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Introduzione
Nelle società che si scoprono multietniche e multiculturali i rapporti fra culture
differenti, sia in ambito familiare sia nelle relazioni sociali, subiscono cambiamenti sempre
piø frequenti. Nei paesi dell’Unione Europea, a cominciare da quelli dell’Europa
occidentale, è ormai stabile la presenza di milioni di cittadini stranieri, fatto che sollecita
costantemente gli organismi politici e la popolazione stessa alla riflessione sulle nuove
dimensioni comunitarie. In numerosi contesti nazionali sono state avviate iniziative
sperimentali di mediazione culturale che hanno portato progressivamente allo sviluppo e
alla diffusione di interventi rivolti agli immigrati a favore dell’integrazione.
Il seguente lavoro si propone di analizzare i significati della mediazione linguistico-
culturale, intesa non soltanto come gestione di conflitti, ma soprattutto come strumento di
promozione del dialogo e delle relazioni tra gruppi culturali. Il primo capitolo
dell’elaborato introduce una riflessione sul tema della mediazione interculturale con
particolare riferimento al contesto europeo e alla realtà migratoria odierna. Si apre quindi il
panorama italiano della mediazione attraverso dati specifici sull’immigrazione e un breve
excursus dello sviluppo della stessa.
Nel secondo capitolo ho cercato di individuare il ruolo, i limiti e le opportunità di
affermazione del mediatore linguistico-culturale; da una descrizione di carattere generale
sugli interventi del mediatore la mia attenzione si concentra sui servizi in ambito socio-
sanitario; partendo da alcune considerazioni sullo stato di salute della popolazione
immigrata e il suo incontro con le strutture italiane lo sguardo di indagine si rivolge
gradualmente alle donne, per incontrare finalmente approfondimenti concreti nella sezione
successiva. Dopo aver analizzato il funzionamento della mediazione in Italia, l’ultimo
paragrafo di questo capitolo è dedicato al confronto tra due sistemi di mediazione culturale
europei, quello italiano e quello britannico, grazie al quale viene posto in evidenza un
differente approccio da parte dei due paesi verso la società multiculturale.
Il terzo capitolo è dedicato alla mia personale ricerca sul territorio comasco; ho
riportato un’esperienza di mediazione culturale all’interno del Consultorio Icarus di Como,
analizzata insieme a due mediatrici culturali e alcune operatrici socio-sanitarie.
Quest’ultima parte dell’elaborato è una testimonianza del valore della mediazione culturale
in una società in continua evoluzione, e del ruolo chiave della donna nello sviluppo di
scambi e relazioni interpersonali.
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Capitolo Primo
1.1 Origini e finalità della mediazione culturale
Ciascun paese europeo è memore di una storia migratoria particolare e proprio in
base a questa ha, nel corso del tempo, adottato un approccio unico nella gestione degli
immigrati e nel confronto tra culture. Il mediatore culturale ha le sue origini negli Stati
Uniti e in Canada: l’“Ombudsman”, il “protettore dei cittadini”
1
è la prima figura “ponte”
fra i cittadini e le amministrazioni; è proprio al mediatore che ci si rivolge per ricercare le
soluzioni migliori ai problemi della collettività; la mediazione culturale si sviluppa negli
Stati Uniti negli anni Sessanta in risposta ai disordini sociali del periodo e la sua
applicazione viene prevista nella riforma del settore penale. Nel panorama europeo, in
particolare in Italia, il mediatore linguistico-culturale è una figura relativamente nuova.
L’esperienza francese è la prima a vedere le donne impegnate nel contesto della
mediazione: la “femme relais” principalmente maghrebina si collocava tra la società
francese e i movimenti di rivolta delle comunità immigrate contro le politiche di
assimilazionismo degli anni Ottanta, per poi occuparsi della mediazione in ambito sociale e
familiare. Il Regno Unito trae spunto dalla mediazione culturale americana e sviluppa
progressivamente numerosi servizi di “advice” che vedono impegnati operatori sociali e
insegnanti in progetti rivolti a favorire le interazioni tra culture e comunità diverse e
l’accesso con pari opportunità nel sistema scolastico e occupazionale
2
.
La mediazione linguistico-culturale si rivela ovunque uno degli strumenti piø utili
per favorire la comunicazione fra culture diverse; obiettivo primario della mediazione è
condurre due parti in disaccordo a una soluzione mutualmente accettabile e soddisfacente
per entrambe attraverso l'ausilio di un terzo neutro, il mediatore appunto. La mediazione
interculturale intende facilitare le relazioni fra la popolazione autoctona e quella straniera,
aiutando quest’ultima a inserirsi nella società in termini di accesso ai servizi pubblici e al
mercato del lavoro.
1.1.1 Definizione
Ma quanti significati racchiude il termine “mediazione”? La mediazione
interculturale non si limita a favorire le relazioni fra appartenenti a culture diverse e a
1
Belpiede, 2002.
2
Fonte ISFOL.
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risolvere conflitti, ma affronta concretamente temi quali l’identità e la sua formazione, lo
sviluppo delle tradizioni e la percezione dell’individuo come parte di una comunità. Il
processo di mediazione fa emergere il reale significato della comunicazione e non limita la
traduzione al livello esclusivamente letterale. Vorrei analizzare brevemente le due
componenti dell’espressione mediazione linguistico-culturale. La componente linguistica
che deve considerare la complessità di ciascuna lingua e le sue sfaccettature: i dialetti, le
espressioni e i modi di dire variano all’interno di una stessa lingua nazionale o gruppo
linguistico. Per esempio la lingua araba si distingue in arabo standard e arabo parlato;
l’arabo standard moderno è conosciuto da tutti e utilizzato nelle comunicazioni scritte,
nelle trasmissioni radiofoniche e televisive e nelle situazioni formali; le lingue parlate
comprendono invece un’ampia varietà di dialetti, spesso molto differenti tra loro: un
egiziano non capirà mai il dialetto marocchino, così come l’arabo parlato nelle grandi città
si discosta molto da quello beduino
3
.
Fondamentale è anche l’aspetto culturale della mediazione; l’incontro tra culture
differenti porta con sØ insiemi di valori, usanze e comportamenti che, se non compresi,
possono generare conflitti. Cogliere gli aspetti culturali e saper interpretare anche il
significato di piccoli gesti è una condizione necessaria affinchØ la relazione fra autoctono e
immigrato, grazie appunto al mediatore, possa svolgersi positivamente; la distanza fisica
tra due persone così come la posizione del corpo genera significati e sensazioni diverse in
un europeo e in un orientale.
Considerati tutti gli aspetti linguistico-culturali, la mediazione permette di sviluppare
un dialogo che dispone su uno stesso livello ciascun interlocutore e lascia spazio alla
comprensione reciproca. Come diceva Aristotele, “conversatio facit civitatem”
4
: il dialogo,
la comunicazione costruiscono la società politica; per la promozione di un confronto fra
realtà socio-culturali diverse gli operatori della mediazione hanno un importante ruolo da
svolgere.
3
Fonte: www.arabo.biz
4
Aristotele, citato in Belpiede, 2002
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1.2 La realtà italiana
I consistenti flussi migratori che stanno interessando l’Italia e l’aumento significativo
di utenza straniera presso i vari servizi pubblici (amministrazione, sicurezza, giustizia,
sanità e sportelli di informazione) hanno incrementato l’esigenza di mediare fra la cultura
degli immigrati e quella degli autoctoni.
1.2.1 I processi migratori
Confronto ai paesi dell’Europa continentale (Francia, Germania, Regno Unito)
memori dal secondo dopoguerra di consistenti flussi migratori, l’Italia ha una storia
relativamente recente come paese di immigrazione. Da sempre soggetta a notevoli
movimenti emigratori, di cui c’è scarsa memoria storica, l’Italia a partire dagli anni Ottanta
ha dovuto relazionarsi con un elevato flusso di popolazioni extraeuropee, provenienti
soprattutto dal bacino del mediterraneo, diventando terra di immigrazione.
Il primo flusso migratorio italiano avvenuto negli anni Settanta è stato caratterizzato
dalla presenza di cittadini stranieri giunti per motivi principalmente politici (esuli cileni,
argentini, eritrei, iraniani, iracheni), per studio (somali, zairesi, ivoriani, giordani) e per
ristretti flussi finalizzati al lavoro domestico (capoverdiane, eritree, filippine, somale). In
quegli anni l’immigrazione non è di massa ed è scarsamente visibile.
L’Italia degli anni Ottanta vede gradualmente mutare la composizione dei flussi
migratori a favore delle popolazioni provenienti dall’Africa e, in seguito alla caduta del
Muro di Berlino
5
, dai paesi dell’Est europeo. Le crisi economiche e gli alti livelli di
disoccupazione spingono continuamente masse di cittadini albanesi e dei paesi dell’ex
Jugoslavia a intraprendere quello che è stato definito giornalisticamente “il viaggio della
speranza”
6
.
In seguito, coi progressivi allargamenti ad Est dell’Unione Europea, l’Italia ha accolto un
numero consistente di popolazione di origine slovena, bulgara e rumena.
L’immigrazione ha assunto tempi così rapidi da cogliere spesso impreparati i governi
e le stesse popolazioni coinvolti, le sue dimensioni e complessità sarebbero state
inimmaginabili solamente venti anni fa.
5
1989. ¨ il segno della caduta dell’impero comunista nell’Europa orientale.
6
Fonte ISTAT.