4la SAM quindi può essere considerata come un completamento della prima ed
un evoluzione della seconda.
In effetti la SAM, come il modello I-O, può essere utilizzata con lo scopo di
verificare quali siano gli effetti prodotti da una serie di fattori esogeni all’interno
del sistema economico, ma a differenza dei precedenti la SAM ha il vantaggio di
poter utilizzare congiuntamente tre circuiti moltiplicativi che in passato
venivano considerati in modo separato; questi circuiti sono rappresentati dal
moltiplicatore intersettoriale (derivante dal modello I-O), il moltiplicatore della
spesa e dei consumi e quello relativo alla distribuzione e alla redistribuzione del
reddito all’interno del sistema economico, elemento che molto spesso viene
tralasciato all’interno delle varie analisi economiche ed in particolare in quelle
rivolte alle aree economicamente depresse.
Un’altra tipologia di modelli economici che presenta una tipologia d’indagine
simile alla SAM sono quelli che si basano sull’equilibrio economico generale
computabile (CGE models), nei quali i dati presenti all’interno della matrice di
contabilità sociale presentano il punto di partenza e la base dati su cui vengono
effettuate una serie di simulazioni prendendo in considerazione delle equazioni
di comportamento.
Quindi il primo passaggio per giungere a modelli di simulazione economica
particolarmente complessi è quello di determinare i valori di una SAM facendo
riferimento all’anno prescelto, utilizzando tutte le informazioni disponibili
all’interno della contabilità nazionale; l’utilizzo di tale fonte di informazioni ci
permette di conoscere tutte le transazioni che si svolgono tra gli operatori di un
determinato sistema economico ma soprattutto ci fornisce un insieme di dati
coerenti ed omogenei, caratteristiche fondamentali affinché la SAM sia
realmente rappresentativa dell’economia del Paese considerato.
Il secondo passaggio invece è rappresentato dall’individuazione di una serie di
parametri chiave, per esempio la distribuzione del reddito o la propensione al
5risparmio, sui quali si baseranno le simulazioni successive dirette alla
risoluzione di determinate situazioni di difficoltà economica o sociale.
L’obiettivo di questo lavoro è quindi quello di fornire una serie di indicazioni
utili a comprendere la struttura e le potenzialità di una matrice di contabilità
sociale prendendo in considerazione sia l’esperienza nei Paesi avanzati, come
l’Italia, che quella all’interno dei Paesi in via di sviluppo, in particolare si è fatto
riferimento allo Sri Lanka,
Nel primo capitolo verranno presi in considerazione tutti i principali strumenti
di valutazione dello sviluppo economico e del benessere sociale, come per
esempio l’indice di sviluppo umano (HDI) e l’indice di Gini; ma soprattutto si
focalizzerà l’attenzione sulla nascita di una serie di indicatori “moderni”, sia per
quanto riguarda la distribuzione del reddito e sia per quanto riguarda il
benessere sociale, attraverso i quali è possibile ottenere una serie di informazioni
più valide e più complete rispetto agli strumenti classici.
Nel secondo capitolo invece si passeranno in rassegna tutti gli elementi
costitutivi di una matrice di contabilità sociale, inizialmente verrà effettuata una
analisi storica su come la SAM si è sviluppata nel tempo e su quali siano stati i
modelli di partenza (tavola I-O e NAM). In particolare nella prima parte si farà
molta attenzione a descrive in modo dettagliato i vari operatori che figurano
all’interno del modello e tutte le relazioni che intercorrono tra di essi, cercando
di identificare i vari flussi che derivano da queste interazioni.
All’interno del capitolo terzo invece si passerà ad una fase più operativa durante
la quale inizialmente sarà analizzato un modello ipotetico di SAM a scopo
informativo e successivamente si passerà a prendere in considerazione la
matrice di contabilità sociale costruita per l’Italia nel 1998 sulla quale il Centro
interuniversitario di contabilità sociale e modelli computativi per i sistemi
economici (CICSESE) ha svolto, a seguito della disaggregazione della SAM, una
serie di indagini relative alla distribuzione del reddito all’interno delle famiglie
italiane e ha proceduto alla costruzione di un’ipotetica matrice regionale.
6Nell’ultimo capitolo invece si fa riferimento alla matrice di contabilità sociale
costruita dallo Sri Lanka nel 1977 ad opera di Pyatt e Round; si prende in
considerazione tale Paese ci permette di capire come tale strumento di
contabilità possa essere utilizzato all’interno dei PVS per analizzare la
distribuzione del reddito ma anche per verificare l’impatto delle varie politiche
economiche all’interno dei singoli settori produttivi. Va inoltre ricordato che
dalla fine della seconda guerra mondiale all’interno dello Sri Lanka sono state
adottate una serie di misure in ambito sociale molto importanti, misure che da
un lato hanno favorito un miglioramento delle condizioni di vita ma dall’altro
hanno provocato una serie di contraccolpi economici diretti principalmente sulla
produzione e sulla bilancia dei pagamenti.
7CAPITOLO PRIMO
LA VALUTAZIONE DELLO SVILUPPO ECONOMICO E DEL
BENESSERE SOCIALE
Le condizioni di arretratezza, che negli ultimi anni si sono concentrate in molte
parti del mondo, hanno fornito una serie di indicazioni circa l’incapacità di
offrire interpretazioni adeguate al problema del sottosviluppo e soprattutto di
mettere in atto una serie di politiche, economiche e non, dirette a migliorare le
precarie condizioni di vita delle popolazioni povere. Risulta pertanto molto
importante porre l’attenzione sul tema della povertà sul quale l’analisi
economica si è soffermata in modo incompleto basandosi spesso sul fatto che la
crescita economica si sarebbe potuta verificare attraverso uno sviluppo
generalizzato anche dei Paesi più poveri.
Va comunque detto che l’evoluzione dei sistemi economici mostra come sia
molto difficile rendere compatibili obiettivi di crescita economica con quelli di
avvio dello sviluppo e di come non esista quasi nessun legame tra la crescita
economica e il miglioramento della vita nelle aree arretrate; infatti, nonostante i
Paesi in via di sviluppo (PVS) negli ultimi anni abbiano registrato una notevole
crescita in termini di reddito e di consumi, la popolazione che vive in una
condizione di povertà è andata aumentando nel tempo.
Quindi non bisogna solo porre l’attenzione alla crescita del reddito pro-capite
per accrescere la ricchezza di un Paese, ma è necessario applicare anche una
serie di interventi volti a favorire la lotta alla povertà e alla rimozione di quei
fattori che ne provocano la diffusione. Per quanto riguarda il termine povertà col
tempo sono nate una serie di interpretazioni differenti ognuna delle quali si
sofferma su determinati aspetti; nel suo significato corrente la povertà è intesa
come l’incapacità dell’individuo di accedere a dei bisogni definiti come
8“essenziali”, in altre parole si è poveri nel momento in cui non si riesce ad
accedere ad un paniere di bisogni essenziali in riferimento al livello di vita
medio di una determinata collettività (Streeten, 1981).
Partendo da questo approccio, il concetto di povertà è stato nel tempo
approfondito con lo scopo di individuare quei fattori che in qualche modo
influenzano le capacità individuali; i recenti approcci hanno focalizzato la loro
attenzione sul fatto che molti degli elementi trainanti dello sviluppo trovano
fondamento nella valorizzazione delle potenzialità inespresse ed insite nelle
risorse localmente disponibili. Il capitale umano diventa dunque l’elemento
centrale delle nuove teorie sullo sviluppo endogeno dando la possibilità ai vari
policymaker di programmare una serie di politiche basate sulla massima
partecipazione della popolazione al processo di sviluppo.
Nell’ultimo decennio l’attenzione ai temi della povertà e dello sviluppo è
andata crescendo, si sono infatti moltiplicate le indagini su questi argomenti
1
ma
soprattutto sono aumentati gli strumenti attraverso i quali questi problemi
vengono affrontati; bisogna però sottolineare che lo sviluppo economico, lo
sviluppo umano e la riduzione della povertà sono concetti differenti che
possono essere descritti prendendo in considerazione variabili diverse. Lo
sviluppo economico si misura con la crescita del reddito medio pro-capite; lo
sviluppo umano sia con la crescita del reddito sia con una serie di indici
2
; la
riduzione della povertà invece viene misurata con la riduzione della
popolazione che vive ai limiti della sussistenza.
Queste tre misure non coincidono e nonostante lo sviluppo umano possa essere
inteso come superamento della povertà, non può essere ottenuto solamente
mediante la crescita del reddito ma risulta molto importante anche una sua
redistribuzione a favore delle classi sociali più deboli; fenomeno che non sempre
è consequenziale allo sviluppo economico, infatti in molti PVS si è potuta
1
In particolare quelli relativi all’analisi dei cosiddetti “circoli viziosi” della povertà.
2
Tali indici fanno principalmente riferimento al miglioramento dello stato di salute e
d’istruzione della popolazione.
9osservare una progressiva concentrazione del reddito nelle mani di una piccola
parte della popolazione ed un graduale aumento del numero delle persone
povere.
Secondo Kuznets (1990) lo sviluppo economico può essere definito come
l’aumento nel lungo periodo della capacità di fornire alla popolazione beni
economici sempre più diversificati; questa capacità crescente si basa sullo
sviluppo tecnologico e su tutti quegli aggiustamenti, strutturali ed istituzionali,
che risultano necessari all’interno del sistema economico preso in
considerazione.
Attraverso tale definizione è possibile individuare quei fattori indispensabili per
lo sviluppo, vale a dire la crescita di lungo periodo del reddito pro-capite e la
diversificazione dei beni che compongono il reddito. Quindi per l’autore non è
possibile definire come “sviluppo economico” qualsiasi aumento della
disponibilità dei beni ma risulta fondamentale il carattere continuativo e
prolungato di tale aumento che possa garantire anche nel lungo periodo un
flusso crescente di beni in rapporto alla crescita della popolazione
3
.
All’interno di questa definizione è anche possibile capire che lo sviluppo
economico non deriva dalla ricchezza di risorse naturali o umane, tali elementi
infatti sono sempre esistiti ma prima del progresso tecnico degli ultimi secoli
non si è potuto mai assistere ad un vero e proprio sviluppo economico; quindi
risulta fondamentale una ampio miglioramento nelle tecnologie ed una serie di
aggiustamenti sia a livello strutturale che a livello istituzionale volti ad
eliminare tutti quegli elementi, come la corruzione o l’eccessiva burocrazia, che
in qualche modo potrebbero rallentare la crescita economica.
Accanto al concetto di sviluppo economico appare opportuno prendere in
considerazione anche la definizione di “sviluppo umano”; secondo l’United
Nation Development Program (UNDP) lo sviluppo umano è inteso come un
3
Allo stesso modo non si può definire “sviluppo economico” una crescita continua della disponibilità di
pochi beni come di solito accade nei Paesi che sfruttano la loro ampia disponibilità di materie prime.
10
continuo miglioramento delle condizioni che permettono alla popolazione di
vivere una lunga vita e in buona salute. Questa definizione venne presentata la
prima volta nel Rapporto sullo sviluppo umano delle Nazioni Unite del 1990
(UNDP 1990) durante il quale si propose di calcolare per tutti i Paesi del mondo
un indice di sviluppo umano ( HDI, Human Development Index) ma a causa delle
limitate informazioni statistiche si sono potute prendere in considerazione
poche variabili.
Tale concetto di sviluppo umano si fa risalire al concetto di capability ideato da
Amartya Sen (1981, 1992, 1999) secondo il quale lo sviluppo umano deve essere
valutato in relazione all’ampliamento delle scelte che esso permette, in
particolare:
a) ampliamento delle alternative a disposizione
b) ampliamento delle libertà di scelta tra le varie alternative
Si può dunque vedere come le possibilità di scelta dipendono dal contesto
economico nel quale si vive ( e dunque anche dal reddito pro-capite) mentre le
capacità di scelta sono soggettive ed influenzate da una serie di elementi ma in
particolare dallo stato di salute e dal grado di istruzione.
Nonostante l’HDI risulti un indicatore migliore rispetto ad altri, esso appare
ancora piuttosto rozzo in quanto sarebbero necessarie una serie di informazioni
che riguardano anche la sanità, l’ambiente, la sicurezza sul lavoro e più in
generale quelle informazioni relative alla dimensione sociale nella quale i
cittadini vivono. Ma è proprio grazie a questa struttura piuttosto semplice che
l’HDI è considerato uno strumento accessibile a tutti e molto utile nella
programmazione degli interventi economici.
Rimanendo sempre sull’argomento possiamo prendere in considerazione un
confronto effettuato da Boggio e Seravalli (2003) tra l’HDI ed il Pil pro-capite,
questi due studiosi hanno dimostrato l’esistenza di una stretta correlazione,
11
anche se non in forma lineare, tra questi due indici
4
; ciò dimostra che la distanza
nel grado di sviluppo tra più paesi può essere individuata, seppur in modo
grossolano, misurando la loro differenza in termini di reddito pro-capite e che
molto probabilmente nel lungo periodo è molto difficile che si verifichi
sviluppo umano senza sviluppo economico o viceversa. Attraverso tale
confronto quindi si è arrivati a stabilire che il logaritmo del reddito pro-capite
può essere considerato come una proxy dello sviluppo umano.
Tutto ciò però non significa che perda valore il lungo lavoro condotto per
sostenere come lo sviluppo umano costituisca un obiettivo di politica economica
che va oltre la crescita della disponibilità di beni materiali anche perché,
nonostante la stretta correlazione, vengono tralasciati importanti aspetti dello
sviluppo soprattutto per quanto riguarda la componente sociale.
Dopo aver analizzato le relazioni tra sviluppo e disponibilità di beni, passiamo a
descrivere tutti quei legami che si instaurano tra sviluppo economico e
popolazione. Fino ad adesso la popolazione era stata considerata prendendo in
considerazione delle medie statistiche (Pil pro-capite, HDI) ma il limite risiede
nel fatto che medie identiche spesso nascondono delle situazioni molto
differenti soprattutto se si fa riferimento alla concentrazione della ricchezza.
Quindi si può verificare che le fasce più povere della popolazione risultino
relativamente più o meno povere rispetto alle classi ricche anche a parità di
reddito pro-capite medio riferito a tutta la popolazione; dunque, accanto ai
precedenti indicatori, si devono utilizzare anche una serie di misure che ci
permettano di valutare come il reddito è effettivamente distribuito all’interno
della popolazione.
Attraverso tale integrazione è possibile analizzare anche la dimensione “sociale”
dello sviluppo, in particolare si pone l’attenzione sulla giustizia distributiva che
4
Nell’analisi vengono trascurati i Paesi molto piccoli ovvero quelli con una popolazione inferiore ai 2
milioni di abitanti.
12
secondo alcuni studiosi (Aninat e Birdsall, 2000) rappresenta l’unico mezzo per
ridurre la povertà assoluta
5
.
Secondo la Banca Mondiale, la povertà assoluta può essere definita come “la
condizione delle persone che non possono contare su un reddito giornaliero
superiore a uno o due dollari pro-capite”, tale condizione non indica solamente
una stato di difficoltà a livello economico ma indica anche una maggiore
esposizione alle malattie, l’impossibilità di una istruzione adeguata ed una
progressiva emarginazione sociale che molto spesso sfocia in fenomeni di
illegalità e criminalità. In base a queste osservazioni lo sviluppo umano deve
essere considerato come il continuo miglioramento delle condizioni che per
mettono a tutta la popolazione di vivere una vita lunga e in buona salute.
Nasce quindi il problema se l’HDI risulti un buon indicatore anche in questo
ultimo senso, o meglio se esiste una stretta correlazione tra l’HDI e la
percentuale della popolazione in condizioni di povertà assoluta. Boggio e
Seravalli (2003), prendendo in considerazione un campione di 67 Paesi in via di
sviluppo (PVS), hanno notato l’esistenza di tale correlazione che risulta
maggiore di quella tra PIL pro-capite e povertà, anche se in una visione più
specifica non devono essere trascurati nemmeno la distribuzione del reddito ed i
caratteri geografici, storici e culturali dei vari Paesi presi in considerazione.
Si può quindi affermare che la riduzione della povertà assoluta deve essere
considerata come un obiettivo raggiungibile non solo mediante la crescita del
reddito medio ma anche grazie all’adozione di una serie di politiche volte a
ottenere un equilibrio sociale, ovvero sia attraverso la riduzione della distanza
economica tra le classi più ricche ed il resto della popolazione e sia attraverso
una serie di politiche dirette al miglioramento e alla diffusione dei servizi
sanitari e scolastici.
5
Si parla di povertà assoluta per evitare confusioni con il concetto di povertà relativa che viene utilizzato
per descrivere la disuguaglianza relativa.