5
In questo primo momento l’attenzione degli psichiatri si volse non tanto al valore
artistico di queste singolari produzioni, allora ancora insospettato, bensì all’uso che
se ne potava fare in quanto manifestazioni esteriori di una condizione psicologica
disturbata.
Durante la prima metà del Novecento si crearono le condizioni favorevoli per il
riconoscimento della qualità artistica di quest’arte. La medicina sviluppò nuove
teorie psichiatriche, che resero meno oscura la malinconia, la psicosi, ed in ambito
artistico i protagonisti delle avanguardie sostituirono ai valori estetici tradizionali
quelli dell’ingenuità e della barbarie.
Le diverse collezioni, costituite da opere create da alienati, che nacquero all’interno
di diversi asili psichiatrici europei, riflettono la necessità che per la prima volta
alcuni psichiatri sentono, di una valutazione anche estetica nei confronti di queste
produzioni.
Il primo segnale forte di riconoscimento artistico verso l’arte nata nei luoghi della
malattia mentale, giunge da parte di un uomo, Hans Prinzhorn (1886-1933), che reca
con sé sia lo sguardo del medico, che quello dello storico d’arte.
Nella seconda parte del secondo capitolo, verranno presentate la vita di Prinzhorn,
con la messa in luce delle vicende che lo porteranno alla costituzione di una delle più
grandi collezioni di opere di malati mentali e la vita della Collezione Prinzhorn, che
sopravvissuta alla tragedia del nazionalsocialismo, è oggi possibile visitare alla
clinica psichiatrica universitaria di Heidelberg.
La terza parte di questo capitolo è dedicata al testo che Prinzhorn scrisse nel 1922,
Bildnerei der Geisteskranken, nel quale analizzò le opere di dieci maestri, suoi
pazienti affetti da schizofrenia, secondo il principio universale della Gestaltung, da
lui teorizzato. Il principio della Gestaltung viene designato come “processo
primario”, “nucleare”, veicolo delle “idee universalmente umane”.
Nel libro di Prinzhorn è stato riconosciuto il segno della fine di un’esclusione.
Bildnerei der Geisteskranken, grazie all’ampio apparato illustrativo che conteneva,
calamitò l’attenzione di numerosi artisti, e fin dalla prima pubblicazione iniziò a
circolare negli atelier del Bauhaus, degli espressionisti, dei surrealisti, fino a
giungere nelle mani del giovane Jean Dubuffet.
Nell’ultima parte di questo capitolo viene riportata l’intervista, da me condotta il 6
Febbraio 2006 ad Heidelberg, allo storico dell’arte ed attuale direttore della
Collezione Prinzhorn, Dott. Thomas Röske.
6
Il terzo capitolo, nella prima sezione, prende in esame gli aspetti che le avanguardie
artistiche scelsero di ereditare dal testo prinzhorniano, svelando alcune
corrispondenze formali rintracciabili tra opere considerate appartenenti all’ambito
dell’arte “ufficiale” ed opere oggi inserite nella categoria all’arte irregolare.
La seconda parte di questo capitolo narra del primo incontro di Jean Dubuffet (1901-
1985) con l’arte irregolare e della generazione della Compagnia e della Collezione
dell’Art Brut.
L’ultimo capitolo, dedicato al lato più “contemporaneo” della storia dell’Outsider
Art, nella prima parte analizza i risvolti che l’alternativa anti-culturale proposta da
Dubuffet ebbe sull’estetica dominante. In questo primo paragrafo inoltre vengono
esaminati i fattori culturali che permetteranno l’inclusione dell’arte Outsider nel
mondo dell’arte ufficiale, sottolineando le difficoltà che questa “nuova” categoria
artistica troverà nell’essere classificata.
La seconda parte del quarto capitolo esamina il processo di legittimazione conseguito
dalle opere Outsider dalla prospettiva del mercato dell’arte. Si vedrà come, a livello
internazionale, il percorso di riconoscimento e valorizzazione dell’arte Outsider
passerà attraverso i meccanismi dettati dagli organizzatori delle fiere, dai galleristi e
dai collezionisti.
Nell’ultima sezione dell’ultimo capitolo, si è tentato di rendere più chiara la storia
dello svelamento dell’Outsider Art, affiancandola a quella della ricezione dell’arte
primitiva, e sottolineandone le affinità. Abbiamo inoltre constatato che la relativa
facilità con cui è possibile riconoscere le diverse tappe del processo che ha portato
alla piena visibilità entrambe le categorie, non viene riscontrata nel tentativo di una
ricerca dei motivi profondi che hanno spinto fino ad oggi gli uomini ad avvicinarsi a
quest’arte.
7
2. Definizione e Origini
2.1 Contesto Storico e Culturale della Categoria Outsider Art
L’attenzione rivolta ai legami tra follia e genio presenta una storia parallela e
congiunta alla storia dell’arte. Basta ricordare l’aristotelico Problemata XXX, 1 che
poneva le basi per il confronto tra i sintomi di coloro che venivano definiti malati di
malinconia, malati di atrabile e coloro che invece presentavano attitudini geniali nel
campo filosofico, politico, artistico e poetico.
Senza però dover ripercorrere tutta questa lunga vicenda, di cui peraltro esiste
un’estesa bibliografia (consiglio di consultare i testi di R. Klibansky, E. Panofsky e
F. Saxl, 1983 e J. Starobinski, 1990), preferirei fare un salto in avanti fino a giungere
alla soglia del XX secolo, epoca in cui inizia a svilupparsi l’interesse svincolato da
intenti diagnostici per la produzione artistica di pazienti psichiatrici. Prima di
giungere a questo punto è necessario fare delle precisazioni.
La comprensione ed il riconoscimento dell’arte nata in manicomi o asili psichiatrici
seguono un percorso graduale che dalla seconda metà del XIX secolo è legata
all’attenzione di medici, non solo psichiatri, verso cure più umane per coloro
soffrono di disturbi mentali.
In Italia l’antropologo, criminologo e psichiatra Cesare Lombroso (1835-1909),
definito da MacGregor
1
il sostenitore della teoria dei legami tra genio e follia più
scientificamente preparato del XIX secolo, pubblica il testo L’uomo di Genio
2
inizialmente uscito nel 1863 sotto il titolo Genio e Follia. Lombroso fornisce un
vasto numero di prove per dimostrare la tesi secondo la quale la genialità è
un’attitudine equivalente ad una forma di pazzia, quindi tutti coloro che presentano
caratteri geniali sono da diagnosticare come persone affette da “psicosi
degenerativa”.
1
Questa citazione proviene da John M. MacGregor, The Discovery of the Art of the Insane,
N.J.: Princeton University Press, Princeton, 1989, p. 93, testo in cui ho trovato la maggior parte delle
notizie su Lombroso.
2
Cesare Lombroso, L’uomo di Genio. In Rapporto alla Psichiatria, alla Storia ed
all’Estetica, F.lli Bocca, Torino, 1888
( I ed. 1863).
8
Nel 1880 nell’ articolo L’Arte dei Pazzi
3
, Lombroso esamina quadri e disegni di
pazienti in opposizione a persone geniali. I materiali dei malati mentali che utilizza
fanno parte della sua collezione privata, che tuttora è possibile visitare al Museo di
Antropologia Criminale di Torino da lui stesso fondato nel 1876.
In questo studio Lombroso, all’interno della tradizione molto rigida dell’ estetica del
tempo che poneva particolare attenzione alla regolarità della composizione,
all’accostamento armonico dei colori, alla prospettiva, alla riproduzione naturalistica
del soggetto, rileva tredici caratteristiche formali comuni, individuabili nei prodotti
artistici dei cosiddetti “alienati”. Stando alla tesi sostenuta da Lombroso, attraverso il
riconoscimento di questi tratti specifici sarebbe stato possibile risalire alle cause
dell’unicità di quest’arte.
Il risultato inevitabile fu quello di una classifica di pregiudizi e non quello di
un’analisi di tipo estetico, poiché il presupposto che la malattia mentale potesse
influenzare la produzione artistica facendola regredire a stati primitivi riconducibili
ad uno “stile primitivo”, non gli permise di considerare tutta la produzione di quegli
alienati la cui cifra stilistica invece rientrava perfettamente nei canoni estetici
tradizionali
4
. Inoltre sotto la definizione di arte primitiva venivano comprese sia
l’arte proveniente dall’estremo oriente che l’arte infantile, e se da una parte
esistevano collezionisti ed artisti coscienti del valore artistico di queste produzioni
5
,
dell’altro c’era anche chi considerava entrambe le categorie esteticamente arcaiche
ed infantili. Lo studio lombrosiano, seguendo la strada di questi ultimi, non poteva
che dare un’immagine peggiorativa delle produzioni dei malati mentali.
L’inizio della fine dell’esclusione dell’arte dei folli dai circuiti tradizionali dell’arte è
rintracciabile, a differenza di quanto si potrebbe immaginare, prima ad un
cambiamento di rotta avvenuto nelle ricerche in ambito psichiatrico e poi allo spacco
con la tradizione in ambito artistico individuabile nella svolta simbolista e nella
rottura fauve-espressionista.
Sul finire dell’Ottocento, lo psichiatra tedesco Emil Kraepelin
6
(1856-1926) è il
primo a tentare di creare una categorizzazione dei disturbi mentali raggruppandoli in
3
Citato in John M. MacGregor, op. cit. p. 94.
4
Questa è la tesi sostenuta da John M. MacGregor, op. cit. nel capitolo dedicato a Lombroso,
pp. 91-102.
5
Lucienne Peiry, L’Art Brut, Flammarion, Paris, 1997, p. 24.
6
Apparso in http://en.wikipedia.org/wiki/Kraepelin.
9
base ad una classificazione di patterns comuni di sintomi. A differenza dei suoi
predecessori che utilizzavano un sistema diagnostico nel quale i sintomi maggiori
venivano classificati secondo un principio di somiglianza, Kraepelin inaugura il
nuovo metodo della psichiatria scientifica moderna con l’avvento della psichiatria
clinica a discapito di quella da lui definita “sintomatica”. Nel 1893 nella quarta
edizione tedesca del suo Lehrbuch der Psychiatrie introduce il concetto diagnostico
di dementia praecox, malattia avente in sé una prognosi terribile e non modificabile,
quella appunto del deterioramento psichico progressivo e irreversibile.
Nel 1911 Eugen Bleuler (1857-1940) conia il termine schizofrenia
7
ritenendo la
definizione kraepeliana ingannevole. La tesi di Bleuler sostiene che la parola praecox
implicando un inizio, entrerebbe in contrasto con la demenza senile dell’età
avanzata; la cosiddetta dementia praecox invece non è sempre riscontrabile in
persone di giovane età. Inoltre Bleuler non è convinto che la malattia possa essere
definita una demenza, poiché non conduce a deterioramento mentale, ritiene
piuttosto che la schizofrenia conduca ad un affilamento dei sensi e ad una maggior
consapevolezza dei ricordi e delle esperienze passate.
Con il termine schizofrenia, parola che contiene in sé il sintomo e la manifestazione
primaria della malattia, il fenomeno della “dissociazione”
8
, Bleuler intendeva
identificare la separazione che avviene nel paziente, tra personalità, pensiero,
memoria e percezione.
Il lavoro di Bleuler fu significativo, poiché suggerì che i disturbi psicologici
potevano essere alla radice di psicosi e perché fu il primo a credere che questi malati
non fossero incurabili.
In Francia, durante il primo decennio del XX secolo, il materiale degli artisti
psicotici ottiene per la prima volta il riconoscimento artistico. Gli avvenimenti che
portano a questa svolta sono due: la nascita del “Museo dei Folli” nel 1905 da parte
dello psichiatra francese Dr. Auguste Marie, e la pubblicazione del testo L’Art chez
les Fous
9
di Marcel Réja nel 1907.
7
Apparso in http://en.wikipedia.org/wiki/Schizophrenia#History.
8
Jean Starobinski, prefazione, Hans Prinzhorn, Expression de la Folie. Dessin, Peinture,
Sculpture d’Asile, Gallimard, Paris, 1984, p. IX.
9
Marcel Reja, L’Art chez les Fous : le Dessin, la Prose, la Poésie , Mercure de France, Paris,
1907, rééd., Z’éditions, Nice, 1994.