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di liberazione il momento fondante della Repubblica e, nonostante la pluralità di
memorie divise presenti all'interno dello stesso schieramento antifascista, si è
affermata una “memoria egemonica” celebrativa, il cosiddetto “paradigma
antifascista”, tradotto nel cosiddetto “arco costituzionale”, all'infuori del quale
non c'è legittimazione né a governare né a svolgere un ruolo di opposizione
costituzionale a pieno titolo2. Negli anni Novanta questa nozione e questa pratica
vengono travolte dalla crisi dei partiti, i quali si sciolgono o modificano la loro
identità. Ci si inizia a chiedere allora se quel paradigma possa ancora avere senso e
se la Resistenza a cui esso si richiama debba avere quella centralità che le è stata
riconosciuta.
Questa ricerca si propone di illustrare l'importanza data al 25 aprile, le diverse
letture della Resistenza e la memoria pubblica di quegli eventi nel corso del
sessantennio repubblicano, attraverso l'analisi del dibattito storiografico e politico
che si sviluppa negli anni e focalizzando l'attenzione sull'immagine pubblica della
ricorrenza della liberazione che si ha negli anni '90 con la nascita della cosiddetta
“Seconda Repubblica”.
Lo scopo principale, infatti, è quello di capire in che modo alcuni giornali
affrontano il 25 aprile a partire dal 1994 e in base a cosa decidano quanto spazio
dedicare alla ricorrenza e se ciò dipenda dalla mobilitazione della sinistra e
dall'“uso pubblico” e strumentale dei valori della liberazione e della Resistenza per
fini politici da parte dei partiti. Si osserverà che le scelte editoriali dei diversi
giornali dipendono in maggior parte dal contesto storico in cui i singoli anniversari
ricadono e dall'attenzione che le diverse parti politiche mostrano nei riguardi del
25 aprile.
L’importanza dell’analisi dei giornali condotta in questa ricerca per studiare la
memoria collettiva e osservare il suo evolversi deriva proprio dal fatto che è la
stampa a mostrare in maniera più evidente l’uso che le diverse parti politiche
fanno della memoria. I mass media vengono coinvolti nel dibattito sulla
Resistenza e sulla liberazione per fini politici di legittimazione o delegittimazione,
in questo modo il dibattito non rimane confinato nel contesto delle sedi
storiografiche specialistiche ma tramite la stampa e la televisione è in grado di
arrivare al grande pubblico. I nodi storiografici proposti e non risolti dalla
2
N. Gallerano, Le verit della storia. Scritti sull’uso pubblico d el passato, Manifesto Libri,
Roma 1999, p. 90.
6
storiografia dei primi cinquant’anni della Repubblica vengono così affrontati da
storici, politici e personaggi pubblici, arricchendo di nuovi spunti il dibattito ma,
appunto, accentuando l’uso pubblico della memoria.
I primi due capitoli di questo lavoro sono di carattere storiografico e hanno lo
scopo di fornire un quadro generale dei nodi interpretativi, delle opere più
importanti e dei temi ricorrenti all'interno del dibattito storiografico
dall'immediato dopoguerra ai giorni nostri. Non si ha la pretesa di fornire un
panorama completo della storiografia resistenziale, ma si cerca di descrivere
l'andamento del dibattito e i sentimenti prevalenti all'interno dei quali il 25 aprile
assume significato esaminando soprattutto la “narrazione egemonica antifascista”
della Resistenza. Solo per il periodo della “Seconda Repubblica” si è cercato di
descrivere in modo più ampio il dibattito sulla Resistenza, prendendo in esame
anche le opere che sono al di fuori della cultura antifascista e critiche di quel
paradigma stesso.
Nel primo capitolo si ricostruisce il dibattito storiografico che si sviluppa tra
l'immediato dopoguerra e il 1990, anche alla luce di analisi e di strumenti forniti
dal dibattito successivo, prendendo in esame in ordine cronologico i singoli
decenni e analizzando le opere più significative. Si cerca di capire in cosa consista
e in che modo si formi il “paradigma antifascista” della Resistenza, retorico e
celebrativo, quali siano le forze politiche che maggiormente si occupano di
Resistenza e con quali differenze e con quali approcci i diversi partiti affrontino la
lotta di liberazione nel corso dei diversi decenni.
Nel secondo capitolo si analizza il dibattito contemporaneo a partire dal 1990
esaminando i temi più ricorrenti e le opere più significative, abbandonando per
comodità e per fornire un panorama più completo, l'approccio cronologico del
primo capitolo. Dal 1990 la storiografia resistenziale subisce una svolta proprio
grazie alla messa in discussione da parte della destra del paradigma antifascista.
Emergono così nuovi approcci e un approfondimento maggiore anche da parte
della cultura di sinistra su temi controversi sollevati dal dibattito pubblico, una
maturità storiografica di cui ne è un esempio l'opera di Claudio Pavone Una guerra
civile
3
, accettata da gran parte della storiografia, anche di destra.
A partire dalla seconda metà degli anni Novanta si assiste anche a un rilancio
politico e mediatico del dibattito sulla, e contro, la Resistenza. Questo dibattito,
3
C. Pavone, Una guerra civile. Saggio storico sulla moralit nella Resistenza , Bollati
Boringhieri, Torino 1991.
7
oltre a conquistare le prime e le terze pagine dei quotidiani, coinvolge la
televisione, suscitando molta più attenzione dei risultati della ricerca storica vera e
propria, che mostra nuovi sviluppi. Quando questa ricerca è, invece, oggetto di
attenzione, non viene approfondita dai media, oppure se ne decontestualizza il
risultato. Per fare un esempio si può citare nuovamente il volume di Pavone: si
concentra il dibattito e la polemica soprattutto sul concetto di guerra civile e se la
Resistenza ne sia stato o no un esempio, senza però usare gli spunti di questo
studio per tentare di capire e risolvere i problemi della nazione. Inoltre, il dibattito
che a partire dalla seconda metà degli anni Novanta coinvolge i media riprende le
tesi, le analisi e le letture sviluppate dal dibattito storiografico che si è svolto nei
primi cinquant'anni di storia repubblicana.
Nel terzo capitolo si cerca di capire lo svolgimento di questa discussione pubblica
mediatica e la memoria e il significato che il 25 aprile assume all'interno del
dibattito politico, sociale e dell'opinione pubblica analizzando come cinque grandi
quotidiani nazionali di diversa natura culturale – Corriere della Sera, Repubblica, Il
Giornale, Il Manifesto e L'Unità – e quattro periodici – Panorama, L'Espresso,
Micromega e Liberal - affrontano questa ricorrenza a partire dal 1994 e cercando di
capire in che modo cambi il loro approccio alla luce dei cambiamenti del quadro
politico e sociale della nazione.
8
CAPITOLO I
Il dibattito storiografico sulla Resistenza e il contesto
politico 1948-1990
Molti storici riconoscono nella Resistenza un episodio fondamentale della
storia nazionale perché fondativo della Repubblica; ma l'uso pubblico a fine di
legittimazione di questa o quella parte politica che della sua memoria è stato fatto
ha procurato una frattura importante tra la Resistenza e la scarsa percezione che
gli italiani hanno di questo evento.
Nel corso degli anni si è avuta un’enorme produzione di memorialistica sulla
Resistenza, ma anche una produzione storiografica, letteraria (si pensi a Beppe
Fenoglio, Italo Calvino o Luigi Meneghello) e cinematografica (per fare due
esempi: “Roma città aperta” di Rossellini e “Il partigiano Johnny” di Chiesa). Per
inquadrare la complessità del dibattito storiografico e politico sulla Resistenza, è
necessario riflettere sugli indirizzi e sugli sviluppi che si sono succeduti nel tempo
riguardo alla sua storia e la sua memoria non lineare. Nicola Gallerano1 propone
una periodizzazione che dopo la breve stagione dell’unità antifascista individua
quattro fasi della memoria della Resistenza, nelle quali prevalgono diverse
modalità di percepire questi eventi.
La prima fase, dopo la rottura dell'unità antifascista nel 1947, è caratterizzata
dal formarsi di diverse letture delle Resistenza secondo logiche di appartenenza
partitica. Queste letture possono essere ricondotte a due tesi fondamentali: quella
della Resistenza come “guerra di popolo”, sostenuta con diverse sfumature dalle
sinistre, e quella della Resistenza come “secondo Risorgimento”, propria dei
liberali moderati e accolta anche dalla DC. La seconda fase, che si apre all'inizio
degli anni Sessanta, vede queste due interpretazioni fondersi in un’ottica
celebrativa e di legittimazione; contemporaneamente inizia a comparire anche una
storiografia diversa, ma ancora proveniente in prevalenza dagli ambienti degli ex
resistenti.
C'è poi una terza fase che si sviluppa tra il 1968 e il 1979, che è caratterizzata da
un vivace dibattito politico-storiografico molto animato che ruota intorno al tema
della Resistenza come “occasione mancata”. In questo periodo la Resistenza è
1
Ivi, pp. 110 e ss.
Cfr. anche A. Agosti, La centralit della Resistenza , <http://www.storia900bvc.it>
9
studiata in modo più completo, perché contestualizzata con l'ambiente sociale,
politico e geografico del triennio 1943-1945. Infine, all'inizio degli anni Ottanta si
apre la quarta fase: si assiste a un diradarsi di studi sulla Resistenza, sia dal punto
di vista numerico che dal punto di vista argomentativo. Ci sono in questo
cambiamento di rotta i primi segnali di una sua svalutazione, che in alcuni casi fa
registrare un vero e proprio “ripudio dell’esperienza resistenziale nel discorso
pubblico”2.
Con la svolta del 1989 e la crisi del sistema politico italiano nei primi anni '90,
questi segnali diventano ancora più evidenti e palesemente dichiarati. La
Resistenza, ripresa in chiave critica e polemica, viene collegata alla tematica
dell'identità nazionale, che proprio in questi anni emerge prepotentemente.
Partendo da un'ipotesi di fondo che considera la storiografia, che produce
interpretazioni che contribuiscono a creare una memoria collettiva, strettamente
connessa al contesto socio-politico, questo capitolo prende in esame i primi
quarant'anni della storiografia sulla Resistenza. Per parlare di memoria della
Resistenza non si può trascurare l'analisi del contesto storico che l'ha generata,
poiché questa si intreccia con le vicende politiche, culturali e storiografiche di tutta
l'Italia repubblicana così per ricostruire il complesso dibattito sviluppatosi
dall'inizio dell'era repubblicana fino al 1990 si tratteggia il contesto storico e
politico dei singoli decenni, di fondamentale importanza per capire lo sviluppo
della storiografia, per poi tentare di sintetizzare le principali linee interpretative di
quegli anni, prendendo in esame alcune opere significative che li hanno
contraddistinti e utilizzando anche analisi e strumenti forniti dal dibattito
successivo e contemporaneo.
2
Ivi, p.12.
10
1. Il dibattito nell'immediato e nel primo dopoguerra: gli anni
'50
L'alleanza tra i partiti antifascisti caratterizza l'arco di tempo che va dal 1943 al
1947, fino a quando Alcide De Gasperi annuncia la fine del suo terzo governo: la
formula del governo unitario dei tre partiti maggiori va in crisi e la DC si prepara a
costituire un nuovo governo senza il PCI. Se da un lato la coalizione antifascista è
riuscita a guidare l'uscita dal fascismo e a porre le basi del nuovo assetto
istituzionale, dall'altro sono evidenti fin da subito i limiti e le contraddizioni di
questa alleanza. Tali ostacoli sono legati alla grande varietà ed eterogeneità della
coalizione stessa, ma gioca un ruolo fondamentale anche il cambiamento dello
scenario internazionale, con la contrapposizione tra i due blocchi est-ovest e
l'inizio della guerra fredda che inevitabilmente ha ripercussioni sui conflitti interni
preesistenti, soprattutto dopo l'inserimento dell'Italia nel blocco occidentale.
L'intesa tra azionisti, comunisti, democristiani, socialisti e liberali, confluiti tutti
nel CLN, ha garantito una certa unitarietà alla Resistenza e, dopo la fine della
guerra, ha permesso la fondazione della Repubblica e l'approvazione della sua
Costituzione. Nel referendum del giugno 1946, infatti, la coalizione antifascista è
schierata a favore della Repubblica e l'assemblea costituente, dove DC, PSI e PCI
detengono i quattro quinti dei seggi, vede la partecipazione di tutte le forze della
Resistenza. Tuttavia, il varo della Costituzione è l'ultima manifestazione della
collaborazione fra le forze dell'antifascismo e a gennaio del 1948, quando la
Costituzione entra in vigore, il quadro politico interno e la situazione
internazionale sono già cambiati profondamente. La Costituzione rappresenta nel
complesso un compromesso equilibrato fra le istanze delle diverse forze politiche
che hanno contribuito a realizzarla e ai costituenti va soprattutto il merito di aver
raggiunto questo risultato nonostante il contemporaneo radicalizzarsi della lotta
politica e nonostante l'asprezza dei contrasti sulle singole questioni3.
Con l'estromissione delle sinistre dal governo nel 1947, De Gasperi opera una
svolta moderata formando un nuovo ministero di centro costituito da
democristiani, liberali, repubblicani e social democratici, principio dei governi
centristi che reggeranno ininterrottamente il paese fino al 1953. La nuova linea
intrapresa dai democristiani riceve una clamorosa convalida il 18 aprile del 1948
3
Cfr. A.Giardina, G. Sabbatucci, V.Vidotto, Storia. Dal 1900 a oggi, Laterza, Bari 2002.
11
nelle prime elezioni democratiche di Camera e Senato.
Dall'inizio del 1948, infatti, i partiti si impegnano in una gara molto accanita per
conquistare l'elettorato; il peso della DC è salito progressivamente già a partire
dalle fasi finali della Resistenza, ma, grazie all'appoggio della Chiesa e degli
angloamericani, che consente alla DC di presentarsi come forza più accreditata
presso gli Alleati, il partito cattolico riesce ad assicurarsi la maggioranza assoluta in
Parlamento con il 48,5 dei voti.
A causa del clima politico agitato sia all'interno che all'esterno della nazione, già
dal 1947, anno in cui si avverte tutto il peso della “guerra fredda”, il mito della
Resistenza si sviluppa in modo complesso e contraddittorio. In Italia si formano
memorie differenti, divise e a volte anche antagoniste, che non riescono a essere
sintetizzate tra loro secondo valori comuni per diventare una memoria collettiva
condivisa, che possa rendere la Resistenza un momento di identificazione per
tutta la nazione. Non solo vi è divisione tra memoria fascista e memoria
antifascista, ma memorie divise all'interno dell'antifascismo stesso.
Gli ambienti culturali e politici usciti sconfitti dalla transizione democratica
sono i primi a sviluppare studi su quei venti mesi di lotta. Di fatto i primi a
denunciare il “fallimento” della Resistenza sono gli azionisti i quali, nonostante
abbiano partecipato attivamente alla lotta armata, sono praticamente usciti dalla
scena attiva della politica fin dalla crisi del governo Parri nel 1945. Gli azionisti
danno maggiormente voce ai delusi della Resistenza e molti dei temi sollevati con
la loro denuncia vengono poi ripresi da molti studi successivi, oltre la stessa
cerchia intellettuale su cui il PdA ha influenza. Il loro rimprovero è rivolto
soprattutto ai comunisti accusati di aver sacrificato le esigenze di rinnovamento al
progetto di collaborazione con i democratici. Prendono così corpo le idee e le
formule di “Resistenza tradita” e di “rivoluzione mancata”, per usare i concetti di
Pietro Calamandrei4.
D'altra parte, però, la “crisi della Resistenza” di cui alcuni iniziano a parlare è un
fenomeno antecedente alla liberazione, da quando cioè i principali partiti si sono
trovati in disaccordo sul futuro ruolo dei CLN e sull'assetto organizzativo dello
Stato. Gli azionisti sono stati tra i principali sostenitori dei CLN, ma nessuno degli
altri partiti ha aderito alla loro proposta, neanche le forze di sinistra. Quello che è
4
Cfr. P.Calamandrei in AA.VV., Dieci anni dopo 1945-1955. Saggi sulla vita democratica,
Laterza, Bari 1955.
12
passato alla storia come “il dibattito delle 5 lettere”5 - incentrato sul ruolo del
CLN nazionale e delle sue articolazioni territoriali, sia nel periodo dell’attesa
dell’insurrezione generale sia a liberazione avvenuta – è un momento
esemplificativo della divisione politico-ideologica fra i partiti antifascisti e
dimostrazione di come gli azionisti erano già destinati a rimanere soli e a
soccombere.
Ben diversa è la posizione del Partito Comunista, che, nello sviluppo della sua
memoria, mette subito l'accento sulla Resistenza armata e sul suo mito, utilizzato
in funzione legittimante. Il PCI esalta continuamente la componente classista della
lotta. L'idea comunista prevalente è che il processo di inserimento delle masse
nella società, iniziato con la Resistenza, sia stato interrotto all'improvviso con
l'esclusione del PCI dal governo. Tuttavia ciò non impedisce al PCI di diventare
comunque uno dei principali partiti della realtà politica e culturale repubblicana,
rimanendo una forza importante, capace di mobilitare l'opinione pubblica e la
massa popolare e di influenzare perennemente il dibattito politico italiano proprio
in virtù della legittimazione democratica ricevuta dal suo ruolo nella Resistenza; un
primato e una legittimazione che il partito non smetterà mai di rivendicare.
Va sottolineato che l'idea che tutta la sinistra ha di Resistenza è ben diversa da
quella che ha la DC: per la sinistra la Resistenza sarebbe dovuta andare ben oltre
la liberazione del paese, avrebbe dovuto portare a un rinnovamento radicale del
paese e quindi si sarebbe dovuto perseverare nell'unità del CLN anche dopo la
fine della guerra. Di conseguenza, secondo il PCI, sarebbe proprio “la fine della
collaborazione dei partiti antifascisti il momento di frattura del rinnovamento
democratico avviato con la Resistenza”6. Non solo, lo slancio rivoluzionario e
innovatore della Resistenza sarebbe stato frenato dalla presenza di correnti
conservatrici all'interno della DC. Lo stesso Togliatti non esita a dichiarare ciò
apertamente, quando parlando di De Gasperi individua i due aspetti negativi e
regressivi del suo operato “nel restituire il potere economico a una classe dirigente
capitalistica chiusa, egoistica [...] e nell’attribuire alle autorità ecclesiastiche una
nuova forma di potere politico”7
5
Uno scambio di lettere tra i cinque partiti che partecipano alla Resistenza che si apre con la
lettera del PdA nel novembre del 1944 e si chiude con quella del PLI nel febbraio del 1945.
6
P. Scoppola, 25 aprile. Liberazione, Einaudi, Torino 1995, p. 14.
7
Le citazioni contenute nel testo sono tratte da Palmiro Togliatti, Momenti della storia
d Italia , Editori Riuniti, Roma 1963. Cit. in M.Legnani, Resistenza e Repubblica. Un
dibattito ininterrotto, in Italia contemporanea , n. 213, dicembre 1998, pp. 751-863,