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INTRODUZIONE
La voglia di approfondire e conoscere maggiormente il tema della menzogna,
seppur riconoscendo un’impossibilità a trattarlo nella sua interezza poiché molto
vasto, nasce da una mia curiosità nel voler comprendere quali siano i meccanismi
che la menzogna innesca nel soggetto e quanto, rispetto a ciò che quest’ultimo
riferisce, emerga a livello verbale e corporale, facilitandone lo svelamento.
L’argomento su cui cercherò di focalizzare la mia attenzione è relativo agli
indicatori costituenti l’atto menzognero, cioè quegli indici verbali e non verbali che
si tende a tenere in considerazione nel momento in cui ci si approccia ad un
soggetto che è ritenuto un presunto mentitore.
Cercherò di analizzare questo tema, divenuto di attenzione pubblica e mediatica
negli ultimi anni, cercando di dare risalto al concetto di menzogna nel pensiero
comune, al peso che questa occupa nella quotidianità, con un’attenzione rivolta alle
stereotipie ed ai preconcetti legati all’atto menzognero.
L’analisi di questo argomento inizierà evidenziando come la comparsa della
menzogna ed il suo mantenimento siano relativi al generarsi di un atto
comunicativo: senza comunicazione e scambio tra gli interlocutori, la menzogna
fatica ad emergere; cercherò quindi di descrivere alcune tra le più importanti
teorie della comunicazione e la loro implicazione nella riuscita dell’atto del
mentire.
Inoltre, mi focalizzerò sull’importanza delle parole e della semantica, costituenti di
un qualsiasi atto comunicativo e sul peso che queste assumono: verrà attenzionato
il modo in cui il presunto mentitore si esprime, le ripetizioni messe in atto e la
coerenza linguistica, i tempi di risposta e la loro lunghezza ed il tono di voce
assunto, tramite confronti tra condizioni di verità, in cui l’attivazione cognitiva è
ridotta, con condizioni in cui l’emergere della menzogna innesca elevate forme di
arousal a livello cognitivo ed emotivo nel soggetto.
Come risaputo, il binomio comunicazione verbale e non verbale appare dare forma
alla condotta menzognera, rendendola viva e talvolta difficile da riconoscere: lo
studio sugli indicatori verbali e sugli strumenti che permettono un’analisi della
validità delle dichiarazioni emesse dal soggetto, sarà affiancato da un’analisi di
quanto emerge a livello non verbale, includendo tra gli indici: la gestualità, il volto
e le sue microespressioni, il sorriso, la voce e le emozioni che l’atto menzognero
porta con sé e che ne favoriscono la comprensione.
Il mentitore tenderà quindi come credenza ad abbassare lo sguardo, a mostrarsi
nervoso, a mettere in atto comportamenti d’irrequietezza o invece, al contrario, si
mostrerà calmo e controllato, sostenendo senza problemi lo sguardo
dell’interlocutore?
La menzogna sarà inoltre tipica di un particolare soggetto o così intrinseca alla vita
di tutti i giorni da metterla in atto senza rendersene nemmeno conto?
Infine ci sarà una disamina sulle capacità di smascherazione dei soggetti e sulla
percezione di accuratezza che ritengono di possedere nell’approcciarsi alla
menzogna e saranno descritte alcune delle tecniche più note, come ad esempio
quella del poligrafo, le quali fanno leva sulla reattività mostrata dal soggetto a
livello fisiologico, emotivo, cognitivo e cerebrale.
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CAPITOLO 1: IL SISTEMA DELLA MENZOGNA
1.1 Definizione e classificazione della menzogna nel pensiero comune
L’esperienza del mentire è universale, quotidiana e coinvolge qualsiasi essere
vivente. Da sempre la menzogna è ritenuta una strategia fondamentale per la
sopravvivenza della specie, umana ed animale, attuata per ottenere un profitto nel
momento in cui ci si rende conto della ristrettezza delle risorse di cui si dispone.
Questa condizione di limitazione conduce il soggetto a un’attivazione cognitiva ed
emotiva pur di giungere alla soddisfazione, anche a discapito dell’altro (Anolli,
2003).
Si ritiene quindi la menzogna un utile strumento di adattamento individuale,
valutando la capacità di mentire come un aspetto dell’intelligenza sociale, poiché
importante mezzo di persuasione e strumento d’influenza (Gulotta & Boi, 1994).
Allo stesso tempo appare essere un male dal quale il soggetto fatica a distaccarsi e
che lo porta ad infrangere quel patto su cui ciascuna cultura si fonda,
conducendolo alla perdita di se stesso e alla modifica delle relazioni con i suoi
simili.
Paul Ekman (1989) definisce la menzogna come un’”interazione tra due soggetti
consapevole e deliberata”, attraverso la quale si trasmettono conoscenze non vere
che conducono l’interlocutore, vittima dell’inganno, ad assumere false credenze
sulla realtà dei fatti e a modificare atteggiamenti e considerazioni riguardo al
mondo esterno.
Per comprendere questo complesso meccanismo possiamo far riferimento alla
realtà descritta da Pirandello nel saggio sull’umorismo (1908/1986), una realtà
basata sull’inganno, sulla messa in scena, a cui l’individuo deve costantemente
rivolgersi pur di essere reso parte di qualcosa, pur di non essere emarginato.
La menzogna è la maschera che sceglie di indossare, lo schermo che lo protegge da
un mondo ingrato che non lo conduce ad altra soluzione che nascondere il suo vero
sé a favore di uno di copertura, il sé sociale o falso sé, il solo in grado di dargli
speranza (Pirandello, 1986).
La “mente mente” anche quando non vuole, quando non ha alcun interesse a farlo o
quando la menzogna può essere solo dannosa per il soggetto; mente in funzione di
quei sistemi quali la suggestione, il plagio, la conformità, l’imitazione che regolano
la condotta umana in modo talmente profondo da non essere nemmeno percepiti
come parti estranee ed intrusive (De Cataldo Neuburger & Gulotta, 1996).
La menzogna e l’inganno quindi proteggono la nostra esistenza, dando vita al
tentativo di riparare una realtà in cui il sopravvivere prende il posto di un sano
vivere.
L’atto del mentire si fonda su tre proprietà essenziali: la falsità del contenuto di ciò
che l’interlocutore comunica attraverso registri linguistici ed extralinguistici; la
consapevolezza di tale falsità e l’intenzione di ingannare il destinatario del
messaggio (Anolli, 2003).
Per quanto riguarda la sua struttura, possiamo ricondurlo ad un sistema basato
sull’interazione tra variabili: variabili personali dell’impostore, situazionali e
variabili riguardanti le caratteristiche del ricevente .
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In riferimento alle variabili riguardanti il mentitore, è stato riscontrato come i
soggetti estroversi, esibizionisti e meno ansiosi riescano a gestire meglio la
menzogna, poiché dispongono di migliore padronanza di sé rispetto a persone
ansiose ed introverse (Pacori, 2012).
Anche l’età del soggetto e la sua professione appaiono essere variabili da valutare
in quanto correlate alla percezione che il soggetto ha di sé, delle interazioni che
intrattiene con l’esterno e al grado di soddisfazione che da questo binomio riesce
ad ottenere.
Inoltre, relativamente alla situazione, la menzogna appare più utile in base al
contesto di riferimento, ai vantaggi che il soggetto può ottenere e al grado di
conflittualità tra ricevente e trasmittente.
Anche il ricevente quindi ricopre una certa funzione nella messa in atto di un
messaggio menzognero e nella sua riuscita. Si parla in tal senso di vittima come
interlocutore ingenuo o abile scopritore; in base al soggetto con cui il mentitore
avrà a che fare, adatterà strategie comunicative e tattiche differenti per far si che
l’esito dell’informazione trasmessa sia più produttivo possibile, migliorando
l’efficacia dell’atto (De Cataldo Neuburger & Gulotta, 1996; Anolli, 2003).
Questa considerazione porta ad affermare che le menzogne inconsapevoli non
esistono, poiché l’intenzionalità è uno dei presupposti per rendere l’atto
menzognero efficace.
Quindi il messaggio menzognero risulta sempre ancorato al contesto e riflette il
flusso di pensieri e di azioni esistenti tra gli interlocutori.
Si tratta dunque di una “gestione locale” degli scambi comunicativi, relativa alla
finalità che il mentitore vuole raggiungere.
In tal senso, la menzogna avrà buon esito al termine di un processo costituito da
fasi di elaborazione distinte, riguardanti: la scelta delle strategie globali di
comportamento, la definizione delle azioni tattiche tramite la coordinazione a
livello verbale e non verbale ed un costante monitoraggio degli effetti che il
messaggio menzognero produce sull’interlocutore (Anolli, 2006).
Sebbene quindi l’atto menzognero possa essere considerato riprovevole ed una
violazione delle regole che garantiscono un vivere pacifico, appare essere
indiscutibile che la menzogna è parte della natura umana, insita nei
comportamenti dell’uomo e dell’animale e difficile da allontanare (Pacori, 2012).
1.2 Comunicazione e Discomunicazione
“L’abilità di mentire e di fronteggiare la menzogna è esito di una competenza
comunicativa del soggetto, della capacità di comprendere il proprio punto di vista
e quello altrui e soprattutto di agire in maniera intenzionale (De Cataldo
Neuburger & Gulotta, 1996).”
Tra gli attori di questo “gioco a due” che la menzogna genera, l’abile o l’ingenuo
mentitore ed il destinatario nelle vesti di smascheratore o vittima dell’inganno,
s’innescherà un processo attivo basato su un’attribuzione reciproca d’intenzioni e
su un’interpretazione di contenuti, in seguito ad un “processo d’inferenza” a
partire da indizi indiretti (Anolli, 2003; Ekman, 1989).