola italiana, dunque, ha vissuto nel tempo profondi
mutamenti nella sua struttura. Accanto ai fenomeni sopra ricordati,
8
negli anni si sono registrate diminuzioni nelle dimensioni medie
aziendali ed una sensibile riduzione numerica delle aziende quale frutto
di una eccessiva frammentazione avvenuta soprattutto nel Nord Italia.
Ciò ha comportato una concentrazione produttiva in un numero sempre
più limitato di imprese.
L’aspetto più rilevante di questa evoluzione è senza dubbio il
mancato ammodernamento dei sistemi produttivi e gestionali (ad es.
meccanizzazione dei processi produttivi, adozione di filosofie gestionali
evolute finalizzate al miglioramento delle performance reddituali,
utilizzo di sistemi informativi), il quale può essere considerato uno dei
fattori che determinano le difficoltà e la posizione di debolezza con cui
le imprese agricole hanno affrontato e affrontano l’integrazione
all’interno delle principali filiere produttive e la presenza sui mercati
agricoli, non più solo locali.
E’ indubbio come si renda ormai necessario avviare un processo di
modernizzazione in questa direzione. Lo sviluppo e l’evoluzione
dell’imprenditorialità all’interno dell’agricoltura italiana deve essere
orientata a fronteggiare l’accresciuta competitività riveniente non solo
dalla progressiva integrazione europea, ma anche
dall’internazionalizzazione e dalla globalizzazione delle economie. Su
questo fronte si rileva un segnale positivo nella crescente richiesta di
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servizi ad imprese esterne, che contribuiscono ad un maggior grado di
flessibilità della azienda agricola, a diffondere le innovazioni
tecnologiche, ad assicurare una maggiore flessibilità negli indirizzi
produttivi e ad una maggiore certezza sui costi e sulla loro
determinazione.
Un processo evolutivo di crescita e sviluppo che possa diffondere
mutamenti di questo tipo nelle condotte aziendali non è certo semplice,
in particolare per le peculiarità del comparto. Esso, infatti, si
caratterizza tra l’altro da una sorta di “legame irrazionale” che
“l’uomo della terra” dimostra verso la stessa e che ne condiziona
fortemente i comportamenti e gli schemi di analisi.
Una trasformazione di questo tipo, inoltre, richiederà il diffondersi
di una “cultura aziendale” innovativa che presenta delle difficoltà ad
affermarsi anche ai livelli gerarchici più elevati dell’azienda (proprietà
e management), i quali spesso coincidono a causa del carattere
diffusamente familiare assunto dalle stesse aziende agricole.
Da queste brevi considerazioni, unitamente alle motivazioni di
carattere soggettivo legate ad un forte attaccamento alla “terra” ed a
ciò che essa rappresenta con le sue piante, i suoi frutti, i suoi prodotti e
con la storia che essa porta con se attraverso gli uomini e le donne che
10
ne vivono quotidianamente il suo divenire, muove i primi passi il
presente lavoro.
La trattazione si propone dapprima di richiamare alcuni principi di
controllo di gestione ed adattarli alle esigenze peculiari dell’azienda
agricola; successivamente ci si sofferma ad individuare i possibili
strumenti operativi di analisi gestionale utili a migliorare il governo
economico dell’azienda agricola nelle sue performance complessive.
Il percorso inizia con la descrizione del comparto e del mercato
agricolo nelle sue cifre più indicative e rappresentative. Ci si è poi
soffermati sul concetto di azienda agricola nelle differenti
interpretazioni e concezioni dottrinali. Ne sono stati delineati i tratti più
caratteristici e significativi, i possibili rischi legati all’esercizio di
questa particolare attività e successivamente è stato descritto il
complesso intreccio che lega l’azienda agricola con l’ambiente esterno
in un rapporto di scambio continuo e dinamico. In merito, è opportuno
sottolineare come più che in altri ambiti l’attività agricola debba
svolgersi nel rispetto completo della natura e dell'ambiente circostante,
così da salvaguardare la salute dei consumatori e garantire che lo
sviluppo innescato sia sostenibile nel tempo. Nel prosieguo sono stati
esposti alcuni cenni sulle condizioni di equilibrio economico-finanziario
11
nelle aziende agricole, ponendo in luce gli aspetti di incertezza ed
indeterminazione più tipici delle rilevazioni in agricoltura.
A conclusione del primo capitolo viene approfondito il tema della
dimensione aziendale, che come sopra evidenziato assume in questo
contesto una connotazione particolarmente rilevante.
Nel terzo capitolo si analizzano le prerogative dei sistemi controllo
della gestione nelle aziende agricole, evidenziandone le specificità, le
finalità informative e di supporto all’attività di governo economico, in
particolare attraverso un approfondimento del processo di analisi e
contabilità dei costi in agricoltura.
Il quarto capitolo dettaglia alcuni strumenti tipici del controllo di
gestione e ne richiama i princìpi fondamentali, cercando di rileggerli in
chiave funzionale all’azienda agricola ed al ruolo di supporto che questi
possono costituire in un’ottica di miglioramento delle performance
reddituali.
Il lavoro si conclude con una breve disamina di un conto colturale
relativo ad una piantagione di kenaf, una coltura energetica largamente
diffusa in tutto il mondo e le cui caratteristiche intrinseche la rendono
idonea alla coltivazione su ampie aree anche in Italia. La scelta del caso
di studio pone il proprio fondamento su due considerazioni: la prima
riguarda l’importanza delle fonti energetiche rinnovabili ed il ruolo che
12
in questa direzione può svolgere il diffondersi di colture finalizzate alla
valorizzazione energetica; la seconda sorge dalla riflessione che tale
strumento appare quello che meglio può rappresentare il superamento
di certi limiti nelle filosofie gestionali dell’azienda agricola. Esso, a
nostro modo di vedere, può segnare più di altri il passaggio verso una
cultura aziendale che ponga l’accento sull’importanza e la necessità di
sviluppare e promuovere l’utilizzo di idonei sistemi di supporto alle
decisioni. Ciò soprattutto in relazione alla funzione storica esercitata
dal “conto colturale”, che ha rappresentato molto spesso negli anni
passati la “guida” nelle scelte imprenditoriali agricole e che, attraverso
un’opportuna e adeguata rivisitazione alla luce delle più recenti
concezioni economico-aziendali, può costituire uno strumento gestionale
particolarmente valido, flessibile ed evoluto.
Sono numerose le persone cui nutro gratitudine per la stesura del
presente elaborato, tuttavia sento di rivolgere un ringraziamento
particolarmente profondo e sincero al prof. Carmine Viola, che con
sapienza, equilibrio e determinazione mi ha saputo guidare durante
questi anni di lavoro e che con i suoi consigli ha contribuito a stimolare
la mia crescita umana, professionale ed accademica.
Lecce, giugno 2007
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Capitolo Primo
L’AZIENDA AGRICOLA
1.1 Il contesto settoriale
L’agricoltura riveste un ruolo di primo piano per l’economia italiana.
Nel 2004 essa rappresentava il 2,6% del PIL con circa 1,3 milioni di
occupati nel settore
1
pari al 5% del totale della popolazione attiva.
Negli ultimi anni l’incidenza del settore agricolo in Italia sul totale
dell’economia si è avvicinata a quella degli altri paesi dell’Europa
centro-settentrionale, tuttavia nel nostro Paese permane una forte
differenziazione territoriale: nel Centro-Nord, infatti, l’agricoltura pesa
per il 2,0% in termini di valore aggiunto (VA) a prezzi base e per il 3,7%
in termini di unità di lavoro, mentre al Sud tali valori salgono
rispettivamente al 4,3% e al 9,3%. E’ proprio nel Mezzogiorno, infatti,
che il settore agricolo riveste anche storicamente un ruolo ed una valenza
di maggiore rilievo rispetto alle altre zone del Paese. L’agricoltura
meridionale presenta nei modi e nei tempi della sua evoluzione alcune
peculiarità rispetto al modello di sviluppo realizzatosi quasi ovunque in
Italia. Nelle regioni meridionali si è affermato uno sviluppo che se pure
1
Dati ISTAT, Situazione economica generale del Paese, anno 2005. Fonte www.istat.it.
14
debole, ha modificato profondamente i valori, il tessuto sociale e l’uso
del territorio, mantenendo però in vita un paniere di elementi culturali e
sociali di tipo tradizionale che si sono affiancati e talvolta sovrapposti ai
nuovi valori introdotti. Le dinamiche del mercato del lavoro hanno
seguito questi cambiamenti, modellandosi sulle trasformazioni derivate
dalla progressiva crescita del settore terziario e dalla diffusione
dell’istruzione.
Il Censimento generale dell’agricoltura, effettuato dall’ISTAT con
riferimento alla data del 22 ottobre 2000, ha rilevato 2.593.090 aziende
agricole, forestali e zootecniche, di qualsiasi ampiezza e da chiunque
condotte. Una breve disamina delle conclusioni di tale lavoro, dunque,
fornisce un quadro piuttosto esaustivo del contesto agricolo italiano in
relazione alle dimensioni ed alle principali caratteristiche delle aziende
agricole, zootecniche e forestali.
Dalla sopraindicata rilevazione effettuata dall’Istituto Nazionale di
Statistica la superficie totale interessata da attività del comparto è pari a
19,6 milioni di ettari, di cui 13,2 milioni di superficie agricola utilizzata
(SAU). Rispetto al Censimento del 1990 il numero delle aziende è nel
complesso diminuito di 430 mila unità (-14,2%) a fronte di una riduzione
più contenuta della superficie totale per 3,1 milioni di ettari (-13,6%), di
cui 1,8 milioni di SAU (-12,2%). Tale fenomeno ha interessato in
15
maniera piuttosto difforme il territorio nazionale, infatti la riduzione del
numero di aziende è stata molto intensa nel Nord-ovest (-39,8%) e nel
Nord-est (-20,5%), mentre è risultata più contenuta al Centro (-9,4%),
nel Mezzogiorno (-6,8%) e nelle Isole (-8,4%). Al contrario, la
diminuzione della superficie è stata più contenuta nelle regioni
settentrionali e più intensa in quelle centrali, meridionali ed insulari.
Le diverse dinamiche del numero di aziende e delle superfici rilevate
nelle singole ripartizioni si sono riflesse in opposte tendenze rispetto alla
superficie media per azienda. In generale, questa è aumentata nelle
regioni settentrionali (la superficie totale è cresciuta di 3,89 ettari nel
Nord-ovest e di 1,27 ettari nel Nord-est; la SAU è aumentata nel Nord-
ovest di 3,35 ettari e nel Nord-est di 1,08 ettari), è rimasta
sostanzialmente costante nelle regioni centrali ed è diminuita nel
Mezzogiorno (nel Sud meno 0,47 ettari la superficie totale e meno 0,29
ettari la SAU; nelle Isole meno 0,88 ettari la prima e meno 0,85 ettari la
seconda).
La distribuzione delle aziende e delle relative superfici per classi di
estensione mostra come nel settore agricolo risulti ancora massiccia la
presenza di micro-aziende o di aziende nelle quali la SAU ricopre una
parte esigua della superficie totale aziendale. Infatti, tenuto conto che le
aziende senza superfici direttamente utilizzate sono pari all’1,6% del
16
numero complessivamente censito, le aziende che hanno meno di un
ettaro di SAU sono 1.163.793 (pari a circa il 45% del totale), con un
grado di copertura pari appena al 4,8% della superficie totale e al 3,9%
della SAU complessivamente rilevata.
Le aziende con almeno 20 ettari rappresentano solo il 4,6% del totale
e coprono il 55,3% della superficie totale e il 54,8% della SAU.
Conseguentemente, tra il 1990 e il 2000 è aumentata del 4,1% (dal
51,2% al 55,3%) la quota di SAU appartenente alle aziende che
coltivavano più di 20 ettari. Ciò è avvenuto in particolar modo nelle
regioni settentrionali e in quelle centrali, mentre nelle regioni
meridionali essa è rimasta sostanzialmente costante e nelle Isole è
leggermente diminuita.
Questi risultati inducono a ritenere che la struttura dimensionale
delle aziende agricole sia stata interessata quasi esclusivamente al Nord e
al Centro da una dinamica di espansione delle realtà imprenditoriali più
rilevanti e produttive, collegate alle aziende di maggiore superficie. Lo
stesso fenomeno non si è verificato nelle regioni meridionali ed insulari
dove le realtà produttive agricole restano di modeste dimensioni.
Continuano a prevalere ampiamente, nel 2000, le aziende a
conduzione diretta del coltivatore e tra queste quelle condotte con
manodopera esclusivamente familiare. Nel complesso si tratta di
17
2.457.960 aziende pari al 94,7% del totale, di cui 2.108.005 che
utilizzano solo manodopera familiare (81,3% del totale).
La pratica più diffusa tra le aziende agricole è quella delle
coltivazioni legnose agrarie, presenti nel 71,7% del totale: in prevalenza
olivicoltura (1,2 milioni di aziende), ma anche viticoltura (790 mila
aziende), frutticoltura e agrumicoltura (circa 650 mila aziende). In
particolare, sono cresciuti sia il numero delle aziende coltivatrici, sia la
superficie investita a olivo e a vite per la produzione di vini DOC e
DOCG, mentre variazioni di segno negativo si sono registrate nel
numero di aziende e nelle superfici dedicate a vite per la produzione di
altri tipi di vino e per uva da tavola, come anche a frutticoltura e ad
agrumi. Questo dato evidenzia con forza il ruolo sempre più importante
che sta assumendo la ‘qualità’ in questo comparto. Qualità dei prodotti e
rintracciabilità delle colture vanno sempre più diffondendosi e
rappresentano sempre più, per vaste aree del nostro Paese, il principale
punto di forza e motore di sviluppo nelle dinamiche globali.
Per ciò che attiene il comparto zootecnico, invece, il dato più
rilevante contenuto nel rapporto sopra menzionato attiene senza dubbio
la trasformazione incentrata sulla concentrazione dei capi allevati in un
minor numero di aziende e sulla specializzazione di ciascuna di queste
nell’allevamento di pochi tipi di bestiame.
18
1.2 Caratteristiche del mercato agricolo
Il mercato agricolo di sbocco presenta caratteristiche particolari in
quanto influenzato dallo stato e dalla destinazione attribuiti al fattore
“terra”. Le relazioni contrattuali che si stabiliscono con i clienti pongono
spesso l’azienda agricola in posizione subordinata, per cui i problemi
riguardano soprattutto aziende in cui prevale un orientamento al
prodotto, in cui c’è da gestire l’avvicendamento stagionale dei raccolti e
dove gran parte dei prodotti sono deperibili.
Nelle imprese orientate al prodotto l’attenzione è concentrata sulle
funzioni di progettazione e di produzione dei beni. Nelle aziende
agricole operanti nel mondo industrializzato con produzione agricola
eccedentaria, la scelta di quali beni coltivare o allevare, non può essere
frutto solo di libere iniziative ma deve tenere conto di vincoli di politica
economica nazionale e comunitaria
2
. Pertanto l’innovazione verte
principalmente sulle tecniche di coltivazione e di allevamento per
ottenere rendimenti crescenti dalle quantità prodotte, congiuntamente a
miglioramenti qualitativi. Viceversa, nella misura in cui si opti per
un’agricoltura biologica, si opera con rendimenti decrescenti delle
2
Il riferimento è alla normativa dell’Unione Europea che, nell’ambito della PAC (Politica Agricola
Comunitaria), disciplina le c.d. “produzioni eccedentarie”, vale a dire l’eccesso di produzione di
alcune tipologie di prodotti agricoli o derivanti dall’allevamento del bestiame (ad es. latte, cereali,
ecc.). Cfr. Reg. CEE 2078/92 e Reg. 2080/92.
19
quantità prodotte ed in questo caso la leva per ripristinare l’equilibrio
economico, sul versante dei ricavi, sarà il prezzo più elevato da praticare.
Il portafoglio prodotti di un’azienda agricola può essere limitato o
ampio, a seconda che ci si trovi di fronte ad un’azienda fortemente
specializzata oppure ad un’azienda diversificata.
Se la tendenza è verso la specializzazione (richieste specifiche di un
mercato controllato che si combina con lo sviluppo tecnologico verso
un’agricoltura “industrializzata”) dovremmo trovarci in presenza di un
panorama composto da aziende con portafogli prodotti molto ridotti dal
punto di vista della profondità (numero di prodotti) e ampiezza delle
linee. Il “prototipo” dovrebbe essere un’azienda agricola di medie o
grandi dimensioni, che cerca di sfruttare economie di scala connotandosi
per un’offerta destinata a soddisfare uno stesso tipo di bisogno
(alimentare, medicinale, energetico) e orientata verso una specifica
categoria di clienti, con poche varianti sul piano della distribuzione. Una
situazione di questo genere, seppure esistente, non rappresenta la tipicità
del sistema agricolo italiano. Retaggi storici di varia natura (agraria,
economia, giuridica, sociale) comportano ancora dimensioni aziendali
piccole e caratteri imprenditoriali poco evoluti. Di conseguenza ci si può
trovare ancora di fronte a realtà pluricoltivatrici le quali, pur indirizzando
la destinazione del suolo a colture che le associazioni di categoria
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“suggeriscono” come quelle richieste/imposte dal mercato, praticano
contemporaneamente coltivazioni più tradizionali destinate
all’autoconsumo e che consentono anche di continuare la tradizione
agricola in cui si tendeva alla completa autonomia rispetto all’ambiente
esterno.
Se nella tradizione degli studi economici il mercato agricolo è un
mercato definito come operante in regime di concorrenza perfetta,
l’osservazione della realtà ci mostra sicuramente i limiti di una teoria di
questo tipo, basti pensare alle difficoltà dell’operatore a fissare,
manovrare e controllare le quantità di produzione e soprattutto il prezzo
di vendita. Tuttavia, per i ricordati interventi pubblici e la
polverizzazione aziendale, potremo affermare che il ristretto margine di
manovra dell’imprenditore agricolo è da attribuirsi alle relazioni che
contraddistinguono il rapporto azienda agricola/clienti e azienda
agricola/pubblica amministrazione.
Riprendendo la classificazione che distingue le aziende agricole tra
quelle che non svolgono processi di intermediazione e quelle che
sviluppano processi di conservazione e trasformazione, ne deriva che
diverse sono le categorie di clienti, perché il processo agricolo può
essere completato, o meno, da un’attività di commercializzazione e/o
trasformazione manifatturiera.