2
INTRODUZIONE
Il presente lavoro vuole essere un contributo alla valorizzazione delle
minoranze non protette in Italia.
In primo luogo definiamo il significato di minoranza per poter meglio entrare
nel merito della questione: le minoranze sono tutti quei gruppi o sottogruppi
stabilmente strutturati, che si distinguono e potenzialmente si
contrappongono al gruppo maggioritario dominante, in virtù di particolari e
specifiche caratteristiche, e le cui possibilità di partecipazione al potere della
comunità sono di fatto inferiori in relazione al gruppo dominante.
La legge 482/99, in attuazione dell’articolo 6 della Costituzione Italiana,
tutela, oltre al patrimonio linguistico e culturale italiano, la lingua e la cultura
delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e
di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino,
l’occitano e il sardo.
Dunque, le minoranze protette sono in tutto dodici e non comprendono alcune
comunità presenti da lungo tempo e in forma quantitativamente rilevante nella
Repubblica Italiana: tra queste troviamo la minoranza marocchina, ecuadoriana,
senegalese e cinese. Proprio a quest’ultima minoranza è dedicato il seguente
lavoro suddiviso in quattro capitoli, attraverso i quali vengono affrontati aspetti
interessanti a livello sociolinguistico.
Nel primo capitolo ripercorriamo le tappe storiche fondamentali della diaspora
cinese nel mondo e in Europa; il secondo capitolo focalizza il fenomeno più da
vicino partendo da considerazioni generali sullo sviluppo e sui caratteri del
movimento migratorio cinese sul nostro territorio nazionale per poi concentrarsi
maggiormente sui modi di vita, l’organizzazione familiare, sociale e lavorativa
dei Cinesi d’Italia. Vengono inoltre forniti dati aggiornati sulla presenza di tale
minoranza nelle varie regioni e città italiane, proponendo dei confronti
significativi rispetto agli anni passati. Il capitolo terzo analizza i problemi relativi
3
alla competenza linguistica dell’italiano nei Cinesi adulti e nei ragazzi; una
sezione importante riguarda le difficoltà d’inserimento degli alunni cinesi nelle
classi italiane e contiene riflessioni di ordine glottodidattico e culturale. Il
capitolo finale sviluppa la tematica immigrazione cinese in relazione alla nostra
regione Abruzzo e in particolare alla zona del pescarese; un contributo
importantissimo è stato offerto da Jin Yulan, una donna cinese di quarantaquattro
anni residente a Pescara che ha accettato gentilmente di raccontare la sua
travagliata esperienza d’immigrata in Italia.
Capitolo I
5
CAPITOLO I
Considerazioni storiche sul fenomeno migratorio cinese
1.1. Le migrazioni cinesi nel mondo e in Europa fino alla seconda guerra
mondiale
Le migrazioni cinesi costituiscono uno dei più importanti flussi migratori nel
panorama internazionale non solo per la consistenza numerica delle popolazioni
coinvolte, ma anche per l’ampio spettro dei paesi di destinazione, tra i quali
anche l’ Italia e altri paesi europei.
Non a caso, negli ultimi duecento anni la Cina è diventata un paese ad
altissima mobilità , interna ed internazionale. La mobilità interna si è tradotta in
consistenti esodi dalla campagna alla città, in concomitanza di carestie,
inondazioni e guerre. Anche la mobilità internazionale è associata alle tragiche
vicende della storia cinese: il cambiamento politico iniziato con le ribellioni del
Loto Bianco nel tardo secolo XVIII e continuato con la rivolta dei Taiping (vasto
movimento armato a sfondo nazionalista e religioso, esteso in tutto il sudest della
Cina), le guerre dell’oppio (1840-42 e 1856-60), la ribellione dei Boxer, la guerra
contro i giapponesi, e la guerra civile conclusasi con la fondazione della
Repubblica Popolare Cinese nel 1949.
Secondo le ricerche di alcuni studiosi , tra cui il Live, nel periodo tra il 1840 e
il 1900, il numero dei Cinesi espatriati nei cinque continenti arriva a 2.355.000.
La componente più numerosa, pari a 1.545.000 unità, si è spostata verso il Sudest
asiatico. Dei restanti 800.000 le Americhe, sia del Nord (Stati Uniti, Canada) sia
del Sud (Cuba, Messico, Perù) ne hanno assorbito la maggior parte; qualche
migliaio di Cinesi ha raggiunto i paesi dell’Oceania, dell’Australia e della Nuova
Zelanda.
6
Nel secolo XIX la migrazione cinese si è dunque principalmente diretta (al di là
dello storico sbocco del Sudest asiatico) verso le Americhe dove necessitano
contingenti importanti di manodopera non qualificata e a basso salario. Negli
Stati Uniti, la manodopera cinese viene impiegata nella costruzione della ferrovia
transamericana, che congiunge l’Atlantico con il Pacifico, e nelle miniere della
California, dove nel 1840 vengono scoperti giacimenti auriferi. Le condizioni di
lavoro a cui sono assoggettati i Cinesi nelle miniere sono molto simili a quelle
riservate agli schiavi del passato. E proprio in California l’accettazione, da parte
dei Cinesi, di condizioni di lavoro difficili e di bassi salari porta al conflitto tra
gli immigrati e gli autoctoni e alla messa in atto di politiche di stop. La Legge
d’Esclusione Cinese del 1882 riduce rapidamente il flusso in ingresso annuale da
40.000 unità registrate nello stesso anno fino a 10 unità registrate nel 1887. Tale
politica, fortemente discriminatoria, durerà fino alla seconda guerra mondiale e
sarà determinante non solo per quanto riguarda i flussi d’ingresso, ma anche per
le modalità di stabilizzazione delle collettività cinesi all’interno degli Stati Uniti.
Le Chinatown hanno assunto le caratteristiche di luoghi segreti e chiusi proprio
di fronte alle pressioni ostili della popolazione locale.
Fino all’inizio del secolo scorso, l’Europa invece non è stata toccata dalle
migrazioni cinesi se non in misura marginale: in Inghilterra, unico paese europeo
dov’è attestata la presenza di Cinesi nel secolo XIX, questi sono poche centinaia
di persone e vi approdano in qualità di mozzi, assoldati dalle navi mercantili
inglesi allo scopo di sostituirne i marinai britannici arruolati nella marina
militare durante le guerre napoleoniche.
Nella prima metà del 1900 l’esodo dalla Cina continua, nonostante un contesto
internazionale sfavorevole alle migrazioni, dovuto a guerre e crisi economiche.
L’Europa resta sempre una destinazione marginale. In Gran Bretagna le
Chinatown raccolgono un numero esiguo di Cinesi dediti al campo della
ristorazione e della lavanderia.
7
Anche in Francia i Cinesi sono pochi e approdano, nella maggior parte dei casi,
a Parigi. Essi non arrivano attraverso la formazione di una catena migratoria, ma
per percorsi insondabili di destini individuali. Si tratta dunque di presenze
sporadiche che, però, riescono ad inserirsi bene nell’apparato socioeconomico e
professionale, come testimoniato dal Live:« Questa microsocietà era gia molto
composita nella sua struttura socioeconomica e professionale. Essa
comprendeva studenti, giornalisti, intellettuali anarchici, qualche mercante di
oggetti cinesi, due o tre ristoratori, un pugno di “ pedicure”, alcuni operai di
una fabbrica di seta artificiale a Dieppe come pure di una fabbrica di soja a
Colombes, rappresentanti diplomatici della Cina imperiale, ecc…» (Live, 1992).
La prima guerra mondiale segna un momento decisivo nella storia
dell’immigrazione cinese in tutta Europa. Infatti, durante il conflitto un gran
numero di lavoratori, originari del porto di Wenzhou, nella provincia dello
Zhejiang, vengono reclutati dalle forze alleate per lavorare nelle fabbriche e
soprattutto per scavare le trincee sulla frontiera settentrionale, tra la Francia e le
Fiandre. L’obbligo di rientrare in Cina, imposto a questa precaria manovalanza
alla fine delle ostilità, non è stato rispettato da tutti. Di fatto, alla fine della
Grande Guerra, se la maggior parte dei lavoratori cinesi ripartono per la Cina,
alcune migliaia di loro restano in Francia. Dalla Francia gli originari dello
Zhejiang si spargono per l’Europa a seconda del tipo di attività a cui si dedicano
durante la crisi economica degli anni trenta. Molti di essi trovano nel commercio
ambulante una fonte di sopravvivenza. Dalle città francesi, dove risiedono, essi
vendono porta a porta nelle campagne; alcuni attraversano le frontiere ,
spingendosi in Belgio, Olanda e Italia. La scelta degli articoli varia, si adatta alle
esigenze della clientela e ai paesi attraversati: cineserie e oggetti di Parigi in
Francia, noccioline e dolciumi in Olanda, cravatte di seta in Italia. Il commercio
ambulante, però, si dimostra un’attività provvisoria per i cinesi dello Zhejiang:
non appena hanno a disposizione le risorse sufficienti, si dedicano alla pelletteria,
all’artigianato e alla ristorazione.
8
Nel periodo tra le due guerre essi costituiscono piccole comunità nei vari paesi
europei, essenzialmente nelle grandi città: nel quartiere della Gare de Lyon a
Parigi, nel quartiere Sempione a Milano, ad Amsterdam e Rotterdam, comunità
che nel dopoguerra saranno i punti di riferimento per i flussi migratori
provenienti dallo Zhejiang, secondo il principio della catena migratoria.
9
1.2. L’immigrazione cinese dal dopoguerra a oggi
La vicenda dell’immigrazione cinese rappresenta una conseguenza diretta della
travagliata storia della Repubblica Popolare Cinese la cui creazione, nel 1949, ha
portato ad un temporaneo blocco delle migrazioni sia interne sia esterne, con una
presa di posizione fortemente discriminatoria nei confronti non solo dei Cinesi
d’oltremare ma anche dei loro familiari e parenti che risiedono in patria.
Nonostante ciò gli spostamenti cinesi continuano a rivolgersi soprattutto verso
l’Europa, sia come flussi di rifugiati e clandestini, sia come flussi che si formano
staccandosi da comunità già insediate in altre aree geografiche, specialmente dal
Sudest asiatico (Vietnam, Cambogia e Laos), area che nei decenni fra il 1950 e il
1970 ha costituito uno dei luoghi centrali del conflitto tra le grandi potenze
(Cina, Unione Sovietica, Stati Uniti) ed è quindi stata soggetta a eventi bellici
che hanno prodotto fattori di spinta e attivato processi di esodo.
Durante la seconda guerra mondiale, l’alleanza tra Stati Uniti e Cina produce,
tra l’altro, la revoca della Legge di Esclusione contro i Cinesi promulgata dal
1882. La successiva vittoria dei comunisti costringe gli USA ad accogliere
rifugiati, quadri dirigenti, uomini d’affari, intellettuali della Cina nazionalista.
In Europa, il periodo di maggiore afflusso dell’immigrazione cinese,
proveniente da diverse regioni della Cina o località della diaspora, inizia negli
anni cinquanta.
In Gran Bretagna il gruppo d’immigrati cinesi più numeroso arriva tra il 1955 e
il 1971; in Francia, la catena migratoria cinese prosegue negli anni del
dopoguerra, ma le restrizioni all’emigrazione da parte della Cina e i controlli
delle autorità amministrative ostacolano il flusso. La parte più consistente arriva
dopo il 1975 e nel giro di pochi anni le presenze cinesi si moltiplicano in
maniera spaventosa, dando vita alle Chinatown, la più importante delle quali è
situata al tredicesimo quartiere di Parigi.
10
La crescita della popolazione cinese in Europa, che dagli anni ottanta diventa
un continente d’immigrazione policentrico, in quanto ospitante gruppi di varie
nazionalità (filippini, srilankesi, pakistani, bengalesi, indiani…), è dovuta
soprattutto ai cambiamenti economico-politici subiti dalla Repubblica Popolare
Cinese dopo la morte di Mao Zedong. Alla fine degli anni settanta, Den Xiaoping
promuove il passaggio dall’ideologia comunista, basata sulla pianificazione
centralizzata, ad un economia di mercato, la quale favorisce l’iniziativa privata
e gli investimenti stranieri. Risultato di tale riforma è che, nell’arco di un
decennio, la Cina consegue tassi di crescita economica spettacolari. L’Asia infatti
«patria dei due quinti della popolazione umana, segnata da una sostenuta
crescita di popolazione, testimone di uno sviluppo economico spettacolare,
sconvolta da irrisolti conflitti, attraversata da esplosive correnti di febbre
d’energia […] si sta muovendo verso un nuovo rinascimento, dopo un lungo
periodo di quiete» (Stahl, Appleyard e Nagayama, 1992, p. 419).
In questo nuovo contesto, in cui le autorità cinesi appaiono fortemente disposte
a sviluppare la circolazione di uomini e capitali, la Cina si riaffaccia sulla scena
internazionale come paese di emigrazione, suscitando peraltro interrogativi
inquietanti sulle dimensioni reali che i flussi migratori potranno assumere in
futuro: la crescita demografica, la massiccia disoccupazione e sottoccupazione
nelle campagne, le insicurezze della transizione economica (che porta allo
sviluppo delle disuguaglianze sociali), i conflitti politici all’interno della
leadership cinese, sono tutti fattori che alimentano l’incertezza. Ciò determina
inevitabilmente lo spostamento di un gran numero di lavoratori che si dirige
all’estero alla ricerca di condizioni più vantaggiose. A questo proposito si
potrebbe parlare di immigrazione fluttuante, nel senso che la pressione migratoria
delle campagne alimenta costantemente l’incremento dei flussi interni e può
precedere la migrazione all’estero. Non è da escludere quindi che alcuni gruppi
di immigrati cinesi abbiano seguito un itinerario che dalla campagna li ha portati
alle città, e da queste ultime verso i paesi extrasiatici.
11
I “Cinesi d’oltremare”(così si è soliti chiamare i cinesi che si dirigono e si
stabiliscono al di fuori dei confini nazionali per un periodo di tempo determinato
o non), grazie alla loro intraprendenza e determinazione nel perseguimento degli
obiettivi (tratto peculiare della minoranza cinese), hanno raggiunto un proficuo
inserimento economico nelle società di accoglienza, con conseguenze positive
anche per la madrepatria.