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Il quarto capitolo è interamente dedicato alle innumerevoli ricerche
internazionali sulla maternità in adolescenza. Gran parte degli studi è di origine
statunitense, dal momento che in questo Paese la gravidanza e la maternità in
adolescenza rappresentano un vero caso sociale. Al fine di contestualizzare il
fenomeno nella realtà sociale italiana, vengono esaminati in modo dettagliato
anche i pochi studi sperimentali esistenti sull'argomento nel nostro Paese. Il
fenomeno della maternità in adolescenza interessa più campi, e può essere
affrontato da molteplici punti di vista. Si è scelto, quindi, di analizzare
separatamente ogni fattore che influenzi l'esistenza di tale fenomeno. Vengono,
pertanto, trattati gli aspetti psicodinamici e gli stili di attaccamento osservati
nella maggioranza delle madri adolescenti, per poi passare all'analisi della
funzione riflessiva presente in queste donne, con particolare attenzione alle
caratteristiche delle interazioni precoci tra queste giovani mamme e i loro
bambini. Sarà considerata poi la vulnerabilità alla psicopatologia, dal momento
che molti studi riportano un'alta frequenza di malessere psicopatologico,
rappresentato soprattutto da depressione e rischio di abuso verso i propri
bambini, in ragazze che si trovano ad affrontare allo stesso tempo la doppia
riorganizzazione della rappresentazione del sé corporeo, correlata alla crescita
adolescenziale e alla gravidanza, con il conseguente rischio di sperimentare una
difficoltà nel processo che porta alla formazione di un'identità. Infine, particolare
attenzione viene rivolta all'estrema importanza che per queste ragazze riveste la
rete sociale, stretta e allargata, e ai diversi risultati riguardanti gli esiti evolutivi
di figli di madri adolescenti.
Nel quinto capitolo verranno presentati i differenti modelli di intervento
proposti dai diversi autori, pensati al fine di promuovere la relazione genitore-
bambino, con particolare riferimento a quei modelli utilizzati con madri
adolescenti. Si analizza uno specifico modello, il VIPP-R (Video Intervention to
promote Positive Parenting), il quale si propone di promuovere il
comportamento sensibile della madre fornendo un video-feedback
personalizzato, con l'aggiunta di discussioni sulle relazioni di attaccamento
attuali e su quelle del passato, al fine di aiutare la madre a riconsiderare le
8
proprie esperienze infantili e ad individuare la loro relazione con il legame che si
sta sviluppando nel momento attuale con il proprio bambino. Viene, infine,
considerata l'attualizzazione di tali programmi di intervento con madri
adolescenti, mettendo in luce le difficoltà pratiche e psicologiche che possono
talvolta impedire la buona riuscita dei diversi interventi.
Il sesto capitolo è dedicato alla presentazione della prima fase della ricerca,
tuttora in corso, condotta nell'ambito di una convenzione istituita a fini di ricerca
tra il dipartimento di Psicologia dell'Università degli Studi di Milano Bicocca e la
cattedra di Neuropsichiatria Infantile dell'Università degli Studi di Milano. Lo
scopo dello studio è quello di indagare il ruolo svolto dall'intervento precoce e
dalla sicurezza dell'attaccamento delle madri adolescenti sullo sviluppo socio-
affettivo del proprio bambino. L'equipe di ricerca è costituita da una psicoanalista
e da un neuropsichiatra infantile, i quali si occupano della supervisione
dell'intervento e delle visite mediche ai bambini. L'intervento è effettuato da una
psicomotricista e da una psicologa, con il supporto di due tirocinanti. Viene
presentato il piano di ricerca, e vengono esposti gli obiettivi, gli strumenti e la
procedura utilizzati. Su queste basi si propone un'analisi della ricerca “in fieri”,
considerando le difficoltà e le riflessioni che hanno portato l'equipe a modificare
parzialmente il protocollo iniziale di ricerca. I primi dati, riguardanti tutte le
ragazze che per ora usufruiscono del servizio, e le prime considerazioni effettuate
dall'equipe di ricerca, sono confrontate con i dati presenti in letteratura,
analizzando similitudini, differenze, e formulando ipotesi teoriche sulle
osservazioni effettuate. Il capitolo si conclude con la presentazione di un caso
clinico, che ben rispecchia alcune delle riflessioni e delle ipotesi formulate nel
tempo.
L'elaborato si conclude con la presentazione di considerazioni e proposte
nate dalla revisione dell'ampia letteratura sulla maternità in adolescenza e basate
sull'esperienza nata dal progetto di ricerca attualmente in corso.
9
1.LA MATERNITA' IN ADOLESCENZA:
UNA VISIONE D’INSIEME
La gravidanza e la maternità in adolescenza rappresentano un fenomeno che
interessa più campi e può quindi essere affrontato da una molteplicità di punti di
vista. Sebbene il presente lavoro si concentrerà sull’analisi di questo fenomeno
dal punto di vista psicologico e, più specificatamente, da quello della teoria
dell’attaccamento, è opportuno fornire una visione d’insieme di tale fenomeno,
affinché la prospettiva qui presa in esame non appaia decontestualizzata dalla
realtà.
Il sistema più ampio dentro al quale si ascrive questo fenomeno è quello culturale
(Franzoni, 2004). Esistono, culturalmente, due modi di considerare la gravidanza
in adolescenza: uno “positivo” e l’altro “negativo”. Nei paesi in via di sviluppo la
gravidanza in età molto precoce è non solo culturalmente accettata, ma anche
incoraggiata (Franzoni, 2004). Nelle culture tradizionali dell’Africa del nord o
dell’est, per esempio, la maternità e i matrimoni precoci fanno parte della
tradizione: le ragazze sono “maritabili” dal momento in cui sono in grado di
procreare. Nei paesi più industrializzati, invece, il fatto che una giovane rimanga
incinta prima della maggiore età, o comunque in età adolescenziale, è considerato
un problema sociale di varia intensità a seconda del contesto: nel nostro Paese è
un fenomeno di discreta rilevanza, mentre negli Stati Uniti è ormai considerato
alla stregua di un allarme sociale. In questa cultura esiste un intervallo di alcuni
anni, socialmente accettato, che intercorre tra il menarca e la prima maternità.
Questa diversità di vedute dimostra come ogni fenomeno vada inserito, al fine di
analizzarlo, nel contesto nel quale emerge e si sviluppa, e come non esista un
modo “giusto” e oggettivo di descrivere un qualunque fenomeno. La realtà
culturale di riferimento per questo lavoro è quella che considera la gravidanza nel
corso dell’adolescenza come un comportamento a rischio per le conseguenze che
essa comporta (Marchegiani, Grasso, 2007).
Considerando tale fenomeno dal punto di vista sociale, emergono
significative differenze anche all’interno di sistemi culturali “simili”, come sono
quello statunitense e quello italiano (Ammaniti, Candelori, Speranza, 1997). Le
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gravidanze adolescenziali rappresentano per gli Stati Uniti un fenomeno
particolarmente grave. Nel nostro paese la natalità in questa fase della vita non
costituisce un problema di tale rilevanza, ma è piuttosto l’aborto a prendere
questo posto (Muscetta, Speranza, 1992). Oltre a questa differenza quantitativa,
emergono poi dalle ricerche condotte finora anche delle disuguaglianze
qualitative (Ammaniti, Candelori, Speranza, 1997): le adolescenti che rimangono
incinte negli Stati Uniti sono prevalentemente di colore, di classe economica
bassa e prevedibilmente avranno un’ulteriore gravidanza nel corso della loro
adolescenza. Esse sono state allevate di solito da un solo genitore, oppure dai
nonni o da altri adulti, e tendono ad avere rapporti sessuali più precoci rispetto
alle ragazze bianche della stessa condizione socioeconomica (Osofsky, Hann,
Peebles, 1993).
Nel nostro Paese la tipologia è profondamente diversa: le ragazze
provengono in larga misura da famiglie di classe media, e quasi sempre ricevono
un aiuto e un sostegno dalle famiglie di origine. Da queste differenze ne
conseguono altre riguardanti i fattori di rischio per queste coppie madri-
bambino: la letteratura americana indica come fattori di rischio la prematurità, il
basso peso del bambino alla nascita e un’alta mortalità perinatale e infantile.
Questi bambini avrebbero, inoltre, maggiori possibilità di essere portatori di
malformazioni congenite, handicap fisici e ritardi nello sviluppo, oltre ad essere
più a rischio di maltrattamento (Muscetta, Speranza, 1992). In Italia i rischi
sembrano essere connessi a fattori sociali e psicologici piuttosto che a fattori
medici, come conseguenza della presenza della famiglia d’origine, che sembra
incidere profondamente sulla regolarità dei controlli ostetrici.
Osservando quindi il fenomeno delle gravidanze adolescenziali dal punto di
vista sociale, appaiono rilevanti alcune variabili come il livello economico, il
livello di istruzione, il supporto sociale sia della famiglia d’origine sia del partner
(Moran, Pederson, Krupka, 2005).
La povertà contribuisce ad aumentare i problemi cui si trova di fronte una
madre adolescente: aumenta il rischio di vivere in aree a rischio per crimine e
violenza così come incide sulla possibilità di accudire adeguatamente il bambino
11
sia materialmente sia a livello di supporto esterno.
Il livello d’istruzione appare correlato in modo significativo con alcune
variabili che riguardano tutto il percorso che porta dal concepimento
all’instaurarsi di una relazione con il bambino e a caratteristiche del bambino
stesso: inadeguate cure prenatali, gestione della relazione col bambino, sviluppo
cognitivo e socioemotivo del bambino.
Così come è stato dimostrato per le madri adulte, anche per le madri
adolescenti il supporto sociale, costituito dalla famiglia di origine, dal partner ma
anche dal gruppo sociale allargato, è di fondamentale importanza per l’equilibrio
psichico della madre e conseguentemente per la sua relazione con il bambino
(Bunting, McAuley, 2004a, 2004b; Stevenson, Maton, Teti, 1999).
Passando al punto di vista clinico e psicologico, gli studi sull’argomento si
sono sviluppati dapprima utilizzando un supporto teorico di tipo psicodinamico,
passando poi ad analizzare il fenomeno più da un punto di vista sociale e
cercando di estrapolare una sorta di identikit della madre adolescente (Osofsky,
Hann, Peebles, 1993). Negli ultimi anni sono stati nuovamente proposti diversi
modelli teorici che affrontano i fattori che sembrano coinvolti nella gravidanza
adolescenziale da prospettive alternative, ma non per questo non integrabili tra
loro.
La prospettiva evolutiva del ciclo di vita (Baltes, 1968; Baltes, Reese,
Lipsitt, 1980) è utile per comprendere i compiti evolutivi che ogni individuo deve
naturalmente affrontare nel corso della sua vita, in particolare nei momenti più
critici, dei quali l’adolescenza è un fondamentale esempio. Questa prospettiva
teorica permette dunque di capire le sfide e le aspettative di un adolescente, ma
anche di tutte le persone coinvolte nella sua crescita, mettendo in rilievo allo
stesso tempo i fattori intergenerazionali che contribuiscono al modo in cui si
affrontano tali compiti evolutivi.
La teoria sistemica familiare in qualche modo completa quella del ciclo di
vita, dal momento che considera la famiglia come un sistema, all’interno del
quale ogni comportamento è correlato all’andamento globale del sistema.
Tramite questa prospettiva si può inserire la ragazza adolescente in una storia
12
familiare, che può spiegare l’origine della gravidanza ma anche far luce sui
fattori di rischio e di protezione della situazione specifica.
L’analisi del fenomeno della gravidanza adolescenziale può anche essere
condotta dal punto di vista psicodinamico, nel quale l’attenzione si concentra più
sull’individuo e sulle motivazioni personali che lo portano ad essere in una
determinata situazione. Molti studi si sono sviluppati a partire dalla prospettiva
teorica delle relazioni d’oggetto (Laufer, Laufer, 1984), concentrandosi in modo
specifico sul concetto di identità e sul processo di formazione di quest’ultima
attraverso le fasi di separazione- individuazione (Ammaniti, 2002). Secondo
questa visione, un’adolescente può incontrare varie difficoltà nel tentativo di
separarsi dalla propria famiglia, in modo particolare dalla propria madre, e può
quindi risolvere questi conflitti psicologici rimanendo incinta. In questo modo
l’adolescente riesce a confermare la sua identità di donna, ma solo attraverso un
agito il cui esito non è la separazione bensì un nuovo riavvicinamento alla figura
materna e alla propria famiglia (Formica, 1981). Secondo Pines (1988) il
desiderio di gravidanza è prevalente rispetto al desiderio di maternità, per la
necessità della ragazza di mettere alla prova il suo corpo adulto, includendo una
componente di imitazione e competizione con la propria madre.
I principali rischi evolutivi a cui la gestante adolescente può andare incontro
sono dati dalla doppia disorganizzazione della rappresentazione del sé corporeo,
correlata alla crescita adolescenziale e alla gravidanza, ed il rischio conseguente
di sperimentare un'intensa confusione d'identità; l'adolescente che sta per
diventare madre potrebbe subire una inibizione del processo di sviluppo nei
termini di un arresto del processo di separazione-individuazione (Marchegiani,
Grasso, 2007; Ammaniti, 2002; Ammaniti et al., 1995a; Vegetti Finzi, 1991).
In ambito psicodinamico, il principale quadro teorico di riferimento è
costituito dalla teoria dell’attaccamento (Bowlby, 1969; 1973; 1988). Essa nasce
inizialmente come una teoria separata da quella psicoanalitica, e per certi versi
proprio in antitesi con quest’ultima (Fonagy, 2001). Negli ultimi anni invece
molti sforzi (Allen, 1995, 2000; Eagle, 1995, 1997; Holmes, 1993b, 1997;
Marrone, 1998; Fonagy, 2001) sono stati fatti per trovare dei punti di contatto tra
13
le due teorie, sforzi che hanno portato ad un rinnovato e fruttuoso interesse per la
teoria dell’attaccamento, con risultati sia in campo teorico che in campo
sperimentale. Da questa revisione i concetti portanti della teoria
dell’attaccamento, come i modelli operativi interni, la sicurezza nei legami e la
sua stabilità nella trasmissione intergenerazionale, la responsività del caregiver,
sono stati analizzati in molti studi. Per quanto riguarda la gravidanza in
adolescenza, è stato provato (Stevenson Barratt, Roach, 1995) che la condizione
di giovane età influisce negativamente sulla gestione del ruolo genitoriale
aumentando l’incidenza di legami di attaccamento insicuro, di tipo sia evitante
sia disorganizzato, rispetto ai figli di madri adulte.
Dal momento che la sicurezza dei modelli di attaccamento è considerata
non solo come predittore del legame di attaccamento, ma anche come importante
fattore protettivo specifico (Fonagy, Target, 2001), negli ultimi anni sono stati
avviati vari programmi d’intervento finalizzati a promuovere la relazione
genitore-bambino in diversi campioni (Cassibba, van IJzendoorn, 2005;
Sameroff, McDonough, Rosenblum, 2004). Quello delle madri adolescenti con i
loro bambini è considerato un campione decisamente a rischio, anche se dal
punto di vista epidemiologico l’entità del problema varia tra i diversi paesi
(Berthoud, Robson, 2001; Wellings, Wadworth, Johnson et al., 1999).
1.1 La situazione attuale in Italia
In Italia il fenomeno delle madri adolescenti è “invisibile” socialmente e
statisticamente (Marchegiani, Grasso, 2007). Boffi (Trivellato, 2002) propone
un'analisi del fenomeno elaborando i dati dell'Indagine Multiscopo sulle famiglie
italiane “Aspetti della vita quotidiana” che rappresentano la situazione media nel
quadriennio 1996-1999. Le madri tra i 15 e i 19 anni risultano essere 2.529,
mentre quelle con un'età compresa tra i 20 e i 24 anni sono 10.835. Si rileva
inoltre che gran parte delle giovani madri convive con la propria famiglia di
origine (94,5% delle 15-19enni, 62,8% delle 20-24enni). Per quanto riguarda la
condizione professionale, il 37,9% di madri tra i 15 e i 19 anni è disoccupata o in
cerca di occupazione, un terzo è casalinga e un terzo è studente. Nella fascia di
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età 20-24 anni aumenta di poco il tasso di occupazione e pone comunque le
madri adolescenti al di sotto della media delle coetanee che non hanno figli.
Relativamente alla condizione scolastico-formativa, il tratto che differenzia
queste giovani madri è l'alto tasso di abbandono-interruzione del ciclo scolastico,
in linea con i dati di altri paesi europei (Marchegiani, Grasso, 2007).
Nella relazione pubblicata dall'Istituto Nazionale di Statistica (Istat) nel
2006 relativa alla “Natalità e fecondità della popolazione residente:
caratteristiche e tendenze recenti. Anno 2004”, si delineano le principali
caratteristiche demografiche dei nati e dei loro genitori. Tra le modificazioni più
rilevanti si segnalano, da un lato, la continua diminuzione delle nascite da madri
minorenni, dall'altro, l'aumento di quelle da madri ultra-quarantenni. Negli ultimi
anni la diminuzione delle prime si può quantificare intorno al 18% (si è passati
dalle 3.142 nascite da madri minorenni del 1995 alle 2.577 nel 2004), mentre il
peso delle seconde sul totale dei nati è praticamente raddoppiato passando dal
2,4% del 1995 (12.383 nati da madri ultra-quarantenni) al 4,2% del 2004 (23.483
nati). Nel 2004, le madri residenti in Italia hanno in media 30,8 anni alla nascita
dei figli, un anno in più delle madri del 1995.
Analizzando i dati emanati dall'Istat relativi ai “Nati per regione, classe di
età del padre e della madre alla nascita del figlio. Anno di iscrizione 2005”, si
osserva che 2.466 sono i nati da madri minorenni, mentre 6.953 quelli nati da
madri con un'età compresa tra i 18 e i 19 anni, per un totale di 9.419 nascite. La
percentuale di figli nati da madri adolescenti in Italia risulta essere dell'1,73% sul
totale delle nascite. La percentuale varia analizzando le diverse zone in cui viene
suddiviso il Paese: in Italia Nord-Occidentale è dell'1,17%, in Italia Nord-
Orientale dell'1,20% e in Italia Centrale risulta dell'1,15%. L'incidenza del
fenomeno aumenta nell'Italia Meridionale e Insulare, dove le percentuali
risultano essere rispettivamente del 2,35% e del 3,43%.
Osservando l'età dei padri, si evidenziano due andamenti principali, uno
relativo all'insieme “Italia Nord-Occidentale / Italia Nord-Orientale / Italia
Centrale” e l'altro relativo all'insieme “Italia Meridionale / Italia Insulare”. Nel
primo insieme le ragazze adolescenti tendono ad avere partner più grandi, con
15
una percentuale tra il 9,97% e il 13,92% che riguarda i padri con età compresa tra
i 30 e i 34 anni. Le percentuali dei partner minorenni o comunque con un'età
compresa tra i 18 e i 19 anni sono piuttosto basse rispetto al Sud e nelle Isole.
Un'altra differenza riguarda la categoria dei padri con età “Non indicata”,
dato che presumibilmente rispecchia i casi di non riconoscimento dei figli. Al
Nord e nell'Italia Centrale questa percentuale è più elevata rispetto all'Italia
Meridionale ed Insulare. In linea generale, comunque, si osserva che la maggior
parte dei padri di bambini nati da madri adolescenti in Italia ha un'età compresa
tra i 20 e i 29 anni, e che al Nord l'età dei padri risulta statisticamente più alta
rispetto al Sud, dove il fenomeno è comunque più diffuso e culturalmente più
accettato.
Dal punto di vista legislativo, diventare genitore prima dei sedici anni, nel
contesto legislativo italiano, pone grosse limitazioni sotto il profilo della potestà
genitoriale, a cominciare dai presupposti della stessa: il riconoscimento del figlio
naturale.
Il riconoscimento, che è un atto unilaterale, volontario e discrezionale “non
può essere fatto da genitori che non abbiano compiuto il sedicesimo anno di età”,
come stabilito dall'articolo 250 del Codice Civile. Il nostro ordinamento, infatti,
“emancipa” il minore, ovvero gli riconosce una “maggiore autonomia” dai propri
genitori, a sedici anni, età in cui potrà essere autorizzato dal giudice a contrarre
matrimonio prima del diciottesimo anno (Art. 84 del Codice Civile),
emancipandosi così di diritto, o a compiere da solo atti di ordinaria
amministrazione che incideranno sul suo patrimonio.
E' possibile dunque che si verifichino tre situazioni. La prima, quando
entrambi i genitori sono minori di sedici anni e, quindi, impossibilitati al
riconoscimento: alla nascita del bambino l'Ufficiale di stato civile formerà l'atto
di nascita con l'indicazione che il minore è “figlio di donna che non può essere
nominata”. Normalmente questo aprirebbe la procedura di adottabilità, ma con
l'entrata in vigore della legge 4 maggio 1983, n. 184, la procedura “è rinviata
d'ufficio fino al compimento del sedicesimo anno di età del genitore naturale”
(art. 11, comma 3) – in qualche modo ridimensionando la problematica dei figli
16
nati da genitori infra-sedicenni – purché il bambino, adeguatamente accudito,
abbia un rapporto continuativo con la madre.
Va rilevato come non resti indifferente al legislatore il legame “naturale” tra
genitore e figlio: l'articolo 11, infatti, nel riferirsi al genitore infra-sedicenne, il
quale non ha, per la sua età, proceduto al riconoscimento, lo qualifica come
“genitore naturale”, mostrando di privilegiare una denominazione che fa leva sul
legame biologico e non sulla titolarità dello stato. La legge ha anche cura di
riconoscere il diritto del bambino “di crescere ed essere educato nell'ambito
della propria famiglia” di origine (art. 1 L. 184/83). Anche la Suprema Corte ha
sottolineato come “il divieto di cui all'articolo 250, comma 5, c.c. non privi il
minore della condizione di genitore, con la conseguenza che, quando, divenuto
sedicenne, provveda al riconoscimento del figlio, acquista tutti i diritti
sostanziali e processuali previsti dalla legge per il genitore fin dalla nascita del
figlio” (Cass., sez. I, 7 settembre 1982, n. 4849).
Nel caso in cui entrambi i genitori siano infra-sedicenni, dunque, il Giudice
tutelare nominerà quindi un tutore provvisorio per il bambino il quale “ha la cura
della persona del minore, lo rappresenta in tutti gli atti civili e ne amministra i
beni” (Art. 357 del Codice Civile); in questi casi “la scelta del tutore avviene
preferibilmente tra gli ascendenti o tra gli altri prossimi parenti del minore, i
quali, in quanto sia opportuno, devono essere sentiti. [...] In ogni caso la scelta
deve cadere su persona idonea all'ufficio, di ineccepibile condotta, la quale dia
affidamento di educare e istruire il minore” (Art. 348 del Codice Civile)
conformemente a quanto prescritto per i genitori legittimi.
In presenza di padre maggiore di sedici anni, se questi riconoscerà il figlio,
acquisterà anche la potestà sul bambino, con tutti i diritti e i doveri ad essa
collegati.
Qualora, invece, il padre biologico non riconosca il figlio, il bambino non
riconosciuto sarà affidato ad un Tutore.
I poteri di cura, rappresentanza e amministrazione del Tutore sono meno
estesi di quelli spettanti ai genitori esercenti la potestà, sia per quanto attiene alle
maggiori cautele prescritte, sia per quanto attiene al più attivo e diretto intervento
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dell'autorità giudiziaria, a cominciare dal dovere di osservanza dei provvedimenti
emessi dal giudice tutelare per la cura della persona del minore, in particolare per
l'istruzione. Il Tutore gode di maggiore discrezionalità sotto il profilo
propriamente educativo, soggetta al solo limite del divieto di abuso del suo
potere.
Qualora, però, il minore conviva con il Tutore, a quest'ultimo dovranno
riconoscersi anche i poteri-doveri di cura propri dell'affidatario (v. Art. 5 Legge
sull'adozione e sue modifiche). Sotto il profilo personale va tenuto in debito
conto il diritto del minore di vivere, crescere ed essere educato nell'ambito di una
famiglia (v. Legge sull'adozione, art. 4, 5, 15, 17, 21, 23).
Il potere di rappresentanza sostanziale del Tutore si rileva non solo per gli
atti di amministrazione ma si estende anche agli atti di natura personale, con la
sola esclusione dei diritti personalissimi.
Quanto all'amministrazione, il tutore può compiere tutti gli atti necessari o
utili alla conservazione o allo sviluppo del patrimonio del minore. Si è osservato
che nell'amministrare i beni il Tutore deve adottare quale criterio principale
quello della loro destinazione al mantenimento, all'istruzione e all'educazione del
minore.
Per quanto riguarda gli obblighi del genitore naturale, da una lettura
dell'articolo 279 del Codice Civile (Responsabilità per il mantenimento e
l'educazione) in linea con i principi costituzionali e, in particolare, con l'articolo
30, comma 1 della Costituzione, che sancisce l'incondizionato diritto-dovere dei
genitori di mantenere, istruire ed educare i figli anche se nati fuori dal
matrimonio, si può ipotizzare una legittima estensione della portata della
disposizione a tutte le ipotesi in cui il rapporto di filiazione non “può” essere
accertato, quale che sia la causa che impedisca il riconoscimento. In altre parole,
il genitore che dà luogo alla procreazione, e già per il fatto della procreazione
(Cass., sez. I, 9 giugno 1990, n. 5633), a prescindere da ogni accertamento circa
la sussistenza o meno di una sua volontà generativa, è tenuto in ogni caso ad
adempiere quegli obblighi di mantenere, istruire, ed educare i figli, anche se nati
fuori dal matrimonio, sanciti dalla Costituzione.
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Il problema di definire se al genitore, tenuto ex articolo 279 del Codice
Civile a corrispondere al figlio naturale quanto necessario al suo mantenimento,
istruzione ed educazione, spetti la potestà sul figlio, non risulta affrontato
specificatamente in pronunce giurisdizionali di legittimità.
La previsione normativa dell'incapacità generale per il minore infra-
sedicenne di riconoscere il proprio figlio naturale, non ha mancato di far rilevare
come l'articolo 250, comma 5 del Codice Civile appaia poco in linea con il
dettato costituzionale ed in particolare con gli articoli 31 e 302 della Costituzione,
nella misura in cui impedisce l'instaurazione di un valido rapporto di filiazione
giuridicamente rilevante solo perché il genitore non ha ancora compiuto i sedici
anni di età.
Viene infatti così pregiudicata la possibilità per il figlio di godere dello
status che gli sarebbe proprio e principalmente di fruire dei relativi diritti sulla
base di una non sicura ed effettiva incapacità del genitore ad attendere al proprio
ruolo, ma di una valutazione compiuta in astratto dal legislatore che ha ritenuto
tutti gli infra-sedicenni non in grado di assumere oneri e doveri che derivano dal
rapporto di filiazione.
Ciò non può non risultare, sotto tale aspetto, in contrasto con l'articolo 30,
comma 2 della Costituzione, che nell'attribuire al legislatore il compito di
provvedere nei casi di incapacità dei genitori a che siano assolti i loro compiti,
pare invece presupporre un'incapacità dei genitori allo svolgimento dei propri
doveri assistenziali ed educativi nei confronti della prole, che sola giustifica il
ricorso ai rimedi previsti dalla legge.
Ma sollevata la questione di legittimità costituzionale (Trib. Min. Venezia,
20 aprile 1978), la Consulta ha evitato, in buona sostanza, di esprimersi sul
conflitto dell'articolo 250, comma 5, c.c. con gli articoli 3 e 30 della
1 Articolo 3 Cost. I. Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza
distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e
sociali. [...]
2 Articolo 30 Cost. I. E' dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati
fuori dal matrimonio. II. Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro
compiti. III. La legge assicura ai figli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale,
compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima. IV. La legge detta le norme e i limiti per
la ricerca della paternità. (Corte Cost., ord. 19 ottobre 1979, n. 122).
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Costituzione, riducendo la questione agli aspetti meramente formalistici, di fatto
salvando il divieto per i minori di sedici anni di riconoscere il proprio figlio
(Corte Cost., ord. 19 ottobre 1979, n. 122).