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Introduzione
Negli anni ’90 del secolo scorso Scommettiamo che...? era un
popolare programma trasmesso dalla televisione pubblica italiana il sabato
sera. Un concorrente una sera scommise che avrebbe ricordato una serie
di centoventi cifre dopo averla osservata per un minuto. Perse la
scommessa. Ma nel risalire all’errore che aveva commesso disse
pressappoco queste parole: «Non mi ricordo che cosa faceva quel tipo là a
quel punto». Aveva trasformato dei numeri in personaggi, e assegnato a
questi delle azioni.
In altre parole, aveva creato una storia.
Questo insignificante ricordo si è nascosto nelle pieghe della mia
memoria per un paio di decenni.
Il primo momento in cui pensai a scrivere questa tesi di laurea fu
quando, durante il primo anno di Logopedia, mi imbattei nell’espressione
di Bruner pensiero narrativo.
Quando l’anno successivo proposi alle professoresse Pieretti e
Mariani una tesi che confrontasse il pensiero narrativo dei bambini con le
loro capacità aritmetiche di base, Enrica Mariani mi disse: «Perché non
utilizzi i problemi, invece?».
La mente umana può trasformare i numeri in personaggi e azioni per
ricordarsi una lunga serie di cifre; ma come si comporta di fronte ai
problemi aritmetici?
Le professoresse mi diedero da leggere una tesi di alcuni anni
prima: Risolvere un problema è questione di memoria? di Silvia
Trepiccione [2010].
La tesi indagava le abilità di problem solving in bambini di IV
elementare e parallelamente raccoglieva diverse misure della memoria di
lavoro dei singoli soggetti. Tramite l’indagine statistica Trepiccione
dimostrava che sì, la memoria di lavoro influisce nell’abilità di risoluzione
problemi.
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Se da una parte avrei proposto a bambini di IV elementare gli stessi
problemi aritmetici che aveva utilizzato Silvia per indagare le abilità di
risoluzione problemi, dall’altra dovevo dotarmi di un metodo semplice e
valido per valutare la composizione di buone narrazioni.
Ricorsi alla teoria di semiotica narrativa di Algirdas Greimas, che
negli anni ’70 aveva condensato nello Schema Narrativo Canonico la forma
universale di un processo narrativo completo. Selezionai alcune fiabe e,
sulla base dello Schema di Greimas, costruii la prova del pensiero
narrativo.
Ci sarebbe stata una correlazione tra l’andamento delle due prove?
Non lo sapevo. Nella letteratura scientifica non avevo trovato alcun
riferimento a una comparazione del genere. Nondimeno avevo un’ipotesi.
La mia ipotesi sperimentale era che l’abilità narrativa fosse un
prerequisito per lo sviluppo dell’abilità di risoluzione problemi.
La mente sviluppa la sua comprensione del mondo, e quindi la sua
capacità di raccontarlo, a partire da semplici schemi narrativi. Utilizza
prima rappresentazioni attive degli oggetti, poi rappresentazioni iconiche,
fino ad arrivare a rappresentazioni simboliche mediate da un linguaggio.
Quando alla mente è chiesto di svolgere operazioni formali e quindi più
astratte, come quelle delle operazioni aritmetiche, essa fonda la sua
capacità operazionale sugli schemi narrativi che sa già utilizzare. Mediante
l’utilizzo della stessa logica che porta un protagonista a realizzare o fallire
il suo programma narrativo, quindi mediante l’utilizzo di euristiche simili a
quelle narrative, la mente utilizza con maggiore o minore abilità le
rappresentazioni mentali che le occorrono per risolvere un problema.
Immaginiamoci che la mente narrativa sia la cabina di montaggio di
un film e le rappresentazioni mentali la vecchia pellicola (che ormai non si
usa quasi più). Se la nostra mente sa montare bene i suoi film – di modo
che il pubblico non si annoi o non scagli i popcorn contro lo schermo per
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via di scene inverosimili – allo stesso modo saprà utilizzare una diversa
pellicola per montare scene in cui risolve l’area di un quadrato o indovina
quale caramella ha maggiori probabilità di pescare Matteo dal sacchetto
della nonna.
Forse l’area di un quadrato non commuoverà il pubblico come il
finale strappalacrime di un bel film; ma se l’operazione è ben compiuta,
lascerà il pubblico soddisfatto, come fa ogni film che completi un percorso
narrativo, al di là delle emozioni che è in grado di trasmetterci.
Due obiezioni di senso opposto sono state mosse all’ipotesi
sperimentale di questo lavoro.
La prima obiezione è che narrazioni e risoluzione problemi non
abbiano niente a che vedere l’una con l’altra e che la suggestione del
concorrente che ricordava i numeri tramite le storie possa essere
assimilata all’utilizzo di un semplice espediente mnemonico non dissimile
dal metodo dei loci già utilizzato dagli oratori dell’antica Grecia.
La seconda obiezione è che sì: la narrazione è problem solving, e
quindi quest’ipotesi sperimentale non implica nulla di nuovo da scoprire.
Alla prima obiezione oppongo l’esperimento. Vedremo dai risultati se
esiste una correlazione o meno, e se esiste di che tipo è.
Alla seconda obiezione oppongo la ricerca delle correlazioni di altre
variabili rispetto ai due compiti. È ragionevole sostenere che la narrazione
possa essere considerata una forma di problem solving: ma quali sono i
processi cognitivi che informano le due abilità? Un’eventuale correlazione
tra storie e problemi potrebbe essere anche spiegata dalla comune
influenza mascherante di un processo cognitivo sottostante. Cercheremo
perciò eventuali correlazioni con alcune abilità strumentali interne ai
compiti (Calcoli, Grammatica e Sintassi) e soprattutto con una misura di
memoria di lavoro verbale, il Listening Span, la cui correlazione con
l’abilità di problem solving è già stata verificata da Trepiccione [2010] e
dalla letteratura scientifica. Se la correlazione tra problemi e storie si
dovesse spingere oltre una comune influenza della working memory,
significherebbe che i processi cognitivi reclutati dai due compiti possono
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essere considerati simili ma non uguali; pertanto la correlazione tra i due
compiti dovrebbe essere ulteriormente indagata.
Questo lavoro consta di cinque capitoli:
nel primo capitolo, Come funziona il pensiero narrativo?,
introduciamo la concezione di Jerome Bruner di pensiero narrativo e
delineiamo i processi cognitivi che rendono effettiva questa modalità
di ragionamento umana. Particolare attenzione è posta sul
funzionamento della memoria nella comprensione e sul ruolo delle
rappresentazioni mentali nei processi inferenziali, tramite
un’illustrazione di alcuni studi compiuti nell’ambito della teoria dei
modelli mentali;
nel secondo capitolo, Come si sviluppa la mente narrativa?, ci
interroghiamo sul significato evolutivo della narrazione e su quali
principi della percezione costituiscano la base dello sviluppo del
ragionamento narrativo; descriviamo le influenze della narrazione
nello sviluppo cognitivo e osserviamo alcune fasi di sviluppo delle
abilità narrative nei bambini in età prescolare;
nel terzo capitolo, Come si risolvono i problemi?, indaghiamo in che
modo la psicologia ha considerato i fenomeni mentali connessi
all’abilità di risoluzione problemi; valutiamo le componenti cognitive
coinvolte nel problem solving; identifichiamo un modello valido che
delinei i sottoprocessi implicati nell’abilità e infine illustriamo il
lavoro di Rosetta Zan sui principi narrativi nei problemi aritmetici;
nel quarto capitolo, Come si costruiscono storie ben formate?,
analizziamo le caratteristiche salienti della competenza
testuale/discorsiva; illustriamo gli elementi delle grammatiche delle
storie e ci dotiamo infine dello Schema Narrativo Canonico di
Greimas, al fine di costruire la nostra prova del pensiero narrativo;
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nel quinto capitolo, Disegno sperimentale, presentiamo la
somministrazione di tre prove ad un campione di 53 bambini della
IV classe della scuola primaria, illustrando la costruzione delle
prove, i metodi di somministrazione e i criteri di valutazione.
Presentiamo e discutiamo i risultati delle analisi statistiche
inferenziali e concludiamo infine esponendo le implicazioni
dell’ipotesi sperimentale e gli interrogativi aperti da questa ricerca.
Il fine pratico di questo lavoro è fornire uno spunto per la creazione
di un nuovo protocollo clinico per la valutazione e il trattamento dei
disturbi dell’apprendimento, in particolare nel problem solving e
nell’elaborazione del discorso.
° ° °
Se questa tesi fosse un racconto, il pensiero narrativo sarebbe il
protagonista. Il suo obiettivo sarebbe quello di fornire una base per
l’abilità di risoluzione problemi e... come può raggiungerlo?
Questa tesi è costruita su domande dirette a spingere di volta in
volta un po’ più in là l’esplorazione del fenomeno che si sta trattando;
spesso queste domande non trovano una risposta esaustiva all’interno del
paragrafo in cui sono poste perché portano alla luce nuovi interrogativi, su
cui risulta bene indagare.
D’altronde, secondo Bruner [2006] il racconto è uno strumento non
tanto per risolvere problemi, quanto per trovarli.
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I – Come funziona il pensiero narrativo?
Come pensa la mente?
Secondo Jerome Seymour Bruner la mente utilizza essenzialmente
due tipi di pensiero, complementari tra di loro ma irriducibili l’uno all’altro.
Questi due tipi di pensiero sono il pensiero logico-scientifico, anche detto
paradigmatico, e il pensiero narrativo. Ognuno di questi due modi
fornisce un proprio metodo particolare dell’esperienza e di costruzione
della realtà [Bruner, 1994].
Il pensiero paradigmatico si occupa delle cause di ordine generale e
del modo per individuarle, «si serve di procedure atte ad assicurare la
verificabilità referenziale e a saggiare la verità empirica».
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All’interno del
pensiero paradigmatico è possibile evocare mondi possibili, prodotti
logicamente al fine di confrontarli con le realtà osservabili. Il pensiero
paradigmatico è guidato da ipotesi basate su dei principi e ricorre alla
categorizzazione e «alle operazioni mediante le quali le categorie vengono
elevate a simboli, idealizzate e poste in relazione tra loro in modo da
1
J. Bruner, La mente a più dimensioni, Laterza, Roma-Bari, 1994, p. 17.
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costituire un sistema».
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All’interno del pensiero paradigmatico dominano
operazioni formali come quelle di congiunzione, disgiunzione, iperonimia e
iponimia e quelle che dal particolare giungono a ricavare proposizioni
generali.
Il pensiero narrativo produce invece «buoni racconti, drammi
avvincenti e quadri storici credibili, sebbene non necessariamente veri».
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Il pensiero narrativo è un modo universale per organizzare l’esperienza
umana e si estrinseca nell’atto di narrare. Esso si occupa delle intenzioni e
delle azioni proprie dell’uomo o a lui affini, nonché delle vicissitudini e dei
risultati che ne contrassegnano il corso. Il racconto deve costruire
contemporaneamente due scenari: quello dell’azione e quello della
coscienza. Nello scenario dell’azione si esplicano le azioni dei personaggi
del dramma tramite gli elementi costitutivi dell’agente, dello scopo, della
situazione, degli strumenti, et cetera. Nello scenario della coscienza invece
è rappresentato di volta in volta ciò che i personaggi coinvolti sanno o non
sanno, pensano o non pensano, sentono o non sentono. Un esempio
classico è Edipo che compie determinate azioni sullo scenario dell’azione
prima che nello scenario della coscienza venga esposto che Giocasta è sua
madre.
Paul Ricoeur [1986] sostiene che il pensiero narrativo scaturisce
dall’interesse per la condizione umana: un racconto può approdare a esiti
malinconici, comici o assurdi, mentre l’argomentazione teorica
semplicemente o è conclusiva o non lo è.
Occorre valutare l’importanza della prospettiva narrativa all’interno
dello sviluppo del Cognitivismo, il quale si interessa dei processi mentali
mediante i quali le informazioni vengono acquisite, trasformate, elaborate,
archiviate e recuperate dalla persona quando le circostanze lo richiedono
[Potenza, 2010].
2
Ibidem.
3
Ivi, p. 18.