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La storia dell’Iran contemporaneo ruota fondamentalmente intorno a queste emblematiche
figure, immagini icastiche della tradizionale dialettica “potere temporale – potere spirituale”, da
sempre presente, in misura diversa, in Persia come altrove; prima di analizzare puntualmente la
struttura della velayat i-faqih, sarà opportuno tracciare succintamente i principali eventi che hanno
segnato la storia iraniana che, come si vedrà, ha mantenuto a lungo tale conflittuale dualismo trono –
altare (secondo una dizione occidentale), fino alla rielaborazione khomeinista del sistema politico.
5
1. DALLA STRUTTURA TRIBALE ALLO STATO MODERNO.
1.1. La dinastia Qajar.
l primo passo verso la creazione di uno Stato nazionale risale al 1785. La Persia si
presentava come una composita congerie di entità tribali, in competizione per la
supremazia. Agha Mohammad (1785-1797), capo della tribù dei Qajar, soggiogò
militarmente l’area settentrionale del paese, dichiarò Teheran (1786) capitale della Persia e
s’incoronò “Khan” (Signore) nel 1796, secondo modalità che ricordano la fase embrionale di
formazione degli stati europei. La sua esperienza politica fu improntata all’obiettivo di «trasformare
una tribù in una dinastia»
7
, mediante una politica di potenza fortemente militarista.
Scarsa attenzione fu prestata alla creazione di un sistema politico stabile. Soltanto tre
funzionari costituivano la compagine governativa del primo sovrano Qajar: un “ministro”
dell’esercito, uno delle finanze ed un consigliere. Nonostante l’evoluzione dell’apparato burocratico
realizzata da Fath ‘Ali Shah
8
(1797-1834), mediante l’introduzione di amministratori locali (mirzas),
la costituzione di forti vincoli tribali con attente politiche matrimoniali
9
e il formale supporto del
clero sciita, la debolezza del sistema politico e la perpetua contestazione di sovranità e legittimità
permasero quali problemi endemici della dinastia. L’imposizione con la forza delle armi straniere
(gli eserciti della Russia zarista
10
e dell’Impero britannico) dell’investitura regale, esautorava infatti
di legittimità agli occhi dei sudditi il nuovo Shah. Inoltre l’assenza di un esercito nazionale in grado
di difendere i confini nazionali e la pace civile gravò a lungo sulle sorti dei Qajar; Reza Khan,
provenendo dal ceto militare, consapevole di tale debolezza, incentrò il proprio potere sulle forze
armate riorganizzate secondo criteri occidentali.
Significativi tentativi di riforma furono condotti dai primi ministri Amir Kabir (1848-51) e
Mirza Hussein Khan (1870-80), per tentare di adeguare l’Iran in vista del confronto imminente con
le grandi potenze europee, fortemente sentito dallo Shah Naser al-Din (1848-96). In primis fu
istituito un efficiente sistema di esazione fiscale, i cui proventi erano destinati alla creazione di
un’industria bellica capace di armare un esercito nazionale, in grado di fronteggiare i tentativi
d’invasione stranieri; la violazione dei privilegi di ‘ulamā’
11
e cortigiani che le riforme
comportavano provocò la dura reazione dei dignitari politici e religiosi, che culminò con l’esilio e
l’assassinio di Kabir (1852). Tuttavia, la scintilla dello Stato moderno era scoccata e fu ripresa dal
primo ministro Mirza Hussein Khan: tentativi di superamento del dualismo ‘urf (diritto civile)
12
/
sharī‘a (diritto islamico); riorganizzazione dell’esercito (finanziamento su base annuale,
introduzione della coscrizione obbligatoria, istruttori europei); potenziamento dell’industria militare;
istituzione del corpo di polizia iraniano; last but not least, il sostegno agli investimenti stranieri. Ma
anche la politica di Mirza Hussein si concluse tragicamente: non solo aveva violato i privilegi dei più
alti dignitari in materia fiscale e del clero in materia giudiziaria, ma concedendo in via preferenziale
a investitori britannici concessioni nel paese, si rese inviso anche al governo russo.
7
KAMRAVA Mehran, The Political History of Modern Iran, Praeger, 1992, pag. 9.
8
“Shah-in-Shah”, Re dei Re. Titolo introdotto in funzione celebrativa da Fath Ali, vero “nazionalizzatore” della dinastia
Qajar.
9
Politica adottata anche in seguito dai sovrani iraniani, per esempio nel caso del noto secondo matrimonio dello Shah
Mohammad Reza Pahlavi con la principessa Soraya Esfandiari, discendente dei capi tribù Bakhtiyari, gravemente
danneggiati dalle politiche petrolifere dello Shah Reza Khan.
10
E’ il caso di Mohammad Shah (1834-1848), insediato e manipolato dalla Russia.
11
Gli ‘ulamā’ (plurale arabo di ‘alim che significa “saggio”, “dotto”) sono degli studiosi di religione e di diritto, cultori
della scienza e della fede islamica; sono, inoltre, i garanti dell’osservazione e dell’applicazione dei princìpi religiosi, in
quanto rappresentanti del consenso della comunità islamica.
12
Col termine ‘urf, letteralmente “costume”, si indicano quei diritti consuetudinari locali extra-islamici che, in Iran
come in altri paesi musulmani, sono entrati a far parte del diritto civile islamico.
I
6
L’esperienza politica della dinastia Qajar sarà caratterizzata da una generale assenza di
innovazioni sostanziali all’interno del sistema politico (almeno fino alla Rivoluzione Costituzionale
del 1906) e dal consolidamento di elementi che si riproporranno, in forme differenti, nella storia
dell’Iran contemporaneo: l’interferenza straniera; la strenua lotta degli ‘ulamā’ e dei cortigiani per la
difesa dei propri privilegi; la struttura tribale ed il patrimonialismo diffuso.
L’intervento straniero, ed in particolare la rivalità fra Regno Unito e Russia per le
concessioni e per l’egemonia sull’influenza politica, che renderanno l’Iran uno degli scacchieri di
guerra decentrata, sia in merito ad interessi strategici (l’Inghilterra, temendo un’espansione
napoleonica verso l’Impero Ottomano o l’India, firmò un accordo anglo-persiano nel 1801
13
; anche
in seguito l’essere terra di passaggio verso il subcontinente indiano influì sul destino della Persia),
che economici (dalla concessione britannica del telegrafo del 1863 all’assai più importante sul
petrolio del 1901, vedi oltre) risulterà fondamentale nella determinazione delle scelte del governo e
nell’inserimento dell’Iran nello scacchiere internazionale. Tale influenza verrà da più parti
condannata e sfruttata ideologicamente in chiave anti-governativa e la rivolta vedrà sempre in prima
linea gli esponenti del clero sciita
14
.
La presenza di élite, civili e religiose, attentissime a limitare riforme lesive dei propri
privilegi, inibì a lungo l’evoluzione delle istituzioni persiane. Paradossalmente nel corso della
Rivoluzione Costituzionale del 1906, proprio da alcuni ceti privilegiati, ‘ulamā’ e mercanti (bazarī),
giunse l’impulso per richiedere allo Shah un regime meno autocratico (e meno nocivo dei loro
interessi economici
15
). L’ayatollah Tabatabai scrisse al sovrano preannunciandogli che se il
“Majlès” (Parlamento) non fosse stato istituito «la monarchia si sarebbe trovata sull’orlo del
collasso»
16
. Veniva posto per la prima volta in discussione il rapporto di mutua dipendenza fra
religione sciita e Corona
17
e ritenuta opinabile la legittimità del sovrano.
Alla corruzione della corte e di numerosi beneficiari di pensioni fu ricondotta la
responsabilità della crisi economica dell’ultimo decennio dell’Ottocento, da cui scaturirono un
vertiginoso aumento dell’inflazione e dei prezzi dei generi di prima necessità e la svalutazione della
moneta persiana rispetto alle valute straniere. L’introduzione nel paese di ideologie politiche
occidentali diede al diffuso malcontento gli strumenti per l’elaborazione di una concreta alternativa
all’autocrazia dello Shah: un regime costituzionale, ipotesi sostenuta dalle società segrete
(anjoman)
18
e da alcuni importanti esponenti del clero sciita, in particolare gli ‘ulamā’, il succitato
Seyed Muhammad Tabatabai e Seyed ‘Abd-Allah Behbahani. L’appoggio dei religiosi diede alla
Rivoluzione Costituzionale caratteristiche che ricordano da vicino le riforme compiute da Khomeini
nell’elaborazione della velayat i-faqih. Analogamente alla Rivoluzione del 1979 «furono gli abitanti
dei centri abitati ad agire: i mercanti, gli studenti dei seminari religiosi e gli immigrati»
19
.
Omettendo una cronologia dettagliata della difficile dialettica fra i riformisti e Muhammad
‘Ali Shah (che, dopo il fallito colpo di Stato anti-parlamentare del sovrano, si concluderà nella
vittoria costituzionale del 1909 e la successiva repressione del 1911, sostenuta da forze armate
13
KAMRAVA Mehran, op. cit. pagg. 24-25.
14
Nel 1890 contro le concessioni monopolistiche sul tabacco all’Imperial Tobacco Corporation, nel 1979 contro la
Rivoluzione Bianca dello Shah.
15
Le riforme fiscali attuate dal ministro Amin al-Daula e dal consulente belga Joseph Naus gravarono anzitutto sui
traffici commerciali, gravati da pesanti dazi doganali, la cui esazione era stata affidata ad incaricati stranieri e in
secondo luogo sulle élite cortigiane che si vedevano esautorate del proprio ruolo e delle proprie pensioni di funzionari.
Il clero sciita si rendeva conto del danno che le nuove imposte avrebbero potuto arrecare alle proprie rendite fondiarie e
ai proventi della zakat (imposta religiosa che veniva in parte impiegata per il mantenimento degli studenti di teologia);
inoltre il coinvolgimento degli stranieri nell’apparato fiscale minava un secolare privilegio dei religiosi.
16
KAMRAVA Mehran, op. cit., pag. 36.
17
«L’Imam è il solo sovrano legittimo; lo Shah difende il paese in nome dello Sciismo e, per questo motivo, può vedere
riconosciuta la propria autorità nel momento in cui ammette la superiorità del mujtahid; giureconsulti e principi
devono unire le forze e il primo dovere del sovrano è difendere lo Sciismo.» Da: SABAHI Farian, op. cit., pag. 36.
18
Costituitesi fra il 1904 e il 1905, composte da musulmani e laici, oltre che da baha’i.
19
SABAHI Farian, op. cit., pag. 37.
7
anglo-russe), esaminiamo alcuni aspetti ideologici del costituzionalismo rivoluzionario. Il Majlès era
costituito da duecento seggi (il 20% dei quali riservati agli ‘ulamā’, in virtù del loro sostegno alla
Rivoluzione); eletto dal popolo
20
, aveva potere di deliberare in materia legislativa, finanziaria e
diplomatica. I costituzionalisti si divisero ideologicamente in laici nazionalisti e conservatori
islamici (come avverrà nella Rivoluzione Islamica del 1979), aprendo un’annosa diatriba di dottrina
politica concernente sia la fonte del diritto, ovvero il rapporto fra le norme giuridiche create dal
Majlès, eletto dal popolo, e la sharī‘a, legge sacra rivelata da Dio; sia il concetto di sovranità, che
appartiene alla divinità. Il più importante religioso di Teheran, Fazl-Allah Nuri, elaborò una
contestata teoria che asseriva la preminenza della sharī‘a sulla legge secolare, che ad essa doveva
conformarsi
21
, e la limitazione ai musulmani sciiti del diritto di elettorato passivo; inoltre propose
l’istituzione di una sorta di Corte Costituzionale, composta da mullā
22
, incaricata di valutare ed
approvare le leggi del Majlès (istituto affine al Consiglio dei Guardiani della velayat i-faqih).
Nella fase seguente all’instaurazione del Majlès, le problematiche permasero le stesse:
stagnazione economica e occupazione anglo-russa; le difficoltà finanziarie vincolavano
pesantemente la capacità di attuare riforme amministrative e di sostenere un esercito forte (in grado,
quindi, di aiutare i burocrati nell’esazione fiscale). L’interessato aiuto statunitense (consistente nella
riorganizzazione delle finanze della dinastia Qajar, ad opera del consulente finanziario Shuster) si
concluse a causa delle pressioni anglo-russe e con esso venne stroncato il processo costituzionale;
«la costituzione fu sospesa e l’autorità passò nelle mani dell’aristocrazia, tra cui risultarono
dominanti i membri della tribù Bakhtiyari»
23
. Alla crisi economica si aggiunsero presto le difficoltà
della prima guerra mondiale, che, nonostante la dichiarazione di neutralità, si rivelò disastrosa per
l’Iran. Ridotte le scorte alimentari, interrotti i collegamenti infrastrutturali, assolutizzata la
dipendenza economica dall’Europa: questi gli effetti per l’Iran, che, oltretutto, fu umiliato a
Versailles, vedendo respinta la propria richiesta di risarcimento dei danni di guerra. Nel 1919 il
famigerato accordo anglo-persiano
24
costituì l’ennesimo tentativo di rendere l’Iran, informalmente,
un protettorato britannico; tuttavia il Majlès rifiutò la ratifica, sia per l’opposizione interna dei
nazionalisti che per l’opposizione statunitense e sovietica ad un sistema che avrebbe garantito
all’Inghilterra il controllo monopolistico delle risorse petrolifere iraniane. La Gran Bretagna, alla
fine della guerra, risultò comunque la potenza egemone in Iran, «grazie alla posizione privilegiata
conquistata nel Golfo Persico e agli interessi in campo petrolifero»
25
.
20
La legge elettorale, promulgata nel 1906, concedeva l’elettorato attivo agli «uomini iraniani tra i trenta e i settant’anni
in grado di leggere e scrivere, senza procedimenti penali a loro carico, e che possedevano alcune proprietà terriere,
indipendentemente dalla religione professata. Venivano così tutelati i diritti di mercanti di fede non musulmana, ma
non quelli dei contadini e dei ceti sociali più bassi» (da: SABAHI Farian, op. cit., pag. 40).
21
Art. 2 delle Leggi Costituzionali supplementari.
22
Il termine mullā indica genericamente un membro del clero islamico; in un’accezione più specifica definisce dei
predicatori di basso rango che non hanno ancora raggiunto il grado di mujtahid e che, pertanto, non possono emettere
sentenze interpretative della sharī‘a.
23
SABAHI Farian, op. cit., pag. 49.
24
L’accordo (9/8/1919) prevedeva il formale rispetto dell’indipendenza e dell’integrità territoriale dell’Iran da parte
dell’Inghilterra, la concessione di consulenti per l’amministrazione fiscale e doganale, ufficiali per la creazione
dell’esercito, equipaggiamento militare e l’aiuto necessario per la costruzione di una nuova rete ferroviaria; era previsto,
infine, un prestito di 2 milioni di sterline da ripagare in vent’anni ad un tasso d’interesse del 7% per finanziare le
riforme.
25
SABAHI Farian, op. cit., pag. 67.