INTRODUZIONE
UNO SGUARDO SULLA PUBBLICITÀ
La pubblicità è dappertutto: la vediamo mentre sfogliamo un giornale, ascoltiamo la
radio, guardiamo la televisione, passeggiamo per le vie del centro, entriamo in una
stazione o in un aeroporto. È quasi impossibile pensare al contesto sociale
contemporaneo senza tenere in considerazione l’enorme peso della pubblicità. Il suo
messaggio arriva a tutti, senza distinzione tra sesso, età e livello sociale. Essa mostra
stereotipi ben radicati nella testa delle persone, i quali vengono riconosciuti e si
strutturano in modelli di comportamento. La pubblicità nelle sue varie forme è oggi una
presenza costante nella vita di tutti, e col tempo ha assunto un ruolo determinante per
quanto riguarda innanzi tutto il lato economico, quindi per la sua capacità di riferirsi di
volta in volta ad un consumatore diverso e di suscitare in esso un desiderio.
In pubblicità gli oggetti acquisiscono la capacità di parlare ai consumatori, di offrire
loro dei benefici, delle informazioni, dei mondi immaginari nei quali identificarsi. La
semiotica fin dalle sue origini ha mostrato un grande interesse per la pubblicità, sia per
quanto riguarda gli obiettivi comunicativi che si pone, che per i meccanismi
soggiacenti che si possono individuare grazie alle analisi. I primi studi semiologici sulla
pubblicità partono dal presupposto che essa sia un’attività comunicativa con scopi
persuasivi, dal momento che in generale cerca di far acquistare agli spettatori i prodotti
di cui parla.
La comunicazione commerciale è un’attività che si pone come obiettivo di attirare
l’attenzione, persuadere, sedurre e valorizzare un certo prodotto al fine di invogliare il
consumatore all’acquisto. In questo senso, l’obiettivo che si vuole ottenere è evidente
allo spettatore, il quale tuttavia, pur essendo razionalmente conscio del messaggio
persuasivo che sta ricevendo, è quasi sempre disposto ad accettarlo più o meno
passivamente. È raro che una persona che si trova di fronte ad un cartellone
pubblicitario si volti dall’altra parte, e anche la pubblicità in televisione viene quasi
sempre guardata, seppure di sfuggita. Per farsi guardare con più attenzione e per essere
quindi ricordata, la pubblicità deve necessariamente essere attraente in qualche modo.
5
Al fine di raggiungere gli obiettivi che si pone, la pubblicità mette in atto tutta una serie
di artifici che, secondo i primi studi semiologici degli anni Sessanta e Settanta, sono una
sorta di rivisitazione dell’antica tradizione retorica
1
. I primi studi semiologici, riferibili a
Barthes ed Eco, considerano la pubblicità nient’altro che un’attività comunicativa a
scopo persuasivo. Bisogna però tenere conto che il codice specifico che viene utilizzato
nel linguaggio pubblicitario è differente da quello della lingua quotidiana, in quanto non
risponde ad esigenze di tipo sociale, culturale o ideologico, ma ad esigenze puramente
economiche. Lo scopo della retorica antica, dalla quale derivano le odierne strategie
pubblicitarie, era quello di servirsi del linguaggio, e del suo potere di suscitare
ammirazione/sdegno, per persuadere un uditorio.
La retorica è una disciplina che si occupa della formulazione del discorso, e nasce a
Siracusa nel V secolo a.C., quando i processi davanti alle giurie popolari stimolavano
gli avvocati a studiare a fondo le tecniche del discorso persuasivo
2
. In Grecia e a Roma
si sviluppa sotto forma di discorso poetico, stilistico e letterario. L’antica retorica, per
essere efficace, doveva comprendere quattro fasi:
Inventio, ovvero il trovare che cosa dire, degli esempi anche sulla base di luoghi comuni
o di indizi verosimili;
Dispositio, cioè mettere in ordine i dati che si sono trovati: esordio, narrazione,
resoconto degli argomenti, perorazione;
Elocutio, l’esposizione del discorso con ornamento. È fondamentale per questa fase
conoscere bene il linguaggio e scegliere con cura le figure retoriche;
Actio, ovvero recitazione, e memoria (ricordo).
Tuttavia, la retorica moderna utilizzata anche in pubblicità è molto diversa da quella
antica. La stilistica di oggi si concentra in particolar modo sullo studio dei rapporti tra
forma e contenuto, sviluppando quello che anticamente era l’elocutio. Il termine
‘retorica’ oggi ha perso quasi tutte le connotazioni negative che nei secoli aveva
accumulato, e si può definire, per quanto riguarda l’ambito della pubblicità, come un
insieme di tecniche della narrazione e della spiegazione.
1
Marrone, 2001, pp. 139-40
2
Magistretti, 2010, pp. 343-69
6
CAP. I
UN PRIMO APPROCCIO ALLA PUBBLICITÀ
1.1 La retorica come fondamento della pubblicità
Secondo Corti, la retorica altro non sarebbe che “lo strumento che consente alla
pubblicità di sostituire l’ideologia, che essa non può dare, con una mitologia”
3
. Le
tecniche retoriche sono molto numerose e vanno dall’utilizzo di luoghi comuni,
entilemi, figure, tropi, alle metafore e alle polisemie. Mentre nell’arte della retorica
queste procedure servivano per discutere e per dare una più corretta interpretazione del
reale, con la pubblicità esse diventano uno strumento utilizzato a scopi economici, per
attirare l’attenzione del consumatore.
L’analisi semiotica dei messaggi pubblicitari teoricamente dovrebbe essere un compito
semplicissimo, appunto perché il significato del messaggio è sicuramente intenzionale
così come lo scopo finale, che è quello di persuadere lo spettatore allo scopo di
invogliarlo all’acquisto. In pratica, l’operazione è più complessa del previsto in quanto
vi sono molte opzioni analitiche possibili. Come fa notare Magistretti nel saggio di
Lombardi, bisogna tenere conto delle strutture retoriche, delle modalità semantiche, dei
caratteri strutturali, della linea argomentativa, della drammatizzazione
4
. Inoltre l’analisi
di questi aspetti va costantemente associata ad un certo tipo di background culturale:
certe presupposizioni, certe associazioni, certi tipi di ironia, sono comprensibili in
determinate culture e non verrebbero in alcun modo capiti da altre. Per dare valore ad
una strategia, per suscitare ironia o curiosità, per spiazzare il pubblico o per fare un salto
creativo sono fondamentali le figure retoriche. Il creativo infatti deve sapersi
destreggiare tra due estremi: da un lato, deve essere il più avanzato, ironico e brillante
possibile; dall’altro, deve sapersi far comprendere da tutti, e quindi possibilmente anche
da chi non abbia le conoscenze o la cultura necessarie per capire certe allusioni. Le
figure retoriche costituiscono la base di ogni singolo messaggio pubblicitario, così come
le ambiguità, gli stereotipi e le isotopie.
3
Cfr. Corti, 1973, pp. 120-32
4
Lombardi, 2005, pp.367-68
7
La retorica definisce una lista di figure ed a ciascuna attribuisce un certo tipo di capacità
di connotazione. Una classificazione delle figure retoriche più utilizzate in pubblicità è
quella proposta da Magistretti nel saggio di Lombardi:
Figure di significazione o semantiche o tropi: riguardano il mutamento di senso delle
parole e possono essere metafora, metonimia, sineddoche, antonomasia, iperbole, litote;
Figure di costruzione: sono quelle figure che interessano l’ordine delle parole nella
frase, ad esempio chiasmo, ellissi, zeugma ed anafora;
Figure di pensiero. Riguardano la conformazione ideativa o immaginativa di un intero
enunciato e sono: interrogazione, esclamazione, imprecazione, apostrofe, prosopopea,
ironia;
Figure di ritmo. Gli effetti fonici: onomatopea, allitterazione, ecc…
Figure di elocuzione, che riguardano la scelta e l’assortimento delle parole: ripetizione,
sinonimia, asindeto, polisindeto, ecc…
Figure di dizione: modifica della forma delle parole.
Nelle analisi che impiegano modelli di matrice greimasiana centrale è l’uso delle
isotopie. Le isotopie sono fondamentali nel determinare l’impatto di un testo
pubblicitario, anche se non sempre sono appositamente create dagli autori degli
annunci. Le isotopie di un testo sono “livelli omogenei di significato, determinati dal
ricorrere nel testo di elementi –immagini visive, riferimenti, connotazioni- appartenenti
allo stesso campo semantico”
5
. Le isotopie contribuiscono ad aumentare la coerenza
interna di un messaggio breve come può essere quello pubblicitario; inoltre sono
importanti nel determinarne la connotazione.
Un altro fattore da tenere in considerazione è il concetto di Lettore Modello “Un testo è
un prodotto la cui sorte interpretativa deve far parte del proprio meccanismo
generativo”
6
. Eco sostiene che ogni testo abbia inscritto in sé il proprio destinatario
ideale, un destinatario capace di interpretarne al meglio i riferimenti verbali e figurativi.
Nel caso del messaggio pubblicitario, è cruciale che l’autore abbia ben in mente uno
5
Magistretti, 2010, pp.343-68
6
Cfr. Eco, 1979
8
specifico Lettore Modello: se ad esempio in una pubblicità di scarpe da ginnastica si
farà riferimento ad un famoso giocatore di calcio, nel caso in cui lo spettatore non fosse
un appassionato e non conoscesse il testimonial, la decodifica sarebbe soltanto parziale.
Lo spettatore potrebbe immaginare sì che si tratti di uno sportivo, ma non capirebbe con
certezza di cosa si tratta, non coglierebbe il nesso. Nell’analisi di un testo pubblicitario è
quindi indispensabile prima di tutto identificare le principali opposizioni; quindi,
procedere all’individuazione delle figure retoriche. Ciascun settore –automobili,
prodotti per la pulizia, cibi e bevande, prodotti cosmetici- ha le proprie modalità
retoriche, i propri referenti metaforici, i propri modelli narrativi, i propri Lettori
Modello. A questo proposito è necessario sottolineare che al contrario di un normale
testo, l’interesse narrativo in un discorso pubblicitario non risiede nella conclusione –
nella quale, di norma, viene messo in mostra il prodotto-, ma nelle vicende e negli
‘ostacoli’che compaiono precedentemente.
Lo schema del miglioramento della fiaba, che deriva dalle 31 funzioni della fiaba di
Propp, si applica allo studio dei testi pubblicitari. Secondo questo schema, si passa da
una situazione iniziale non positiva –ad esempio, pavimenti sporchi- all’apparizione
dell’eroe-prodotto –un nuovissimo, efficace e profumato detersivo- . Quindi, la ‘lotta’
dell’eroe –la pulizia del pavimento- porterà una situazione finale positiva –il pavimento
splendente e pulito-. La conclusione, al contrario di quanto succede nella fiaba in cui
l’eroe è unico e irraggiungibile, proporrà una banalizzazione dell’eroe stesso –il
detersivo sarà disponibile in tutti i supermercati a prezzi molto convenienti-
7
.
La pubblicità negli anni si è fortemente modificata in relazione al contesto sociale. A
dimostrazione di questo, basta confrontare una delle prime pubblicità di Carosello con
una di oggi: le differenze argomentative e retoriche sono evidenti. Oggi è molto diffuso
l’uso dell’ironia, che presuppone per essere compresa un certo sapere condiviso al fine
di sviluppare complicità. Inoltre aumenta l’utilizzo della serialità, dell’iterazione e
dell’accumulazione, e il meccanismo per cui le aspettative create vengono alla fine dello
spot sovvertite, creando spaesamento e ambiguità.
Topoi e stereotipi sono per questo motivo molto utilizzati in pubblicità
8
. Sono luoghi
comuni narrativi, temi collaudati e convenzionali: la pubblicità infatti punta ad avere un
7
Magistretti, 2010, pp. 367-68
8
Ibidem
9
minimo comune di comprensibilità. Un topos può essere ad esempio quello della tipica
famiglia italiana della pubblicità: giovane moglie graziosa e sorridente che serve la
colazione, marito vestito da impiegato che legge il giornale, due bambini che giocano,
un cane. Lo stereotipo è un particolare topos, più breve e privo di sviluppi narrativi: è
una formula fatta, ed in pubblicità televisiva ne troviamo in continuazione: la moglie
esemplare, il nonno saggio, il pavimento splendente, ecc… Gli stereotipi si possono
definire anche convenzionali linguistici ed ideologici, dei quali la pubblicità fa enorme
uso in quanto “blocchi di opinioni acquisite che possono costruire sia la premessa per
un entimema che lo schema generale sotto cui far rientrare entimemi affini”
9
.
È essenziale riferirsi con un dato linguaggio ad un certo tipo di pubblico: nel caso si
volesse promuovere un videogioco per consolle, quindi destinato ad un target di
adolescenti, per far sì che lo spot venga compreso e risulti efficace, non si potrà
utilizzare lo stesso linguaggio o lo stesso montaggio necessari invece per pubblicizzare
un prodotto per la pulizia della casa, destinato invece ad un target di casalinghe. Oggi
infatti, se un annuncio non è formalmente e tecnicamente ottimo, non ha impatto,
nonostante le qualità argomentative possano essere ottime. Secondo Magistretti
10
, nelle
pubblicità che hanno successo, si riscontra molto spesso la presenza di alcuni tra questi
elementi: una modalità espressiva ricca di contenuti ma non sovraffollata; un Lettore
Modello ben identificato; un’utilità formulabile in termini del modello usi e
gratificazioni; una tendenza all’ironia; una forma molto curata; la presenza di una o più
buone isotopie.
1.2 Primi studi sulla pubblicità: Barthes, Eco e Floch.
Roland Barthes pubblica sulla rivista “Communication” del 1964 due saggi: Elementi di
semiologia e Retorica dell’immagine, nei quali presenta i concetti portanti della sua
teoria semiologica ovvero il codice, il segno, e la distinzione tra connotazione e
denotazione, applicati all’analisi della pubblicità di una nota marca di pasta francese
11
.
Barthes decide di analizzare un’immagine pubblicitaria proprio per l’evidente
franchezza del messaggio in essa contenuto.
9
Eco, 1968, p. 351
10
Magistretti, 2010, pp. 343-69
11
Traini, 2008, pp. 16-30
10
Immagine pubblicità Panzani
L’immagine è composta da svariati pacchi di pasta Panzani, delle verdure –un fungo, dei
pomodori, dei peperoni- e da una scatola che fuoriescono da una borsa a rete aperta,
tipica della spesa da mercato. Il fatto che i prodotti non siano confezionati ma si trovino
dentro la borsa a rete, trasmette un immediato senso di freschezza, che viene quindi
associata al prodotto stesso
12
. I colori principali del manifesto sono il rosso e il verde,
colori che insieme alla parola italiana “Panzani” connotano l’italianità del prodotto. La
presenza delle verdure fresche trasmette infine un messaggio di naturalezza e di cucina
semplice e casalinga. In questo messaggio pubblicitario i segni sono tratti da un codice
culturale e sono riconoscibili per mezzo di alcune figure retoriche. Ad esempio il
pomodoro indica italianità per metonimia, una figura retorica che “sposta il significato
di una parola basandosi su una contiguità spaziale, temporale o causale tra il termine
letterale e quello traslato”.
13
Il fatto che si costituisca questo collegamento nella testa
delle persone che vedono l’immagine dipende dalla cultura e dalla società di
appartenenza. Dunque possiamo concludere che secondo l’autore del disegno, nella
società francese, la presenza di un pomodoro che fuoriesce da una borsa della spesa
trasmette un senso di italianità.
Secondo Barthes, il segno va inteso come l’unione di un significante e un significato. Il
segno avrebbe quindi la capacità di comunicare qualcosa in più del suo significato
primario, ovvero la denotazione, grazie al meccanismo connotativo. Il codice altro non è
che un sistema di corrispondenze che collega, seguendo regole socialmente accettate, un
12
Cfr. Traini, 2005
13
Lombardi, 2005, p. 357
11
sistema di significanti e un sistema di significati. Bisogna tener conto innanzi tutto della
differenza fondamentale tra immagine e testo linguistico: l’immagine è molto più
complessa, è articolabile, e comprende sia il messaggio letterale e non codificato –
denotazione- che quello simbolico e codificato –connotazione-.
14
Scrittura e parola
hanno la funzione di ancorare la lettura dell’immagine, capace di per sé di racchiudere
molti significati, agli oggetti, guidandone l’interpretazione. L’ancoraggio ha quindi,
secondo Barthes, una funzione di controllo rispetto alla libertà dei significati
dell’immagine. Tuttavia egli associa la questione dell’ancoraggio unicamente
all’annuncio-stampa: la questione verrà approfondita a livello del testo verbo-visivo
successivamente con Floch. L’efficacia della comunicazione pubblicitaria consisterebbe
tutta nell’inscrivere il livello connotativo in quello denotativo.
Umberto Eco segue le orme di Barthes e presenta nel 1968 un’analisi sull’argomento
nel suo saggio “La struttura assente”.
15
Egli si pone una domanda fondamentale, ovvero
se la pubblicità costituisca un vero accrescimento nutritivo per le ideologie del pubblico
o se sia solo un’arte consolatoria. Per provare a rispondere a questo quesito, Eco
analizza alcuni annunci pubblicitari, constatando che la questione è ben più complessa
rispetto alle teorie di Barthes. I codici pubblicitari infatti, funzionano su un doppio
registro, verbale e visivo, e non è detto che l’ancoraggio dipenda sempre dal verbale
anzi, spesso è il registro visivo che mette in opera i vari artifici retorici, guidandone
l’interpretazione. Una delle analisi più significative di Eco è quella sulla pubblicità del
sapone Camay.
Immagine pubblicità Camay
14
Marrone, 2001, pp. 143-52
15
Bianchi, 2005, pp. 24-27
12