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Capitolo 1
LA METAFORA COMPORTAMENTO VERBALE CHE CAMBIA LA
REALT`
Vygotskij:
Per Vygotskij la mente-cervello non Ł una tabula
rasa completamente programmata dalle influenze
esterne, ma un organismo biologicamente attivo, che
si estende al di l dei confini della pelle . Vien e in
tal modo sottolineata l’importanza dei rapporti
interpsichici, l "ecotipo" di Sameroff (1989).
L’interazione Ł dunque il concetto chiave:
1) L uomo con la sua azione strumentale modifica il
mondo fisico, e questo mondo da lui modificato
retroagisce su di lui modificando storicamente la sua
soggettivit (...)
2) L uomo agisce sul piano della comunicazione
interpsichica e la struttura del campo interpsichico
retroagisce, per interiorizzazione, sulla sua struttura
psichica. L ambiente influisce sul soggetto sulla base
dell’esperienza che ne ha il soggetto (...)
3) Avviene costantemente un’interazione
intrapsichica, dalle motivazioni al pensiero al
linguaggio, e dal linguaggio al pensiero e alle
motivazioni ..in ogni idea si trova, in forma
rimaneggiata, la relazione affettiva dell’uomo con la
realt rappresentata in questa idea (...)
4) Un altro aspetto d interazione intrapsichica Ł
costituito dal concetto di sistema funzionale . Le
varie funzioni psichiche (percezione, emozione,
memoria, pensiero, immaginazione, volont ) non
hanno ciascuna una propria linea di sviluppo
separata, ma costituiscono un sistema, in cui lo
sviluppo d ogni elemento modifica il funzionamento
degli altri. (ibid., pp. 57-58)
Vygotskij L.S.
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LE METAFORE GENERATIVE
Le nostre decisioni risentono della cornice in cui collochiamo il problema che
abbiamo di fronte. Se non siamo consapevoli dell’"effetto cornice" ("framing")
non comprendiamo che la prospettiva che adottiamo per inquadrare una
situazione non Ł l’unica possibile, nØ Ł necessariamente la migliore in
circolazione. Il caso piø tragico Ł quello di chi non pensa di star vedendo le cose
da un particolare punto di vista, ma Ł sicuro di vederle cos come sono. Una
convinzione del genere rende difficile la negoziazione e l’adattamento reciproco
tra le persone, perchØ non ammette che esistano modi alternativi plausibili di
vedere le cose.
Il ruolo delle metafore nella formazione delle decisioni dipende appunto dalla
loro funzione di cornice. Le metafore sono ospiti fisse del nostro discorso. Sono
emesse al ritmo di quattro al minuto per un parlante standard, ci assicurano i
linguisti. «Laura Ł un angelo», «Andrea Ł un mandrillo», «Marisa Ł una fata»
sono esempi di metafore. La metafora attribuisce a qualcosa di cui si sta
parlando un attributo preso da un altro dominio di realt . L’elemento di cui si
dice qualcosa Ł chiamato "bersaglio" ("target") della metafora: negli esempi che
abbiamo fatto Laura, Andrea e Marisa sono bersagli. L’elemento che ci informa
circa il bersaglio Ł chiamato "origine" ("ori gin") della metafora: nei nostri
esempi angelo, mandrillo e fata sono origini.
Se io dicessi: «Laura Ł mia sorella» non avrei prodotto una vera metafora, perchØ
non avrei collegato due domini di esperienza differenti, sempre che Laura sia
anagraficamente mia sorella. Avrei invece creato una metafora se la Laura di cui
parlo Ł una gallina rossa, oppure la Laura del Petrarca. Il fatto che due domini
siano separati nella realt non Ł, per sempre paci fico da stabilire. Ne segue che
qualche volta non riusciamo a distinguere in modo netto il significato letterale da
quello metaforico. Alcuni studiosi sostengono che non siamo neppure sicuri che
ci sia un significato "letterale", dato che ogni enunciazione resta impigliata nella
ragnatela di significati che ogni cultura predispone per i suoi membri.
Le metafore ci servono per orientarci nelle situazioni e per comunicare con gli
altri. Ne abbiamo particolarmente bisogno nelle situazioni che non sappiamo
come inquadrare, in cui vorremmo poter disporre di solide griglie interpretative.
La situazione nuova trova, attraverso la metafora, una chiave di lettura che pu
rivelarsi piø o meno adeguata, ma di cui non possiamo fare a meno. Le metafore
che usiamo per impostare un problema ("problem setting") influenzano
profondamente la soluzione ("problem solving"). Sch n (1979) porta come
esempio di ci il dibattito sugli "slum" negli Stat i Uniti degli scorsi decenni. Gli
slum sono le aree degradate delle grandi citt ; ci sono per due modi diversi di
vedere gli slum, ciascuno dei quali sfrutta una propria "metafora generativa".
Da una parte c’Ł chi vede gli slum come una "malattia", un’infezione che
minaccia la salute dell’intera citt . Una volta imboccata la via segnata da questa
metafora, Ł facile continuare con altre metafore tratte dalla pratica medica. Per
riportare la salute nella comunit urbana sar bene chiedere agli esperti e mettere
la questione nelle loro mani. E a che cosa penseranno urbanisti e architetti se non
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ad un intervento chirurgico, la demolizione? La soluzione migliore per loro sar
quella di spostare i residenti da un’altra parte e di riedificare l’intera area ex
novo. La metafora della malattia porta con sØ l’idea che gli slum siano
un’infezione da eliminare.
A questo modo di vedere se ne contrappone un altro, che si fonda su una
metafora diversa. Qui nessuno pensa che gli slum siano bubboni infetti nel corpo
sano della citt . Si pensa piuttosto che essi siano delle vere e vitali "comunit ", i
cui abitanti hanno una storia condivisa e sperimentano un senso di appartenenza
sconosciuto in altre zone della citt . Gli slum son o semplicemente quartieri
abitati da persone con basso reddito. Il problema principale Ł quello della
scarsit di risorse economiche: le persone che vivo no negli slum non vanno
allontanate e disperse, ma soltanto aiutate a sviluppare in pieno le loro
potenzialit positive, come per esempio la particol are propensione a fornire aiuto
ai vicini di casa.
Mentre la prima metafora suggerisce l’idea che gli slum debbano essere demoliti
e sostituiti con un’altra cosa, la seconda metafora considera i residenti come dei
cittadini dotati di risorse apprezzabili, ma bisognosi di aiuto economico da parte
della municipalit . Al posto degli urbanisti entran o in scena i servizi sociali, cui
si chiede di aiutare lo sviluppo di queste comunit . Le due soluzioni al problema
degli slum nascono da prospettive diverse, incorporate nelle metafore
inizialmente adottate. Metafore differenti raccontano storie differenti.
Non esiste un momento "obiettivo", in cui vediamo i problemi cos come sono, e
in seguito un momento valutativo, influenzato dai nostri scopi e dai nostri valori,
in cui risolviamo i problemi e prendiamo le decisioni. La decisione incomincia a
formarsi nel momento stesso in cui ci poniamo il problema in un certo modo. Le
due metafore stimolano visioni diverse di che cosa siano gli slum e di come vadano
trattati. Se penso che essi siano un cancro dovr e liminarli. Se invece credo che
siano comunit vitali ma povere dovr sostenerle. S i tratta di interpretazioni differenti
di una situazione ambigua. Esiste un metodo "obiettivo" e "razionale" per
stabilire quale delle due sia la migliore? Noi crediamo di no, perchØ la nostra attivit
di giudizio Ł interamente presa nella rete che la cultura stende sulla realt .
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LA METAFORA DELLA GUERRA GENERA DISSONANZA COGNITIVA
La dissonanza cognitiva: modificare gli atteggiamenti per giustificare il
comportamento.
Quando azioni liberamente scelte violano atteggiamenti importanti o rilevanti dal
punto di vista personale, l’incoerenza produce uno spiacevole stato di tensione
attivazione fisiologica, che pu motivare le person e a modificare i propri
atteggiamenti per renderli coerenti con il comportamento. PoichØ implica una
elaborazione approfondita, questo tipo di modificazione degli atteggiamenti
produce spesso effetti duraturi.
A volte le azioni contraddicono gli atteggiamenti che le persone ritengo
importanti e che hanno per loro conseguenze di lungo periodo. Si consideri il
seguente esempio. Durante la guerra di Corea, molti soldati statunitensi furono
internati in campi di prigionia nella Cina comunista. Questi uomini affrontarono
la detenzione opponendosi fieramente all’ideologia comunista. Non di meno,
alcuni di loro furono indotti a compilare degli elenchi dei «problemi
dell’America», a fare proprie alcune delle ragioni del comunismo e a compiere
piccole, ma significative, azioni di cooperazione con il nemico.
Quando emergono contraddizioni tra importanti atteggiamenti da un lato
comportamenti dall’altro, gli individui non accettano in maniera irriflessiva di
vedere nelle proprie azioni degli indicatori dei loro atteggiamenti impliciti. Al
contrario, essi riflettono profondamente sul proprio comportamento. Questa
attenta riflessione impedisce alle loro azioni di incidere sugli atteggiamenti?
Niente affatto. Le dimostrazioni di una modificazione dell’atteggiamento sono
frequenti e notevoli. Per esempio, molti soldati di ritorno dai campi di prigionia
cinesi avevano cambiato le loro opinioni sul comunismo al punto da ritenere che,
sebbene non potesse funzionare negli Stati Uniti, il comunismo Ł buona cosa per
l’Asia» (Schein, 1956; H.A. Segal, 1954). Vediamo perchØ.
La teoria della dissonanza cognitiva. Nel 1957
Leon Festinger, un giovane brillante psicologo
sociale, sostenne che quando le persone diventano
consapevoli che i loro atteggiamenti, i loro
pensieri e le loro convinzioni («le cognizioni»)
sono incoerenti gli uni rispetto agli altri, questa
consapevolezza generano spiacevole stato di
tensione detto dissonanza cognitiva. La dis-
sonanza cognitiva si produce sovente quando il
comportamento entra in conflitto con un
atteggiamento preesistente; quando, per esempio,
si ama il proprio paese ma si coopera con il
nemico. Festinger non si limit a sostenere che le
incoerenze provocano disagio. Propose anche una
nuova e audace teoria: la motivazione a ridurre gli
spiacevoli effetti collaterali dell’incoerenza
produce spesso una modificazione degli atteg-
giamenti. Secondo la teoria della dissonanza Festinger L.
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cognitiva, le tensioni causate dalle discrepanze tra azioni e atteggiamenti
importanti vengono placate di frequente mediante cambiamenti che apportiamo
non al nostro comportamento, ma piuttosto al nostro modo di pensare.
Nei decenni successivi alla proposta di Festinger, letteralmente centinaia di
esperimenti hanno confermato l’esistenza della dissonanza cognitiva e dei suoi
effetti. Quegli esperimenti hanno anche contribuito a chiarire attraverso quali
fasi di elaborazione la dissonanza trasformi le azioni in modificazione degli
atteggiamenti (Cooper e Fazio, 1984; Petty e Wegener, 1998). Dalle numerose
ricerche effettuate emerge che sono necessarie quattro fasi affinchØ le azioni
producano dissonanza e affinchØ la dissonanza produca modificazione degli
atteggiamenti.
1. L’individuo deve percepire l’azione come incoerente. Secondo Festinger
l’incoerenza tra atteggiamento e azione Ł di per se stessa sufficiente a produrre
dissonanza. Alcune evidenze recenti suffragano questa tesi (Harmon Jones,
Brehm, Greenberg, Simon e Nelson, 1996; R.W. Johnson, Kelly e Le Blanc,
1995). Ma l’incoerenza Ł sufficiente in sØ e per sØ a causare un disagio di tale
portata? Forse solo le azioni che danno luogo a conseguenze negative, o anche
solo alla possibilit di esiti negativi, sono poten zialmente in grado di sollecitare
uno stato di dissonanza (J. Cooper e Brehm, 1971; Goethals e altri, 1979; Scher e
Cooper, 1989). Se l’azione non produce effetti, come nel caso di una semplice
riflessione sulle ragioni per cui il comunismo potrebbe essere migliore del
capitalismo, non dovrebbe esservi dissonanza perchØ non Ł stato causato alcun
danno. Ma se, per esempio, le ragioni elencate in favore del comunismo possono
essere usate per persuadere altri prigionieri, allora ci sarebbe in grado di
provocare uno stato di dissonanza. Da altre ricerche emerge che solo le azioni
incongruenti con l’immagine positiva che abbiamo di noi stessi hanno la capacit
di suscitare dissonanza (E. Aronson, 1969; Baumeister, 1982; Greenwald e
Ronis, 1978; Steele, 1988). Per esempio, le azioni che violano il nostro senso di
integrit personale (come mentire o ingannare) dovr ebbero produrre disagio
(Steele, 1988). Di fatto, da questa prospettiva persino i comportamenti che sono
coerenti con degli atteggiamenti, possono provocare dissonanza se sono
incoerenti con una positiva considerazione di sØ (Stone, Wiegand, Cooper e
Aronson, 1997). Se, per esempio, sostenere che si dovrebbero risparmiare le
risorse idriche rende un ambientalista consapevole del fatto che lui stesso a volte
ne fa cattivo uso, ci potrebbe provocare in lui un o stato di dissonanza.
Naturalmente, in tutte queste situazioni vi Ł incoerenza tra azioni e atteggia-
menti, concetti di sØ oppure canoni di comportamento che sono importanti per
l’individuo. ¨ questa incoerenza, indipendentemente dalla sua esatta fonte, a
costituire il primo passo sulla strada della dissonanza cognitiva.
2. L’individuo deve assumersi la responsabilit person ale dell’azione. La disso-
nanza nasce solo, quando Ł compiuta un attribuzione interna; ossia quando
percepiamo di avere deciso in piena libert di mett ere in atto il comportamento
discrepante rispetto all’atteggiamento. Quando siamo costretti da gravi minacce o
attratti da forti ricompense, possiamo attribuire l’azione ad una causa esterna, il
che impedir l’insorgere della dissonanza. Se, per esempio, i cinesi avessero
usato la tortura per costringere i prigionieri a collaborare con loro, i
comportamenti collaborativi di questi ultimi non avrebbero stimolato uno stato di
dissonanza. Ma anzichØ usare la coercizione, i cinesi offrivano piccoli premi a
chi partecipava a «gare di scrittura di saggi», gare alle quali i prigionieri erano
liberi di partecipare o meno. La ricerca di laboratorio ha confermato l’efficacia di
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queste tattiche. Gli studenti a cui veniva chiesto di scrivere un saggio incoerente
con le loro personali convinzioni sulla libert di parola sperimentavano una
notevole dissonanza, mentre altri a cui era stato ordinato di scrivere il saggio o a
cui erano state promesse notevoli ricompense se lo avessero fatto non
presentavano alcun segno di dissonanza (Linder, Cooper e Jones, 1967).
L’assunzione di responsabilit personale Ł talmente cruciale per il prodursi della
dissonanza che quegli individui che tendono di norma ad attribuire il proprio
comportamento a cause esterne non esperiscono la dissonanza nella stessa misura
di coloro che rintracciano in se stessi l’origine delle proprie azioni (Stalder e
Baron, 1998).
3. L’individuo deve esperire l’attivazione fisiologica. Proprio come Festinger ha
sostenuto, sembra che la dissonanza venga percepita come uno sgradevole stato
di attivazione fisiologica. Robert Croyle e Joel Cooper (1983) misurarono questa
attivazione attaccando elettrodi alle dita dei partecipanti che prendevano parte ad
uno studio basato sulla scrittura di saggi. Ad un gruppo di partecipanti venne
chiesto di scrivere saggi in linea con le loro opinioni personali (proattitudinali),
mentre a un altro gruppo si chiese di scrivere saggi incongruenti rispetto ai loro
atteggiamenti (controattitudinali). Ai partecipanti di questo secondo gruppo lo
sperimentatore disse che stava a loro scegliere, ma che la ricerca sarebbe stata
notevolmente facilitata se avessero acconsentito a scrivere i saggi loro richiesti.
Quasi tutti aderirono all’invito. Ad altri due gruppi di partecipanti venne
semplicemente ordinato di scrivere saggi proattitudinali o controattitudinali.
I ricercatori si aspettavano che la dissonanza insorgesse solo quando i
partecipanti sceglievano liberamente un comportamento discrepante rispetto
all’atteggiamento; ossia quando veniva loro chiesto, e non ordinato, di scrivere
un saggio controattitudinale. I risultati confermarono la loro ipotesi. Solo i
partecipanti che scelsero liberamente di scrivere saggi controattitudinali
mostrarono incrementi nell’attivazione fisiologica. Altre ricerche che si sono
avvalse di tecniche psicofisiologiche hanno confermato che la dissonanza viene
percepita come una sensazione d attivazione spiacevole (Elkin e Leippe, 1986;
Losch e Cacioppo, 1990). Se i prigionieri di guerra si resero conto di avere
scritto saggi antiamericani di loro spontanea volont , ne furono indubbiamente
assai turbati.
4. L’individuo deve attribuire l’attivazione fisiologica all’azione compiuta. La
dissonanza cognitiva non si verifica semplicemente perchØ ci si sente attivati
fisiologicamente. Occorre anche attribuire quell at tivazione all’incoerenza tra
atteggiamenti e azioni ( J. Cooper e Fazio, 1984). Questo punto Ł stato
dimostrato da studi in cui, mediante qualche trucco, veniva fatto credere ai
partecipanti che il disagio da loro provato era dovuto a qualcos’altro: luci
fluorescenti che funzionavano male, una pillola che avevano ingerito, scosse
elettriche che prevedevano di subire, od occhiali prismatici fatti loro indossare
(J. Cooper, Zanna e Taves, 1978; Fazio e altri, 1977; Losch e Cacioppo, 1990;
Pittman, 1975). In tali casi, il disagio non ha alcuna attinenza con le incoerenze
tra atteggiamenti e azioni. Ma quando le persone attribuiscono correttamente il
disagio all’incoerenza tra atteggiamento e azione, la loro attenzione si focalizza
su quella incoerenza. Proprio come si Ł motivati ad eliminare stati fisiologici
spiacevoli quali la fame e la sete, cos si desidera ridurre il disagio della
dissonanza. Quando gli atteggiamenti e i comportamenti sono incoerenti in
maniera sgradevole, qualcosa deve cambiare. PoichØ il comportamento
liberamente scelto e le sue conseguenze negative sono difficili da eliminare o da
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negare, Ł piø facile ristabilire la coerenza modificando l’atteggiamento. Incapaci
di cancellare o di negare l’evidenza dei loro piccoli atti di collaborazione, alcuni
prigionieri di guerra americani giunsero a vedere le cose sempre piø dal punto di
vista dei loro carcerieri cinesi. Tanto Ł vero che, quando la guerra fin , 21 ex
prigionieri scelsero di rimanere in Cina. ¨ solo qu ando gli atteggiamenti
diventano congruenti con le azioni che la dissonanza viene infine eliminata.
L’intero processo che inizia con uno stato di dissonanza e termina con la sua
eliminazione mediante una modificazione dell’atteggiamento. In determinate
circostanze, allora, le persone che si comportano in maniera discrepante rispetto
ai propri atteggiamenti modificano questi ultimi per conformarli alle loro azioni.
Ci accade non solo in situazioni estreme rispetto all’esistenza ordinaria, come lo
Ł l’internamento in un campo di prigionia. La teoria della dissonanza fornisce
una spiegazione semplice per un’ampia gamma di situazioni in cui cambiamenti
di questo tipo si verificano nelle interazioni quotidiane nelle aule, nelle cliniche
e nei grandi punti di vendita. Quando si mettono in atto comportamenti
incoerenti rispetto ad atteggiamenti importanti, la dissonanza innesca dei
processi giustificatori che producono infine la modificazione dell’atteggiamento.
Nelle prossime pagine, esploreremo la modificazione degli atteggiamenti che si
verifica quando le persone cercano di giustificare il fatto di avere agito in
maniera incongruente rispetto ai loro atteggiamenti, di avere compiuto notevoli
sforzi, di avere preso delle decisioni difficili oppure di non avere messo in
pratica ci che predicano.
LA METAFORA DELLA GUERRA E I RITI DI INIZIAZIONE
LA GIUSTIFICAZIONE DELLO SFORZO: HO SOFFERTO PER
OTTENERLO, PERCI VUOL DIRE CHE MI PIACE
PerchØ a volte si arriva ad amare ci per cui si soffre? La dissonanza cognitiva
ci offre una spiegazione: le persone modificano i loro atteggiamenti per
giustificare le proprie sofferenze. Gli appartenenti a gruppi che impongono
severi riti di iniziazione valutano di piø i propri gruppi rispetto a coloro che
vengono accettati senza iniziazione (E. Aronson e Mills, 1959). I partecipanti
degli esperimenti preferiscono compiti difficili eseguiti per sperimentatori freddi
e scostanti rispetto a compiti eseguiti per sperimentatori cordiali (Rosenfeld,
Giacalone e Tedeschi, 1984). La sofferenza non Ł il solo tipo di «travaglio» che
richieda una giustificazione. Quasi ogni sorta di sforzo pu dare luogo ad una
modificazione dell’atteggiamento volta a ridurre la dissonanza. Danny Axsom e
Joel Cooper (1985) dimostrarono i vantaggi pratici di quest effetto di
giustificazione dello sforzo in un abile studio che coinvolse donne sovrappeso.
Durante un periodo di 3 settimane d addestramento su come ridurre il proprio
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peso alcune delle partecipanti, tutte volontarie in risposta ad un annuncio su un
quotidiano, lavorarono a compiti percettivi e auditivi difficoltosi; altre, invece,
eseguirono versioni relativamente facili e piacevoli degli stessi compiti. In
nessuna delle due condizioni si fece alcunchØ per incoraggiare esplicitamente le
donne a stare a dieta, sebbene tutte fossero incoraggiate a tenere nota di quello
che mangiavano e fossero pesate regolarmente. Sei mesi dopo, le partecipanti
furono nuovamente contattate e pesate. I risultati mostrarono che il gruppo
sottoposto a sforzi intensi aveva perso in media 3,900 Kg, mentre il gruppo a
basso sforzo aveva perso meno di un etto. Questa differenza fu riscontrata di
nuovo, quando le partecipanti riferirono il proprio peso un anno piø tardi. Forse
le donne giustificarono la difficolt dei compiti c he avevano acconsentito a
svolgere decidendo che perdere peso era molto importante per loro. Altre
ricerche confermano la tesi secondo cui piø investiamo in qualcosa - in termini
di tempo, denaro o sofferenza - piø quel qualcosa finisce per piacerci (Wicklund
e Brehm, 1976).
LA NORMA DELL OBBEDIENZA: SOTTOMETTITI ALL AUTORIT
Il processo per crimini di guerra contro Adolf Eichmann stimol interrogativi
sulla natura umana in milioni di persone in tutto il mondo (Arendt, 1965). Uno
degli ufficiali di Hitler piø alti in grado durante la seconda guerra mondiale,
Eichmann aveva mandato a morte nei campi di concentramento nazisti milioni di
ebrei, zingari, omosessuali, comunisti e malati di mente. Agli israeliani che lo
catturarono e all’opinione pubblica di tutto il mondo, il comportamento di
Eichmann pareva incomprensibilmente malvagio. Certamente un comportamento
talmente mostruoso rifletteva una depravazione totale, una crudelt estrema o un
odio patologico.
Eppure, come innumerevoli altre persone che hanno compiuto massacri
nell adempimento del loro «dovere», Eichmann appariva del tutto normale,
persino noioso. Egli si descriveva come un buon padre di famiglia che prima
dell’ascesa del regime nazista aveva condotto un’esistenza ineccepibile. Diceva
di non avere niente in particolare contro gli ebrei. Ripetutamente sostenne di
avere «solo eseguito gli ordini». La sua autodifesa non gli salv la vita:
Eichmann fu giudicato colpevole e impiccato per crimini contro gli ebrei e
contro l’umanit . Ma il genocidio Ł ancora oggi una strategia politica
ampiamente in uso, e perci le domande sulla natura umana sollevate dalle
azioni di Eichmann e dal suo processo sono piø che mai attuali. La tortura o
l’assassinio sono qualcosa di cui chiunque si potrebbe macchiare se gli venisse
ordinato?
Tra coloro che furono affascinati dal processo, vi fu lo psicologo sociale nor-
damericano Stanley Milgram. Convinto sostenitore delle differenze culturali.
Milgram dubitava che un comportamento come quello di Eichmann si potesse
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verificare in culture in cui individualismo e indipendenza di giudizio fossero
valori tenuti in grande considerazione. Egli riteneva che gli appartenenti a tali
culture avrebbero resistito alla pressione esercitata dal gruppo per farli obbedire
agli ordini, specialmente se quegli ordini avessero comportato azioni nocive nei
confronti di altri individui. Una volta messe a punto le procedure per una
condizione di controllo - una situazione in cui ai partecipanti venivano date delle
istruzioni perchØ provocassero sofferenza in un altro partecipante, ma senza
alcuna pressione da parte del gruppo perchØ lo facessero - Milgram progettava di
verificare la sua ipotesi sul conformismo e sull’obbedienza in molti paesi diversi.
Ma le sorprendenti reazioni dei partecipanti a questa condizione di controllo
sospesero i piani di Milgram. Comprendere come e perchØ le persone
obbediscano all’autorit , anche quando ci comporta arrecare danni o sofferenze
agli altri, divenne il suo interesse principale e i risultati dei suoi esperimenti
divennero, forse, i piø famosi e i piø controversi della psicologia sociale.
Gli studi di Milgram sull’obbedienza.
In uno dei piø noti esperimenti di psicologia, i
partecipanti obbedirono agli ordini di infliggere
scosse elettriche ad una vittima non consenziente
a cui chiaramente provocavano sofferenza. I
partecipanti obbedirono a questi ordini, anche se
non erano obbligati a farlo.
Tramite annunci su un quotidiano di New Haven,
nel Connecticut, Milgram reclut uomini di tutte
le condizioni sociali per farli partecipare al suo
esperimento in cambio di un piccolo compenso.
Quando arrivava al laboratorio nel campus della
Yale University, ciascun volontario veniva
presentato ad un uomo di mezza et , un
collaboratore dello sperimentatore che fingeva di
essere un altro partecipante.
Lo sperimentatore spiegava che scopo dello studio era dimostrare gli effetti delle
punizioni sull’apprendimento e che per quella seduta uno dei due partecipanti
avrebbe svolto il ruolo dell’insegnante e l’altro dell’allievo. Un sorteggio
manipolato assegnava il partecipante vero al ruolo di insegnante. Il suo compito
consisteva nell’insegnare all’allievo coppie di parole e nel punirne ogni risposta
sbagliata infliggendogli una scossa elettrica al polso. Sotto gli occhi
dell’insegnante, l’allievo si faceva legare senza protestare ad una sedia in una
stanza adiacente dopo di che gli venivano fissati degli elettrodi ai polsi. Per
«verificare il funzionamento dell’apparecchiatura» lo sperimentatore dava
all’insegnante una scossa a basso voltaggio, consentendogli cos di provare la
sensazione, leggermente sgradevole, a cui l’allievo sarebbe stato soggetto nelle
prime fasi dell’esperimento.
Tornati nella stanza principale, lo sperimentatore spiegava come funzionava
l’attrezzatura. Per infliggere la scossa, l’insegnante doveva semplicemente azio-
nare uno degli interruttori sul generatore di corrente. Vi erano 30 interruttori,
con incrementi di 15 volt ciascuno, che andavano da 15 volt (etichettato «scossa
Milgram S.
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leggera») a 450 volt (contrassegnato sinistramente solo con «XXX»). L’inse-
gnante doveva iniziare dal voltaggio piø basso e ad ogni errore passare al livello
successivo. Le scosse potevano essere «dolorose» avvertiva lo sperimentatore,
«ma non causare lesioni permanenti ai tessuti». Lo sperimentatore se ne stava in
piedi accanto all’insegnante, quando l’esperimento aveva inizio.
Gli errori iniziali dell’allievo venivano trattati solo con livelli bassi di scossa. Ma
via via che le risposte sbagliate aumentavano, lo stesso avveniva per il voltaggio.
Ben presto, gemiti di dolore cominciavano a provenire dalla stanza dell’allievo,
ma egli continuava nel suo compito di imparare le coppie di parole. In questa
fase, gli insegnanti presentavano tipicamente segni visibili d angoscia e
cercavano di interrompere l’esperimento. Lo sperimentatore, tuttavia, era
inflessibile e si limitava a ripetere che l’esperimento doveva continuare. Infine,
arrivati a 300 volt, l’allievo cominciava a battere contro il muro per protestare e
si rifiutava di rispondere ad altre domande. La maggior parte degli insegnanti a
questo punto sospirava di sollievo, credendo che l’esperimento fosse finito. Lo
sperimentatore, per , annunciava che il silenzio do veva essere considerato una
risposta sbagliata e come tale punito. Alle proteste degli insegnanti veniva
risposto: «L’esperimento richiede che lei continui». Via via che le scosse
aumentavano d intensit e che l’allievo batteva sem pre piø debolmente contro la
parete, lo sperimentatore incitava l’insegnante a proseguire, dicendogli: «Non ha
scelta, deve andare avanti». Infine, persino i colpi contro la parete avevano
termine. A questo punto, gli insegnanti angosciati esprimevano tipicamente il
dubbio che l’allievo stesse male, ma lo sperimentatore non esitava mai, e
insisteva: «La responsabilit Ł mia. La prego di continuare».
Com Ł ormai ampiamente risaputo, la maggior parte dei partecipanti continu . In
uno studio, il 68% dei partecipanti inflisse scosse sempre piø intense fino a 450
volt (Milgram, 1963). Ben lungi dal dimostrare che la gente comune Ł in grado
di resistere ai dettami dell’autorit , l’esperimento dimostr esattamente l’opposto.
I risultati sbalordirono sia gli scienziati sia l’opinione pubblica in generale.
Quando Milgram descrisse le sue procedure sperimentali ad adulti di ceto medio,
a studenti universitari e a psichiatri, i piø ipotizzarono che solo una sparuta
minoranza avrebbe obbedito allo sperimentatore fino alla fine. Invece, piø di due
terzi dei partecipanti accettarono di compiere azioni per cui provavano
repulsione.
Come spiegare l’obbedienza: era il momento storico, era il luogo, erano le
persone?
L’obbedienza distruttiva dei partecipanti di Milgram non era dovuta a difetti
personali, a spietato disinteresse nei confronti della vittima o al sospetto che
l’esperimento fosse truccato. Di fatto, l’obbedienza in contesti non sperimentali
pu essere ugualmente elevata, e in studi recenti l e figure dotate di autorit
hanno ottenuto altrettanta obbedienza di quanta ne ottennero 40 anni fa negli
esperimenti di Milgram.
PerchØ furono tanto numerose le persone che obbedirono? I partecipanti di Mil-
gram erano individui particolarmente spietati, persone troppo indurite per curarsi