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Introduzione.
Nel processo penale a carico di imputati minorenni la giurisdizione è
esercitata da organi giudiziari specializzati che accertano i fatti e le
responsabilità,tenendo conto delle condizioni personali del minorenne
e del percorso educativo,così come previsto dall’art 31 comma 2 della
Costituzione. Come emerge dai principi fondamentali del D.p.r.
448/88,che rappresenta la fonte normativa cardine del processo penale
minorile ,il sistema della giustizia minorile deve avere come
obbiettivo la tutela del giovane ed assicurare che le misure adottate nei
suoi confronti siano proporzionate alle circostanze del reato ed
all’autore dello stesso.
Ciò richiede il conferimento al giudice di un ampio potere
discrezionale in considerazione delle speciali esigenze del minore
così come della varietà delle misure da applicare.
Compito certamente difficile quello dei giudici, ma necessario a
realizzare una giurisdizione specializzata, e a rendere compatibile
l’effettività del sistema penale con le garanzie di tutela dei diritti della
personalità del soggetto minorenne. Recentemente la Corte
Costituzionale ha ribadito la peculiarità del modello di giustizia
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minorile adottato dall’ordinamento italiano, che è “sorretto dalla
prevalente finalità di recupero del minorenne e di tutela della sua
personalità nonché da obiettivi pedagogici rieducativi piuttosto che
retributivi- punitivi”.
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L’affermazione del principio di specializzazione
ha portato ad un’inversione di tendenza rispetto alla vecchia idea che
il minorenne fosse oggetto di protezione piuttosto che soggetto
portatore di diritti, e in particolare del diritto ad avere un proprio
processo e livelli di garanzia processuali non inferiori a quelli previsti
per i maggiorenni.
Anche nel processo penale minorile trova spazio il dibattito sempre
più attuale sulla necessità di sviluppare un modello di giustizia
riparativa, in seguito alla crisi dei modelli tradizionali della giustizia
retributiva e rieducativa, che hanno mostrato la loro inettitudine a
svolgere un’azione contenitiva del controllo sociale e ad offrire
strumenti validi di predizione della pericolosità sociale e della
recidiva.
Il rito minorile anzi rappresenta uno spazio fertile per gli strumenti
di riparazione e conciliazione, e soprattutto in tema di mediazione si
sono sviluppate con successo delle prassi applicative nell’ambito della
giustizia penale minorile. La mediazione si pone in modo del tutto
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Corte Costituzionale sent. n. 272 del 12 luglio 2000, in www.giurcost.org.
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autonomo ed originale fra le discipline che si occupano di conflitto, è
tra l’altro una tipica materia interdisciplinare, che accoglie in sé
approcci diversi: dalla psicologia al diritto,alla sociologia e alla
criminologia. La mediazione si basa su valori fondamentali che
funzionano come regolatori delle relazioni umane, quali la dignità,il
rispetto, la reciprocità, l’equità e sulla concezione del conflitto non
come scontro fra due individualità,ma come processo inevitabile in
una relazione, che può essere risolto attraverso il dialogo e la ricerca
di una soluzione condivisa. L’attuale disciplina del processo penale
minorile ha espressamente previsto la possibilità di sanzioni “ a base
riparativa”, basti pensare allo svolgimento di attività lavorativa non
retribuita a favore delle comunità oppure alla riparazione del danno
materiale causato alla vittima, ma lo spazio per la mediazione penale
tra reo e vittima si è venuto a creare negli interstizi della normativa
offerta dal D.p.r 448/88, in particolare come si avrà modo di vedere
nell’ambito dell’art 9 relativa agli accertamenti sulla personalità del
minorenne di cui il Pm può servirsi, o nell’ambito dell’art 27 relativo
alla sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto, e in
particolare dell’art 28 disciplinante l’istituto della sospensione del
processo con messa alla prova, che in molte realtà territoriali sembra
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essere la fase più idonea o comunque quella in cui più frequentemente
si attiva un percorso di mediazione, nell’ambito delle prescrizioni
risultanti dal progetto di prova elaborato su misura per il reo dai
servizi sociali.
La mediazione è un istituto che trae le sue origini da ordinamenti
giuridici stranieri,in particolare statunitense, laddove si sono
sviluppati i primi movimenti a favore delle vittime di reati,in contesti
urbani ad alto tasso di criminalità giovanile. La normativa
internazionale e comunitaria da tempo incoraggiano le iniziative di
giustizia riparativa, si avrà modo di approfondire la copiosa
produzione legislativa in materia, nonché di effettuare un sintetico
studio comparato in relazione alle esperienze di mediazione attuate in
alcuni contesti europei ed extraeuropei. Nonostante da più parti si
affermi che anche l’Italia è ormai pronta per un modello di giustizia
conciliativa che vede alla base proprio la mediazione fra i soggetti
protagonisti di vicende di reato, non mancano dei rilievi critici e delle
perplessità, dettate dalle peculiarità intrinseche al nostro ordinamento
giuridico, tali aspetti congiuntamente alle prospettive di riforma
saranno oggetto di studio del presente lavoro.
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Capitolo primo
LA GIUSTIZIA RIPARATIVA
1. La giustizia: retributiva,rieducativa e riparativa.
La parola “ pena” evoca solitamente castigo,sofferenza,afflizione,che
vengono procurati a colui che viola una norma giuridica posta a tutela
dei beni delle persone singole o dell’intera collettività.
La pena è tesa al raggiungimento di obiettivi individuati in modo
differente dagli ordinamenti giuridici susseguitisi nel tempo,attraverso
la previsione di una pena edittale,ovvero i limiti di pena massima e
minima,attraverso la determinazione della pena effettiva ad opera del
giudice che deve motivare la sua scelta discrezionale nel
provvedimento con cui irroga la sanzione, e attraverso la previsione di
tempi e modi della sua espiazione.
Il diritto penale nasce proprio per regolamentare l’inflizione della
pena nei confronti di chi pone in essere condotte giudicate riprovevoli.
Alla base del diritto penale vi è la necessità di evitare il realizzarsi di
vendette private da parte delle vittime,assicurandone però la pretesa di
giustizia attraverso una proporzionalità tra pena e illecito compiuto.
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Dunque l’accertamento delle condotte antisociali,del tipo e della
quantità della sanzione da irrogare rimangono ancora oggi le funzioni
fondamentali del diritto penale,in quest’ottica la pena ha una funzione
retributiva.
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A questa funzione sono strettamente collegate la funzione general-
preventiva e quella special-preventiva, la prima intesa come strumento
deterrente alla commissione di reati da parte dell’intera
collettività,scoraggiando eventuali propositi criminosi; la seconda,
specie quando consiste nella pena detentiva, impedisce di per sè la
continuazione del reato o la commissione di altri reati da parte del
soggetto già condannato.
Con il progredire della società si è avvertita l’esigenza di assicurare
tale funzione preventiva non solo con la pena,ma anche con altri
mezzi,si fa strada quindi un nuovo modello di giustizia,non più solo
diritto della pena ma anche diritto delle misure rieducative.
Questa evoluzione della giustizia è stata recepita dal nostro
ordinamento,basato infatti sul cd doppio binario,accanto alla pena si
colloca il sistema delle misure di sicurezza,volte a scongiurare la
pericolosità sociale del reo.
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Pilla V., La mediazione penale, in AIAF n.2/2005, p. 130
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Concetto che trova un fondamentale riconoscimento nella
Costituzione,al terzo comma dell’art 27
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,oggi troppo spesso
dimenticato. Parlare di pene non contrarie al senso di umanità e che
devono tendere alla rieducazione e guardare allo stesso tempo lo stato
in cui versano le carceri italiane , la mancanza di strutture in cui
svolgere le attività previste dalla legge,rende perfettamente chiaro il
motivo delle plurime condanne dello Stato italiano da parte della
Corte europea dei diritti dell’uomo.
La finalità rieducativa della pena dovrebbe consistere nel dovere
dello Stato di predisporre e realizzare una serie di interventi finalizzati
ad eliminare a monte le cause che hanno indotto il soggetto a
delinquere.
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In questa logica si passa da una pena rigida e predeterminata ad
una pena più flessibile,modulata sulla personalità del reo. Ed è
soprattutto la pena detentiva quella maggiormente interessata da tale
flessibilità, ne sono un esempio le sanzioni sostitutive che limitano la
repressione della libertà personale, istituti quali la libertà controllata o
la semidetenzione dovrebbero rendere più semplice il reinserimento
sociale dei condannati. Stesso discorso per le misure alternative alla
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Art 27 Cost III cm: “ Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e
devono tendere alla rieducazione del condannato.”
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Mastropasqua G., I percorsi di giustizia ripartiva nell’esecuzione della pena, in Giurisprudenza
di merito 2007,03,881 p.10