4
Introduzione
L’obiettivo di questo lavoro, che si inoltra nel misterioso universo rumeno,
riproposto dall’opera di Panaït Istrati, autodidatta vagabondo che all’età di
quarant’anni ebbe il coraggio di iniziare a scrivere in una lingua che non era la
sua, è quello di focalizzare l’attenzione sull’opera principale dell’“écrivain
roumain d’expression française”, Kyra Kyralina. Lo studio si concentra sulla
presenza delle strutture metonimiche all’interno del testo originale in francese e
delle rispettive traduzioni italiane, esaminando le scelte traduttive adottate.
Il presente corpus si articola in tre sezioni principali: la figura del grande
Panaït Istrati, autore di Kyra Kyralina, dominerà interamente la prima parte di
questo lavoro. Grazie all’aiuto di numerosi testi di critica dedicati ad Istrati, quali
l’opera di G. Vanhese, D. Seidmann, E. Geblesco e M. Jutrin-Klener, che hanno
fornito numerosi dettagli e preziose informazioni, è stata ripercorsa l’adolescenza,
la vita, le scelte e le opere dell’autore rumeno.
Questo “amant de la Méditerranée”, che non riuscì mai a resistere alla
chiamata del “vagabondaggio”, ebbe contatti con le persone più varie, di ogni
condizione sociale: nei suoi libri vi è una mescolanza di culture e tradizioni,
rumene, greche, turche e arabe. Il mondo che presenta è la Romania e molte delle
5
sue opere sono ambientate a Braïla, sua città natale, a cui rimarrà profondamente
legato. La presenza della lingua madre si ritroverà all’interno di molte opere di
Istrati; è da sottolineare, infatti, la sua tendenza ad introdurre termini rumeni in
testi scritti in lingua francese. Esemplare da questo punto di vista è l’opera Les
chardons du Baragan, di cui sono state reperite le due traduzioni italiane,
rispettivamente di Gianni Schilardi e di Paolo Casciola. È stato analizzato il
comportamento di entrambi i traduttori nei confronti dei termini appartenenti alla
lingua rumena.
Sono molti coloro che si chiedono, dunque, il motivo della scelta di Panaït
di utilizzare il francese come lingua di scrittura e non il rumeno; a questo riguardo
numerose informazioni potranno essere ritrovate all’interno del corpus. Verranno
esaminati, in modo dettagliato, alcuni rapporti intrattenuti dallo scrittore durante
la sua vita come quello con sua madre, unico punto fermo della sua esistenza,
quello con il russo Mikhaïl, che lo indirizzò verso la cultura, la passione e il
nomadismo, e quello con il romanziere elvetico Romain Rolland, a cui deve la sua
opera. Istrati fu un uomo di passione per la giustizia, per la bellezza della sua
terra, “un homme de cœur” che ama gli umili, gli oppressi, i bambini, un uomo
che fa sue le sofferenze degli altri. Verrà discusso il suo rapporto con gli ebrei,
popolo che visse, soprattutto nel Novecento, una situzione particolare e a cui fin
dall’infanzia sarà strettamente legato.
6
Si parlerà, inoltre, delle opere di Istrati rivolgendo particolare attenzione a
Kyra Kyralina: oltre al commento e all’analisi, si indagherà su tutto ciò che si
nasconde dietro quest’opera.
La seconda parte di questo lavoro è stata, invece, dedicata alla traduzione,
che ha acquistato un’importanza straordinaria nel mondo contemporaneo.
Attraverso un’ampia riflessione, è stata ripercorsa la storia della traduzione dalle
origini fino al XX secolo, evidenziandone modifiche e trasformazioni. A questo
proposito, sono state inserite le riflessioni di Berman, Mounin, Ladmiral, Podeur e
analizzato l’apporto fornito. Si parlerà della teoria della traduzione e i principali
procedimenti traduttivi verranno spiegati in modo approfondito. Ci si soffermerà,
inoltre, sulla figura del traduttore, del buon traduttore, esaminandone le sue
possibili scelte.
È proprio grazie alla traduzione delle sue opere, prevalentemente scritte in
francese, che l’autore rumeno Panaït Istrati è stato conosciuto e studiato dal
pubblico italiano.
I testi su cui ci si soffermerà particolarmente nel presente lavoro saranno: le
due traduzioni italiane di Kyra Kyralina di Gino Lupi, una edita da Garzanti e
l’altra da Feltrinelli (rispettivamente nel 1947 e nel 1996), la traduzione italiana di
G. F. Cecchini, edita da La Voce (nel 1925) e il testo originale in francese, edito
da Gallimard (nel 1968).
7
Sui testi in italiano è stata svolta un’accurata analisi: essi sono stati messi in
comparazione con il testo originale su cui si è lavorato particolarmente sulla
presenza della metonimia, figura retorica che consiste nella sostituzione di un
termine con un altro, appartenente allo stesso campo semantico, che intrattiene
con il primo una relazione di contiguità logica o materiale. Le metonimie,
riconosciute all’interno del testo originale, studiate e classificate secondo la loro
funzione, sono state individuate all’interno dei tre testi italiani presi in esame, per
mettere in evidenza le scelte traduttive adottate. Per ogni tipo di metonimia, sono
stati riportati ed analizzati degli esempi estratti dai testi a verifica di quanto detto.
La terza parte del lavoro, prevalentemente finalizzata all’analisi dei corpus, ha
accolto, inoltre, numerose riflessioni teoriche sulla metonimia; partendo dalla
retorica classica, è stato spiegato il concetto di “tropo” e, tenendo conto in gran
parte degli studi compiuti da Annafrancesca Naccarato, è stato analizzato il
rapporto tra metafora e metonimia, metonimia e sineddoche.
8
Primo capitolo: Panaït Istrati
9
1.1 Istrati, l’avventuroso scrittore di Braïla
Témoin d’une époque tourmentée, Istrati resta fidèle à sa foi dans
l’homme et dans la vie
1
.
La Romania, molto probabilmente, è lo stato europeo di cui in Italia si sa
meno. I Romani conquistarono a fatica questo territorio, caratterizzato da una
natura bella e selvaggia, abitato da una popolazione fiera e superba. Vi sono
grandi boschi e vallate, la costa si affaccia sul Mar Nero. L’antica cultura di
questo Paese è quasi sconosciuta in Italia, anche se la lingua rumena, dotata di una
certa musicalità, deriva dal latino. Il rumeno è più somigliante al latino classico di
qualsiasi altra lingua romanza: le strutture grammaticali e il bagaglio lessicale
della lingua madre sono in esso ben conservati.
Panaït Istrati, uno dei più famosi scrittori rumeni, è un “amant de la
Méditerranée”, come si definisce lui stesso. Il mondo che presenta è “la Roumanie
de la zone du Baragan” e la città di Braïla. È molto ammirato in Romania,
famosissimo in Francia (quasi tutti i suoi scritti sono in francese, un francese un
po’ bizarro, da autodidatta). La maggior parte delle opere d’Istrati, così come
quella che ci apprestiamo ad analizzare, “portent l’empreinte de l’oralité
2
”. A
1
M. Jutrin-Klener, Panaït Istrati. Un chardon déraciné. Écrivain français, conteur roumain, Paris,
François Maspero, 1970, p. 113.
2
R. De felici, “La comparaison métaphorique dans Kyra Kyralina de Panaït Istrati”, in
G. Vanhese (dir.), Deux migrants de l’écriture. Panaït Istrati et Felicia Mihali, Arcavacata di Rende,
Centro Editoriale e Librario dell’Università della Calabria, 2008, pp. 65- 90, p. 70.
10
questo proposito è necessario fare un breve excursus sulla posizione di rilievo che
l’oralità occupa nel panorama letterario rumeno.
La letteratura folkloristica novecentesca trae ispirazione dalla tradizione
orale delle colinde e dei canti vecchi. L’interpretazione e lo studio sulla letteratura
orale rumena sono profondamente legati, nei loro simboli e nei loro miti,
all’arcaicità ed hanno portato grandi studiosi come Mircea Eliade ad affermare la
sopravvivenza di una cultura precristiana nell’immaginario popolare e a
determinare punti comuni delle credenze europee e del vicino oriente.
Fin dalle sue origini più remote la poesia aspira a liberarsi dai vincoli
semantici, a uscire dal linguaggio. La scrittura occulta o reprime
quest’aspirazione. La poesia orale, al contrario, ne accoglie i
fantasmi e tenta di dare ad essi forma. Il desiderio della viva voce
abita ogni poesia, in esilio nella scrittura
3
.
Ritornando ad Istrati, è necessario sottolineare che la casa editrice Feltrinelli
ripubblicando il suo capolavoro, Kyra Kyralina, una ventina d’anni fa, ha reso
noto questo autore al pubblico italiano. Goffredo Fofi ha realizzato la prefazione
alla traduzione italiana di Gino Lupi ed è doveroso sottolineare che, senza la sua
preziosa ricerca sullo scrittore greco-rumeno, solo i lettori più colti e gli eruditi
avrebbero conosciuto questo autore. Le opere d’Istrati e in particolare Kyra
Kyralina, oggetto del nostro studio, sono state tradotte in più di venti lingue, ma il
Paese in cui lo scrittore rumeno è maggiormente conosciuto è la Turchia, grazie
3
P. Zumthor, La presenza della voce. Introduzione alla poesia orale, Bologna, Il Mulino, 1984,
pp. 198-199.
11
agli sforzi di M. Yasar Nabi, direttore delle edizioni Varlik e traduttore di Panaït
in turco.
L’universo istratiano risulta per il lettore turco molto familiare e ciò che
viene descritto all’interno delle opere, come i conflitti sociali, le lotte contadine, le
precarie condizioni di vita, non rappresentano solo una semplice evocazione del
passato.
1.2 Tratti fondamentali della vita d’Istrati
Qui connaît l’histoire de ce vagabond roumain devenant écrivain
français à l’âge de quarante ans
4
?
Panaït Istrati nacque nel 1884 a Braïla. In questa città sono ambientate
moltissime sue opere e in parte anche Kyra Kyralina. Sua madre era una
lavandaia, Joïtza Istrati, una donna coraggiosa e tenace, suo padre era un
contrabbandiere greco, Gherasim Valsamis, che Panaït Istrati non conobbe mai.
Da notare che Panaït porta il cognome della madre, infatti in data 10/20 agosto
1884 sul registro dello Stato Civile di Braïla lo spazio riservato al nome del padre
venne lasciato in bianco:
Il n’est pas facile de se débarasser d’un manque, d’un blanc, d’un
espace vide, d’une mention non-remplie
5
!
4
M. Jutrin-Klener, op. cit., p. 7.
5
E. Geblesco, Panaït Istrati et la métaphore paternelle, Paris, Anthropos-Economica, 1989, p. 23.
12
Della mancanza della figura paterna nella vita del romanziere rumeno ci si
occuperà successivamente.
A ventidue anni lasciò la madre per viaggiare, si mosse di porto in porto del
Mediterraneo, facendo, con l’irrequietezza nel sangue, mille mestieri: calderaio,
manovale, sterratore, uomo-sandwich, pittore di insegne, imbianchino. Il desiderio
di sua madre, come quello di ogni madre del mondo, era di vedere il figlio
sistemato, con un lavoro stabile e sposato con una ragazza di Braïla. Attendeva in
lacrime ogni sua partenza, ma il piccolo Panaït, nonostante fosse infelice nel
vederla soffrire, era incapace di rinunciare alla sua libertà: non poteva resistere
alla chiamata del “vagabondaggio”.
Visitò la Grecia, la Turchia, l’Egitto, la Siria, per un breve periodo di tempo
soggiornò a Napoli. Ebbe contatti con le persone più varie, di ogni condizione
sociale, nei suoi libri, infatti, vi è una mescolanza di culture e tradizioni: rumene,
greche, turche e arabe, che rendono il suo orizzonte letterario ricchissimo e
stupefacente. Nella sua opera si ritrovano sempre passioni estreme: l’amore,
l’amicizia, le “leggi non scritte” di un microuniverso che si può determinare tra
proletariato e sottoproletariato, tra individui onesti e disonesti, tra malviventi,
spesso violenti, e poveri ricchi di dignità. Istrati è stato definito dallo scrittore
svizzero Romain Rolland, che lo incitò a scrivere e che lo rese noto al pubblico,
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come “il Gorkij dei Balcani”. Maxim Gorkij era lo scrittore sovietico più famoso
negli anni Venti.
Le biografie, parzialmente somiglianti e le opere che ne derivano, sono
entrambe a sfondo autobiografico, questo sarà riconosciuto dallo stesso Gorkji; le
opere d’Istrati saranno tradotte rapidamente in russo ottenendo un grande
successo.
Ritornando all’incontro tra Rolland (scrittore affermato che aveva vinto il
premio Nobel per la Pace nel 1916 per la sua filosofia umanista) e Istrati, è
necessario sottolineare che potrebbe essere definito completamente casuale, “un
signe du destin”. Nel primo conflitto mondiale Panaït Istrati, che si trovava in un
sanatorio svizzero, strinse amicizia con Josué Jéhouda, soldato, giornalista,
scrittore ebreo, grande ammiratore dell’opera di Rolland, che gli prestò il
capolavoro del romanziere elvetico, Jean-Christophe. Istrati lesse con interesse il
libro, si appassionò alle idee di Rolland e si identificò quasi con il suo
protagonista, Jean-Christophe.
Tu n’as pas de sang, répétait Christophe à Olivier. Il faut lutter, il
faut haїr
6
.
Istrati si riconobbe subito in questo personaggio, in quest’uomo d’azione,
che amava profondamente la vita e che combattè sempre contro la mediocrità del
mondo: andò subito alla ricerca di colui che lo aveva creato.
6
R. Rolland, Jean-Christophe, Paris, Albin Michel, 2007, pp. 938-939.
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Trovò l’indirizzo di Romain Rolland e tentò di scrivergli ma,
sfortunatamente, lo scrittore aveva cambiato domicilio. Per molti anni Istrati
continuò ad inviargli delle lettere ma sempre all’indirizzo sbagliato, per cui non
furono mai recapitate. A trentasei anni Istrati, malato di tisi e oppresso dalla
miseria, cercò di suicidarsi tagliandosi le vene nel giardino vicino alla famosa
“Promenade des Anglais” a Nizza. In questo caso molti si chiedono se in realtà si
possa davvero parlare di suicidio, in quanto è avvenuto in un giardino pubblico e
in pieno giorno; forse sarebbe più opportuno definirlo “appello alla vita”.
Fu salvato per miracolo; nella giacca fu trovata una lettera per Rolland:
questa volta qualcuno la spedì all’indirizzo giusto. La risposta dell’artista fu la
seguente:
J’attends l’œuvre! Réalisez l’œuvre, plus essentielle que vous, plus
durable que vous, dont vous êtes la gousse
7
.
Rolland prese a cuore il suo caso, e, avendo fiducia nel suo talento, nel 1924
fece pubblicare in Francia Kyra Kyralina, un romanzo diviso in tre parti,
presentandolo con una brillante prefazione.
Il libro riscosse in poco tempo un grande successo e a Panaït Istrati fu
riconosciuta la sua genialità letteraria. I suoi molti romanzi e racconti esplorarono,
da allora, il mondo del suo passato ed ebbero due personaggi-guida: il suo alter-
ego prima bambino e poi giovane uomo, Adrian Zograffi, e l’amico, talora
7
fr.wikipedia.org/wiki/Panaït_Istrati
15
mentore di questi, Mikhaïl, nobile russo sfuggito allo zarismo, compagno perso e
ritrovato di molte vicende. C’è poi la famiglia di Adrian, con lo straordinario zio
Anghel oppure i cento viandanti, dalle storie significative, con i quali Adrian si
confronta durante le sue esuberanti peregrinazioni.
Successivamente si trasferì a Parigi, dove fu a contatto con artisti ed
intellettuali e collaborò alla rivista “Clarté” di Rolland.
A distanza di pochi anni, pubblicò Codine
8
(Il bruto, racconto iniziale del
ciclo Enfance d’Adrien Zograffi), un romanzo ambientato a Braïla, sull’amicizia
tra un ragazzino buono e dolce, Adrian, ed un trentenne criminale, Kodin. Nel
1929 Istrati pubblicò un ampio diario su un lungo soggiorno in URSS, dove era
stato invitato poiché era uno dei più famosi scrittori comunisti europei. Il libro,
intitolato Vers l’autre flamme, era un documento molto critico verso l’Unione
delle Repubbliche Sovietiche Socialiste, dominate definitivamente da Stalin dopo
la morte di Lenin nel 1924. Istrati denuncia gli abusi del potere sovietico e la
realtà della dittatura staliniana, così come fece anche André Gide (1869-1951),
uno degli autori più celebri della sua generazione. Entrambi, come sottolinea
Frédérica Zephir nel suo articolo, “L’éthique au-delà du politique. Étude
comparative des relations de voyage en URSS de Panaït Istrati et d’André Gide”,
aderiscono all’ideale che incarna la rivoluzione bolscevica del 1917 e nutrono una
grande speranza nell’avvento del comunismo in Russia. Profondamente delusi
8
P. Istrati, Codine, Paris, Rieder, 1926.
16
dalla realtà sovietica, che scoprono in occasione del loro viaggio in URSS,
decidono di fare conoscere al mondo intero:
le véritable visage du pays des soviets qu’une propagande efficace
magnifiait alors aux yeux de l’Occident
9
.
André Gide pubblicò il suo saggio Retour de L’U.R.S.S., completato da
Retouches à mon “Retour de L’U.R.S.S.” Ma la differenza tra queste due
personalità riguarda la loro natura, Gide borghese mentre Istrati proletario, “fils
du peuple”:
élevé par la connaissance et le savoir - et non par l’argent - au-dessus
de son propre corps social qu’il ne cesse cependant de défendre et
d’aider
10
.
Tuttavia spesso si parlerà per Istrati di “rivolta sentimentale insufficiente a
dar vita a un buon rivoluzionario”. L’autore cercherà di trovare una via tra il
comunismo e il fascismo, ma alla fine sarà accusato da entrambi i sostenitori di
queste ideologie e le sue posizioni politiche porteranno alla rottura con Romain
Rolland a cui Istrati deve una profonda riconoscenza. Boris Souvarine, che
realizzò il terzo volume di Vers l’autre flamme, intitolato Russie nue nel suo libro
“Panaït Istrati et le communisme
11
” tenta di spiegare lo stalinismo di Rolland
9
F. Zephir, “L’éthique au-delà du politique. Étude comparative des relations de voyage en URSS de
Panaït Istrati et d’André Gide”, in Loxias, Loxias 22, septembre 2008.
10
Idem.
11
B. Souvarine, Panaït Istrati et le communisme, Paris, Champ Libre, 1981, cit. in D. Seidmann,
L’existence juive dans l’œuvre de Panaït Istrati, Paris, A. G. Nizet, 1984, p. 36.
17
attraverso una sorta di giudeofobia che condivide con Stalin. Souvarine cita una
frase del Journal intime di Romain Rolland:
Je sens chez eux (les juifs) des ennemis (inconscients) de la pensée,
des croyances, de l’âme profonde de la Nation, ennemis arrogants et
grossiers contre qui se prépare la revanche.
Ritornando ad Istrati, è necessario ricordare che, successivamente lo
scrittore, accusato da alcuni comunisti francesi di essere un agente del governo
reazionario rumeno (la Romania era allora uno stato più che reazionario),
amareggiato, decise di ritornare in Romania, dove morì poco tempo dopo, nel
1935. Istrati durante i suoi ultimi anni, deluso e scoraggiato, per preservare la sua
nozione di libertà e giustizia, abbracciò l’attitudine “de l’homme qui n’adhère à
rien” che resterà sua fino alla fine. Da ricordare che le ultime parole pronunciate
da Istrati furono greche:
“ Theo …Theo….” (Dio, Dio)
12
.
1.3 Panaït Istrati e la “métaphore paternelle”
L’assenza della figura paterna ha segnato profondamente la vita dell’autore
rumeno, che tra l’altro porta il nome del padre, Ghérasimos; così venne registrato
all’anagrafe, anche se questo nome non fu mai utilizzato; infatti verrà sempre
chiamato Panaït. Lo stesso nell’opera Le pêcheur d’éponges affermò:
12
E. Geblesco, op. cit., p. 148.