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La ragione del successo teatrale della messa in scena della morte è la forza
emotiva che trasmette, attirando a sé spettatori di qualsiasi classe e ceto sociale,
senza distinzioni.
Il teatro inglese medievale trovò necessaria perfino l’introduzione di figure
allegoriche come Death per impartire regole di comportamento imperniate sulla
morale cattolica.
Con il tempo assume crescente importanza soprattutto la messa in scena della
violenza. I drammi minori come Cambises, Apius and Virginia e Gismond of
Salerne, presentano scene di morte senza tralasciare o risparmiare nessun
particolare in modo da rendere il momento realistico al massimo. Si tratta di
opere che rappresentano le origini di quello che sarà il teatro di Marlowe e Kyd,
di drammi minori che sono stati prodotti per un pubblico di estrazione popolare.
Spargimenti di sangue invadono la scena, il palcoscenico accoglie esecuzioni,
omicidi, suicidi, impiccagioni, decollazioni, tutto questo accompagnato dai
particolari necessari a impressionare gli astanti, a farli rabbrividire alla vista del
sangue, a far provare loro delle emozioni forti e autentiche come nessun’altra
rappresentazione può fare. Successivamente il teatro si affina, Gorboduc come
prima tragedia inglese, presenta per la prima volta i versi sciolti e lascia alle
parole il compito di descrivere tutto quello che avviene, comprese le
innumerevoli uccisioni a catena. Si tratta di un teatro destinato ad un pubblico più
colto ed attento anche al testo oltre che alla messa in scena.
4
Dal morality play che insegna a capire la vita attraverso la comparsa in scena di
Death e che infonde fiducia ricordando la possibilità di un’altra vita dopo la
morte, si passa alle prime tragedie prodotte dopo la Riforma Protestante che
risentono fortemente dei cambiamenti in campo religioso che questa ha
provocato.
La violenza entra in scena indisturbata, non c’è più la rigida morale cattolica da
osservare, al contrario adesso è possibile peccare senza il timore della redenzione.
La novità introdotta è la predestinazione che permette ad ogni uomo di agire
indistintamente nel bene o nel male dal momento che il proprio destino è deciso
fin dalla nascita e niente, neanche il pentimento potrà cambiarlo.
La morte nelle tragedie antecedenti a Marlowe può entrare in scena anche come
sola dimostrazione, i personaggi informano il pubblico sulla gravità del loro stato,
descrivono l’atrocità delle sofferenze che provano, annunciano la propria morte
mentre fiumi di sangue fuoriescono dalle ferite mortali, mettono in scena delle
considerazioni che non lasciano spazio all’azione.
Marlowe è stato il primo a capire come servirsi della morte per creare un metodo
di messa in scena che poteva essere naturale ed allo stesso tempo efficace sul
pubblico. La morte trasmetteva una forza di attrazione sul pubblico tale da non
poter essere paragonata a nessun altro momento drammatico.
Nelle due tragedie che saranno analizzate per ultimo, Tamburlaine e The Spanish
Tragedy, sarà possibile trovare un compendium di tutti i modi che sono emersi con le
rappresentazioni precedenti: la morte è messa in scena in modo crudo e realistico e
5
talvolta ci sono anche descrizioni dettagliate che la accompagnano. Si hanno due eroi
molto diversi tra loro: Tamburlaine è un personaggio che incarna la potenza e la
scelleratezza, la sete di conquiste e la malvagità e che vive in un mondo di valori
esclusivamente materiali e terreni. In punto di morte contempla il globo per fare il
bilancio delle sue conquiste e quello che prova è solo rimpianto verso tutto ciò che
adesso è costretto ad abbandonare. Hieronimo è vittima delle conseguenze
dell’uccisione di Horatio e saprà trovare il modo di compiere la sua vendetta
personale facendovi assistere tutti i presenti compresi attori e pubblico. Approfittando
della finzione teatrale si libera dal peso della vendetta e dell’ingiustizia subita. Una
volta portato a termine il suo proposito non ci saranno più parole da dire, niente più
da spiegare, adesso Hieronimo ha raggiunto il suo scopo e può anche morire, si recide
la lingua e si impicca. In entrambi gli esempi non c’è pentimento, si agisce solo per
vendetta, oppure per arricchirsi di fama e potere, non importa quali saranno le
conseguenze e quante vite dovranno essere sacrificate. La morte è annientamento
della persona e abbandono di tutte le ricchezze, Tamburlaine capisce che è arrivato
anche per lui il momento di morire, morire di una morte causata da una grave
malattia che lascia il tempo per pensare e per riflettere, ma Tamburlaine non vorrà
dedicare neanche un momento della sua vita al pentimento.
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CAPITOLO 1
Discorso sulla morte
1.1 Nel Medioevo esisteva un sentimento generalizzato di familiarità con la morte,
che non provocava paura né disperazione, accettata con un atteggiamento a metà
strada tra la rassegnazione passiva e la fiducia mistica. Attraverso la morte il
destino si rivelava ed il morente lo accettava: il morire considerato parte del
vivere. Spesso la morte era in qualche modo preannunciata, il momento del
distacco veniva preparato, sentito in anticipo così il genere umano poteva disporsi
ad abbandonare il mondo pentendosi dei propri peccati.
I Greci credevano nella sopravvivenza dell’anima, quando la vita si spegne
l’anima si sprigiona dal corpo per raggiungere l’Averno e comincia una
trasmigrazione in nuove esistenze corporee. Con l’avvento del Cristianesimo la
morte fu considerata come la giusta punizione per i peccati dell’uomo, la vita è
una preparazione alla morte nella costante ricerca della salvezza nella vita eterna.
La speranza della vita dopo la morte è un dono del Signore riservato ai fedeli ma
concesso anche a coloro che in punto di morte hanno avuto il tempo di pentirsi, e
si sono abbandonati nel riposo eterno in pace con Dio.
La religione aveva inculcato il pensiero della morte e gli ordini mendicanti
contribuirono a rafforzarlo attraverso forme di predicazione popolare rivolte alla
conquista della salvezza.
L’Ars Moriendi tardo medievale come trattato di preparazione alla morte,
divenuto nel XIV secolo materiale di insegnamento religioso, è un chiaro
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esempio di pratica preparatoria rivolta alla conquista della vita eterna. Il
trattato consiste di undici xilografie rappresentanti le tentazioni tipiche da letto di
morte che hanno come protagonista il moriens, il morente. Per usare la
definizione di Binski, essa è una sorta di bedside drama
1
che, ricordando
l’invincibilità della morte e l’impossibilità per l’uomo di sfuggire ad essa,
impartisce consigli su come comportarsi al momento del trapasso. Il moriens
dovrebbe arrivare al termine dei suoi giorni preparato, avendo avuto il tempo
necessario per pentirsi e confessarsi. La lotta più ardua da sostenere è con i
demoni tentatori intorno al suo letto che lo confondono nel momento in cui deve
decidere se abbandonarsi alle tentazioni terrene o imboccare la strada del
Signore. Il peccatore è chiamato a sconfiggere tutta una serie di tentazioni che
vanno contro le principali virtù teologali ossia Fede, Speranza e Carità. Le prime
due sono Lack of Faith e Despair. La terza tentazione è Impatience, una malattia
che è la conseguenza del peccato, più il peccato è grave più la malattia è lunga e
dolorosa. Anche Pride rappresenta una grande tentazione, il morente deve avere
come esempio costante quello dell’umiltà nella sofferenza, infine c’è Avarice che
fa intravedere un mondo materiale di ricchezza e sapervi rinunciare è una
durissima prova. La decisione che il morente deve prendere è del tutto
individuale e personale, l’espiazione dipende solo da lui, e la possibilità di
avvalersi di un manuale che aiutasse in tali momenti di paura e disperazione
sembrava essere gradito in un’epoca di dubbi e paure dell’ignoto.
1
P.Binski, Medieval Death, London: British Museum Press 1996,.40.
8
Con il XV secolo nacque un vero e proprio sentimento di angoscia verso la
morte con il timore di essere sorpresi impreparati. L’attaccamento alle cose della
vita era sentito in modo molto più intenso e, proprio in contrasto con questo
desiderio di esistenza terrena, numerose ed inquietanti immagini di cadaveri o la
morte stessa resa persona e presentata con tutti i suoi attributi iconografici
(lancia, falce, vanga, teschio, scheletro) fecero la loro apparizione con funzione di
contraltare. Il senso del macabro entrò a far parte della vita ed il bisogno di
intravedere una speranza per il futuro con l’aiuto della religione prese campo,
sebbene si trattasse di una religiosità che talvolta sconfinava nella superstizione e
nell’eresia.
Tre erano temi che fornivano “la melodia all’interminabile lamento sul finire di
ogni gloria terrena”[188]
2
: dove sono andati a finire tutti coloro che una volta
riempirono il mondo del loro splendore?, seguiva a questa domanda il motivo
della putrefazione di tutto quanto era stato bellezza umana ed infine c’era la
danza macabra della morte che rapisce gli uomini di tutte le condizioni sociali e
di tutte le età.
Delle bellezze e degli splendori umani non restava che un nome, un ricordo, ma
la nostalgia e la malinconia non bastavano da sole a far inorridire di fronte alla
morte, per questo, quest’epoca rappresentò la fugacità della vita con l’immagine
del cadavere in decomposizione. Verso la fine del XIV secolo le arti figurative si
erano impadronite del motivo ed il massimo del vigore artistico ed espressivo
2
J. Huizinga, Autunno del Medioevo,trad. italiana, Milano: Biblioteca Universale Rizzoli 1995, titolo originale Herfsttij
der Middeleeuwen, cap.XI L’immagine della morte.
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venne raggiunto verso il 1400, ma immagini di cadaveri nudi, putrefatti o
raggrinziti con i piedi e la mani spasimanti e la bocca spalancata nei monumenti
funebri, saranno presenti fino al XVI secolo inoltrato.
Le immagini di morte hanno interessato numerose forme d’arte, testimonianze
d’eccezione sono date dalla pittura e dalla scultura oltre che dalla letteratura in
genere. Alla letteratura francese del tardo XIII secolo dobbiamo la prima
rappresentazione di un cadavere in una raccolta di poesie illustrate dal titolo
Leggenda dei tre morti e dei tre vivi
3
. Si tratta di una serie di poemetti che hanno
come tema la morte, livellatrice di ricchi e di poveri, nemica e improvvisa che
mette in atto una silenziosa e terribile forza distruttrice sulla bellezza, lanciando
un avviso al genere umano contro il narcisismo. I poemetti sviluppano in forma
dialogata considerazioni sul significato dell’incontro dei tre vivi e dei tre morti.
La storia coinvolge tre nobili signori che nelle miniature che accompagnano
l’opera sono rappresentati con la fronte circondata da un cerchio regale (vedi
illustrazioni). Soddisfatti della loro condizione incontrano nel loro cammino tre
morti (un papa, un cardinale e un notaio oppure un re, un vescovo e un conte)
orribili a vedersi e ne restano colpiti e spaventati. L’apparizione così improvvisa
ed inaspettata non è affatto casuale, è stato Dio ad averla voluta come
ammonimento ai tre nobili accecati dalla ricchezza e dall’orgoglio della loro vita
terrena. Dio ha voluto che i tre ricchi signori fossero colpiti interiormente da
questo incontro con tre personaggi che un tempo erano stati importanti quanto
3
La maggior parte dei poemetti presenti in questa raccolta sono anonimi, ad eccezione dei due attribuiti rispettivamente
a Baudouin de Condé - menestrello alla corte di Margherita II contessa di Fiandra - e a Nicole de Margival.
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loro, ma adesso appaiono deturpati e sconvolti dalla morte. Dei tre vivi, il primo
vorrebbe fuggire, il secondo pensa di poter trarre profitto dall’apparizione ed il
terzo descrive minuziosamente l’orrore. I morti, un tempo uguali ai vivi
nell’aspetto e nell’orgoglio, sono adesso orribili cadaveri che trasmettono un forte
messaggio: non vivete mai nel peccato, la pena eterna è dura e umiliante. I
poemetti sono illustrati da tre miniature inquadrate nelle maiuscole iniziali, dove,
morti e vivi sono sempre affiancati ed allineati sullo stesso piano. A sinistra i tre
vivi, quello più vicino agli scheletri tiene nella mano sinistra un falcone (simbolo
di alta estrazione ma anche a ricordare la caccia dalla quale tornano i tre uomini)
e nella mano destra stringe la mano del compagno, il terzo tiene le mani accostate
all’altezza del petto in gesto di preghiera. Dei tre scheletri a destra, quello più
vicino ai vivi ha il braccio destro alzato ad accompagnare un discorso, quello al
centro ha le braccia incrociate sul ventre ed il terzo è visibile solo per metà.
Al XIV secolo invece, risalgono le impressionanti figure di Il trionfo della morte,
un affresco che si trova nel Camposanto Vecchio di Pisa. Esso consiste nella
“raffigurazione di una Moralità, allegorica e didascalica rappresentazione di un
itinerario terreno, tra difficili e inevitabili scelte, umana commedia di cui tante
testimonianze restano nel teatro medioevale e persino nell’origine scenica delle
Danze Macabre”[248]
4
. L’affresco si presenta alla vista di chi avanza un poco
alla volta, permettendo di apprezzare ogni singola frazione del suo contenuto, una
struttura unica che può essere frazionata in tante porzioni minori da esaminare
4
M.L. Testi Cristiani, Il trionfo della morte nel camposanto monumentale di Pisa, in Storia ed arte nella piazza del
Duomo, Pisa 1993: Pacini editore.
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una alla volta. Quella che ne risulta è una curiosa struttura teatrale che divide
l’opera un tre atti spazio-temporali riconoscibili attraverso un percorso di lettura
interno dei passaggi e tappe della visione. La prima parte è introdotta da una
coppia simmetrica di putti che accompagna una sequenza di scritte in volgare in
un cartiglio ove si recita il Prologo della rappresentazione, al centro i miseri che
invocano la morte, alata creatura dalle mani e piedi con artigli, che li disdegna
per colpire brandendo la falce, nobili e ricchi, potenti, intellettuali e religiosi,
sulle cui anime si abbandonano un tumulto di diavoli e angeli. Nella seconda
scena durante una cavalcata o una caccia regale che discende in sinuosi percorsi,
tre uomini a cavallo si arrestano di fronte a tre corpi entro bare scoperte, dove
nella prima giace un corpo deformato dopo una morte recente, nella seconda un
cadavere in parte decomposto e nella terza uno scheletro, sopra le tre bare
strisciano i vermi; un emblematico Incontro dei tre vivi e dei tre morti, i tre vivi
sono due re e una regina, il primo è colto nella realistica reazione di tapparsi il
naso, il secondo con la barba e più anziano tiene in mano un arco e la regina si
tiene la mano sul viso con aria di pietà. Tutti i personaggi indossano abiti
sontuosi e cappelli dalle forme più svariate, su tre dei quali è appunto posta una
corona. I cavalli si inarcano ed i cani annusano il terreno
5
. Su tale drammatica
visualizzazione del memento mori, un vecchio eremita sventola un cartiglio
esemplare dell’itinerario del Trionfo della Morte, visualizzando per gli analfabeti
l’unica via della salvezza contro le mille ingannevoli seduzioni del potere della
5
C.Settis Frugoni, Il tema dell’incontro dei tre vivi e dei tre morti, Roma: Accademia Nazionale dei Lincei 1967.